lunedì 11 aprile 2022

Digiuno prudente. Cornelio a Lapide ci parla di san Paolo

 

Digiuno prudente


69. I. Paolo in mezzo a tanta povertà visse necessariamente sobrio. Così

vediamo campare sobriamente gli operai, che vivono col lavoro delle loro

mani, e devono procurare gli alimenti per sé e per la loro famiglia.

Sapientemente san Girolamo (119) prescrive ad Eustochio questa dieta di

sobrietà: «Prendi moderato cibo, e non riempir mai lo stomaco. Vi sono

parecchie che pur essendo sobrie nel bere vino, hanno l’ubbriachezza del

troppo mangiare. Digiuna quotidianamente, e rifuggi dal mangiare a

sazietà. Non giova a nulla portare lo stomaco vuoto per due, tre o più

giorni, se poi si rimpinza, e si ripaga il digiuno con la sazietà. La mente

sazia si intorpidisce subito, e la terra irrigata germina le spine della

libidine». Il medesimo Santo, scrivendo a Paolino (120), dice: «Cibati con

cose vili, e verso sera tuo cibo siano verdure e legumi; talvolta aggiungi

qualche pesciolino, per somma delizia. Chi desidera Cristo e si ciba di quel

pane, non cerca con tanta accuratezza la preziosità dei cibi. Qualunque

cosa che dopo mangiata più non si sente, sia tuo cibo, come il pane ed i

legumi».


Gli Apostoli si astenevano comunemente dalla carne e dal vino

70. II. Paolo digiunava di frequente, come egli stesso asserisce (2 Corinti

11, 27). Si asteneva dalle delizie del vino e della carne. Difatti, come

scrive san Girolamo a Nepoziano (121): «Il più duro digiuno è acqua e

pane; ma perché non ha gloria alcuna, dato che tutti viviamo di pane e di

acqua, diventa una cosa pubblica e comune, e non è creduta un digiuno».

Lo stesso, ad Eliodoro (122): «Nepoziano, dice, temperava secondo la

stanchezza e le forze i digiuni, come fa l’auriga». E, a Rustico (123): «I

digiuni siano moderati, dice, onde non abbiano ad indebolire troppo lo

stomaco, e le esigenze poi di maggior cibo non portino ad indigestioni, che

sono parenti della libidine. Poco e temperato cibo è utile al corpo ed

all’anima».


Lo stesso facevano gli altri Apostoli, se non dovevano partecipare a

qualche banchetto, per invito di altri. In tal caso, per lo stesso comando di

Cristo, mangiavano tutto quello che veniva loro offerto: ciò facevano per

urbanità, per evitare le singolarità, e per non essere molesti a chi li

ospitava.

E’ chiaro l’esempio di Timoteo, al quale Paolo scrisse: «Non continuare a

bere soltanto acqua, ma fa uso d’un po’di vino, a causa del tuo stomaco e

delle tue frequenti malattie» (l Timoteo 5, 23). Altro esempio ci viene dal

voto del nazareato, fatto da Paolo (Cfr.: Atti 21, 26), e soddisfatto subito il

giorno dopo. I Nazarei si astenevano dal vino, dalla sicera e da altre

golosità. «Se dunque, scrive, un cibo serve di scandalo al mio fratello, non

mangerò carne in eterno» (l Corinti 8, 13). E: «Bene è non mangiar carne e

non bere vino» (Romani 14, 21). Quello che Paolo consigliava agli altri,

praticava lui stesso.


Anche san Pietro, secondo la testimonianza di san Gregorio Nazianzeno

(De cura pauperum) campicchiava di lupini. Così san Giacomo, cugino del

Signore, si astenne dalla carne, dal vino e dalla sicera, e visse di pane ed

acqua. Così scrive il Baronio nei suoi Annali (all’anno 36 dopo Cristo),

seguendo Eusebio (124), Niceforo (125) ed altri. Così anche scrivono altri

nella Vita dello stesso san Giacomo. Clemente Alessandrino (126)

asserisce che san Matteo si astenne dalle carni. Il motivo è che gli Apostoli

dovevano dare esempio di sobrietà e di ogni virtù a tutta la Chiesa, ad ogni

stato di persone, e per tutti i secoli; essi erano dati al mondo come

esemplari di santità, di perfezione e di vita celeste, alla quale dovevano

incitare tutti con la parola ma assai più con l’esempio. Sarebbe cosa

veramente grottesca che un rimpinzato esortasse gli altri al digiuno, uno

soddisfatto all’astinenza, un incestuoso alla castità, uno pieno di vino a

bere acqua.


San Francesco Saverio, l’apostolo dell’India, si asteneva dal vino e dalla

carne; eccetto quando era ospite di qualcheduno, si cibava una volta sola al

giorno, e con cibi volgari e scarsi, e neanche satollava la fame col pane,

scrive Tursilio nella di lui Vita (Lib. 6, c. 7). Possidio (127) scrive che

sant’Agostino, Vescovo di Ippona, «usava una mensa frugale e parca;

qualche volta univa alla verdura ad ai legumi, anche della carne, per

riguardo ad ospiti, o ad infermi».


71. III. Paolo era parco nel dormire, e passava gran parte della notte

vegliando, sia pregando, sia lavorando, sia curando con sollecitudine la

salute di tutte le Chiese. Egli stesso confessò di aver vissuto in molte

vigilie (Cfr. 2 Corinti 11, 27).

La vigilanza è una virtù propria del pastore che deve vigilare il suo gregge.

Pertanto sembra poco conforme a verità quella distribuzione di tempo e di

ore che alcuni assegnano a san Paolo come fa la Glossa (ML 114, 462)

sugli Atti (19, 9), citando, Beda (ma ciò non si trova in Beda): «Alcuni

dicono, scrive, che Paolo protraesse le dispute dall’ora quinta fino all’ora

nona e decima; così che impiegava cinque ore nel fabbricare i tappeti,

altre cinque nell’insegnamento, due nel prender cibo e nel fare orazione».

Aggiunge però: «Nessuna autorità conferma ciò», e giustamente, dicono

Ugo e Lorino, nel medesimo luogo. Che cosa faceva Paolo nelle altre

rimanenti dodici ore del giorno? Certamente non le passava nel letto, ma

dopo un breve riposo attendeva alla preghiera ed al lavoro. Difatti a

mezzanotte fu trovato nel carcere pregante (Cfr. Atti 16, 25). Con verità

scrive san Girolamo (128) ad Eustochio: «Il sonno stesso è preghiera per i

santi. Sii una cicala notturna: salmeggia in ispirito, salmeggia anche con la

mente; lava durante la notte il tuo letto, bagna il tuo giaciglio con le tue

lacrime».

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