martedì 29 settembre 2020

REGINA DEGLI ANGELI

29 settembre: SAN MICHELE ARCANGELO





Montevideo (Uruguay), 29 settembre 1981 
Festa di San Michele, Gabriele e Raffaele.

Regina degli Angeli.

«Nella lotta a cui vi chiamo, figli prediletti, siete particolarmente assistiti e difesi dagli Angeli di Luce.

Sono la Regina degli Angeli.

Ai miei ordini essi stanno riunendo, da ogni parte del mondo, coloro che Io chiamo nella mia grande schiera vittoriosa.

Nella lotta fra la Donna vestita di sole ed il Dragone rosso, gli Angeli hanno la parte più importante da svolgere. Per questo voi dovete lasciarvi guidare docilmente da loro.

Gli Angeli, gli Arcangeli e tutte le schiere celesti sono uniti con voi nel terribile combattimento contro il Dragone ed i suoi seguaci. Essi vi difendono dalle insidie di Satana e dei molti Demoni, che ora si sono scatenati, con furia rabbiosa e demolitrice, in ogni parte del mondo.

Questa è l'ora di Satana e del potere degli Spiriti delle tenebre.

È la loro ora, che corrisponde al momento della loro apparente azione vittoriosa.

È la loro ora, ma il tempo che hanno a disposizione è breve, i giorni del loro trionfo sono contati.

Perciò vi tendono insidie pericolose e terribili e voi non potreste sfuggire ad esse, senza uno speciale aiuto dei vostri Angeli Custodi.

Quante volte al giorno questi intervengono per sottrarvi a tutte le subdole manovre che vi tende, con astuzia, il mio Avversario!

Per questo vi invito ad affidarvi sempre più agli Angeli del Signore.
Abbiate con loro affettuosa intimità, perché vi sono più vicini degli amici e delle persone care.

Camminate alla luce della loro invisibile, ma sicura e preziosa presenza. Essi pregano per voi, camminano accanto a voi, vi sostengono nella fatica, vi consolano nel dolore, vegliano sul vostro riposo, vi prendono per mano e vi attirano dolcemente sulla strada che ho tracciato per voi.

Pregate i vostri Angeli Custodi e vivete con fiducia e con serenità le dolorose ore della purificazione.
In questi momenti, infatti, il Cielo e la terra si uniscono in una straordinaria comunione di preghiera, di amore e di azione, agli ordini della vostra Celeste Condottiera».






DEDICAZIONE DELLA CELESTE BASILICA DI SAN MICHELE ARCANGELO A MONTE SANT'ANGELO SUL GARGANO



VIII Coro
(vedasi anche VI Coro)
29 settembre
Principe dei combattenti

Santi Michele, Gabriele e Raffaele Arcangeli

S. Michael

Egli ha deposto scudo e spada, anche l’ampio mantello di vittoria, che lo decorava come combattente e vincitore di Lucifero, e sta inginocchiato con la testa abbassata ai piedi del trono di Dio. Tutto in lui è modesto e chiaro e retto, e l’umiltà di Maria gli sta attorno come una luce gloriosa.

S. Michael

ha oggi il suo giorno di festa sulla terra e l’onore in cielo, di essere chiamato in questo giorno come intercessore di tutta l’umanità davanti al trono di Dio. Una volta era uno dei dodici arcangeli, il protettore della terra, prima che Lucifero provocasse la divisione degli angeli. Anche lui, S. Michael, è stato allora avvolto dalle tenebre come tutti gli angeli. Dio taceva, e ciascun angelo dovette da sé consapevolmente e liberamente scegliere, se mantenere la fiducia in quel Dio ora così muto, nascosto, o iniziare con Lucifero, il portatore di luce, una nuova vita liberi da Dio.

È stato in mezzo a questa perplessità che l’angelo S. Michael (no, Dio non l’ha resa facile ai suoi!), col suo grido: “Chi è come Dio?” riportò alla coscienza gli altri, da cui la spaccatura: chi si accordò con Dio – chi con Lucifero. Fu una chiara battaglia, e S. Michael fece affidamento non tanto sulla propria forza, ma sulla forza di Dio. Sì, egli gettò l’amore stesso di Dio come forza divina sul suo avversario e lo trasformò in un serpente, in un drago, che precipitò nell’abisso e si ruppe migliaia e decine di migliaia di volte, che ancora e ancora precipita fino alla fine dei tempi. Quindi all’inizio è precipitato. È arrivato nel punto più profondo e lontano da Dio. Ma S. Michael non per niente è stato innalzato, su comando di Dio, attraverso il coro delle virtù della fede, al titolo onorario di alto principato, principe delle armate celesti. Lui si è colorato del coro delle virtù della fede, attraverso cui è passato, e il coro delle virtù ha ancora il suo colore. Poiché come S. Michael sta all’inizio del tempo per la sua battaglia contro Lucifero, così stanno le virtù della fede all’inizio, alle fondamenta della battaglia umana.

E come S. Michael è combattente, così pure lo sono le virtù della fede. È poiché le virtù della fede stanno per tutta la creazione dall’inizio alla fine, così sta S. Michael non solo all’inizio, ma anche alla fine come il patrono sia dei combattenti che dei morenti, che lui con forte mano protegge dall’ultimo e più forte attacco infernale e li dirige in alto verso il nuovo inizio dell’eterna beatitudine, che gli uomini condividono con i santi angeli.

Gli arcangeli hanno anche la parentela più innumerevole, se così si possono raffigurare le relazioni tra i singoli angeli tra di loro. Direttamente sopra l’arcangelo S. Michael sta l’angelo che porta l’alleanza del creatore con l’umanità – nella fede – e il Cherubino della disponibilità. Attraverso le virtù arriva il collegamento di S. Michael con le dominazioni e con i serafini; e come principato egli ha sopra di sé i troni. Sempre però lui resta il più semplice, umile servitore di Dio, silenzioso e pieno di forza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Preghiera: S. Michael, insegnaci a combattere tramite l’umiltà, insegnaci a combattere tramite l’obbedienza ed il silenzio, insegnaci ad amare ed essere fedeli come Maria. Amen

 

Il combattente 

S. Michael

Il grande patrono della lealtà e della fedeltà, sta oggi molto vicino al sacerdote presso l’altare, quando preghiamo: “Scuoti, o Signore, i nostri cuori, di modo che prepariamo la via a tuo Figlio ...”

Così, un precursore è anche San Michele. Egli è il lesto combattente per l’onore di Dio, egli è il combattente più potente per noi nell’ora della morte, egli è il compagno delle anime dei defunti, che ora si sono aperte per trovare la luce della pace eterna in Dio. Anche noi prendiamo la luce dell’avvento in mano e andiamo attraverso le notti buie incontro alla luce eterna della redenzione. Ora essa brilla incontro a noi dagli occhi della Madre di Dio, ma presto la vedremo brillare dalla mangiatoia, “perché Dio sarà visibile” (Graduale).

Perciò S. Michele, che noi altrimenti siamo soliti vedere solo con spada e scudo, porta oggi una luce. Egli precede i piccoli, laboriosi passi della Madre di Dio e le illumina la via, attraverso tutte le pietre che noi non abbiamo tolto davanti al Signore, attraverso le profondità della nostra anima che non abbiamo ancora riempito davanti al Signore…

Ed egli ci dice come motivo conduttore:

“Ognuno accetti con amore e pazienza gli altri, come voi siete stati accettati con amore e pazienza da Cristo!”

AMDG et DVM

San Michele, Gabriele e Raffaele, Santi Arcangeli

 

Martedì 29 settembre 2020 - Tempo Ordinario XXVI - Anno A domenicale II feriale

San Michele, Gabriele e Raffaele, Santi Arcangeli

Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria.

Liturgia: Dn 7,9-10.13-14; Sal 137; Gv 1, 47-51.

Celebrazione della S. Messa Novus Ordo (con Rosario) dal Duomo di Verona, ore 18.30

Celebrazione della S. Messa Vetus Ordo dalla Chiesa Ss.ma Trinità dei Pellegrini, ore 18.30

Antifona d'Ingresso Sal 102,20
Benedite il Signore, voi tutti suoi Angeli,
potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti al suono della sua parola.

Benedícite Dóminum, omnes Angeli eius, poténtes virtúte, qui fácitis verbum eius, ad audiéndam vocem sermónum eius.

Colletta
O Dio, che chiami gli Angeli e gli uomini a cooperare al tuo disegno di salvezza, concedi a noi pellegrini sulla terra la protezione degli spiriti beati, che in cielo stanno davanti a te per servirti e contemplano la gloria del tuo volto. Per il nostro Signore...

Deus, qui miro órdine Angelórum ministéria hominúmque dispénsas, concéde propítius, ut, a quibus tibi ministrántibus in cælo semper assístitur, ab his in terra vita nostra muniátur. Per Dóminum.

...


Le due ali



 Sant'Omero (Teramo), 6 maggio 1989. 

Primo sabato del mese.

Le due ali della grande aquila.

«Figli miei prediletti, oggi mi venerate in maniera speciale, nel primo sabato di questo mese di maggio, che viene da voi particolarmente a Me dedicato.

Vi riunite in Cenacoli di fraternità e di preghiera con la vostra Mamma Celeste.

Quanto conforto date al mio profondo dolore; quanta gioia recate al mio Cuore Immacolato!

Perché, per mezzo di voi che mi avete risposto, ormai la devozione verso di Me sta rifiorendo in tutta la Chiesa.

