DOMENICA DI PENTECOSTE (1)
Temi del sermone
– Epistola del santo giorno di Pentecoste, divisa in
cinque parti.
– Anzitutto sermone sullo Spirito Santo e la proprietà
del crisòlito: “Nelle ruote era lo spirito della vita”.
– Parte I: Sermone sulla solennità dello
Spirito Santo: “Era ormai giunto il terzo giorno”.
– Le tre lingue: del serpente, di Eva e di Adamo; le
quattro prerogative del fuoco e il loro significato.
– Parte II: L’infusione dello Spirito Santo, la
risurrezione dell’anima, le quattro parti del mondo e il loro significato:
“Dai quattro venti vieni, o Spirito!”
– L’arca di Noè, i suoi cinque scomparti e il loro
significato: “L’arca di Noè aveva cinque scomparti”.
– I cinque sensi del corpo, la loro disposizione, le
loro proprietà e il loro significato: Il primo scomparto era quello dei
rifiuti.
– Parte III: Le tre specie di suono e il loro
significato: “Venne all’improvviso un suono dal cielo”.
– Sermone ai penitenti o ai religiosi: “Era ormai giunto
il terzo giorno”.
– La caratteristica della terra e il suo significato:
“Lo Spirito del Signore riempì l’universo”.
– Parte IV: Sermone sulla confessione, sulla
precisazione delle circostanze, sul fervore della soddisfazione, sulla
proprietà e la disposizione della lingua e suo il significato: “E apparvero
loro delle lingue come di fuoco, che si dividevano”.
– Parte V: L’invio dello Spirito Santo: “Mandò il
fuoco dall’alto”, e “Il Signore fece passare lo spirito (il soffio) sopra la
terra”.
– Sermone contro coloro che predicano molto, ma poco o
nulla fanno: “Incominciarono a parlare in svariate lingue”.
esordio - lo spirito santo e la proprietà del crisòlito
1. “Mentre stavano per compiersi i giorni della Pentecoste, i
discepoli si trovarono tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1).
Dice Ezechiele: “Nelle ruote v’era lo spirito della
vita” (Ez 1,20). Gli apostoli furono ruote che giravano speditamente
a portare in tutto il mondo il Figlio di Dio. Queste ruote, come aggiunge lo
stesso profeta, “avevano l’aspetto della pietra di crisòlito” (Ez 10,9).
La pietra di crisòlito (topazio) risplende come l’oro: il suo nome è composto
appunto dai termini greci chrisòs, oro, e lìthos,
pietra. Questa pietra sembra emanare da se stessa come delle scintille ardenti,
e mette in fuga ogni specie di serpenti; essa raffigura gli apostoli i quali,
splendenti dell’oro della grazia settiforme, emanavano da se stessi
le scintille della predicazione che infiammavano gli ascoltatori, e con esse
mettevano in fuga ogni specie di demoni. Queste ruote, come dice sempre
Ezechiele, erano di grande dimensione ed altezza e di aspetto spaventoso
(impressionante) (cf. Ez 1,18). E anche gli apostoli furono grandi
nella perfezione della loro dottrina e del loro insegnamento, eccelsi per la
sublimità delle promesse celesti, e terribili per le minacce e i castighi
spaventosi che sarebbero seguiti.
Dice infatti il penitente, con le parole del Cantico dei
Cantici: “L’anima mia mi conturbò a motivo delle quadrighe di
Aminadab” (Ct 6,11). Aminadab s’interpreta “spontaneo” ed è figura
di Gesù Cristo, il quale spontaneamente offrì se stesso sulla croce per noi; e
le sue quadrighe furono gli apostoli, dei quali dice Abacuc:
“E le tue quadrighe sono la salvezza” (Ab 3,8), vale a dire che per
mezzo di esse dà la salvezza. La mia anima, dice appunto il penitente, fu tutta
turbata a motivo della loro predicazione, turbamento che mi indusse alla
penitenza. E quindi Abacuc: “Hai mandato sul mare i tuoi cavalli ad agitare le
acque profonde; ho udito e fremettero le mie viscere” (Ab 3,15-16).
Il Signore mandò nel mare, cioè nel mondo, i cavalli, cioè gli apostoli, i
quali con la loro predicazione agitarono le acque profonde, sconvolsero cioè
molti popoli e li convertirono alla penitenza. Io ho udito la loro
predicazione, dice il penitente, e furono turbate le mie viscere, vale a dire
la mia carnalità.
I. l’infusione della grazia dello spirito santo negli
apostoli,
in forma di lingue di fuoco
2. In queste ruote v’era lo spirito della vita che tutto
vivifica. Leggiamo infatti nell’epistola di oggi: “Mentre stavano per compiersi
i giorni della Pentecoste, gli apostoli stavano tutti insieme nello stesso
luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo come di vento che si abbatte
gagliardo, e riempì tutta la casa nella quale si trovavano. Ed apparvero loro
delle lingue sparse come di fuoco, che si posarono su ciascuno di loro. E tutti
furono ripieni di Spirito Santo, e incominciarono a parlare diverse lingue come
lo Spirito Santo dava loro di esprimersi” (At 2,1-4).
Pentecoste è parola greca che significa “cinquantesimo”, e
l’antico popolo eletto festeggiava questo giorno, perché era stata data loro la
Legge in mezzo al fuoco, proprio nel cinquantesimo giorno da quello
dell’immolazione dell’agnello, per mezzo del quale i figli d’Israele erano
usciti dall’Egitto. E nel Nuovo Testamento, nel cinquantesimo giorno dopo la
Pasqua di Cristo, lo Spirito Santo discese sugli apostoli, apparendo nel fuoco.
