giovedì 12 dicembre 2019

L'Immagine della Madonna di Guadalupe a Santo Stefano d'Aveto - Genova

L'immagine della Madonna di Guadalupe anche a Genova 

di Laura Stagno
immagini di Laura Stagno
articolo estratto da L'Immacolata nei rapporti tra l'Italia e la Spagna  link esterno , volume a cura di Alessandra Anselmi, De Luca Editori d'Arte

AVVISO: La critica storica è abbastanza manipolata in alcuni studi. Ergo: attenzione!
Tra le effigi immacoliste maggiormente venerate nel mondo, l'immagine acheropita della Vergine di Guadalupe vanta da secoli un ruolo preminente.
In un passo del suo Imagen de la Virgen María 1 - (1648) il testo chiave per la definizione del culto guadalupano, al quale fornisce una serrata e baroccamente immaginifica legittimazione teologica - il celebre predicatore creolo Miguel Sánchez chiama a raccolta i regni della Cristianità, affinché radunino tutte le immagini miracolose della Madonna, per consentire al consesso di sacre effigi di riconoscere la superiorità della Virgen messicana 2.
Il trattato contiene il primo resoconto noto della "leggenda dell'apparizione" connessa all'icona guadalupana 3: nel dicembre 1531 la Madonna sarebbe apparsa ad un indio di umili origini, Juan Diego, per tre volte sul colle del Tepeyac, nei dintorni di Città del Messico e ancora una volta sulla strada per Tlatilolco; il suo ritratto si sarebbe poi miracolosamente impresso sulla tilma (mantello) dell'uomo, da quel momento venerata presso la cappella eretta per ordine della stessa Vergine sul luogo dell'apparizione.
La Madonna di Guadalupe - Città del Messico
Sánchez afferma che l'effigie comparsa sul manto, pur autenticamente messicana, criolla, è nel contempo la copia perfetta - ottenuta senza intervento umano - dell'immagine della Donna dell'Apocalissi, vista prima da San Giovanni a Pathmos e poi dall'indio a Tepeyac. Juan Diego è, a tutti gli effetti, il nuovo Giovanni: "la visión del indio es una repetición "arquetipica" de una hierofaniaque afecta a "un nuevo cielo y a una nueva tierra"" 4. All'interno di un continuo, ispirato discorso tipologico intessuto di citazioni bibliche, l'autore colloca la visione nel contesto di un Messico cristiano la cui recente conquista da parte degli Spagnoli egli interpreta nei termini di un rinnovato scontro apocalittico tra San Michele e Satana; presenta Juan Diego come nuovo Mosè, e l'effigie della Vergine come Arca dell'Alleanza messicana; procede poi ad identificare Città del Messico con la Nuova Gerusalemme descritta da Giovanni 5. Nel momento in cui Sanchez scriveva, l'effigie di Tepeyac godeva già di notevole fama, soprattutto per i miracoli ad essa attribuiti; ma fu il suo testo, nel quale compaiono per la prima volta la figura dell'indio e il tema dell'apparizione 6, a definire gli elementi portanti della narrativa connessa all'immagine, tesi a dimostrarne l'assoluta eccezionalità. Molti dei materiali presenti nel suo trattato vennero ripresi l'anno seguente nell'opera pubblicata in lingua Nahuatl da Luis Laso de la Vega 7, vicario del Santuario di Guadalupe, la cui seconda parte, intitolata Nican Mopohua (Qui si racconta), contiene la descrizione dell'apparizione e della comparsa del ritratto di Maria sulla tilma di Juan Diego. L'acme della vicenda coincide naturalmente con la formazione dell'effigie miracolosa: "Subito sul mantello si disegnò e si manifestò alla vista di tutti l'amata Immagine della perfetta Vergine santa Maria, Madre di Dio, nella forma e figura in cui la vediamo oggi, così come è conservata nella sua amata casa, nel tempio eretto ai piedi del Tepeyac e che invochiamo con il titolo di Guadalupe" 8. Questa narrazione fu ben presto ritenuta di più antica origine, ed attribuita da Carlos Sigüenza y Góngora all'indio Antonio Valeriano, discepolo dei Francescani, che l'avrebbe composta intorno alla metà del XVI secolo. In questa veste, il testo divenne una fondamentale auctoritas circa l'origine della sacra effigie.