Così Io posso esercitare, in questi vostri tempi, il grande potere che dalla Santissima Trinità mi è stato dato, per rendere inoffensivo l'attacco che il mio avversario, il Dragone rosso, ha scatenato contro di Me, vomitando dalla sua bocca un fiume di acque per sommergermi.

Il fiume di acque è formato dall'insieme di tutte le nuove dottrine teologiche, che hanno cercato di oscurare la figura della vostra Mamma Celeste, di negare i miei privilegi, di ridimensionarne la devozione, di mettere in ridicolo tutti i miei devoti.

A causa di questi attacchi del Dragone, in questi anni, la pietà verso di Me è andata diminuendo presso tanti fedeli e, in alcuni luoghi, è addirittura scomparsa.

Ma alla vostra Mamma Celeste sono venute in soccorso le due ali della grande aquila.

La grande aquila è la Parola di Dio, soprattutto la Parola contenuta nel Vangelo di mio figlio Gesù.

Fra i quattro Vangeli, l'aquila indica quello di San Giovanni, perché esso vola più in alto di tutti, entra nel cuore stesso della Santissima Trinità, affermando, con forza, la divinità, l'eternità e la consustanzialità del Verbo e la divinità di Gesù Cristo.

Le due ali dell'aquila sono la parola di Dio accolta, amata e custodita con la fede e la parola di Dio vissuta con la Grazia e la carità.

Le due ali della fede e della carità - cioè della Parola di Dio da Me accolta e vissuta - mi hanno consentito di volare al di sopra del fiume di acque di tutti gli attacchi mossi contro di Me, perché hanno manifestato al mondo la mia vera grandezza.

Poi mi sono cercata il mio rifugio nel deserto.

Il deserto, in cui ho posto la mia abituale dimora, è formato dal cuore e dall'anima di tutti quei figli che mi accolgono, mi ascoltano, si affidano completamente a Me, si consacrano al mio Cuore Immacolato.

Nel deserto in cui mi trovo, oggi Io opero i miei più grandi prodigi. Li opero nel cuore e nell'anima, cioè nella vita, di tutti i miei più piccoli bambini.

Così li conduco a seguirmi sulla strada della fede e della carità, facendo ad essi accogliere, amare e custodire la Parola di Dio ed aiutandoli a viverla ogni giorno con coerenza e con coraggio.

Nel silenzio e nel nascondimento, cioè nel deserto in cui mi trovo, opero fortemente perché i figli a Me consacrati credano oggi al Vangelo, si lascino guidare solo dalla Sapienza del Vangelo, siano sempre Vangelo vissuto.

Ecco il compito che Io ho preparato alla schiera, che mi sono formata in ogni parte del mondo, con il mio Movimento Sacerdotale Mariano: lasciarsi trasportare con Me sulle due ali della grande aquila, cioè della fede e della carità, accogliendo con amore, in questi vostri tempi, e vivendo la sola Parola di Dio.

I grandi prodigi che Io oggi compio, nel deserto in cui mi trovo, sono quelli di trasformare completamente la vita dei miei piccoli figli, perché diventino coraggiosi testimoni di fede e luminosi esempi di santità.

In questa maniera, nel silenzio e nel nascondimento, ogni giorno preparo la mia grande vittoria sul Drago, nel trionfo del mio Cuore Immacolato nel mondo».



lunedì 28 settembre 2020

Santo Papa Juan Pablo II



Ciudad del Vaticano

4 de mayo de 2020

Por el centenario del nacimiento

del Santo Papa Juan Pablo II

(18 de mayo de 2020)

     "El 18 de mayo se celebrará el centenario del nacimiento del Papa Juan Pablo

II en la pequeña ciudad polaca de Wadowice.

Polonia, dividida y ocupada por los tres imperios vecinos - Prusia, Rusia y

Austria - durante más de un siglo, recuperó la independencia después de la Primera

Guerra Mundial. Fue un evento que despertó una gran esperanza, pero también

requirió un gran esfuerzo, ya que el estado en recuperación sentía constantemente

la presión de ambas potencias - Alemania y Rusia. En esta situación de opresión,

pero sobre todo de esperanza, creció el joven Karol Wojtyła, quien

lamentablemente pronto perdió a su madre, a su hermano y finalmente a su padre,

a quien debía su profunda y ferviente devoción. La particular atracción del joven

Karol por la literatura y el teatro le llevó a estudiar estas materias después de

graduarse.


"Para evitar ser deportado a Alemania para realizar trabajos forzados, en el

otoño de 1940 comenzó a trabajar como trabajador físico en la cantera asociada a

la fábrica química Solvay" (Cf. Juan Pablo II, Regalo y Misterio). "En el otoño de

1942, tomó la decisión final de entrar en el Seminario de Cracovia, organizado en

secreto por el Arzobispo de Cracovia Sapieha en su residencia. Ya como obrero

comenzó a estudiar teología en viejos libros de texto, para ser ordenado sacerdote

en 1̊ noviembre de 1946" (Cf. Ibid.). Sin embargo, aprendió teología no sólo de los

libros, sino también extrayendo lecciones útiles del contexto específico en el que se

encontraban él y su país. Este sería un rasgo distintivo que marcaría toda su vida y

actividad. Aprendió de los libros, pero también vivió de los temas actuales que lo

atormentaban. Así, para él como joven obispo - desde 1958 obispo auxiliar y desde

1964 arzobispo de Cracovia - el Concilio Vaticano II fue la escuela de toda su vida y

trabajo. Las cuestiones importantes que surgieron, especialmente las relacionadas

con el llamado Esquema XIII - la subsiguiente Constitución Gaudium et Spes -

fueron sus preguntas personales. Las respuestas elaboradas en el Concilio

mostraron la dirección que daría a su trabajo primero como obispo y luego como

Papa.


Cuando el 16 de octubre de 1978 el cardenal Wojtyła fue elegido Sucesor de

Pedro, la Iglesia se encontraba en una situación dramática. Las deliberaciones del

Concilio se presentaron en público como una disputa sobre la propia fe, que parecía

tan carente de su carácter de certeza infalible e inviolable. Por ejemplo, un párroco

bávaro describió esta situación con las siguientes palabras: "Al final hemos caído en

una fe equivocada". Este sentimiento de que ya nada era seguro, de que todo

podía ser cuestionado, se alimentó aún más por la forma en que se llevó a cabo la

reforma litúrgica. Al final parecía que incluso en la liturgia todo podía ser creado

por sí mismo. Pablo VI dirigió el Concilio con vigor y decisión hasta su conclusión,

después de lo cual se enfrentó a problemas cada vez más difíciles, que al final

desafiaron a la propia Iglesia. Los sociólogos de la época compararon la situación

de la Iglesia con la de la Unión Soviética bajo Gorbachov, donde en la búsqueda de

las reformas necesarias toda la poderosa imagen del Estado Soviético acabó

derrumbándose.


Así, ante el nuevo Papa, de hecho, se presentó una tarea muy difícil para

enfrentarse sólo a las capacidades humanas. Al principio, sin embargo, Juan Pablo

II reveló la capacidad de despertar una renovada admiración por Cristo y su

Iglesia. Al principio fueron las palabras pronunciadas al principio de su pontificado,

su grito: "¡No tengáis miedo! ¡Abre, de verdad, abre de par en par las puertas a

Cristo!" Este tono caracterizó todo su pontificado haciéndole renovador y liberador

de la Iglesia. Esto porque el nuevo Papa venía de un país donde el Concilio había

sido acogido de manera positiva. El factor decisivo fue no dudar de todo, sino

renovar todo con alegría.

En los 104 grandes viajes pastorales que llevó el Papa por todo el mundo,

predicó el Evangelio como una alegre noticia, explicando así también el deber de

recibir el bien y a Cristo.

En 14 encíclicas presentó la fe de la Iglesia y su enseñanza humana de una

manera nueva. Inevitablemente, por lo tanto, despertó la oposición en las Iglesias

occidentales llenas de dudas.


Hoy me parece importante indicar el centro correcto desde el cual leer el

mensaje contenido en los diversos textos, que llegaron a la atención de todos

nosotros en la hora de su muerte. El Papa Juan Pablo II murió en la madrugada de

la Fiesta de la Divina Misericordia instituida por él mismo. Inicialmente me gustaría

añadir aquí una pequeña nota personal que nos muestra algo importante para

entender la esencia y la conducta de este Papa. Desde el principio, Juan Pablo II

quedó muy impresionado por el mensaje de la monja de Cracovia, Faustina

Kowalska, que había presentado la misericordia de Dios como el centro esencial de

toda la fe cristiana y había querido establecer la fiesta de la Divina Misericordia.

Después de las consultas, el Papa lo previó para el domingo en albis. Sin embargo,

antes de tomar una decisión final, pidió la opinión de la Congregación para la

Doctrina de la Fe para evaluar la conveniencia de tal elección. Dimos una respuesta

negativa, considerando que una fecha tan importante, antigua y significativa como

el domingo en Albis no debe ser cargada con nuevas ideas. Para el Santo Padre,

aceptar nuestro "no" no fue fácil. Pero lo hizo con toda humildad y aceptó nuestro

segundo "no". Finalmente, formuló una propuesta que, dejando el domingo in albis

su significado histórico, le permitió introducir la Misericordia de Dios en su

significado original. A menudo ha habido casos en los que me ha impresionado la

humildad de este gran Papa, que renunció a sus ideas favoritas cuando no había

consentimiento de los organismos oficiales, lo cual - según el orden clásico de las

cosas - tuvieron que preguntar.