La Legge venne sul monte Sinai, lo Spirito sul monte Sion. La Legge fu data in
un luogo alto del monte, lo Spirito nel cenacolo.
“Quando dunque stavano per compiersi i giorni della
Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Nessuno
era assente, prima di tutto perché il numero di dodici era completo e poi
perché erano tutti un cuor solo e un’anima sola. “Erano nello stesso luogo”,
cioè nel cenacolo, dov’erano saliti. Chi infatti desidera ricevere lo Spirito
Santo, calpesta l’abitazione della carne, superandola con la contemplazione
della mente. “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si
abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa nella quale si trovavano”. Non
conosce indugi la grazia dello Spirito Santo, secondo il detto: “L’impeto del
fiume rallegra la città di Dio” (Sal 45,5). Vnne con il rombo del
tuono colui che veniva per istruire i suoi.
Troviamo anche nell’Esodo delle parole che lo confermano:
“Ed ecco che giunto il terzo giorno, sul far del mattino, si sentirono
rumoreggiare tuoni e si videro lampeggiare folgori, e nubi densissime coprivano
il monte; e rimbombava un fortissimo suono di tromba: tutto il popolo che era
nell’accampamento fu scosso da tremore” (Es 19,16).
Il primo giorno
fu quello dell’incarnazione di Cristo, il secondo quello della sua passione, il
terzo quello della discesa dello Spirito Santo: quando venne “si sentirono
rumoreggiare tuoni”, perché “all’improvviso venne dal cielo un rombo; si videro
lampeggiare folgori”, simbolo dei miracoli operati dagli apostoli; “e nubi
densissime”, vale a dire compunzione dei cuori e pentimento, “coprivano il
monte”, cioè il popolo che si trovava a Gerusalemme; negli Atti degli Apostoli
si legge infatti che “i pentiti di cuore dicevano a Pietro e agli altri
apostoli: Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. “E il suono delle trombe”, cioè
della predicazione degli apostoli, “rimbombava sempre più forte”. E Pietro
disse: “Fate penitenza e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù
Cristo, per la remissione dei vostri peccati: dopo riceverete il dono dello
Spirito Santo” (At 2,37-38). “E tutto il popolo che era
nell’accampamento fu scosso da tremore”, e quindi “furono battezzati, e in quel
giorno si unirono a loro circa tremila persone” (At 2,41).
3. “Apparvero loro delle lingue come di fuoco, che si
dividevano e si posarono su ciascuno di essi”, perché per mezzo delle lingue
del serpente, di Eva e di Adamo la morte entrò nel mondo (cf. Sap 2,24).
La lingua del serpente inoculò il veleno in Eva, la lingua di Eva lo inoculò in
Adamo e la lingua di Adamo tentò di ritorcerlo contro il Signore. La lingua è
un membro freddo, è sempre immersa nell’umidità, e quindi è un male ribelle ed
è piena di veleno mortale (cf. Gc 3,8), del quale nulla è più
freddo. Lo Spirito Santo apparve perciò in forma di lingue di fuoco per opporre
lingue a lingue, e fuoco a veleno mortale.
E considera che il fuoco ha quattro proprietà: brucia,
purifica, riscalda e illumina. Allo stesso modo lo Spirito Santo brucia i peccati,
purifica i cuori, elimina il torpore del freddo e illumina, ossia rende chiare
le cose che si ignorano. Il fuoco è anche incorporeo e invisibile per sua
natura, ma quando investe qualche oggetto assume varie colorazioni a seconda
dei materiali nei quali brucia. Così lo Spirito Santo non può essere veduto se
non per mezzo delle creature nelle quali opera.
Osserva ancora che la dispersione [confusione] delle lingue
avvenne nella torre di Babele (cf. Gn 11,8-9), per il fatto che la
superbia disunisce e disperde, mentre l’umiltà riunisce. Nella superbia c’è
la dispersione, nell’umiltà c’è la concordia. Ecco che si compie così la
promessa del Signore: Non vi lascerò orfani, ma vi manderò lo Spirito
Paràclito (cf. Gv 14,18.26), il quale fu il loro avvocato e parlò a
tutti in loro favore. Colui che veniva per la Parola portò le lingue. Tra
lingua e parola c’è una parentela: non possono essere divise una dall’altra;
così la Parola (il Verbo) del Padre, cioè il Figlio, e lo Spirito Santo sono
inseparabili, anzi hanno un’unica natura.
“E tutti furono pieni di Spirito Santo e incominciarono a
parlare diverse lingue, come lo Spirito Santo dava loro di esprimersi”. Ecco il
segno della pienezza: il vaso pieno trabocca, il fuoco non può essere
occultato. Parlavano tutte le lingue, oppure parlavano la propria lingua,
l’ebraica, e tutti li capivano come se parlassero la lingua di tutti. Lo
Spirito Santo, “distribuendo i suoi doni a ciascuno come vuole” (1Cor
12,11), infonde la sua grazia dove vuole, come vuole, quando vuole, in chi
vuole e nella misura che vuole. Si degni di infonderla anche in noi, colui che
in questo giorno infuse la grazia negli apostoli per mezzo delle lingue di
fuoco. A lui sia sempre lode e gloria nei secoli eterni. Amen.
II. l’infusione dello spirito santo e la risurrezione
dell’anima
4. “Quando si compirono i giorni della Pentecoste, i
discepoli erano tutti riuniti nello stesso luogo”. Dice il profeta Ezechiele:
“Vieni, o Spirito, dai quattro venti e soffia su questi morti, perché
rivivano” (Ez 37,9). I quattro venti sono le quattro parti del
mondo: l’oriente, l’occidente, il settentrione e il mezzogiorno. Nell’oriente
è indicata l’incarnazione di Cristo, nell’occidente la sua passione, nel
settentrione la sua tentazione, e nel mezzogiorno l’invio dello Spirito Santo.
