martedì 12 aprile 2022

Mistica Città di Dio - Maria d'Agreda

 


CAPITOLO 10

 

Si narra ciò che Maria santissima operò dopo essere stata illuminata sui dieci comandamenti.

 

817. Come gli articoli della fede cattolica appartengono agli atti dell'intelletto, dei quali sono oggetto, così i pre­cetti a quelli della volontà. Anche se tutti gli atti liberi di­pendono da questa in ogni virtù infusa ed acquisita, non ne scaturiscono allo stesso modo. Gli atti di fede nascono immediatamente dall'intelletto che li produce e dipendono dalla volontà solo in quanto essa li stabilisce con affetto puro, santo, pio e riverenziale; le verità oscure, infatti, non costringono l'intelletto a crederle senza il suo intervento, così che questo aspetta ciò che essa dispone. Nelle altre virtù, però, la volontà opera da se stessa e chiede all'intel­letto soltanto che le proponga quello che deve fare, come chi porta la luce davanti agli altri; è talmente autonoma che non ammette imposizioni da esso, né violenza da al­cuno. Il Signore ha determinato ciò affinché nessuno lo serva con tristezza o per costrizione, ma veramente libero e con gioia, come insegna l'Apostolo.

818. Maria santissima era straordinariamente rischiara­ta sui dogmi e, perché fosse rinnovata nella conoscenza del decalogo, ebbe una visione di Dio, simile a quella prece­dente. In essa le furono manifestati più distintamente tut­ti i misteri dei dieci comandamenti, così come la mente di­vina li aveva fissati per indirizzare i mortali verso la vita eterna e come erano stati dati a Mosè sulle due tavole. Sul­la prima erano incisi i tre riguardanti l'onore dovuto al­l'Altissimo e sull'altra i sette da esercitare verso il prossimo. Seppe anche che suo Figlio, il redentore del mondo, li avrebbe riscritti nei cuori, facendoli osservare prima di tut­to a lei, e che erano necessari per giungere alla partecipa­zione di Dio. Ebbe profonda cognizione dell'equità e della sapienza con cui erano stati ordinati; comprese che erano una legge santa, perfetta, dolce e leggera, pura, vera e conveniente per le creature, perché tanto giusta e confor­me al loro animo che esse la potevano e dovevano ab­bracciare con stima e diletto. L'Autore di tali decreti an­dava in aiuto agli uomini con la grazia perché potessero ri­spettarli. La nostra Signora contemplò molti altri sublimi arcani riguardanti lo stato della Chiesa ed ebbe notizia di quanti in essa si sarebbero attenuti ai precetti, come anche di quanti li avrebbero infranti e disprezzati.

819. Maria, dopo essere uscita da questa visione in­fiammata e trasformata nell'ardore e nello zelo per la leg­ge divina, si recò subito dal suo Unigenito; in lui la pene­trò ancora, così come egli l'aveva disposta nella sua sag­gezza e volontà, per darle compimento. Capì inoltre che era suo desiderio che ella fosse immagine vivente di tutti gli insegnamenti contenuti in essa. La conoscenza che ne aveva era abituale e perpetua, affinché la usasse conti­nuamente, ma ogni giorno si approfondiva e riceveva più intensità. Dato che l'estensione e l'altezza degli oggetti era quasi immensa, le restava sempre come un campo interminabile in cui dilatare la sua vista e scoprire altri segre­ti. In tale occasione furono molte le novità che il Maestro le insegnò, proponendole i suoi comandamenti nella suc­cessione e nel modo adeguato che avrebbero avuto nella Chiesa; di ciascuna poi le dava abbondanti e singolari ri­velazioni in altre circostanze. Benché la limitatezza uma­na non possa cogliere misteri così eccelsi, niente rimase occulto alla gran Regina, e neppure è possibile ponderare la sua incommensurabile intelligenza regolandoci con la nostra ristretta capacità.

820. Umilmente si presentò a suo Figlio e con l'intimo pronto ad obbedire lo pregò di ammaestrarla e di aiutar­la ad eseguire quanto le era ingiunto. Il Signore le rispo­se: «Madre mia, scelta e predestinata dal mio eterno vo­lere per maggior compiacimento e beneplacito del Padre, che ha la mia stessa natura, il nostro amore infinito, che ci obbligò a comunicare la nostra divinità ai mortali, in­nalzandoli alla partecipazione della nostra gloria e felicità, ordinò questa legge santa e pura per mezzo della quale potessero conseguire il fine per cui furono creati dalla no­stra clemenza. Questa nostra aspirazione riposerà in voi colomba e amica mia, lasciando scolpiti nel vostro cuore i nostri decreti con tanta forza e chiarezza che non po­tranno mai essere oscurati o cancellati, né mai saranno impediti nella loro efficacia, né mancheranno in nessuna cosa, come, invece, negli altri discendenti di Adamo. Con­siderate, o Sulammita e carissima, che essi sono imma­colati e limpidi e noi li vogliamo affidare a un soggetto senza macchia, in cui vengano esaltati i nostri pensieri e le nostre opere».

