Carissimo Amico/Amica,
Santa Teresa di Lisieux, sul suo letto di morte, sente una novizia manifestare la sua tristezza di vederla tanto soffrire: «Ma no! La vita non è triste, risponde. Se voi mi diceste: «L'esilio è triste», vi comprenderei. Si fa un errore nel dare il nome di «vita» a ciò che deve finire. È solo alle cose del Cielo, a quello che non deve mai finire, che si deve dare questo vero nome e, intesa così, la vita non è triste ma lieta, molto lieta!» Questa novizia si chiamava Suor Maria della Trinità.
Nata a Saint-Pierre-sur-Dives in Normandia il 12 agosto 1874, Marie-Louise Castel viene battezzata l'indomani. I suoi genitori, i suoi fratelli e le sue sorelle la circondano di un grande affetto. È la tredicesima di una famiglia di cui otto figli sono già morti in tenera età. La famiglia vedrà fiorire quattro vocazioni religiose. Suo padre, maestro statale, non ha accettato le leggi del 1882 sulla laicizzazione delle scuole, e mantiene per i suoi allievi la pia consuetudine della preghiera del mattino. Questo atteggiamento coraggioso spiace all'Amministrazione. Il signor Castel, costretto a rassegnare le dimissioni, si stabilisce a Parigi. La famiglia ama pregare la Santissima Vergine guardando l'immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso. I genitori di Maria Luisa professano anche una grande devozione per il Santo Volto di Nostro Signore. Maria Luisa sente molto presto la chiamata alla vita consacrata. All'età di 12 anni, scopre una preghiera «Per chiedere la luce sulla propria vocazione»; la recita per nove giorni di seguito. Alla fine della novena, pregando davanti al Santo Volto, riceve un'ispirazione che traduce così: «Come devono essere felici le Carmelitane! Sarò Carmelitana!»
Il buon Dio mi chiama e io vengo!
Il desiderio del Carmelo si rafforza nella sua anima, senza nulla togliere alla sua natura molto spontanea. All'insaputa dei genitori, gira per i negozi, le attrazioni, le fiere. Al «tiro al fantoccio», si diverte, «per devozione», a prendere come bersaglio le sagome di preti o di religiose! Non volendo aspettare il momento di entrare in Carmelo per consacrarsi a Dio, fa voto di verginità prima di compiere i 16 anni. Pochi giorni dopo questo voto, apprende dal suo confessore che la Priora del Carmelo della Riparazione e del Volto Santo (avenue de Messine, a Parigi) l'accetta per un ritiro di otto giorni. Quando quest'ultima le chiede di esprimere per iscritto i motivi che l'attirano verso il Carmelo, Maria Luisa traccia queste poche righe: «Voi mi chiedete, mia Reverenda Madre, le ragioni che mi fanno desiderare il Carmelo. A dire il vero, non so che una cosa: il Buon Dio mi chiama e io vengo. Egli ha sofferto fino a morire per amore per me; anch'io voglio soffrire per amore per Lui». La Priora le risponde: «L'inizio della vostra lettera mi ha dato la certezza della vostra vocazione». Qualche mese dopo, il 30 aprile 1891, la ragazza entra nel Carmelo e riceve il nome di Suor Agnese di Gesù. Sfortunatamente, la sua salute si deteriora e l'8 luglio 1893, deve ritornare «nel mondo».