Oppure anche: nell’oriente è indicato il ricordo del nostro miserevole ingresso
nel mondo, nell’occidente il pensiero della nostra dolorosa dipartita, nel
settentrione la considerazione della nostra infelice condizione, e nel
mezzogiorno il riconoscimento dei nostri peccati.
Da questi quattro venti viene lo Spirito Santo e soffia, con
lo spirare della sua grazia, sopra gli uccisi dalla spada della colpa, affinché
rivivano con la vita della penitenza. Leggiamo infatti negli Atti degli
Apostoli che “mentre Pietro stava ancora parlando, lo Spirito Santo scese su
tutti quelli che ascoltavano le sue parole”(At 10,44). E per questo si
legge oggi: “Quando si compirono i giorni…”, ecc. Nel brano degli Atti che si
legge oggi nella messa, si devono sottolineare quattro fatti. Primo, il
compimento dei cinquanta giorni: “Quando si compirono i giorni della
Pentecoste”; secondo, l’infusione dello Spirito Santo: “All’improvviso venne un
rombo dal cielo”; terzo, l’apparizione dello Spirito in forma delle lingue di
fuoco: “Apparvero loro delle lingue di fuoco divise”; quarto, gli apostoli che
parlano tutte le lingue: “Tutti furono pieni di Spirito Santo, e parlavano…”,
ecc.
“Quando si compirono i giorni della Pentecoste”. Pentecoste è
un termine greco che significa “cinquantesimo”. Cinque volte dieci fanno
cinquanta. Cinque sono i sensi del corpo, dieci i precetti del decalogo. Se i
cinque sensi del nostro corpo saranno perfetti nell’adempimento dei dieci
precetti del decalogo, allora senza dubbio si compirà in noi il sacratissimo
giorno della Pentecoste, nel quale viene dato lo Spirito Santo. In riferimento
a questo cinquantesimo giorno, leggiamo nella Genesi che l’arca di Noè misurava
cinquanta cubiti di larghezza (cf. Gn 6,15).
Ma prima dobbiamo considerare che la stessa arca aveva cinque
scomparti; il primo era lo scomparto dei rifiuti, il secondo quello dei
viveri, il terzo quello delle bestie feroci, il quarto degli animali domestici,
il quinto riservato agli uomini e agli uccelli. Noè è figura del giusto (cf.
Gn 6,9), la cui arca è il proprio corpo, che giustamente è detto arca. Arca
deve il suo nome al fatto che tiene lontani (lat. arcet) i ladri.
Così il corpo del giusto deve chiudere fuori di sé ogni vizio che tenta di
rubargli le virtù. I cinque scomparti di quest’arca sono i cinque sensi, cioè
il gusto, l’odorato, il tatto, l’udito e la vista.
5. Il primo scomparto è quello dei rifiuti, lo sterquilinio.
Ed è figura della lingua della nostra bocca, per mezzo della quale dobbiamo
buttar fuori nella confessione tutto lo sterco dei nostri peccati. Questa è la
porta dello sterquilinio, della quale è detto nel secondo libro di Esdra che
“Melchia, figlio di Recab, costruì la porta dello sterquilinio, e vi pose i
battenti, le serrature e le sbarre” (2Esd 3,14)1. Lo sterquilinio, luogo pieno di
sterco, è così chiamato perché è imbrattato e insudiciato di sterco. La
coscienza del peccatore, graveolente e ammorbata dallo sterco del diavolo, deve
purificarsi per la porta della confessione. Questa porta la costruisce Malchia,
figlio di Recab. Malchia s’interpreta “coro per il Signore”, e Recab “che
sale”. Malchia è figura del penitente che con il timpano e il coro, cioè con la
mortificazione della carne e l’accordo della carità, deve far risuonare un inno
al Signore. Egli è figlio di Gesù Cristo, che sale alla destra del Padre.
Questo Malchia deve applicare alla sua lingua i battenti (in lat. valvae,
da velare, occultare), che sono come delle porte interiori, che si chiudono
dall’interno, perché tutti i suoi beni vengano chiusi dentro, tenendo scritto
sulla fronte della coscienza quel versetto di Isaia: “Il mio segreto è per me,
il mio segreto è per me”(Is 24,16); e deve applicare le serrature per
trattenere con le serrature dell’amore e del timore di Dio gli impulsi dell’animo
che vogliono irrorompere all’esterno; deve applicare anche le sbarre, per
proporre cose utili a tempo e a luogo e mai parlare di cose cattive.
6. Il secondo scomparto è quello dei viveri, e raffigura
l’olfatto delle narici. Le narici sono chiamate in lat. nares,
perché attraverso di esse passa l’aria (lat. nares,aër)
ossia il respiro. Le narici hanno tre compiti: lasciar passare il respiro,
captare gli odori, far uscire lo spurgo del cervello. È un disturbo, un difetto
il non respirare con le narici, che è il modo giusto, stabilito dalla natura.
Si respira con la bocca solo per necessità ed è cosa molto sgradevole, perché è
contro la natura. E anche lo sternuto segue la via delle narici, quando aumenta
l’aria nel cervello ed prorompe all’improvviso.
Nelle narici, come abbiamo già
detto altre volte, sono simboleggiate la discrezione e la prudenza: per mezzo
di queste due virtù, come attraverso le narici, aspiriamo lo spirito della
contemplazione e della perfetta carità, captiamo il profumo del buon esempio e
purifichiamo i pensieri cattivi. E come il respiro sano e utile si fa
attraverso le narici, così per mezzo della discrezione e della prudenza si
aspira, si attira lo spirito dell’amore divino che poi si emette e si diffonde
per la consolazione e l’edificazione del prossimo. E come il respiro per la
bocca si fa solo per necessità ed è sgradevole, così anche la confessione della
bocca si fa per necessità. Dal momento che hai peccato, è necessario che tu ti
confessi: se non vuoi confessarti sei destinato alla dannazione.