La fortuna dell'immagine ed il culto che ad essa veniva tributato non cessarono di crescere nei secoli seguenti, sino a fare dell'icona guadalupana l'emblema nazionale del Messico 9. A partire dalla metà del Seicento, illustri predicatori, nelle omelie tenute presso il santuario, si lanciarono in audaci catene di immagini celebrative del dipinto - autoritratto della Vergine o miracolosa copia dell'idea concepita da Dio prima di tutti i tempi, forse dipinta dallo stesso Dio padre - avventurandosi in ardite metafore "which trembled on the limits of orthodoxy" 10
Alla base di questa travolgente avanzata della fama e dell'importanza della Vergine di Guadalupe, al centro della vertiginosa glorificazione dei predicatori, era la presenza fisica della tela conservata a Tepeyac, un'immagine immacolista che possiede "a traceable genealogy within the combustible mix of art modes, mixed media and theological tracts found circulating in early colonial New Spain" ed è "squarely situated in a nexus of European artistic and iconographic conventions" 11. Da quest'opera nasce tutta la tradizione delle apparizioni: "si las visiones engendran los cuadros, los quadros a su vez, pueden provocar aquellas" 12. Il dipinto rappresenta la Vergine con le mani giunte in preghiera, avvolta da una tunica rosa e da un manto azzurro stellato; essa poggia su una falce di luna crescente, sotto la quale è posto un angioletto, ed è circondata da una mandorla di raggi dorati, a sua volta contornata da nubi. Tratto distintivo della sua figura è la carnagione morena 13, seppure associata a lineamenti europei, la cui evidenza come segno del carattere indio dell'immagine fu rimarcata in particolare da Luis Becerra Tanco, autore di importanti trattati sulla Guadalupana pubblicati nel 1666 e nel 1675. 14
La storia materiale dell'opera presenta margini di incertezza, ma in base alle testimonianze note essa "compare" presso l'ermita di Tepeyac nel 1555-56 15. Il luogo non è casuale: il colle era stato in precedenza meta di pellegrinaggio e sede del santuario della dea madre Tonantzin; si è di fronte ad un esempio preclaro della politica, ampiamente documentata, di programmatica sostituzione dei delle immagini e dei luoghi cristiani a quelli pagani. 16 Il dipinto - di cui non è mai menzionata la natura acheropita sino al trattato del Sanchez - è esplicitamente indicato come opera di un artista indio, citato da una fonte coeva come "Marcos", da identificarsi con buona probabilità con il noto pittore indigeno Marcos Cipac. Legato al contesto francescano ed attivo in quegli anni, l'artista fu poi autore insieme ad altri maestri del retablo della Cappella Indiana nella chiesa di San Jose de los Naturales. Nonostante il titolo derivi dalla celebre Madonna di Guadalupe in Estremadura (Spagna), una Vergine con Bambino di età romanica, la tipologia dell'effigie messicana non è ad essa correlata 17;esso si colloca invece, ad evidenza, nel solco dell'iconografia immacolista, ancora in parte fluida alla metà del XVI secolo, qui saldamente ancorata al tipo della Donna dell'Apocalisse. Modelli per questo tipo iconografico, come pure per la Tota pulchra con i simboli delle litanie lauretane effigiata in almeno due monasteri messicani 18, erano senz'altro disponibili nel fertile ambiente culturale della Nuova Spagna, soprattutto negli ambienti prossimi all'ordine francescano, in particolare sotto forma di incisioni e illustrazioni di testi religiosi 19.
I caratteri dell'immagine guadalupana, nello specifico, sono stati ricondotti all'influenza di stampe fiamminghe o tedesche 20, cui si sovrappone il tratto distintivo della tez morena. Quest'ultimo elemento accomuna la Gauadalupana alle altre Vergini dalla pelle bruna - le inditas - che in America guadagnarono grande popolarità non solo presso gli Indiani e i mestizos, ma anche, per un complesso di ragioni legate in parte alla rivalità con la minoranza di nascita spagnola, presso i creoli, i quali le preferirono alle esatte repliche di Madonne spagnole che avevano inizialmente dominato la scena 21.
La più antica replica nota della Madonna guadalupana è la tavola datata 1606 e firmata da Baltasar de Echave Orio, importante artista originario dei Paesi Baschi ma attivo in Messico, dove era arrivato nel 1582, per più di quattro decenni 22. Questa copia fedele dell'originale precede di dieci-quindici anni la prima incisione della Guadalupana, eseguita tra il 1615 e il 1620 dal fiammingo Samuel Stradanus, nella quale l'immagine della Vergine è accompagnata da bande contenenti la raffigurazione dei suoi miracoli più celebri 23.