Il 22 luglio seguente, Maria Luisa viene a cercare conforto al Carmelo di Lisieux. Viene ricevuta in parlatorio dalla nuova Priora, Madre Agnese di Gesù, sorella di santa Teresa del Bambino Gesù. Di ritorno a Parigi, Maria Luisa apprende che non può ritornare al Carmelo dell'avenue de Messine prima di aver compiuto 21 anni. La Priora, vedendo il suo dolore, le consiglia di chiedere la sua ammissione al Carmelo di Lisieux: «L'aria natale vi sarà più favorevole di quella di Parigi». Maria Luisa entra quindi al Carmelo di Lisieux il 16 giugno 1894, non senza aver fatto un ultimo giro in giostra alla fiera! Conserverà per tutta la vita l'impronta della sua gioventù parigina un po' monella. Il suo viso rotondo rimane talmente infantile che Suor Teresa la chiamerà «la sua bambolina», un soprannome che esprime bene l'affetto che Teresa nutre per lei; quest'ultima, allora giovane Professa di 20 anni, è in effetti incaricata di iniziarla alla vita del Carmelo. Maria Luisa riceve il nome di Suor Maria Agnese del Volto Santo. Essendo la più giovane novizia di Teresa, beneficia dei suoi numerosi consigli e diventa rapidamente sua fervente discepola. Tuttavia, dà molto lavoro a Teresa, che la tratta senza tanti riguardi e non lascia correre nessun suo capriccio. L'insuccesso della giovane Suora in un altro Carmelo e i suoi modi da piccola Parigina non le attirano le simpatie delle Suore anziane. Lungi dal tenere gli occhi bassi, come lo chiede il regolamento del Carmelo, ama curiosare un po' dappertutto. Teresa le fa notare che il suo sguardo assomiglia troppo a quello di un «coniglio selvatico». Tuttavia, la presenza nel noviziato di questo «monello parigino» ne ringiovanisce l'atmosfera.
Grazie ai suoi progressi giudicati sufficienti, la postulante può rivestire nuovamente l'abito del Carmelo, il 18 dicembre 1894. Suor Maria Agnese è ancora lontana dalla perfezione. Le osservazioni non le mancano! Un giorno, scoraggiata, se ne va a confidare a Teresa: «Non ho la vocazione!» Teresa si contenta di riderne, e Suor Maria Agnese ride anche lei di cuore. Per aiutarla a correggersi dall'abitudine di piangere per un nonnulla, Suor Teresa utilizza un metodo originale: «Prendendo sul suo tavolo un guscio di cozza, racconterà la giovane Suora in seguito, mi teneva le mani per impedirmi di asciugarmi gli occhi. Poi si mise a raccogliere le mie lacrime in questa conchiglia: i miei pianti si trasformarono ben presto in un riso gioioso». E Teresa aggiunge: «Ormai, vi permetto di piangere quanto vorrete, purché sia nella conchiglia!» Teresa le insegna così l'arte di essere felice e di sorridere in ogni circostanza: «Il viso è il riflesso dell'anima, dice, deve sempre essere calmo, come quello di un bambino sempre contento, anche quando siete sola, perché siete costantemente sotto gli occhi di Dio e degli angeli « Gesù ama i cuori gioiosi, Egli ama un'anima sempre sorridente».
L'unico fine: far piacere a Lui
La professione di Suor Maria Agnese dovrebbe aver luogo verso la fine dell'anno 1895. Tuttavia, Madre Maria di Gonzaga, Maestra titolare del noviziato, ritiene che non sia sufficientemente preparata, e la cerimonia viene rimandata al 30 aprile 1896. Teresa propone allora alla novizia di pronunciare senza attendere «l'Atto di offerta all'Amore Misericordioso», cosa che lei fa con fervore il 1° dicembre 1895: «Fui, dirà, talmente inondata di grazie che tutta la giornata provai in maniera sensibile la presenza di Gesù-Ostia nel mio cuore». Questo «Atto di Offerta», composto da Teresa, vorrebbe compensare il Buon Dio del rifiuto che le creature oppongono al suo Amore e incoraggiare a lavorare con l'unico scopo di far piacere a Lui. Eccone il passo essenziale: «Per vivere in un atto di perfetto Amore, mi offro vittima d'olocausto al Vostro Amore Misericordioso, supplicandovi di consumarmi senza sosta, lasciando traboccare nella mia anima i flutti di tenerezza infinita racchiusi in Voi, e che io possa così divenire Martire del Vostro Amore, mio Dio! Questo martirio, dopo avermi preparata a comparire dinanzi a Voi, mi faccia infine morire, e la mia anima si slanci senza indugio nell'eterno abbraccio del Vostro Amore Misericordioso« Voglio, mio Amato, ad ogni battito del mio cuore, rinnovarvi questa offerta un numero infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, possa dirvi di nuovo il mio Amore in un Faccia a Faccia eterno!» Consolare Gesù e nello stesso tempo salvare le anime, questa è la grande motivazione che infiamma il cuore di Teresa; lo insegna alle sue discepole. Il giorno della sua propria professione (cioè dell'emissione dei suoi voti religiosi), l'8 settembre 1890, aveva scritto una preghiera molto intima in cui rivela il suo pensiero profondo: « Gesù, fa' che io salvi molte anime, che oggi non ve ne sia una sola dannata e che tutte le anime del purgatorio siano salvate«» Già il 14 luglio 1889, scriveva a sua sorella Celina, ancora nel mondo: «Celina, durante i brevi istanti che ci restano, non perdiamo il nostro tempo« salviamo le anime« le anime si perdono come fiocchi di neve e Gesù piange«»
«Voi siete amata dal Buon Dio»
Due mesi prima della professione di Suor Maria Agnese, le sue superiore decidono che si chiamerà d'ora innanzi Suor Maria della Trinità e del Volto Santo, per evitare qualsiasi confusione tra il suo nome e quello di Madre Agnese, allora Priora. Il 30 aprile 1896, pronuncia finalmente i suoi voti. «Quella giornata, scrive, fu più del Cielo che della terra« Suor Teresa del Bambino Gesù sembrava felice quanto me». Suor Teresa le dirà: «Ah! trascorrete la vostra vita nella riconoscenza, perché siete particolarmente amata dal Buon Dio».