Cuando Juan Pablo II exhaló su último aliento en este mundo, fue ya

después de las primeras Vísperas de la Fiesta de la Divina Misericordia. Esto iluminó

la hora de su muerte: la luz de la misericordia de Dios brilló en su muerte como un

mensaje de consuelo. En su último libro, Memorias e identidad, que apareció casi

en la víspera de su muerte, el Papa una vez más presentó brevemente el mensaje

de la misericordia divina. En ella señalaba que la hermana Faustina murió antes de

los horrores de la Segunda Guerra Mundial, pero ya había difundido la respuesta

del Señor a estos horrores. "¡El mal no trae la victoria final! El misterio pascual

confirma que el bien es finalmente victorioso; que la vida vence a la muerte y el

amor triunfa sobre el odio.


Toda la vida del Papa se centró en este propósito de aceptar subjetivamente

como suyo el centro objetivo de la fe cristiana - la enseñanza de la salvación - y

permitir que otros lo acepten. Gracias a Cristo resucitado, la misericordia de Dios es

para todos. Aunque este centro de la existencia cristiana se nos da sólo en la fe,

también tiene un significado filosófico, porque - ya que la misericordia divina no es,

de hecho, un dato - también debemos aceptar un mundo en el que el contrapeso

final entre el bien y el mal no es reconocible. En última instancia, más allá de este

significado histórico objetivo, todo el mundo debe saber que la misericordia de Dios

eventualmente probará ser más fuerte que nuestra debilidad. Aquí debemos

encontrar la unidad interna del mensaje de Juan Pablo II y la intención

fundamental del Papa Francisco: Al contrario de lo que se dice a veces, Juan Pablo

II no es un rigorista moral. Demostrando la importancia esencial de la misericordia

divina, nos da la oportunidad de aceptar las exigencias morales que se le imponen

al hombre, aunque nunca podamos satisfacerlas plenamente. Nuestros esfuerzos

morales se emprenden a la luz de la misericordia de Dios, que resulta ser una

fuerza que cura nuestra debilidad.


Durante el paso de Juan Pablo II, la Plaza de San Pedro estaba llena de

gente, especialmente jóvenes, que querían conocer a su Papa por última vez.

Nunca olvidaré el momento en que el arzobispo Sandri anunció la desaparición del

Papa. Sobre todo, nunca olvidaré el momento en que la gran campana de San

Pedro reveló esta noticia. El día del funeral del Santo Padre se podían ver muchas

pancartas con las palabras "Santo inmediatamente". Fue un grito que, por todos

lados, surgió del encuentro con Juan Pablo II. Y no sólo en la Plaza de San Pedro,

sino en varios círculos de intelectuales se había discutido la posibilidad de otorgar a

Juan Pablo II el apodo de "El Grande".


La palabra "sagrada" indica la esfera divina, y la palabra "magna" indica la

dimensión humana. Según los principios de la Iglesia, la santidad se evalúa en base

a dos criterios: las virtudes heroicas y el milagro. Estos dos criterios están

estrechamente vinculados. El concepto de "virtudes heroicas" no significa un éxito

olímpico, sino el hecho de que lo que es visible en el interior y a través de una

persona no tiene una fuente en el hombre mismo, sino que es lo que revela la

acción de Dios en el interior y a través de él. No es una cuestión de competencia

moral, sino de renunciar a la propia grandeza. Se trata de un hombre que permite

a Dios actuar dentro de sí mismo y así hacer visible la acción y el poder de Dios a

través de sí mismo.


Lo mismo se aplica al criterio del milagro. Aquí también, no se trata de algo

sensacional, sino del hecho de que la bondad curativa de Dios se hace visible de

una manera que excede la capacidad humana. Un santo es una persona abierta a

Dios, impregnada por Dios. Un santo es alguien que no centra la atención en sí

mismo, sino que nos hace ver y reconocer a Dios. El propósito de los procesos de

beatificación y canonización es precisamente examinarlo según las normas de la

ley. En lo que respecta a Juan Pablo II, ambos procesos se llevaron a cabo

estrictamente de acuerdo con normas vinculantes. Así que ahora se presenta ante

nosotros como un padre que nos muestra la misericordia y la bondad de Dios.

Es más difícil definir correctamente el término "magno". Durante los casi dos mil

años de historia del papado, el nombre "Magno" fue adoptado sólo en referencia a

dos papas: León I (440-461) y Gregorio I (590-604). La palabra "magno" tiene una

impronta política en ambos, pero en el sentido de que, a través de los éxitos

políticos, se revela algo del misterio de Dios mismo. León el Grande, en una

conversación con el jefe de los hunos Atila, lo convenció de que no quería que

Roma, la ciudad de los apóstoles Pedro y Pablo, se viera afectada. Sin armas, sin

poder militar o político, logró persuadir al terrible tirano para que perdonara a

Roma gracias a su convicción de fe. En la lucha del espíritu contra el poder, el

espíritu demostró ser más fuerte.

Gregorio I no tuvo un éxito tan espectacular, pero sin embargo logró salvar a

Roma de los lombardos en varias ocasiones, él también, al enfrentar al espíritu

contra el poder, trajo de vuelta la victoria del espíritu.


Cuando comparamos la historia de ambos con la de Juan Pablo II, la similitud

es innegable. Incluso Juan Pablo II no tenía ni fuerza militar ni poder político. En

febrero de 1945, al discutir la futura forma de Europa y Alemania, alguien señaló

que la opinión del Papa también debía ser tenida en cuenta. Stalin preguntó

entonces: "¿Cuántas divisiones tiene el Papa?" Por supuesto que no tenía ninguno.

Pero el poder de la fe demostró ser una fuerza que, a finales de 1989, trastornó el

sistema de poder soviético y permitió un nuevo comienzo. No hay duda de que la

fe del Papa fue un elemento importante para romper este poder. Y aquí también

podemos ver la grandeza que se manifestó en el caso de León I y Gregorio I.

La cuestión de si en este caso se aceptará o no el epíteto "magno" debe dejarse

abierta. Es cierto que en Juan Pablo II el poder y la bondad de Dios se hizo visible

para todos nosotros. En un momento en que la Iglesia vuelve a sufrir el ataque del

mal, es para nosotros un signo de esperanza y consuelo.

Querido San Juan Pablo II, ¡reza por nosotros!"

Benedicto XVI

27 medici ai vescovi: "Non ci sono motivi sanitari per vietare la Comunione sulla lingua"

domenica 27 settembre 2020

MEMORABILE SERMONE

 

 di san VINCENZO FERRERI


 Oggi  ecco ancora a voi il gran sermone di san Vincenzo Ferreri che ci fa capire come la Santa Messa abbraccia tutta la Vita di Cristo Gesù.  
L'ho semplicemente tradotto dal sito spagnolo più sotto indicato. Buona lettura e santa meditazione auguro cordialmente a tutti. 



LA VITA DI CRISTO
RIPRESENTATA NELLA MESSA SOLENNE

      << Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2,5). Prendiamo queste parole dall’originale del Vangelo di san Giovanni capitolo secondo versetto cinque.
       Oggi predicherò a voi un tema molto devoto e poco frequente, cioé la vita santa di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, così come si ripresenta nella Messa solenne. A me pare sia un argomento molto gradito  e amato da Dio, e per tutti voi vantaggioso e  meritorio. In modo speciale per noi Sacerdoti, che celebriamo questo santo sacramento della Messa.
      Però perché questo nostro sermone serva in primo luogo di lode, gloria e onore a Dio e possa in secondo luogo giovare a tutti, specialmente ai chierici, così come anche ai fedeli laici, saluteremo la Vergine Maria dicendo: Ave Maria.

[Dopo un’articolata introduzione che spinge alla docile obbedienza del discepolo verso il Maestro, del malato verso il medico, il santo predicatore così continua:]  
   
      La Vergine Maria, Madre della Grazia, sapendo che chi desidera salvarsi é necessario che si guidi e si governi secondo la volontà del suo divin Figlio, a tal fine ci dà un prezioso e grande consiglio: che sempre ci guidiamo e governiamo con la volontà di suo Figlio, e dichiara il tema:  Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2,5). Ecco il tema del sermone. E così entro nell’assunto.
      Esattamente, tra tutte le cose che Gesù comandò a noi cristiani per conseguire e raggiungere la gloria, c’è questa: che ripresentiamo la sua santa e benedetta vita nella Messa. Perché quando il giorno del Giovedì santo della Cena istituì questo santo sacramento della Messa, ordinò: Fate questo in mio ricordo (Lc. 22,19 e 1Cor. 11,23). Non disse solo in memoria e commemorazione della Passione, ma in mio ricordo; ossia, di tutta la vita di Cristo, che deve ripresentarsi dal giorno della nascita fino al giorno dell’Ascensione.
      Alcuni potrebbero dire: “Questo comando fu dato solo ai chierici”. Ma io vi dico che quest’ordine è sia per i chierici che per i fedeli laici.  Per i chierici perchè commemorino la vita di Cristo celebrando; per i fedeli perchè commemorino la vita di Cristo udendo e ascoltando. Esattamente quel che il tema dice: Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2,5). E’ questo, cioè,  commemorare la vita di Cristo, i chierici celebrando e i laici udendo e ascoltando devotamente.