In seguito si affermò nelle tele l'iconografia - secondo Elisa Vargaslugo introdotta nel 1667 da Juan Correa - che affiancava alla replica della figura della Vergine quattro medaglioni, posti negli angoli, raffiguranti le apparizioni di Maria a Juan Diego ed il miracolo dell'impressione del ritratto della Vergine sulla tilma 24; mentre nel XVIII secolo si aggiunsero spesso, nella fascia inferiore, rappresentazioni di San Giovanni intento a scrivere l'Apocalissi o dell'apparizione della Vergine allo zio infermo di Juan Diego, ovvero - più di frequente - una veduta del Santuario del Tepeyac 25.
Il Messico fu naturalmente il luogo di elaborazione delle iconografie guadalupane e di massima diffusione dell'immagine della Vergine; ma molte tele ivi eseguite furono esportate altrove, soprattutto in Spagna. Per opera dapprima dei Francescani, poi soprattutto dei Gesuiti, la devozione alla Virgen di Tepeyac si diffuse ampiamente in tutte le province spagnole e particolarmente in Andalusia, tanto che il Padre gesuita Francisco de Florencia poteva affermare a fine Seicento che "En Cádiz, en Sevilla...es tan conocida, tan veneranda y aplaudida esta santa imagen, que apenas hay casa en que no la tengan." 26 Centinaia di tele messicane (ed è da sottolineare il fatto che - anche per l'importanza attribuita alla fedeltà della copia, possibilmente "toccata sull'originale" - la produzione delle repliche della Guadalupe continuò ad essere in massima parte appannaggio degli artisti della Nuova Spagna) approdavano nei porti spagnoli, alcune raggiungevano anche altri paesi europei.
La prima immagine guadalupana attestata a Roma venne portata nel 1672 da un padre agostiniano recolletto: essa raffigura Juan Diego mentre mostra al vescovo la tilma recante la miracolosa effigie della Madonna, e fu eseguita nel 1669 dal mulatto Juan Correa 27, "pintor, por excelencia, de la Virgen de Guadalupe." 28 Nel 1752 un altro celebre interprete dell'iconografia guadalupana, Miguel Cabrera, dipinse una copia fedele dell'originale, che fu donata al papa Benedetto XIV dal padre Francisco López, procuratore della Compagnia di Gesù a Roma incaricato delle pratiche per la concessione dell'ufficio e messa propria della Vergine di Guadalupe; il pontefice a sua volta ne fece dono alle Religiose della Visitazione 29; lo stesso artista eseguì un'altra immagine per il successore, Clemente XIII 30. Assai venerata è poi la replica giunta a Roma intorno al 1773, conservata presso la Basilica di San Nicola in carcere 31. Dalle ricerche condotte in merito, sembra che - al di fuori di Roma - le immagini guadalupane presenti in Italia siano state per la massima parte recate dai Padri gesuiti messicani dopo la loro abrupta espulsione dal paese d'origine, nel 1767, oppure siano arrivate in epoca successiva 32. Genova ed il Ponente ligure presentano però particolari e più precoci segni di attenzione per questa iconografia 33, certo connessi alla forza del legame di questi territori con la Spagna, ove la devozione per la Vergine messicana si era già ampiamente diffusa.
A Genova le testimonianze indirizzano verso canali diversi di mediazione tramite i quali venne importato il culto novoispanico; un ruolo primario sotto questo profilo deve senz'altro essere riconosciuto ai principi Doria di Melfi, eredi del grande Andrea Doria, ammiraglio di Carlo V. Stabilmente filospagnoli, anche nella complessa situazione che venne a caratterizzare l'orizzonte politico della Repubblica di Genova alla metà del Seicento, essi ottennero dalla corona cariche e riconoscimenti, e continuarono a cercare presso di essa la legittimazione del loro status privilegiato all'interno dell'aristocrazia genovese, tra l'altro difendendo tenacemente la tradizione di ospitare i sovrani spagnoli di passaggio a Genova nella propria dimora 34.
La questione della loro adesione alla devozione guadalupana e del conseguente possesso di immagini ad essa connessa si presenta in termini di particolare complessità, che meritano di essere indagati.
Palazzo del Principe, la splendida residenza dei Doria, conteneva all'inizio dell'Ottocento due immagini della Vergine di Guadalupe, una delle quali fu donata nel 1811 alla chiesa del borgo di Santo Stefano d'Aveto, uno dei "feudi di montagna" del casato, dove tuttora si conserva 35; mentre l'altra, ancora registrata nel palazzo genovese nell'inventario del 1824-25 36 e in un elenco di mobili del 1827, quando risulta trasferita nell'appartamento del piano terreno approntato per l'abate Tosti 37, è oggi dispersa, così come molti altri quadri ed arredi presenti nella dimora nel XIX secolo.