Nel corso dell'anno 1897, lo stato di Suor Teresa, affetta da tubercolosi, peggiora; si teme il contagio, e la Priora decide che Suor Maria della Trinità non avvicinerà più la malata. Teresa scrive qualche breve messaggio alla sua novizia per aiutarla ad accettare questa decisione: «Comprendo molto bene il vostro dolore di non potermi più parlare, ma siate sicura che soffro anch'io della mia impotenza e che mai ho così ben sentito che occupate un posto immenso nel mio cuore» Il 30 settembre, Suor Maria della Trinità sarà testimone, con la sua comunità, degli ultimi istanti di santa Teresa e del suo bello e lungo sguardo estatico nel momento in cui «entra nella Vita». Dopo la canonizzazione di Suor Teresa nel 1925, Suor Maria della Trinità scriverà: «Credo proprio che sia la prima volta che si canonizza una Santa che non ha fatto nulla di straordinario: né estasi, né rivelazioni, né mortificazioni che spaventano le piccole anime come le nostre. Tutta la sua vita si riassume in un'unica parola: ha amato il Buon Dio in tutte le piccole azioni ordinarie della vita comune, compiendole con una grande fedeltà. Aveva sempre una grande serenità d'anima nella sofferenza come nella gioia, perché prendeva ogni cosa come proveniente da Dio».
La vita del monastero continua, con gli uffici nel coro, le due ore quotidiane di orazione e le attività domestiche. Tuttavia, Teresa ha lasciato una profonda impronta sulla piccola comunità, e in particolare in Suor Maria della Trinità che trova nel ricordo della Santa uno stimolo per la sua vita spirituale. D'altronde, avrà sempre l'impressione che Suor Teresa del Bambino Gesù l'accompagni lungo il suo pellegrinaggio sulla terra. Questa presenza la incoraggia di fronte alla voluminosa corrispondenza che affluisce al Carmelo a partire dalla pubblicazione della Storia di un'anima, l'autobiografia di Teresa. Suor Maria della Trinità si trova in effetti ad essere molto occupata da questa corrispondenza, che, da venticinque lettere al giorno nel 1909, raggiungerà il migliaio al momento della canonizzazione di Santa Teresina nel 1925.
Il 10 marzo 1926, scrive a Madre Agnese: «Ho voglia di amare il Buon Dio come l'ha amato la nostra Teresina, di essere come lei la gioia del suo Cuore!» Molto abile, Maria della Trinità lavora nel laboratorio di rilegatura e alla cottura delle ostie. Cambiare attività costituisce il suo modo di rilassarsi. Scrive molto: una concordanza dei quattro Vangeli, estratti dell'Antico Testamento, diversi episodi di vite di Santi. La sua allegria contagiosa non si altera. Ama sottolineare l'indulgenza e la bontà di Madre Agnese, la sua Priora: «Vi trovo così misericordiosa, le scrive, che mi sembra che il Buon Dio non possa esserlo di più!» Per fare orazione, le basta abitualmente ricordarsi le parole e gli esempi di colei che aveva avuto la grazia di avvicinare: «I miei ricordi su Teresa, scrive, mi bastano per le mie preghiere e so che Dio non chiede altra cosa da me che camminare nella «Piccola Via» dove lei ha guidato i miei primi passi. Tutta la mia opera consiste nel non allontanarmene, perché« occorre un'attenzione costante per dimorarvi. Ma, quando vi ci si trova, che pace!»