      E già entriamo nell’assunto.
      Abbiate presente quanto vi indico: sin dal giorno in cui Gesù scese dal Cielo per incarnarsi, fino al giorno in cui salì al Cielo, tutta la sua vita è ripresentata nella Messa solenne principalmente per mezzo di trenta azioni, anche se ben sappiamo che ci sono molte altre opere che non conosciamo. Perciò l’evangelista Giovanni nell’ultimo capitolo dice: Ci sono molte altre cose che Gesù ha fatto. Se si scrivessero una per una, penso che neppure tutto il mondo basterebbe a contenere i libri che si scriverebbero (Gv. 21,25). Furono tante le opere di Nostro Signore Gesù Cristo che se si specificassero tutte e ognuna in modo dettagliato, non ne potremmo raccontare né cento né mille, neppure diecimila, perché bocca d’uomo non potrebbe dire quanti sono i misteri.
Ora questi sono riassunti e condensati come gli atomi stanno nel sole, e pertanto non possono conoscersi e scoprirsi.
       Però il chierico è in cammino verso Colui che è il mistero. Perciò adesso vi dico quali sono i principali misteri. Già altre volte ho predicato su quest’argomento, però mai ho detto tutti i misteri. Alcune volte ho predicato suddividendo la vita di Cristo ripresentata nella Messa in dieci opere, altre volte in quindici, altre in venti. Ora la vita di Cristo l’ho suddivisa in trenta opere. Pertanto ascoltate devotamente.

"fioritela di gigli...."  U. Foscolo
1.- E la prima opera che realizzò Gesù Cristo, Figlio di Dio e nostro Salvatore, in questo mondo fu l’Incarnazione, quando discese dal Cielo ed entrò nel seno verginale di Maria Vergine, rivestendosi dell’umanità. Pertanto vi dico che si rivestì di umanità, perché la divinità è segretamente nascosta sotto l’umanità. E dovete sapere che l’Incarnazione si realizza da parte di tutta la Trinità perché le opere della Trinità sono indivisibili, però tuttavia solo il Figlio è rivestito di umanità.
Questo si dimostra per mezzo di una comparazione di tre che indossano a uno una unica tunica. E’ certo che tutti lo rivestono, però soltanto uno permane rivestito e non gli altri. Così, il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo rivestirono dell’umanità il Figlio, però solo il Figlio rimase vestito di umanità e incarnato.
      E quanto vi dico viene ripresentato nella Messa solenne e non nell’altra. Perché quando il sacerdote [san Vincenzo, in verità, usa sempre la parola presbitero] entra nella sacrestia, ivi i tre lo rivestono, cioè: il diacono, il suddiacono e il medesimo sacerdote che si riveste, aiutato dagli altri, però  lui solo  rimane vestito.  Così il Nostro Salvatore Gesù Cristo, grande e sommo Sacerdote, fu rivestito in quella gloriosa sacrestia [nel manoscritto al margine: reliquie, gemme, ed altri ornamenti preziosi si conservano per davvero in quella gloriosa sacrestia], cioè, la Beata Vergine, piena di virtù, di grazia e di perfezioni, lo conserva tutto come un tesoro per la nostra salvezza, ossia: il Salvatore del mondo, Gesù, Dio e uomo e gli ornamenti sono l’umanità.
      E se volete una più alta contemplazione: così come il sacerdote è rivestito nella sacrestia e nessuno del popolo l’ha visto vestirsi, così ugualmente quando Gesù Cristo, Sommo Sacerdote, si rivestì di umanità nella sacrestia, ch’è la Beata Vergine, per dire la Messa nell’altare della croce, nessuno del popolo giudeo lo seppe, né lo vide quando si incarnò, perché questo avvenne molto segretamente.
      E se ancora volete più profondamente contemplare: così come il sacerdote si riveste nella sacrestia con sette vestiti, cioè: la cotta, se è semplice sacerdote, o se vescovo il rocchetto, o se religioso lo scapolare che supplisce la cotta; perché il presbitero non deve rivestirsi direttamente sul suo proprio vestito [su propia ropa]. Il secondo vestito è l’amitto [nel manoscritto: lo amit]. Il terzo è l’alba [o càmice, -nel manoscritto: la camisa]. Il quarto è il cingolo. Il quinto è la stola. Il sesto è il manipolo. Il settimo è la càsula [nel manoscritto: la casulla]. Così il sommo sacerdote Gesù fu rivestito nel ventre della Vergine Maria, che si dice sacrestia, con sette vestiti che sono i sette doni dello Spirito Santo. Di questi vestiti parla Isaia 11, 1-2, quando dice: Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore: spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Ecco come i sette doni dello Spirito Santo di cui fu rivestito sono ripresentati dai sette vestiti con cui il sacerdote si riveste in sacrestia.
      E in queste altre parole di Isaia (Is. 4,1) parlando di questi vestiti, o doni dello Spirito Santo, li chiama donne quando dice: Sette donne afferreranno un uomo solo in quel giorno, cioè nell’incarnazione. Sette donne, è come dire che i sette doni dello Spirito Santo, ricevono un solo uomo, ossia Gesù Cristo. E questo lo ripresentano i sette indumenti del sacerdote. E perciò il sacerdote prima di tutto deve indossare la cotta [el sobrepelliz] che è il primo di questi sette vestiti. Fin qui la prima opera di Gesù Cristo ripresentata nella Messa solenne. Pertanto molto bene si dice: Fate questo in mia memoria (Lc. 22, 19 ; 1 Cor. 11,23).


2. – La seconda opera che compì nostro Signore Gesù Cristo fu la Natività, perché Egli non volle nascere in un palazzo come il Pretorio pieno di magnificenze. E la notte fu chiara come il giorno. E volle nascere tra Giuseppe e la Vergine, e giacere coricato tra il bue e l’asino. Le schiere angeliche cantavano: Gloria a Dio nel più alto dei cieli (Lc. 2, 14). I pastori vennero ad adorarlo. Ecco allora che (Cristo) dapprima stava in quella gloriosa sacrestia, cioè la Beata Vergine, però in seguito si manifestò pubblicamente e si rivelò.
      E questo lo ripresenta il sacerdote quando esce dalla sacrestia, giacchè il sacerdote ripresenta Cristo; mentre il diacono e il suddiacono stanno a ripresentare la Vergine e Giuseppe che stavano a ciascun lato di Cristo; i due accoliti ripresentano il bue e l’asino; e la luce che portano gli accoliti sui candelieri ripresentano quel chiarore che brillò alla nascita di Gesù Cristo, sommo sacerdote; il coro dei chierici che cantano “Gloria al Padre e al Figlio”, ecc. quando il sacerdote esce dalla sacrestia ripresenta il coro degli Angeli cantando: Gloria in excelsis Deo (Lc. 2,14) durante la nascita di Gesù Cristo. In alcune chiese esiste il lodevole uso che quando si dice “Gloria al Padre” suonano i campanelli, così si ripresenta la gioia dei pastori che suonavano le loro zampogne.
      Così ugualmente, il sacerdote esce con il volto e le mani lavate, ben pettinato, per cui in alcune sacrestie esiste un pettine, ed esce con il piviale dorato [nel manoscritto: capa dorada] ed egli tutto puro senza colpa [sine taca] né macchia. Questo è così per dimostrare che Gesù Cristo esce, o nasce, senza alcuna colpa, né macchia, né corruzione  della Vergine e nasce con grande gioia. Per questo il re Davide canta nel Salmo (Sal. 18,6): I cieli narrano … nel sole pose la sua tenda; ed egli medesimo come sposo che esce dalla stanza nuziale. Perché esce bello e rasato [nel manoscritto: affaytàs], così come lo sposo esce dall’abitazione con anelli alle mani. E tutto ciò nella Messa solenne.

3. – La terza opera realizzata meravigliosamente dal Figlio di Dio fu che l’ottavo giorno volle esser circonciso. E a quanti si interrogano con certa diligenza perché mai si esegua la circoncisione (cf. Lc. 2,21) (dico) guardate l’eccellenza di quest’opera, quanto Cristo si umiliò. Giacché così come il ladro si marca col fuoco, o gli si accorciano le orecchie in seguito a un furto perché sia conosciuto, così Dio per segnalare quel furto (latrocinio), quello che fece Adamo, ordinò di circoncidere gli uomini senza escludere il nostro Gesù Cristo per quanto Egli non era obbligato alla circoncisione perché non venne dalla corrotta generazione di Adamo, ma era puro e senza macchia, però volle ugualmente circoncidersi.
      E questo il sacerdote lo ripresenta quando ai piedi dell’altare dice: “Io peccatore”, ecc. Giacché anche se il sacerdote si fosse già sacramentalmente confessato, sale all’altare con altre mancanze, e perciò si proclama peccatore benché sia santo, come santo è Giovanni Battista.
E così mostra e fa capire che Gesù Cristo, che possiede la pienezza e la fonte della santità, volle mostrarsi anche peccatore e soggetto alla legge della circoncisione. Così il sacerdote confessandosi è come se togliesse il velo o il panno che tiene davanti a sé, e questo ripresenta quanto avviene nella circoncisione di Gesù Cristo: la pelle fu tolta e messa a parte. E guardate a quanto  con autorità afferma la lettera ai Romani (Rm. 8,3): Dio …: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, Egli ha condannato il peccato nella carne, ecc. Non dice che avesse il peccato della carne, ma che inviò suo Figlio in una carne simile a quella del peccato e volle passare per la circoncisione, come se fosse carne del peccato, ecc.