Ed è
sgradevole perché rimuove, rimescola lo sterquilinio, e del suo fetore si legge
nel vangelo: “Padrone, il fico làscialo ancora per quest’anno finché io gli
scavi attorno e vi metta il letame” (Lc 13,8). Il fico raffigura
l’anima, lo scavo la contrizione, il letame è la confessione dei peccati, la
quale fa fruttificare l’anima, prima sterile. E quando il vento della superbia
o della vanagloria aumenta nel cervello, ossia nella mente, per mezzo della
discrezione e della prudenza viene immediatamente lanciato fuori.
7. Il terzo scomparto è quello delle bestie feroci, e
raffigura il tatto delle mani, con le quali dobbiamo impugnare il flagello e
flagellarci senza misericordia per i pensieri disordinati, per le parole
sconvenienti, per le opere cattive, perché tanti siano i nostri sacrifici di
espiazione quanti sono stati i piaceri dei quali ci siamo dilettati.
E osserva che come nelle mani ci sono dieci dita, così dieci
sono le specie di flagellazione, cioè di mortificazione: la rinuncia alla
propria volontà, l’astinenza dal cibo e dalla bevanda, la rigorosità del
silenzio, le veglie di preghiera durante la notte, l’effusione delle lacrime,
il dedicare un congruo tempo alla lettura, il lavoro materiale, la generosa
partecipazione alle necessità del prossimo, il vestire dimessamente, il
disprezzo di sé. Con queste dieci dita dobbiamo afferrare il flagello e
colpirci senza pietà, senza misericordia, quasi con ferocia, perché nel giorno
del castigo che spezzerà le ossa, possiamo trovare misericordia.
8. Il quarto scomparto è quello degli animali domestici e
raffigura l’udito. Considera che l’orecchio è composto di cartilagine e di
carne. Nell’orecchio interno c’è un meato tortuoso, che assomiglia ad un
anello, e va a finire in un osso, simile per forma e configurazione
all’orecchio esterno. A quell’osso arriva ogni rumore e ogni suono, e da esso
viene trasmesso al cervello. E dal cervello esce una vena che va fino
all’orecchio destro e un’altra vena che va all’orecchio sinistro. E tutti gli
animali che hanno le orecchie, hanno la possibilità di muoverle, eccettuato
l’uomo. La cartilagine ha l’apparenza dell’osso, ma non ne ha né la durezza
né la resistenza. La carne (lat. caro) è così chiamata perché
è cara, amata.
Nella cartilagine e nella carne, delle quali è
composto l’orecchio, sono indicate le virtù della mansuetudine e dell’umiltà,
delle quali nulla è più caro a Dio e agli uomini. L’udito di ogni uomo
dev’essere fornito di queste due virtù per rispondere con mansuetudine e umiltà
ad ogni affronto, molestia o ingiuria verbale. E questo lo insegna la natura
stessa, la quale nell’orecchio interno non ha aperto un meato diritto ma
tortuoso, perché quando senti ciò che non ti piace, non colpisca subito l’animo,
ma le parole e i discorsi passino quasi a stento per una via resa difficile da
una certa qual tortuosità, di modo che, perduta per via la loro virulenza,
arrivino alla fine senza forza e così ti pungano, ti offendano poco o nulla.
E le due vene che escono dal cervello, una delle quali arriva
all’orecchio destro e l’altra al sinistro, simboleggiano la temperanza e
l’obbedienza. Nella destra viene indicata la prosperità e nella sinistra
l’avversità. Quando senti cose favorevoli e ciò che ti piace, è necessaria la
temperanza; quando invece ti dispiace ciò che ti viene ordinato e senti cose
sgradite, allora hai più bisogno dell’obbedienza, perché è più fruttuosa.
E tutti gli animali che hanno orecchie possono muoverle,
eccetto l’uomo. È veramente degno di essere chiamato uomo, colui che non può
muovere le orecchie, che cioè non si lascia muovere dalla stabilità della sua
mente per causa del vento delle parole. Invece l’uomo che ha le orecchie che
gli prudono, che crede ad ogni parola, e presta volentieri e avidamente
l’orecchio all’adulazione, non è degno di essere chiamato uomo, ma animale
bruto.
9. Il quinto scomparto è quello riservato agli uomini e agli
uccelli, ed è figura della vista degli occhi, con i quali dobbiamo guardare con
misericordia i poveri e coloro che sono nell’indigenza, e considerare
attentamente le cose celesti, perché, come dice l’Apostolo, “le perfezioni
invisibili di Dio possono essere contemplate e comprese per mezzo delle cose
create” (Rm 1,20). Ecco che adesso sei bene informato sui i cinque
scomparti dell’arca di Noè, vale a dire sui cinque sensi del corpo del giusto.
E osserva ancora che l’arca di Noè fu costruita sul modello
del corpo umano: aveva infatti una lunghezza di trecento cubiti, una larghezza
di cinquanta e un’altezza di trenta (cf. Gn 6,15). Nel corpo umano
l’altezza è sei volte la sua circonferenza e dieci volte il suo diametro.