«Dal momento che li si riconosce»
Nella sua «Piccola Via», destinata alle anime che hanno il desiderio di servire il Signore e di fare la volontà divina, Teresa propone questo insegnamento essenziale: non lamentarsi delle proprie debolezze, ma piuttosto precipitarsi nelle braccia di Gesù per lasciarsi purificare dalla sua infinita misericordia. Suor Maria della Trinità ha raccolto la lezione; si apre al riguardo, il 2 novembre 1914 con Madre Agnese: «Non sento che la mia miseria e la mia impotenza, non vedo che tenebre, e, nonostante tutto, resto in una pace ineffabile. Gesù dorme, Maria anche; non cerco di svegliarli e, come Teresa, attendo in pace la riva dei cieli». E a un'altra suora: «Ah! se voi viveste con me, come sareste incoraggiata a constatare che siamo assolutamente uguali con tutti i nostri piccoli difetti. Dico «piccoli» perché, dal momento che li si riconosce e che si ha il desiderio di correggersene, non sono profondi e non danno dispiacere a Gesù, perché ci servono piuttosto come gradino per arrivare a Lui attraverso la sofferenza e l'umiliazione. Un Santo è colui che si rialza sempre. Non so più chi ha detto questa parola, ma rialzarsi sempre suppone che si cada sempre!»
Nel febbraio 1923, Suor Maria della Trinità contrae una polmonite. Poco dopo, le appare sulla testa una macchia: è un doloroso «lupus» che le invade progressivamente tutto il viso e le conferisce una fisionomia da lebbrosa. Lungi dal rattristarsene, è felice di riprodurre sul suo viso il Santo Volto di Gesù nella sua Passione, che ha contemplato meditando il profeta Isaia: « molti si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo« Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
«Il mio corpo, sei tu!»
Fin da quando era molto giovane, Maria della Trinità ha preso l'abitudine di contemplare il Volto sfigurato del Signore. Un giorno, si è detta contemplando il Santo Volto: «La santa Immagine è la testa del Cristo, ma dov'è il suo corpo?» E il Signore sembra risponderle: «Il mio corpo, sei tu!» «Sì, scrive il 3 aprile 1910, siamo noi le membra di questo Capo adorabile, e come stupirci allora di essere nella sofferenza, nel disprezzo e nell'umiliazione?» È pronta quindi a portare questa croce con amore per Colui che ama al di sopra di tutto. Comprende sempre meglio che le sue ferite, unite a quelle del Salvatore, sono sorgenti di grazie per le anime.
A questo proposito, dice a Madre Agnese, il 24 aprile 1934: «Questa parola del profeta: «Il Signore non ferisce che per guarire» mi fa molto bene, quando penso al mio lupus; sì, tutte le nostre ferite fisiche o morali, unite a quelle di Gesù, servono a guarire le anime, e quale grazia essere così associate alla sua Redenzione». Tuttavia, le medicazioni diventano lunghe e penose: occorrono due ore ogni mattina per rifarle. «Il mio «lupo», dice, mi divora la testa giorno e notte. Quanti atti di abbandono e di amore continui mi fa fare!» Un giorno, si rimprovera di non assomigliare abbastanza a Teresa nel suo amore per la sofferenza. La prega di ottenerle questo amore. L'indomani, 6 agosto 1940, nella Messa della Trasfigurazione, giorno in cui si era presa l'abitudine al Carmelo di festeggiare il Santo Volto, comprende che questo desiderio la fa uscire dalla «Piccola Via» e che è meglio accettare di essere sempre «povera e senza forza»: «Si può forse chiedere a un bambino piccolo di amare la sofferenza? Piange, è infelice, mentre soffre« Il Buon Dio è contento di sentirci dire con Gesù: «Padre, allontana da me questo calice», perché sa che, comunque, ci abbandoniamo alla sua volontà!» Per soffrire «come si deve», basta soffrire in un atteggiamento di «piccolezza», come Gesù nel Getsèmani. Ed è questo che dà la pace dell'anima. Questa pace trova la sua sorgente nella certezza che il Signore dona la sua forza giorno per giorno.