821. Queste parole, che in lei compirono pienamente quanto racchiudevano, la rinnovarono e beatificarono con la comprensione e la pratica di ognuno dei dieci precetti. Rivolgendo la sua attenzione alla celeste luce e l'animo al­la docilità al suo divino Maestro, intese il primo e il più grande: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto i1 tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente». Prima degli evangelisti, l'aveva scritto Mo­sè con le condizioni che l'Altissimo aveva posto, stabilen­do che tutti lo custodissero nel cuore, lo insegnassero ai figli, lo meditassero per via e in casa, sedendo, cammi­nando, dormendo e vegliando, lo portassero sempre da­vanti agli occhi interiori. Maria adempì il comandamen­to dell'amore di Dio nel modo in cui lo capì e con gli ob­blighi che le furono dati; nessuno riuscì a realizzarlo del tutto in vita, ma ella fece questo sulla terra più che i se­rafini e gli eletti nel cielo. Non mi dilungo oltre perché ho già parlato della carità e delle virtù della Regina nella prima parte. In tale occasione, però, ella pianse partico­larmente le colpe che si sarebbero commesse nel mondo contro questa norma e compensò col suo affetto le man­canze e i limiti degli altri.

822. Segue poi la prescrizione di non disonorare Dio giurando invano e quella di onorarlo nelle feste, osservan­dole e santificandole. La Madre della sapienza le penetrò a fondo, le ripose nel suo umile cuore e diede ad esse il grado supremo di culto e venerazione. Ponderò degna­mente quanto si ingiuria l'essere immutabile dell'Altissimo e la sua infinita bontà con spergiuri e espressioni blasfe­me contro la devozione che gli spetta, in se stesso e nei beati. Addolorata nel vedere quanto gli uomini, nel pre­sente e in futuro, avrebbero peccato in ciò, incaricò gli an­geli che l'assistevano di chiedere da parte sua a ciascuno degli altri custodi di far cessare l'irriverenza di coloro che gli erano affidati, di moderarli con ispirazioni e illumina­zioni, e di impaurirli con il timore di Dio, perché non giurassero e non bestemmiassero. Inoltre, desiderava che gli spiriti celesti implorassero il Signore di mandare mol­te benedizioni di dolcezza a chi non dice il falso, ma ri­spetta il suo nome; ella, intanto, faceva la stessa supplica con gran fervore ed affetto.

823. Quanto al terzo comandamento, Maria fu infor­mata di tutte le festività che dovevano cadere sotto pre­cetto nella Chiesa e di come si dovevano osservare. Dal tempo della fuga in Egitto aveva iniziato a celebrare quel­le attinenti ai misteri precedenti, ma dopo questa notizia fece lo stesso anche con altre, come quelle di suo Figlio, della Trinità e degli angeli. Invitava questi ultimi a tali so­lennità e a quelle che sarebbero poi state istituite, e per ognuna componeva cantici di lode e di ringraziamento. Tra­scorreva questi giorni particolari soltanto pregando e oc­cupandosi del culto divino, non perché le azioni corpora­li impedissero la sua concentrazione o la sua contempla­zione, ma perché voleva eseguire ciò che si sarebbe prati­cato in seguito santificando le feste e tenere davanti agli occhi l'avvenire della legge di grazia. Come prima disce­pola del Redentore, si affrettò ad operare con perfetta emu­lazione quanto in essa era contenuto.