4. – La quarta opera fatta da Gesù fu il guidare col segno d’una stella dagli estremi confini del mondo orientale i santi Re Magi che L’adorarono coricato poveramente nel presepio tra gli animali: Aprirono poi i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Mt. 2,11).
      E questo il sacerdote lo ripresenta quando dopo fatta la confessione, inchina il capo profondamente [nel testo: fino alle ginocchia], e così con la testa inchinata adora e dice questa preghiera: “Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità, affinché possiamo entrare con mente pura nel Santo dei Santi …”.
      Allora come i santi Re Magi offrirono tre doni – oro, incenso e mirra – così il sacerdote quando è inchinato offre l’incenso della devota orazione dicendo: “Togli da noi”, ecc. e offre oro quando s’abbraccia all’altare con una grande e riverente adorazione, offre mirra amara al segnarsi con la santa croce ricordando la dolorosa e crudele Passione di nostro Signore Gesù Cristo, come dicendo col profeta Geremia nelle Lamentazioni, secondo il terzo lamento (Lm. 3, 20-21): Ben se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima. Questo intendo richiamare alla mia mente, e per questo voglio riprendere speranza. E questa memoria dolorosa è ripresentata nell’amarezza della mirra.
 5. – La quinta opera realizzata dal nostro Salvatore Gesù Cristo in questo mondo fu quando volle presentarsi nel Tempio e la Beata Vergine e Madre sua lo portò allo stesso Tempio e l’offrì al sacerdote, stando lì presenti anche Simeone e quella santa profetessa Anna che lodavano Dio.
      Questo il sacerdote lo ripresenta quando passa all’angolo dell’altare e preso il libro dice l’Introito della Messa; il diacono e il suddiacono che gli sono accanto ripresentano Simeone e Anna. Gli accoliti e tutti gli altri che ascoltano l’ufficio, ma che non devono salire all’altare, ripresentano  quando la Vergine Maria e Giuseppe e altri amici stavano di lontano ascoltando umilmente [da altri manoscritti: la Vergine Maria era degna di avvicinarsi all’altare] dov’era il santissimo Bambino, però non volle farlo per darci esempio di come non dobbiamo avvicinarci all’altare [da altri manoscritti: quando non c’è necessità; nel caso contrario sempre ne avremo responsabilità]. E quando San Simeone ricevette tra le sue braccia il prezioso e glorioso Figlio della Vergine, intonò quel canto (Lc. 2, 29-32): Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, che ha quattro strofe che si cantano [nel manoscritto: capella] e perciò il sacerdote ripresentando questo compie quattro azioni. Dapprima: l’Introito della Messa; poi: i Kyrie eléison [nel manoscritto: los kirios]; poi ancora: il Gloria in excelsis e infine: l’orazione.
 6. – La sesta opera compiuta dal Salvatore e Signore Nostro Gesù Cristo in questo mondo fu la fuga dalla Terra Promessa verso la terra d’Egitto, scappando dal pazzo furore di Erode, ed ivi per sette anni visse in esilio e nascosto con la sua divina Madre e Giuseppe. Ciò è ripresentato nella Messa quando il suddiacono con un accolito si appresta a pronunciare (proclamare) l’Epistola mentre il sacerdote e il diacono restano seduti separati dall’altare, e così stando seduto alla sede compie sette opere che ripresentano quei sette anni che Gesù Cristo con Maria e  Giuseppe passò in esilio. Prima:  si legge l’Epistola; seconda: si dice o legge il Responsorio; terza: si legge l’Alleluia; quarta: si legge il verso e la prosa della Messa solenne; quinta: si prepara un servizio per sé medesimo, l’acqua e il vino; sesta: benedice l’incenso; settima: dà la benedizione al diacono.
       Queste sette cose le compie restando nel medesimo posto per dimostrare che il Salvatore dimorò sette anni in Egitto.

7. – La settima opera fatta dal nostro Salvatore Gesù Cristo in questo mondo fu, una volta morto  il Re Erode, ritornare dall’Egitto verso la terra Promessa, e la sua Madre e Giuseppe Lo condussero al Tempio di Gerusalemme per sacrificare e lì si perdette e dopo tre giorni fu trovato tra i dottori della legge; e veniva interrogato di qualche questione e come dice san Girolamo nel prologo della Bibbia: “Insegna molto più chi prudentemente interroga”.
      E questo è ripresentato dal sacerdote quando dalla sede va all’altare e con gran diligenza pensa ciò che ascolta del Vangelo; e insegna molto più quando medita e ascolta, e con ciò può dirsi che così Gesù Cristo nel Tempio ascoltava i giudei e li interrogava. Proprio così san Luca nel suo Vangelo (2,46) dice: ascoltandoli attentamente e interrogandoli. Allo stesso modo la contemplazione che fa il sacerdote udendo il Vangelo non è altro se non una interrogazione. E così mostra che Gesù Cristo interrogando prudentemente istruiva i dottori nella fede. Perciò immediatamente il sacerdote dopo [in altri manoscritti: che il diacono termina] l’Evangelo, canta il “Credo in Dio”, dove sono contenuti i princìpi della fede (le sue verità fondamentali).

8. – L’ottava opera che il nostro Salvatore Gesù Cristo fece in questo mondo fu l’incontro nel Tempio con Maria sua Madre che fu benedetta col gusto di così grande gaudio che non poté contenere le lacrime e benedì il Signore. Ora ammirate che cosa fece il glorioso Signore e quanta  fu la sua abbondantissima e grande umiltà, che appena intravide sua madre benedetta si avvicinò a lei e a Giuseppe e confortava la sua sacratissima Madre, asciugandole le lacrime [nel manoscritto: torquant – li les làgrimes] e ritornò con gli stessi a Nazareth, e pur essendo il Re dei Re e il Signore di tutto il mondo, pur tuttavia  voleva essere suddito di sua Madre e di Giuseppe. Lo dice Luca (Lc. 2,51): Ed era loro sottomesso.
      Queste consolazioni che Gesù offriva a sua Madre le ripresenta il sacerdote quando, detto il Credo, si volge al popolo dicendo: Il Signore sia con voi. E dopo ciò segue tutto quel che fa il sacerdote sull’altare preparando i corporali e l’ostia e il calice che appartengono al sacrificio e ripresenta quel ministero e servizio che offrì nostro Signore Gesù Cristo alla sacratissima sua Madre. Perciò Egli medesimo diceva in Matteo (Mt. 20,28): Il Figlio dell’uomo non è venuto ad essere servito, ma a servire.

9. – La nona opera, realizzata dal Signore e nostro Salvatore Gesù Cristo, fu che dopo aver accudito e servito sua Madre, per quel che si legge in san Matteo e san Marco (cf. Mt. 13,55; Mc. 6, 3) il nostro Salvatore nella sua umiltà aiutava suo padre putativo Giuseppe nell’ufficio (professione) di carpentiere [nel manoscritto: fuster], dal momento che nella sua anzianità non poteva più maneggiare la sega, e pertanto l’aiutava a maneggiarla. Perciò riferendosi a questo passo evangelico il Maestro Nicolàs di Lyra dice che Gesù esercitò questa professione. A ragione i giudei, vedi in Matteo (cf. Mt. 13, 55) e Marco (cf. Mc. 6, 3), dicevano: Non è questi il figlio del carpentiere? Perché nostro Signore Gesù Cristo aiutava Giuseppe per poter vivere, perciò credevano i giudei che fosse suo figlio. [Nel manoscritto a continuazione si legge: Qué estùpidos!].(!)
Dopo di ciò il benedetto Signore arrivò all’età di trent’anni e fu a battezzarsi per quanto Egli non ne avesse necessità. Ma lo fece per santificare le acque per nostra salvezza.
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote lava le sue mani. Adesso vi domando: Perché il sacerdote si lava le mani? Forse non lavò la sua coscienza con la confessione sacramentale nonché le mani prima della Messa? Certo che sì, giacché non facendolo direbbe la Messa per la condanna della sua anima. Pertanto buona gente, il sacerdote lava le sue mani non perché sia bisognoso di pulizia, bensì per ripresentare il Salvatore e nostro Signore Gesù Cristo che ha la pienezza d’ogni santità e non necessitava di battesimo, però per umiltà e per nostra utilità Egli stesso volle battezzarsi e darci la virtù dell’acqua per lavarci.
A tal fine il sacerdote pur sacramentalmente confessato, benché sia santo e senza alcuna macchia di peccato, deve lavarsi le mani. Perciò il sacerdote dice: Lavo le mie mani nell’innocenza e mi muovo attorno al tuo altare, o Signore,  come dice il Salmo (Sal. 25, 6) supplica di un giusto nella persecuzione. In sintesi voglio dire: Ch’io sia puro e senza alcuna macchia di peccato, per essere annoverato tra gli innocenti; ma tu, Signore, che sei pienezza di santità, per ripresentare quel salutare bagno del nostro battesimo volesti esser lavato, e per questo io mi laverò adesso  
[nel manoscritto: Quaix que vulla dir: jatseia que yo sia pur, et net de màcula de peccat, per lo qual sia computat entre los innocents, emperò, Senyor, per representar aquell llavament del nostre baptisme, que jatseia que vós fósseu plenitudo de santedat, emperò volgués ésser llavat, perço yo·m llavaré ara].