L’altezza si misura dalla pianta dei piedi alla sommità della testa; la circonferenza
si misura all’altezza del torace, e il diametro dal dorso al ventre. Quindi, se
i cinque sensi sono perfetti nell’osservanza dei dieci precetti del decalogo,
allora l’arca di Noè si allargherà fino a cinquanta cubiti e così si compirà il
cinquantesimo giorno, e il giusto alla fine della sua vita avrà raggiunto la
perfezione. Leggiamo infatti nel libro della Sapienza: “Giunto in breve alla
perfezione, compì le opere di una lunga vita: la sua anima fu gradita al
Signore” (Sap 4,13-14). A ragione dunque è detto: “Essendosi
compiuti i giorni della Pentecoste, i discepoli erano tutti radunati nello
stesso luogo”.
I discepoli del giusto sono i sentimenti della ragione e i
puri pensieri della mente. E questi sono tutti veramente nello stesso luogo
quando si compie il giorno della Pentecoste, quando cioè i cinque sensi
raggiungono la perfezione. Fa’ attenzione alle due parole: “tutti insieme” e
“nello stesso luogo”.
“Tutti insieme”, cioè ugualmente e insieme. Sono
tutti insieme quei pensieri della mente che, sotto l’uguale regola della
ragione, si radunano con ordine e procedono con discrezione, in modo che nella
mente un pensiero non sembri superiore all’altro, né l’altro inferiore al
primo; se questo avvenisse, la disuguaglianza stessa sarebbe causa della rovina
di tutto l’edificio delle virtù. Dice l’Apostolo: Tutte le cose si facciano con
ordine (cf. 1Cor 14,40), per poter dire a questo: “Va’”, e quello
vada; e ad un altro: “Vieni”, e quello venga; e al servo, cioè al corpo: “Fa’
questo”, e il servo, il corpo, lo faccia (cf. Mt 8,9).
Siano dunque
i discepoli tutti ugualmente insieme, affinché i pensieri della mente riuniti
tutti insieme come una schiera di soldati, siano in grado di combattere
validamente contro le potestà dell’aria (cf. Ef 6,12). E siano
anche “nello stesso luogo”, non divisi e separati, perché la mente divisa non
ottiene nulla. Dice infatti l’Ecclesiastico: “La tua attività non abbracci
molte cose” (Eccli 11,10); e di nuovo: “Guai al peccatore che
cammina per due strade” (Eccli 2,14). E Gregorio: “Il fiume che si
dirama in tanti rivoli, si dissecca nel suo alveo”. E Bernardo: “L’animo
occupato in tante faccende, necessariamente è tormentato da tante
preoccupazioni”.
Se dunque, prima di tutto, i giorni della Pentecoste saranno
compiuti, anche i discepoli, tutti insieme ugualmente nello stesso luogo,
saranno pronti ad accogliere la grazia dello Spirito Santo: si degni di
infonderla anche in noi, colui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
III. sermone ai religiosi sulla penitenza
10. “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento
che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa nella quale si
trovavano” (At 2,2). Suono è tutto ciò che è sensibile all’udito.
Ci sono tre specie di suono: quello prodotto dalla voce per mezzo della gola;
quello prodotto dal soffio come nella tromba, e quello prodotto dalla
percussione come nella lira. Il “rombo di vento impetuoso” è figura della
contrizione del cuore, che il penitente avverte come un suono con l’orecchio
del cuore. Dice infatti il Signore: “Il vento (lo Spirito) soffia dove vuole”,
perché è in suo potere scegliere il cuore da illuminare, “e senti la sua voce,
ma non sai di dove viene e dove vada” (Gv 3,8).
La voce dello
Spirito Santo è la compunzione che parla al cuore del peccatore, e anche se la
senti non sai di dove venga, cioè per quale via sia entrata nel suo cuore e in
che modo ritorni, perché la sua essenza è invisibile. E considera anche che
questo suono si produce in tre modi: con la voce della predicazione, con il soffio
della partecipazione fraterna, con la percussione della paterna correzione. Da
queste tre azioni nasce di solito nel cuore del peccatore il suono della
compunzione. Giustamente quindi è detto: “All’improvviso venne dal cielo un
rombo, come di vento che si abbatte veemente”.
Su questo abbiamo una concordanza nelle parole dell’Esodo:
“Era giunto il terzo giorno, e splendeva il mattino” (Es 19,16),
come abbiamo visto più sopra. Il primo giorno simboleggia il riconoscimento del
proprio peccato; il secondo giorno l’orrore e l’odio contro il peccato; il
terzo giorno la contrizione del cuore nei confronti del peccato. E quando si
arriva alla contrizione e risplende il mattino della grazia, allora si
incominciano a sentire “i tuoni” dei gemiti, dei sospiri e dell’accusa di sé;
incominciano a “balenare le folgori” della confessione; e “la nube compatta”,
cioè l’oscurità della penitenza, arriva a “coprire il monte”, cioè il
penitente, che è come un monte che si innalza dalla valle dell’impurità e della
miseria. E “lo squillare della tromba”, cioè della vita santa e della buona
riputazione, “risuona sempre più forte”, perché dove ha abbondato il peccato,
sovrabbondi anche la grazia (cf. Rm 5,20).
E così si spaventa tutto il “popolo” dei demoni, che sono
“negli accampamenti”, sono cioè sempre pronti all’attacco; ma se essi vedono
tutti questi cambiamenti, non hanno più il coraggio di iniziare la battaglia.
Leggiamo infatti in Giobbe: “Nessuno gli diceva più una parola, perché vedevano
che il dolore era molto grande” (Gb 2,13). Infatti quando gli
spiriti del male vedono che il rombo del vento impetuoso riempie tutta la casa,
cioè la coscienza del penitente, nella quale egli dimora, cioè si umilia
ripensando ai suoi anni nell’amarezza della sua anima (cf. Is 38,15),
gli spiriti del male non osano avanzare oltre, né osano proferire parole di
suggestione. E fa’ attenzione che dice “veemente” (impetuoso), che elimina
cioè l’eterno “Vae”, guai (lat. vae adimens), e che trasporta in
alto la mente (lat. vehens mentem). E così la contrizione del cuore
elimina l’eterno guai e solleva in alto lo spirito.