824. Ebbe la stessa comprensione di ciascuno degli al­tri sette precetti, che riguardano il nostro prossimo. Nel quarto si dice di onorare il padre e la madre, ed ella capì che cosa si intenda con tali titoli; al rispetto per Dio segue quello per i genitori, che devono essere serviti e aiutati, ma hanno degli obblighi verso i loro figli. Il quinto ingiunge di non uccidere, perché è il Signore l'autore della vita e, se egli non ha voluto dare ad ognuno il dominio della propria, tanto meno ha accordato di togliere o ingiuriare quella al­trui; essa, infatti, è il primo dei beni della natura e il fon­damento della grazia. La nostra Regina magnificò l'Altissi­mo per aver donato questo decreto a vantaggio dei morta­li e, poiché li guardava come creature di Dio, capaci del­la sua gloria e che sarebbero state liberate dal sangue pre­zioso di Cristo, fece intense suppliche perché esso non fos­se trascurato. Ella intuì poi la qualità del sesto come i bea­ti, che non mirano il pericolo della fragilità terrena in se stessi, ma negli uomini, senza che giunga fino ad essi. Ma­ria, priva della spinta al peccato da cui era stata preserva­ta, lo conosceva da un luogo più sublime. In questa gran­de estimatrice della castità gli effetti furono tali che, aman­dolo e piangendo le colpe contro di esso, di nuovo ferì il cuore di Dio e, secondo il nostro modo di parlare, con­solò suo Figlio per le offese che gli sarebbero state recate con la sua violazione. Poiché seppe che l'osservanza del Van­gelo si doveva estendere fino all'istituzione di congregazio­ni di vergini e di religiosi che facessero voto di tale virtù, pregò il Signore che desse loro la sua perenne benedizio­ne. Egli fece quanto gli era stato domandato e assegnò la ricompensa speciale che corrisponde alla purezza, per l'i­mitazione della vergine e Madre dell'agnello. Maria lo rin­graziò incomparabilmente con affettuoso giubilo poiché, se­guendo il suo esempio, questa si sarebbe propagata tanto nella comunità ecclesiale. Non mi trattengo maggiormente a riferire quanto ella la valutasse perché l'ho già fatto nel­la prima parte e in altre occasioni.

825. Le furono rivelati anche gli altri comandamenti, che invitano il settimo a non rubare, l'ottavo a non atte­stare il falso, il nono a non desiderare la donna altrui, il decimo a non bramare i beni degli altri. Per ciascuno di essi compiva tutti gli atti che occorrevano perché si adem­pisse e lodava l'Onnipotente, manifestandogli gratitudine a nome dell'umanità per aver stabilito una legge così ben ordinata, che indirizzava sapientemente ed efficacemente al gaudio eterno. Attenendosi ad essa, infatti, i credenti non solo si sarebbero assicurati il premio che era stato loro promesso, ma anche nel tempo presente avrebbero avuto una pace e una tranquillità tali da renderli beati conformemente al loro stato. Se tutti si conformassero al­la sua equità, se la custodissero e le obbedissero, go­drebbero di una felicità stupenda e piacevolissima, qual è la testimonianza della buona coscienza, perché i di­letti materiali non si possono paragonare alla consola­zione data dall'essere fedeli nel poco e nel molto. Que­sto beneficio ci è donato singolarmente da Cristo, nostro redentore, poiché egli alle azioni rette ha collegato sod­disfazione, riposo, conforto e tante altre gioie nella vita quaggiù, e se non tutti le ottengono è perché non rispet­tano i suoi precetti. I travagli, le calamità e le disgrazie sono come conseguenze necessarie del disordine dei mor­tali; ognuno di noi ne è causa, ma siamo così insensati che, quando sopraggiunge la tribolazione, cerchiamo su­bito il colpevole.

826. Chi mai riuscirà a ponderare i danni che nascono dal rubare le cose altrui, non osservando la norma che lo vieta, e dal non accontentarsi ciascuno della propria sorte aspettando in essa il soccorso del Signore, che non trascura neppure gli uccelli del cielo e non dimentica i più spregevoli vermiciattoli? Quante miserie e afflizioni stan­no soffrendo i fedeli perché ai sovrani non basta ciò che l'altissimo Re ha concesso loro e anzi, pretendendo di estendere il loro dominio, non lasciano sulla terra né quie­te, né pace, né beni, né anime per il Creatore? Le dispo­sizioni false e le menzogne, che offendono la somma ve­rità e i rapporti, non procurano minori danni e discordie, in quanto anch'esse turbano la serenità. Sia l'uno che l'al­tro peccato impediscono agli uomini di essere tempio di Dio, cosa che egli desidera da loro. Quanti mali, occulti e palesi, hanno arrecato e arrecano fra i cattolici la cupi­digia della donna altrui, l'adulterio, l'oltraggio della legge del matrimonio, confermata e santificata da Gesù? Biso­gna per altro considerare che molti di questi restano na­scosti al mondo, ma non passano sotto gli occhi di Dio, giudice giusto, senza trovare castigo anche in questa vi­ta; la condanna poi sarà tanto più severa quanto più egli avrà dissimulato nel tempo presente per non distruggere la cristianità, come, invece, avverrebbe se fin da ora pu­nisse degnamente tale peccato.