10. – La 10ma opera che fece il nostro Salvatore Gesù Cristo in questo mondo fu – secondo quanto si legge in san Marco (cf. Mc. 1, 12) e san Matteo (Mt. 4, 1-11) – che dopo essere battezzato venne condotto nel deserto dove per quaranta giorni e quaranta notti digiunò, in questo tempo non prese nessun alimento corporale, ma se ne stette sempre in orazione non per sé stesso, non avendone bisogno, ma per noi peccatori.
      E ciò si ripresenta nella Messa quando il sacerdote davanti al centro dell’altare a mani giunte si umilia tanto quanto può chinando la testa e dicendo: Guarda l’umiltà delle nostre anime e la contrizione dei nostri cuori, per mostrare quelle umiliazioni e prostrazioni che il nostro Salvatore faceva nel deserto pregando. Poi il sacerdote volgendosi verso il popolo dice: “Pregate, fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia gradito”, col fine di mostrare che Gesù Cristo pregava per noi. E così come le orazioni che Gesù Cristo elevava nel deserto erano molto segrete e non le udiva nessun altro uomo, così anche questa preghiera Segreta che dice il sacerdote, la deve dire anche in segreto e non può essere ascoltata da altri.

11. – L’11ma opera fatta dal nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo in questo mondo fu che dopo aver digiunato nel deserto cominciò a predicare e proclamare ad alta voce: Convertitevi, perché è vicino il Regno dei Cieli! (Mt. 4, 17). Prima del digiuno non si manifestò, ma volle fare penitenza di nascosto e in occulto nel deserto. Lasciato poi il deserto, istruiva le genti dicendo: “Fate penitenza” e indicava loro qual vita dovevano vivere e insegnava loro come potessero evitare i peccati. E facendo questo ricorreva villaggi, città e castelli. E come con parole insegnava la sua santa dottrina, così anche la mostrava con le sue opere. Perciò il libro degli Atti degli Apostoli (At. 1, 1) dice: Ciò che Gesù fece ed insegnò fin dal principio.
      Buona gente [nel manoscritto: bona gent], grande sarebbe la benignità del re di Aragona se egli medesimo percorresse l’intero suo Regno ed egli stesso nelle piazze pubblicasse e raccomandasse la sua legge e i suoi ordinamenti. Bene, proprio così ha fatto  Gesù, Re dei Re e Signore dei signori, lodando potentemente la sua legge, e nel caso non trovasse un pulpito adatto niente lo fermava ma usava qualunque podio o scala delle piazze e di là esponeva la sua legge; se all’inizio non aveva tanta reputazione tra giudei e farisei perché si fermassero ad ascoltare le sue prediche, dopo però, perché la sua fama crebbe tanto volevano toglierlo di mezzo.
      Questo lo ripresenta il sacerdote quando dice ad alta voce il Prefazio: “In alto i cuori!”. Per mostrare che così come Gesù Cristo parlava con la bocca e insegnava con l’esempio, ugualmente anche il sacerdote, dicendo il Prefazio, tiene o deve tenere le mani alzate e non abbassate, per così mostrare ch’egli, che predica la parola di Dio, deve con l’esempio e i fatti  dimostrare quelle parole che annunzia e proclama. Perciò san Paolo attribuendo a Gesù Cristo tutto questo diceva: Non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito Santo (Rm. 15, 18-19).  Così ogni predicatore, ecc.

12. – La 12ma opera che realizzò il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo fu che non solamente mostrava con le sue opere quel che predicava, bensì anche confermava la sua dottrina con miracoli che nessuno, che non fosse Dio, poteva fare. E questo lo realizzava principalmente come Signore. Ai ciechi dava la luce; i paralitici, mal ridotti a pelle e ossa, ringiovanivano; ai sordi ridonava l’udito; i muti parlavano e i morti risuscitavano (Mt. 11, 5).
      Tutto ciò lo ripresenta nella Messa il sacerdote quando dice: “Santo, Santo, Santo è il Signore Dio delle schiere celesti”, ecc. Tre volte dice Santo per mostrare che i miracoli che Gesù Cristo faceva non li realizzava per virtù umana bensì in virtù delle tre divine persone Padre, Figlio e Spirito Santo, un solo Dio. Dice poi l’ “Osanna” – che è come dire: “salvaci!” – per mostrare che Gesù Cristo faceva i miracoli, e li faceva per la nostra salvezza.

13. – L’opera 13ma che il nostro Salvatore Gesù Cristo realizzò in questo mondo – dopo aver perfettamente predicato ed essersi mostrato chiaramente per quel che era e aver completato in modo eccellente la sua opera evangelizzatrice durata quasi quattro anni completi, e confermata con le sue opere, con miracoli –  vedendo vicino il tempo della sua passione si riunì per cenare con i suoi discepoli e lì in segreto tenne loro un gran sermone che nessun evangelista riferisce se non il solo san Giovanni e questo sermone va dal capitolo 13 non completo fino al capitolo  17.
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice il Cànone segretamente  e lo dice talmente in segreto che nessuno lo ode fuorché quanti sono con lui, ossia il diacono e il suddiacono. Perché quel sermone che tenne Gesù nell’altare della Cena fu anche segreto, giacché nessuno l’udì tranne i seduti a mensa con Lui, cioè, gli Apostoli.

14. – La 14ma opera fatta dal nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo dopo aver tenuto quel gran sermone a cena con gli Apostoli fu l’incamminarsi verso l’orto degli ulivi per fare orazione e pregò tre volte Dio Padre dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! … Lo spirito è  pronto, ma la carne è debole (Mt. 26, 39.41). Gesù in quanto Dio non temeva la morte, però sì come uomo. E pertanto, consapevole delle sofferenze che avrebbe patito, diceva: Padre mio, se è possibile, che passi, ecc. Quest’amarezza della passione si basa nella sensualità che è inferma, però lo spirito sta pronto.  Pregando per la terza volta, sperimentò un tremore e un sudore di sangue, fu allora che gli apparve l’angelo a confortarlo (Lc. 22, 43-44). Non come se Gesù avesse bisogno di coraggio, ma come lo scudiero che conforta il suo signore forse  dicendogli: “Signore sforzatevi, perché adesso otterrete vittoria sui vostri nemici” [nel manoscritto: Senyor sforçau-vos, que ara haurem victória de vostres
enemichs]; così l’angelo diceva al nostro Salvatore: “Guardate mio Signore alle anime sante che v’aspettano nel Limbo dell’inferno e che già bramano la gloria, e così conforterete l’umanità vostra”. E il clementissimo Signore pregò per sé e per noi. Per sé medesimo pregando Dio Padre per la sua risurrezione; non perché stesse dubbioso della sua risurrezione, o impotente per risuscitare, ma perché così conveniva che fosse. E questo lo faceva come uomo. E pregò anche per noi: perché non mancasse a Lui la costanza e la volontarietà di morire per noi, e a noi il costante ardore e la fermezza nel sostenere anche la morte per Lui medesimo e così risuscitare gloriosi.
      Si ripresenta nella Messa quando il sacerdote traccia tre croci sul calice dicendo: “Benedetta (bene+dictam), gradita (adscrì+ptam) e approvata (ra+tam)”, significando quelle tre orazioni che il Salvatore elevò nell’orto. Fa poi altre due croci sull’ostia mostrando così che [Gesù] pregava per due, ossia, per sé medesimo [in quanto uomo] e per noi.


15. – La 15ma opera che il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo fece in questo mondo fu che dopo l’orazione nell’orto arrivò una gran moltitudine di gente con spade e bastoni, e il benigno Signore volle esser preso e legato. Così stretto con funi Lo condussero con grande obbrobrio  e gravi insulti davanti a Pilato. Dove finalmente gli fu annunziata la sentenza di condanna ad esser crocifisso, (sentenza) alla quale il benignissimo Signore non volle appellare, ma anzi abbracciando la stessa croce sulla quale sarebbe stato crocifisso, la caricò sulle spalle e la portò fino al luogo dove doveva essere appeso.
      E questo si ripresenta nella Messa quando il Sacerdote tiene l’ostia nelle mani per consacrarla e traccia il segno di croce sull’ostia. E questa croce fatta sull’ostia significa la sentenza di morte data da Pilato su Gesù Cristo.

16. – La 16ma opera di Gesù Cristo in questo mondo dopo la lettura della sentenza di morte fu l’esser condotto al monte Calvario e lì fu appeso in mezzo a due ladroni. E fu elevato in alto fino a tener sospeso tutto il suo corpo fissato con i chiodi delle sue due mani.
      E questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote innalza l’Ostia tra la mano destra e la sinistra, che sono i due ladroni, che stavano uno a destra e l’altro alla sinistra. E l’Ostia nel mezzo significa Gesù che stava in  mezzo ad entrambi. E la bianchezza dell’Ostia indica come Gesù in croce impallidì e perse il colorito e il sangue. Poi il sacerdote elevando il calice ripresenta quando Gesù Cristo in croce offrì il suo sangue, dicendo: “Padre mio, benedici e accetta il mio sangue , che Ti offro per la remissione dei peccati di tutto il genere umano”. E perciò il sacerdote eleva il calice come dicendo:”Padre, Ti offriamo il prezzo della nostra redenzione”.