11. Nell’introito della messa di oggi si legge: “Lo Spirito
del Signore riempì l’orbe terracqueo; e questo, che tutto contiene, ha la
conoscenza della voce” (Sap 1,7).
L’orbe è così chiamato dalla rotondità del cerchio. La terra
è oscura, fredda e immonda. L’orbe è il cuore del peccatore, che si aggira
all’intorno come una ruota, si volge ora ad oriente ora ad occidente,
percorrendo il mondo, che è oscuro per la superbia, freddo per l’avarizia e
immondo per la lussuria. Ma lo Spirito del Signore riempie l’orbe terracqueo
quando infonde la grazia della compunzione nel cuore del peccatore e così lo
libera dall’eterno guai.
“E questo, che tutto contiene, ha la conoscenza della voce”.
“E questo”, cioè l’uomo, animale ragionevole, che comprende in sé tutti i
quattro elementi, dei quali sono costituite tutte le cose, “ha la conoscenza
della voce” perché capisce quando lo Spirito gli parla. Dice Bernardo: “Lo
Spirito Santo ci parla ogni volta che noi pensiamo cose buone”. E il Profeta:
“Ascolterò che cosa mi dice Dio, il Signore” (Sal 84,9), e così
eleva in alto la mente. Infatti il Filosofo, descrivendo lo spirito, dice: “Lo
spirito è il veicolo delle virtù: per mezzo suo le virtù vanno a eseguire le
loro opere” (Seneca).
Preghiamo dunque il Figlio di Dio che infonda in noi lo
spirito di contrizione, che ci liberi dall’eterno guai, ed elevi alle cose
celesti la nostra mente. Ce le conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen.
IV. la proclamazione della lode e la confessione del peccato
12. “E apparvero loro delle lingue come di fuoco, che si
dividevano e si posarono sopra ciascuno di loro” (At 2,3). Fa’
attenzione a questi tre particolari: le lingue, la precisazione che si dividevano,
e che erano come di fuoco. Nelle lingue è indicata la confessione, nel fatto
che si dividevano è indicata la precisazione delle circostanze del peccato; nel
fuoco è indicato il fervore della confessione e della soddisfazione, cioè
dell’esecuzione dell’opera penitenziale imposta dal confessore.
Considera che la lingua è l’organo del senso del gusto, e la
sua sensibilità sta principalmente nell’estremità. La parte dove la lingua si
allarga ha una sensibilità minore. La lingua, con la sua sensibilità, sente
tutto ciò che è comune a tutti i corpi: il caldo e il freddo, la durezza e la
cedevolezza (delicatezza). E questo lo fa con tutte le sue parti. E la lingua,
per sua natura, è destinata a gustare le cose umide, bagnate, e a parlare.
La lingua dell’uomo è perfettamente sciolta e snodata,
flessibile e larga, adatta a due funzioni: il gusto e la parola. La lingua
flessibile e larga è adatta a parlare bene, perché si distende e si contrae, si
flette e si gira nella bocca in tutti i sensi: se la lingua è agile e larga si
è in grado di parlare molto bene. E questo risulta ancora più evidente se si
osservano quelli che hanno la lingua impedita, cioè i balbuzienti o gli
scilinguati. Alcuni poi hanno nella lingua anche un altro impedimento: e questo
si avvera solo con alcune consonanti quando la lingua è stretta, contratta e
non bene distesa; giacché il piccolo sta nel grande, ma non il grande nel
piccolo. Ed è per questo che gli uccelli che hanno la lingua larga sono in
grado di pronunciare alcune sillabe e parole, molto più degli uccelli che hanno
la lingua stretta.
Nella lingua, come si è detto, è indicata la confessione,
nella quale si deve rivelare tutto quello che è comune a tutto il corpo, cioè i
peccati che si commettono con tutto il proprio essere: nell’infuocato calore
della superbia, nel freddo della malizia e della pigrizia, nella durezza
dell’avarizia, nella mollezza della lascivia e della lussuria. E come la lingua
è destinata dalla natura a gustare e a parlare, così duplice è la confessione della
lingua: la confessione (la proclamazione) della lode, e la confessione del
peccato.
La confessione (il canto) della lode si ha nell’Ufficio
divino e nelle salmodie; se compiamo queste opere con devozione, gustiamo
certamente la grazia della compunzione e la dolcezza della contemplazione. Dice
infatti Gregorio: “Con la voce della salmodia, se è accompagnata
dall’attenzione del cuore, al cuore stesso viene preparata la via per giungere
a Dio onnipotente, perché sveli alla mente attenta i misteri della profezia e
le infonda la grazia della compunzione. Sta scritto: “Il sacrificio della lode
mi onorerà” (Sal 49,23). Infatti mentre per mezzo della salmodia si
esprime la compunzione, si apre nel nostro cuore una via per la quale, alla
fine, si arriva a Gesù”.
13. Nella confessione del peccato dobbiamo parlare, cioè
confessare apertamente, totalmente e senza veli i nostri peccati. E questo ce
lo insegna la natura stessa, perché la lingua dell’uomo è appunto agile, molle
e larga. Così la confessione del peccato deve essere totale, con la
manifestazione e la precisazione di tutte le circostanze; deve essere cedevole,
molle, vale a dire bagnata dalle lacrime; deve essere larga nella riparazione
di tutte le offese arrecate, nella restituzione di tutto il mal tolto e nella
serietà del fermo proposito di non più ricadere in peccato. La confessione di
una simile lingua fa sì che l’anima si innalzi fino a Dio per mezzo della
contemplazione, si ripieghi poi in se stessa per mezzo dell’umiltà, si aggiri
tutt’all’intorno per mezzo della compassione verso il prossimo. Sventurati e
stolti, invece, quei peccatori, che sono balbuzienti e hanno la lingua stretta
e impedita, perché quando si confessano, balbettano e si confessano in modo
incompleto. Giustamente quindi è detto: “E apparvero loro delle lingue come di
fuoco, che si dividevano”.