827. La nostra Regina era testimone di tutte queste verità, che contemplava nell'Onnipotente. Vedeva la bassezza dei mortali, che con grande leggerezza e per cose così meschine perdono il rispetto per Dio, e capiva con quanta benignità egli aveva ritenuto indispensabile imporre delle regole; tutta­via non si scandalizzava della fragilità, né si stupiva delle lo­ro numerose ingratitudini, ma come madre pietosa li com­pativa tutti, provava ardente affetto per loro, era riconoscente al posto loro per le opere dell'Altissimo, compensava le tra­sgressioni che avrebbero commesso contro il Vangelo e pre­gava perché ognuno potesse aderirvi. Comprese profonda­mente che i dieci comandamenti si riassumono in quelli di amare il Signore sopra ogni cosa e il prossimo come se stes­si e che in questi due, ben intesi ed eseguiti, è racchiusa la vera sapienza, poiché chi arriva ad attuarli non è lontano dal regno di Dio, come disse Gesù medesimo, e il loro adem­pimento vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici. La nostra Maestra li mise in pratica nel grado corrispondente alla co­noscenza che ne aveva, non tralasciando neanche il più pic­colo di essi, e da sola si conformò agli insegnamenti del Re­dentore più del resto dei santi e dei discepoli.

 

Insegnamento della Regina del cielo

828. Figlia mia, se il Verbo discese dal seno del Padre per prendere carne nel mio grembo e così riscattare il genere umano, bisognava che, per rischiarare quelli che stavano nel­le tenebre e nell'ombra della morte e ricondurli alla gioia smarrita, egli fosse loro luce, via, verità e vita; era neces­sario che desse loro ammaestramenti tanto santi da giustifi­carli, tanto chiari da illuminarli, tanto sicuri da farli affida­re, tanto forti da muoverli, tanto efficaci da aiutarli e tanto certi da donare loro allegria e sapienza. L'immacolata paro­la del Signore ha la virtù di procurare tutti questi e altri me­ravigliosi effetti; inoltre, compone e ordina le creature, tan­to che il loro gaudio spirituale e corporale, temporale ed eter­no, consiste solo nell'osservarla. Da ciò potrai dedurre la cieca ignoranza degli uomini, servendosi della quale l'astu­zia ammaliatrice dei loro nemici li inganna, infatti tutti so­no inclini alla propria felicità e aspirano ad essa, ma sono pochi coloro che la raggiungono proprio perché non la cer­cano nei decreti divini, unico luogo in cui possono trovarla.

829. Prepara il tuo cuore con tale scienza, affinché l'On­nipotente scriva in esso la sua legge, così come ha fatto con me. Allontana da te e dimentica ciò che è visibile e terreno, perché le tue facoltà siano libere da altre imma­gini e racchiudano solo quelle che vi porrà il dito di Dio con il suo beneplacito e la sua dottrina, come questa è con­tenuta nel Vangelo. Affinché i tuoi desideri non siano fru­strati, né restino sterili, chiedi incessantemente a mio Fi­glio di renderti degna di una tale grazia e della sua pro­messa. Considera con attenzione che la tua negligenza in questo sarebbe più abominevole di quella di chiunque al­tro, perché la sua tenerezza non ha chiamato nessuno con benefici simili a quelli concessi a te. Così nel giorno di questa abbondanza come nella notte della tentazione e del­le tribolazioni, avrai sempre presente tale debito e lo zelo del Signore; allora i favori non ti faranno insuperbire, e le pene e le afflizioni non ti opprimeranno. Otterrai tanto se nell'uno e nell'altro stato ti rivolgerai ai precetti impressi in te, per seguirli inviolabilmente e senza tiepidezza o ne­gligenza, ma con ogni avvertenza e perfezione. Per quan­to riguarda l'amore del prossimo, applica sempre la prima regola con la quale esso si deve misurare, cioè quella di fare agli altri quanto vorresti che facessero a te. Se ti fa piacere che ti giudichino positivamente, che parlino bene di te e si comportino di conseguenza, anche tu devi fare lo stesso. Se provi amarezza quando ti offendono in qual­che cosa da poco, evita anche tu di recar loro un simile torto. Se ti sembra ingiusto che essi feriscano i propri fra­telli, guardati dal farlo tu, dal momento che già sai che questo non conviene alla norma della benevolenza, che si deve ad essi e che l'Altissimo comanda. Piangi, inoltre, le tue e le loro colpe perché sono contro Dio e la sua santa legge: questa è buona carità con il Signore e con loro. A mia imitazione addolorati dei tormenti altrui come dei tuoi.


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