La malata ne ha fatto un giorno l'esperienza molto concreta: «Sabato, dopo la seduta del dottore, il Buon Dio mi ha fatto sentire profondamente che è Lui che mi sosteneva, mentre subivo l'ignipuntura. Pensavo con tenerezza che era la sua mano divina che guidava quella del medico e che Egli misurava l'intensità del dolore in base alla forza che mi dava per sopportarlo«»
Sempre più curva, Suor Maria della Trinità non si separa ormai più dal suo bastone. Nonostante questi sintomi prematuri di vecchiaia, i suoi discorsi mantengono sempre un tono giocoso, anche quando sono molto profondi, come questo biglietto del 6 giugno 1939: «Mio Dio, se dovessi esservi un po' meno gradita senza il mio lupus, preferisco molto conservarlo per esservi completamente gradita». Il 21 luglio 1941, scrive al padre Marie-Bernard della Grande Trappa: «Il Buon Dio mi fa la grazia di non temere il futuro: mi abbandono a Lui come un bambino al migliore dei padri che fa tutto per il meglio. La mia grande consolazione è guardare il Volto doloroso di Gesù e constatare qualche tratto di somiglianza con esso. Suor Teresa del Bambino Gesù amava spesso ricordarmi queste parole di Isaia: Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi« era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima, ecc. Mi stupivo allora della sua insistenza nel ritornare sempre sullo stesso argomento. Adesso, credo veramente che il Buon Dio la ispirasse a dirmi queste cose che mi avrebbero fatto tanto bene in seguito». Un Religioso carmelitano, che l'ha incontrata nel 1940, traccia di lei questo ritratto pittoresco: «Aveva allora più di 65 anni, ma li portava valorosamente nonostante il lupus di cui soffriva su metà del viso. Mi diede un'impressione di santità e di semplicità che non ho dimenticato. Mi parlò di santa Teresa con una venerazione affettuosa e rispettosa di cui sono ancora commosso».
Come può, segue le attività della comunità, assicurando il suo turno di lettura in refettorio e recandosi all'ufficio corale appoggiata sul suo inseparabile bastone. Quando non può seguire l'ufficio delle Vigilie, ricupera il giorno dopo arrivando per prima all'orazione. Ormai, la sua salute declina inesorabilmente. Riceve gli ultimi sacramenti il 15 gennaio 1944, dicendo: «Mite e umile Gesù». Nella notte tra il 15 e il 16 gennaio, si sentono le sue ultime parole: «In Cielo, seguirò ovunque Teresina». Dopo una breve agonia, spira il 16 gennaio, festa di Nostra Signora delle Vittorie, alle undici del mattino.
Cooperatori privilegiati
Suor Maria della Trinità è per tutti una guida sul cammino dell'infanzia spirituale. Ci aiuta a cogliere il valore delle sofferenze unite umilmente a quelle del Salvatore, secondo l'insegnamento che il papa Giovanni Paolo II dava qualche settimana prima della sua morte, mentre portava egli stesso il peso della sofferenza e dell'età:
«Cari malati, se alle sofferenze di Cristo morente sulla croce per salvarci unite le vostre pene, potete essere suoi privilegiati cooperatori nella salvezza delle anime. È questo il vostro compito nella Chiesa, la quale è sempre ben consapevole del ruolo e del valore della malattia illuminata dalla fede. Non è pertanto mai inutile la vostra sofferenza, cari ammalati! Anzi, essa è preziosa, perché è condivisione misteriosa ma reale della stessa missione salvifica del Figlio di Dio... Per questo il Papa conta tanto sul valore delle vostre preghiere e delle vostre sofferenze: offritele per la Chiesa e per il mondo» (Messaggio ai malati, 11 febbraio 2005).
E due giorni dopo, Giovanni Paolo II aggiungeva: «Non si entra nella vita eterna senza portare la nostra croce in unione con Cristo. Non si giunge alla felicità e alla pace senza affrontare con coraggio il combattimento interiore. È un combattimento che si vince con le armi della penitenza: la preghiera, il digiuno e le opere di misericordia«» (Angelus della I Domenica di Quaresima, 13 febbraio 2005).
Chiediamo a Suor Maria della Trinità di ottenerci la sua docilità nei confronti della Volontà divina nelle piccole cose di ogni giorno, per consolare il Cuore di Gesù e conquistargli numerose anime.
AMDG et BVM
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