Le lingue della confessione devono essere “divise”, sparse,
perché, nella confessione, il peccatore deve avere il cuore e la lingua divisi
in tante parti: il cuore per dolersi in molti modi per il molti peccati
commessi; la lingua per precisare distintamente tutte le circostanze dei
peccati commessi.
Su questo argomento troverai una trattazione più approfondita
nel sermone della prima domenica di Quaresima: “Gesù fu condotto dallo Spirito
nel deserto” (Mt 4,1).
E osserva che come il fuoco riscalda le cose fredde, rende
tenere quelle dure, rende solide quelle molli, abbassa e incenerisce quelle
alte, e se uno lo vuole tenere acceso lo conserva sotto la cenere, così
l’ardore della confessione e della soddisfazione riscalda con il fuoco
dell’amore coloro che sono freddi, intenerisce con la compunzione i cuori
induriti, rinsalda con la fermezza di un santo proposito i molli, cioè i
lussuriosi, umilia quelli che sono alti, cioè superbi e li incenerisce con il
ricordo della loro fragilità e della loro iniquità: e sotto tale cenere, questo
fuoco può essere conservato in continuazione.
Io vi scongiuro, fratelli carissimi, che questo fuoco si
posi, e rimanga sempre su ciascuno di voi; che le vostre lingue siano divise
nella confessione dei peccati e delle loro circostanze; affinché confessandovi
integralmente, in modo completo e senza veli, possiate esser degni di
proclamare il nome del Signore, insieme con gli angeli, nella celeste
Gerusalemme. Ce lo conceda colui il cui fuoco è in Sion e la cui fornace è in
Gerusalemme (cf. Is 31,9), e che vive e regna nei secoli dei
secoli. Amen.
V. i frutti della grazia dello Spirito Santo
14. “E tutti furono pieni di Spirito Santo, e cominciarono a
parlare in lingue diverse, come lo Spirito Santo dava loro di esprimersi” (At
2,4). Vengono riempiti dallo Spirito Santo, il solo che è in grado di
riempire l’anima, la quale non può essere riempita neppure da tutto l’universo.
Non possono ricevere un altro spirito, perché i vasi quando sono pieni, non
possono contenere più di quello che hanno. Infatti alla beata Maria fu detto:
“Ave, piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne” (Lc
1,28).
Fa’ attenzione che tra le due espressioni: “piena di grazia”
e “benedetta tu fra le donne”, è detto: “il Signore è con te”, perché è il
Signore stesso che conserva all’interno la pienezza della grazia e opera
all’esterno la benedizione della fecondità, cioè delle opere sante. Giustamente
anche, dopo “piena di grazia”, è detto “il Signore è con te”, perché senza Dio
nulla possiamo fare o avere, e senza di lui neppure conservare ciò che abbiamo
avuto. Perciò dopo la grazia è necessario che il Signore sia con noi e
custodisca e conservi ciò che egli solo ha dato. Mentre egli ci previene
dandoci la sua grazia, noi, nel conservarla, diventiamo suoi cooperatori: egli
non veglia su di noi, se insieme con lui non vegliamo anche noi. E sembra che
il Signore esiga questa nostra vigilante cooperazione, quando dice agli
apostoli: “Non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate
per non cadere in tentazione” (Mt 26,40-41). Giustamente quindi è
detto: “E tutti furono pieni di Spirito Santo”.
Dice in proposito il Signore nel vangelo di oggi: “Il
Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv
14,26). Il Padre ha mandato il Consolatore nel nome del Figlio, cioè a
gloria del Figlio, per manifestare la gloria del Figlio. “Egli – dice – “vi
insegnerà” perché sappiate; “vi ricorderà”, cioè vi esorterà, perché vogliate;
la grazia dello Spirito Santo dà il sapere e il volere. Si canta infatti oggi
nella messa: “Vieni, Spirito Santo, e riempi i cuori dei tuoi fedeli”, perché
abbiano il sapere, “e accendi in essi il fuoco del tuo amore”, perché abbiano
la volontà di eseguire ciò che hanno saputo (cf. Sequenza della Messa
di Pentecoste). Si canta anche: “Mandi il tuo Spirito e sono creati” con la
tua sapienza, e rinnovi la faccia della terra con la tua volontà di amore (cf.
Sal 103,30).
Concorda, con queste parole, ciò che leggiamo nelle
Lamentazioni di Geremia: “Dall’alto egli ha fatto scendere un fuoco nelle mie
ossa e mi ha istruito” (Lam 1,13). È la chiesa che dice: Il Padre
“dall’alto”, cioè dal Figlio, ha fatto scendere “il fuoco”, cioè lo Spirito
Santo, “nelle mie ossa”, cioè sugli apostoli, e per mezzo di essi “mi ha
istruita” perché io sappia e voglia.
15. “Tutti furono pieni di Spirito Santo”. Troviamo una
concordanza nelle parole della Genesi: “Il Signore fece passare un vento”, lo Spirito
Santo, “sopra la terra, e le acque diminuirono. Le sorgenti dell’abisso e le
cateratte del cielo furono chiuse, e furono trattenute le piogge dal
cielo” (Gn 8,1-2). Fa’ attenzione a queste quattro entità: le
acque, le sorgenti, le cateratte e le piogge.