17. – La 17ma opera fatta da Gesù Cristo in questo mondo fu che durante tutto il tempo che stette inchiodato sulla croce non cessò di pregare, dicendo ad alta voce: “¡Elí, Elí! ¿lemá sabactaní?”, ebraico che in latino vuol dire: “Deus meus, Deus meus , ut quid dereliquisti me?” (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) (Mt. 27, 46).
      Dice san Girolamo che in quel momento Gesù iniziò la recita del salmo “Dio mio, Dio mio!” (Sal. 21) e prolungò la sua orazione dicendo i salmi seguenti fino a quel passo che dice: “Nelle tue mani raccomando il mio spirito” (Sal. 30, 6; Lc. 23, 46). In tutto sono 150 versetti, e Cristo li recitò tutti dalla croce: e corrispondono al numero dei salmi del Salterio. E mentre stette in croce quei giudei non cessarono di lanciarGli ingiurie e vituperi dicendoGli: “Malvagio tu, che hai ingannato il mondo [nel manoscritto:  O, tu malvat, que has enganat lo món!] Imbroglione!, che salvò altri e non può ora salvare se stesso”. Altri dicevano: “Falso profeta! Dicesti avresti distrutto il Tempio di Dio e in tre giorni l’avresti ricostruito”. Un altro ancora diceva: “Se è il Figlio di Dio, che discenda immediatamente dalla croce!” (cf. Mt. 27, 40-42). E altre ingiurie Gli dicevano. E il benigno Signore nulla diceva, ma teneva pazienza e continuava orando.
      E questo lo ripresenta il Sacerdote quando stende le braccia e poi dice: “Pertanto, Signore, noi tuoi servi ricordando …”. Così ugualmente il Sacerdote non cessa di dire queste parole per mostrarci che Gesù in croce continuava la preghiera e non desisteva.

18. – La 18ma opera compiuta da Gesù in questo mondo fu che nonostante Egli fosse tutta una ferita e avesse quattro piaghe alla mani e ai piedi, pur tuttavia volle ancora sopportare per amore nostro che gliene aprissero un’altra nel costato, e uscì sangue e acqua. Fu questo un gran miracolo perché il suo sangue fu sparso nel sudore e nella flagellazione, e nell’atto della coronazione di spine, ed altresì nella perforazione delle mani e dei piedi, eppure dopo essere morto all’aprirGli il costato uscì sangue e acqua (cf. Gv. 19, 34).
      Tutto ciò si ripresenta nella Messa quando il Sacerdote con l’Ostia traccia cinque croci, dicendo: “Per Lui, con Lui ed in Lui”, per significare in questo modo le cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo, ecc.
19. – La 19ma opera che in questo mondo fece il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo fu, quando crocifisso, disse ad alta voce le sette parole. La prima parola fu quando Egli pregò per tutti i suoi crocifissori dicendo: Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno (Lc. 23, 34). Difatti credevano di appendere al legno un imbroglione o un uomo peccatore, mentre in realtà crocifiggevano proprio il Figlio di Dio Redentore.
La seconda parola quando disse al ladrone: Oggi, sarai con me in Paradiso (Lc. 23, 43).
La terza parola è, o fu, quando vedendo sua Madre che se ne stava morendo per l’indicibile ammirabile dolore – che meraviglia fu mai quella di questo Cuore che non si spezzò! [nel manoscritto: que maravella era com no trencava per lo cor – dicendo: “O Signore e figlio mio carissimo! Al ladrone gli parli e a me non vuoi? Non vuoi parlare? Che piaccia alla tua clemenza dire qualche parola alla Madre tua tanto desolata”. E allora il Signore le disse: Donna, ecco tuo figlio (Gv. 19, 26). Quindi volto a san Giovanni disse: Ecco tua Madre (Gv. 19, 27).
La quarta parola fu quando disse: Elì, Elì! Lemà sabactanì? Cioè: Dio mio, Dio mio! Perché mi hai abbandonato? (Mt. 27, 46). Non che lo abbandoni nella sua divinità, se non che fu abbandonato dai parenti, amici e Apostoli.
La quinta parola fu quando disse: Ho sete (Gv. 19, 28). La Vergine Maria udendo suo figlio aver sete desiderò in quell’istante che le sue viscere si convertissero in acqua perché Egli potesse bere. E allora, disse: “Figlio mio carissimo, e Signore, non tengo acqua, però se vuoi le lacrime, ricevi questo velo che sta pieno di lacrime”.
La sesta parola fu quando disse: Tutto è compiuto! (Gv. 19, 30), cioè, tutta l’umana redenzione.
E la settima parola quando disse: Padre, nelle tue mani, affido il mio spirito (Lc. 23, 46). E inclinò la testa come se dicesse: “Madre mia, consolati con il discepolo e vigilate bene mentre a Dio vi affido perché già me ne muoio e me ne vado all’altro mondo”.
      Si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice il “Pater noster” in cui ci sono sette richieste che indicano le sette parole che Gesù pronunciò sulla croce. Così allo stesso modo il sacerdote pronuncia queste petizioni ad alta voce, perché Gesù disse quelle parole a voce alta, ecc.

20. – La 20ma opera che il nostro Salvatore fece in questo mondo fu che non contento con la morte e le piaghe che sopportava sulla croce volle ancora che la sua preziosa umanità si dividesse in tre parti. La prima parte perché il suo corpo rimase sulla croce. La seconda parte fu il sangue che si sparse alla base della croce. La terza parte fu la sua anima, che discese agli inferi con i santi padri. E in questo modo fu divisa l’umanità di Gesù Cristo.
      Questo lo ripresenta il sacerdote quando spezzetta l’Ostia in tre parti e le tiene insieme per dimostrare che per quanto l’umanità venne divisa in tre parti, nonostante  la divinità rimase con ciascuna di esse. E ciò si spiega chiaramente con l’esempio di un vetro o cristallo esposto al sole, perché dividendo o frantumando vetro o cristallo, il sole non cessa di illuminarne le parti divise, e le illumina molto bene allo stesso modo che se fossero unite; sono difatti tutte illuminate dalla chiarezza solare, sia in una come nell’altra forma. Così, l’umanità di Cristo, pur divisa in più parti, tuttavia ogni singola parte era personalmente e sostanzialmente piena della divinità, come ciascuna parte del vetro sta piena di sole.

21. – La 21ma opera realizzata in questo mondo dal nostro Salvatore e Signor Gesù Cristo fu l’aver convertito molte persone di diverse condizioni. Volle che già si vedesse il frutto della redenzione. E per questo convertì dapprima il ladrone, che fu un uomo di mala vita, ribelle, criminale. In secondo luogo convertì il Centurione ch’era il capitano della gente armata e che disse: Veramente costui era Figlio di Dio (Mt. 27, 54). In terzo luogo convertì l’umile popolo, ed è san Luca che lo cita dicendo: Anche tutte le genti che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto (Lc. 23, 48). Si noti che dice “tutte le genti”, non le truppe maliziose come gli scribi o farisei, bensì le genti semplici e profane che vedendo il miracolo che accadeva battendosi il petto dicevano: “Che miserabili! Abbiamo crocifisso il Salvatore”.
      E perché nostro Signore nella sua passione convertì queste tre classi di persone, per questo in suo ricordo il sacerdote dice tre volte “Agnello di Dio”. La prima volta lo diciamo particolarmente per ogni peccatore supplicando che lo perdoni come perdonò al ladrone, e ugualmente a me che sono peccatore. La seconda volta, chiediamo che come illuminò e aprì gli occhi del Centurione che comandava la milizia, così ugualmente illumini e perdoni chiunque governi il popolo, o abbia cura pastorale delle anime, affinché esse raggiungano la salvezza. La terza volta diciamo “Agnello di Dio” per chiedere che come convertì l’umile popolo così ugualmente converta il comune popolo cristiano e lo conservi in buona salute e in pace e gli perdoni tutti i suoi peccati.

22. – La 22ma opera che Gesù realizzò in questo mondo per amore nostro è che dopo la sua sacra morte non volle direttamente salire al Cielo bensì per la sua grande umiltà volle prima discendere agli Inferi molto segretamente per dare la gloria ai santi padri, che al vederLo la ottennero. E i santi padri dicevano: “Glorioso Signore! Sono tanti gli anni che (Ti) aspettavamo”, difatti da cinquemila anni lo aspettavano con grandi aneliti e sospiri.
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote lascia cadere nel calice una parte dell’Ostia che ivi si impregna, per mostrare come nella visita dell’anima di Cristo al Limbo le anime dei santi si estasiarono di gloria e furono così inebriate e illuminate dall’amore di Dio che ignoravano quanto era loro successo e con dolce amore lodavano e benedicevano Dio, dicendo: Benedetto il Signore Dio di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo … (Lc.1, 68).

23. – La 23ma opera che realizzò fu che dopo la sua benedetta morte volle esser deposto dalla croce per le mani di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo, che col permesso di Pilato lo tolsero dalla croce e lo posero sulla pietra [mensa del sepolcro].
E la Beata Vergine Maria con altre sante donne, e parenti e amici, stava d’intorno al corpo. E baciando gli occhi la Vergine Maria diceva: “O gloriosi occhi che scrutinavano i cuori umani con i loro pensieri!”. E baciava gli orecchi dicendo: ”O orecchi che udivano i canti che intonano in Cielo gli Angeli!”. Poi baciava il naso, dicendo: “O naso che percepisti il fragrante odore della gloria paradisiaca!”. Poi Gli baciava il Volto santo dicendo:  “O Volto che dai gloria agli Angeli!”. Poi baciava la ferita del Costato, dicendo: “O porta gloriosa che ci introduci in Paradiso! O Fedeli cristiani che anelate entrare in Paradiso, venite, qui c’è la porta aperta, giacché mio figlio l’aprì per voi!”. Poi baciava le mani, dicendo: “O mani che creaste il cielo e la terra con tutto ciò che contengono!”. Poi baciava i suoi piedi, dicendo: “O piedi benedetti che misurarono la gloria del Paradiso!”. E (san) Lazzaro, santa Maria Maddalena, santa Marta, Giuseppe d’Arimatea e tutti gli altri fedeli si avvicinavano a quel sacratissimo corpo e pensavano il momento propizio per poterlo adorare e offrirgli totale riverenza.
      Questo nella Messa lo ripresenta il sacerdote quando dopo aver dato la pace, per un breve momento sostiene nella sua mano l’Ostia prima di consumarla e allora il buon sacerdote se è devoto e immaginando il dolore della Vergine Maria, della Maddalena e dell’altra Maria e dei buoni cristiani che facevano quel cerchio intorno al corpo di Cristo, vedendo le piaghe e le ferite che Cristo sopportò per la redenzione del genere umano, deve piangere abbondantemente e sentire gran dolore e contrizione di cuore, ecc.


24. – La 24ma opera che il nostro Salvatore realizzò in questo mondo fu voler essere unto con balsamo e mirra e poi avvolto in una sindone bianca e immacolata ed esser posto e rinchiuso in un sepolcro di pietra, nuovo e senza alcuna alterazione o rottura.
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote riceve il corpo di Cristo, giacché il corpo del Sacerdote è il monumento nuovo di Gesù Cristo. E vi faccio notare che dico nuovo, perché nel corpo del sacerdote non deve esistere nessuna macchia, o immondezza di peccato come nel sepolcro di Gesù Cristo nel quale nessuno ancora era stato posto (Gv. 19, 41). Sì dev’ essere nuovo per la purezza e la castità. E come il monumento era di pietra resistente, così il presbitero deve essere forte e fermo in una vita buona e di fede.
E così come il corpo di Cristo venne avvolto in una sindone bianca e immacolata, altrettanto il corpo del sacerdote per la castità deve essere bianco e immacolato, perché dentro vi riposa il corpo di Cristo.
E così come il corpo di Cristo fu tutto imbalsamato ugualmente il corpo del sacerdote deve essere pieno di virtù, di giustizia e di perseveranza nella  penitenza.
E così come Cristo riposa in quella bianca tela, ugualmente riposa nella coscienza del sacerdote, che è il sepolcro di Cristo.
      Possiamo così ragionevolmente credere – benché non si trovi nei testi della Bibbia – che la Beata Vergine e gli altri fedeli cristiani credendo che Cristo risusciterebbe il terzo giorno, raccolsero il sangue ch’era stato versato ai piedi della croce e lo misero in un vaso limpido e fu posto nel sepolcro con il corpo, sì che la Vergine Maria sapeva che il sangue insieme col corpo risusciterebbe il terzo giorno. E perciò il sacerdote come sepolcro di Gesù Cristo che è santo e prezioso come il sepolcro di Gerusalemme – giacché quello è di pietra e tu sei a immagine e somiglianza di Dio, e il corpo del sacerdote è stato consacrato tutto, cresimato e unto e più santo.
C’è anche da considerare che in quel sepolcro fu posto il corpo di Cristo morto, e nel corpo del sacerdote si pone vivo. Ed ancora, ivi venne posto una sola volta, e il sacerdote lo riceve moltissime volte e alcuni lo ricevono tutti i giorni [e oggi più volte al giorno!].  
Ed ancora il corpo di Cristo non si macchiò in quel sepolcro essendo avvolto nella sindone e perciò quel sepolcro è detto santo: molto più santo si dice il corpo del sacerdote, dove il corpo di Cristo non si pone avvolto, bensì tutte le carni, le ossa e le membra lo toccano. O sacerdote! Diligentemente medita in questo.

25. – La 25ma opera realizzata da Cristo in questo mondo fu che risuscitò da vita mortale a vita immortale. E poi fu trovato il sepolcro aperto.
      E questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dal centro dell’altare va all’angolo del medesimo per mostrare che così Gesù Cristo passò dalla vita mortale alla immortale. E il sacerdote presenta il calice vuoto per mostrare che il sepolcro di Cristo fu trovato aperto e vuoto. Allora il diacono piega i corporali per mostrare che nel sepolcro si trovarono le bende e il sudario ripiegati [su se stessi], ecc. (cf. Gv. 20, 5-7).

26. – La 26ma opera che Gesù Cristo realizzò in questo mondo fu che dopo la sua gloriosa Risurrezione si manifestò (apparve) a santa Maria Maddalena e agli Apostoli, però prima ancora apparve alla Vergine Maria. Non solo le si manifestò da solo, come fece con santa Maria Maddalena, bensì insieme a tutti i santi Patriarchi e Profeti e altri santi Padri.
      E ora, buona gente [nel manoscritto: bona gent], meditate quale consolazione doveva tenere la Vergine Maria quando vedeva il glorioso suo Figlio con quella moltitudine di Santi.
      Tutto ciò si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice: “Il Signore sia con voi!”. E di seguito dice (canta) l’orazione postcommunio che ripresenta le parole di consolazione che si scambiarono nostro Signore Gesù Cristo e la sua gloriosa Madre, e come i santi Padri lodavano il nostro e loro Salvatore. E di seguito facevano riverenze alla Madre dicendole: “Regina del Cielo”, non piangete più, e non abbiate né tristezza né disgusto, ecc.

27. – La 27ma opera che Gesù Cristo realizzò fu quando in questo mondo apparve agli Apostoli e mostrandosi in mezzo a loro disse: Pax vobis (Gv. 20, 19).
      E questo viene ripresentato dal sacerdote quando mettendosi al centro dell’altare e volgendosi verso il popolo dice: “Il Signore sta con voi!” che quasi vuol dire, è come se dicesse pace a voi.

28. – La 28ma opera che fatta da Gesù Cristo in questo mondo fu che quando doveva salire al Cielo, chiamando gli Apostoli disse loro: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura; dicendo anche: Chi crederà e sarà battezzato si salverà (Mc. 16, 15-16; Mt. 28, 19-20).
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice: “Potete andare in pace”, dando permesso al popolo di ritornare alle loro case per compiere i loro doveri, perché si è completato l’ufficio e il sacrificio, così come Cristo dette agli apostoli il permesso (missio) di andare per il mondo essendo stato compiuto il sacrificio.

29. – La 29ma opera di Gesù Cristo in questo mondo fu quando compì la promessa fatta a Pietro e agli Apostoli, dando al beato Pietro il reale possesso del Papato con queste parole: Pasci le mie pecore (Gv. 21, 17). Allora fu fatto papa. E agli altri chierici disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati … (Gv. 20, 22-23).
      E questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote sul finire della Messa torna a umiliarsi inclinando il capo davanti all’altare tanto quanto può, dicendo: “Gradisci, o Trinità santa, ecc.” E quindi rende grazie baciando l’altare e chinandosi per mostrare l’infinita misericordia con cui Egli volle umiliarsi e quale potere così alto egli tiene - ossia, per perdonare i peccati - (potere) che è solo di Dio e l’ha dato (anche) agli uomini: Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo? (Mc. 2,7). E perciò (il sacerdote) si inchina per mostrare che dinanzi a Dio si inchinerebbe [Gesù Cristo] essendo uomo giacché gli uomini non avevano questo potere. Conseguentemente bacia l’altare riconoscendo questa grazia e subito si segna col segno della santa croce indicando che per la virtù della santa croce venne l’assoluzione, ecc.

30. – La 30ma opera che Gesù Cristo realizzò in questo mondo fu quando apparve alla sua gloriosa Madre e agli Apostoli e li benedisse insieme ai cristiani uomini e donne. E perciò disse il beato Luca: Elevate le sue mani, li benedisse … e fu portato verso il cielo (Lc. 24, 50-51). Allora diceva la Vergine Maria, (interiormente) piangendo: “O Figlio mio, non vengo con Te? Mi lasci qui tra i giudei?”. Allo stesso modo gli Apostoli piangevano dicendo: “Signore, quando ti vedremo di nuovo e quando ritornerai?”. E allora, ecco qui che Cristo dette la benedizione e salì al cielo, donde era uscito.
      E questo si ripresenta nella Messa, quando il sacerdote data la benedizione, ritorna nella sacrestia donde era uscito.
      Ecco qui come tutta la vita di Cristo sta ripresentata nella Messa. E perciò il tema dice: Fate quello che Egli vi dirà  (Gv. 2, 5). Cioè, ripresentare nella Messa tutta la vita di Cristo e non soltanto la Passione. Pertanto, buona gente [nel manoscritto: bona gent], Fate questo in mio ricordo (Lc. 22, 19 e 1 Cor. 11, 23).  Cioè, che voi chierici [devotamente celebrerete la vita di Cristo e voi laici] devotamente udendo e non parlando nella messa, né avvicinandovi all’altare, bensì pregando in silenzio, perché così non disturberete che vi sta vicino. Per questo la Vergine Maria  lo diceva: Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2, 5), che è il tema.
      Alcuni questo non l’incontrano nella Bibbia, però a me sembra che con tutto questo concordano altre autorità: Ascoltate il giudizio del padre, figli amati, e operate così per essere salvi (Sir. 3, 2). Voi cristiani che siete “figli amati, ascoltate il giudizio del padre”, ossia la Messa e “perché siate salvi”. Questa autorità chiama “giudizio” (precetto, comando) la Messa, perché ne abbiate grande riverenza, tanto i sacerdoti che dovete andare alla celebrazione di questo sacramento infiammati d’amore, e tanto le genti del popolo che devono con gran riverenza, ascoltare, non parlando né avvicinandosi all’altare.
      Questo è il sermone predicato.
      Rendiamo grazie a Dio. >>
Vero Volto di GESU' CRISTO
Da:http://biblioteca.campusdominicano.org/vitachristi.pdf                  

AMDG et DVM