Nelle acque sono raffigurate le ricchezze,
nelle sorgenti dell’abisso i pensieri dell’animo, nelle cateratte del cielo
gli occhi, nelle piogge l’abbondanza delle parole. Quando dunque il Signore fa
passare lo Spirito Santo sopra la terra, vale a dire nella mente del peccatore,
allora le acque delle ricchezze diminuiscono, perché vengono erogate ai poveri.
Di queste acque è detto nella Genesi: “Chiamò la grande massa della acque mare” (Gn
1,10). L’accumulo delle ricchezze non è altro che amarezza, tribolazione e
dolore. Dice infatti Abacuc: “Guai a colui che accumula ciò che non è suo. Fino
a quando si caricherà di denso fango?” (Ab 2,6). Il fango
accumulato in casa manda fetore; invece sparpagliato sulla terra, la rende
feconda. Così le ricchezze, se si accumulano, e se soprattutto non sono proprie
ma hanno provenienza furtiva, emanano fetore di peccato e di morte. Se invece
vengono distribuite ai poveri e restituite ai loro proprietari, rendono feconda
la terra della mente e la fanno fruttificare.
Un abisso è il cuore dell’uomo. Di esso dice Geremia:
“Malvagio è il cuore dell’uomo e insondabile; chi lo conoscerà?” (Ger
17,9). Le sorgenti di questo abisso sono i pensieri; le
sorgenti vengono chiuse quando viene infusa la grazia dello Spirito Santo. E su
questo concorda ciò che leggiamo nel secondo libro dei Paralipomeni: “Ezechia
radunò una grande moltitudine di popolo e ostruirono tutte le sorgenti e il
torrente che attraversava il territorio, dicendo: Perché non vengano i re degli
Assiri e trovino acque in abbondanza” (2 Par 32,4). Ezechia è
figura del giusto, il quale deve radunare una grande moltitudine di buoni
pensieri e chiudere le sorgenti dei pensieri iniqui e perversi e il torrente
delle concupiscenze, perché i demoni, trovando grande abbondanza di acque, non
distruggano con esse la città dell’anima.
Le cateratte del cielo sono le finestre. Le
finestre sono così chiamate perché “portano luce” (luce in greco si
dice phos), o anche perché attraverso di esse noi vediamo al di
fuori. Disposti nella testa, come le due luci collocate da Dio nel
firmamento (cf. Gn 1,14-19), abbiamo i due occhi, che sono come due
finestre attraverso le quali siamo in grado di vedere: e vengono chiuse sulle
vanità del mondo quando viene infusa nella mente la luce della grazia.
Le piogge (in lat. pluviae, che suona quasi
come fluviae, fluenti), simboleggiano le parole che senza ostacoli
e senza impedimenti vengono largamente profuse ovunque. Dice infatti Salomone:
“Chi lascia scorrere le acque [chi parla troppo], suscita litigi e
contese” (Pro 17,14). E quindi l’Ecclesiastico consiglia: “Non dare
alle tue acque uno sfogo, neppure il più piccolo” (Eccli 25,34).
Queste piogge vengono sospese quando, con la grazia dello Spirito Santo, la
lingua si abitua a cantare le lodi al suo Creatore e a confessare i suoi
peccati. Ben a ragione quindi è detto: “E tutti furono pieni di Spirito Santo”.
16. “E cominciarono a parlare lingue diverse, come lo Spirito
Santo dava loro di esprimersi”. Chi è pieno di Spirito Santo parla diverse
lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze che possiamo dare a
Cristo, come l’umiltà, la povertà, la pazienza e l’obbedienza: e parliamo
queste lingue quando mostriamo agli altri queste virtù, praticate in noi
stessi. Il parlare è vivo quando parlano le opere. Vi scongiuro: cessino le
parole e parlino le opere. Siamo pieni di parole ma vuoti di opere, e perciò
siamo maledetti dal Signore, perché egli ha maledetto il fico sul quale non
trovò frutti, ma solo foglie (cf. Mt 21,19). Dice Gregorio: “È
stabilita una legge per il predicatore: deve mettere in pratica ciò che
predica. Inutilmente fa conoscere la legge colui che con le opere, con la sua
vita, distrugge il suo insegnamento”. Invece gli apostoli “parlavano come lo
Spirito Santo dava loro di esprimersi”, e non secondo le loro inclinazioni. Ci
sono infatti alcuni che parlano secondo le loro inclinazioni, si appropriano
delle parole altrui e le proclamano come proprie e le attribuiscono a se
stessi.
Di costoro e di quelli che sono come loro, il Signore dice:
“Eccomi contro i profeti, i quali si rubano gli uni gli altri le mie parole.
Eccomi contro i profeti che dicono le loro parole e proclamano: Dice il
Signore! Eccomi contro i profeti che fanno sogni menzogneri, che li raccontano
e pervertono il mio popolo con le loro menzogne e con i loro falsi miracoli. Io
non li ho inviati, né ho dato loro alcun incarico: essi non hanno giovato per
nulla a questo popolo, dice il Signore” (Ger 23,30-32).
Parliamo dunque come lo Spirito Santo ci dà di parlare,
chiedendogli umilmente e devotamente che ci infonda la sua grazia affinché
compiamo i giorni della Pentecoste con la perfezione dei cinque sensi e
nell’osservanza del decalogo; e perché siamo ripieni del gagliardo vento della
contrizione e veniamo infiammati delle lingue di fuoco della confessione.
Così infiammati e illuminati meritiamo di vedere il Dio uno e trino tra gli
splendori dei santi. Ce lo conceda colui che è Dio, uno e trino, ed è benedetto
nei secoli dei secoli. E ogni spirito risponda: Amen. Alleluia.
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