La Madonna di Guadalupe - Santo Stefano d'Aveto
Di uno dei due dipinti, databile - come si vedrà - tra il 1675 e il 1684, è possibile ricostruire in modo certo la storia. In parallelo esiste una suggestiva tradizione, che presenta però elementi problematici e non appare supportata da prove convincenti, secondo la quale un'immagine guadalupana di casa Doria - generalmente identificata con quella oggi presente a Santo Stefano - avrebbe un'origine più antica, cinquecentesca, e vanterebbe una presenza significative nel cuore del più grande trionfo della Cristianità sul nemico turco, la Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571.
Sembra opportuno analizzare innanzitutto le vicende della tela secentesca, ben documentate grazie alle Vite dei padri gesuiti Juan Maria de Salvatierra e Juan Bautista Zappa studiate da Elisa Vargaslugo 38, attraverso cui è possibile conoscere con rara dovizia di dettagli un capitolo significativo della fortuna della devozione guadalupana fuori dal Messico e dalla Spagna.
Al centro degli eventi è la figura di Violante Lomellini Doria (1632-1708), vedova del principe Andrea III e madre di Giovanni Andrea III, le cui virtù sono celebrato dal Breve ragguaglio della Vita dell'Ecc.ma Sig. ra Principessa di Melfi39 Personalità intensamente religiosa, alla morte del marito - due anni dopo le nozze - Violante aveva reso esplicita la propria vocazione mistica, pur mantenendo saldamente nelle sue mani il controllo della casa e dei feudi; all'uscita di minorità del figlio, nel 1671, si ritirò a vita semi eremitica all'interno del palazzo di famiglia, conducendo con le sue donne un'esistenza di tipo monastico caratterizzata da austere penitenze. La principessa, che aveva "messo la propria anima" nelle mani del padre gesuita Salvaterra, suo direttore spirituale 40, era particolarmente vicina alla spiritualità dell'ordine, come dimostrano il suo epistolario e la "partecipazione.ai beni spirituali della Compagnia di Gesù" concessa nel 1669 a lei ed al figlio dal padre generale Gio. Paolo Oliva 41.
Violante protesse ed incoraggiò nella sua vocazione il giovane Juan Maria de Salvatierra, nato a Milano da famiglia spagnola ed entrato nella Compagnia a Genova, che poi invitò a dir messa nella cappella del Palazzo del Principe. Questi accolse l'invito, facendosi accompagnare dal confratello padre Zappa, come lui in procinto di partire per le missioni americane 42. Entrambi i religiosi destinati a diventare protagonisti della "conquista spirituale" della California, cui Zappa secondo il biografo settecentesco Miguel Venegas, "attribuye su vocaciòn e ida a las Indias". La loro venerazione per la miracolosa immagine trovò facile eco nella sensibilità della principessa, fervente devota dell'Immacolata (ella richiedeva agli abitanti dei suoi feudi il "giuramente di sangue" in difesa della Concezione senza macchia 43; donò alla nuora, tra i regali di nozze, una "statuetta" di oro smaltato e diamanti di "Nostra Signora la Concezione" 44; presumibilmente commissionò, insieme al figlio, le due Immacolate eseguite nel 1681 da Paolo Gerolamo Piola, con intervento del padre Domenico, per il Palazzo del Principe 45). Violante chiese al padre Zappa di inviarle, quando fosse giunto nella Nuova Spagna, una replica dell'effigie acheropita. Arrivato in Messico nel 1675, il gesuita si adoperò per mantenere la promessa; gli fu suggerito di rivolgersi all'"indio que tenía el don de pintar a la Virgen de Guadalupe" 46. A quel tempo, "poseedor del don" era un indio chiamato Luis de Texeda - autore, tra l'altro, di due immagini guadalupane firmate e datate giunte sino a noi - dal quale padre Zappa ottenne la tela desiderata, che inviò alla Principessa Doria 47. L'immagine della Virgen fu subito oggetto di grande venerazione; fra i dipinti di tema sacro presenti nel palazzo genovese, essa fu prescelta per essere portata in processione nella drammatica occasione del devastante bombardamento navale del 1684. Violante, il figlio e la nuora, "con toda su corte y vecindad", percorsero il perimetro del complesso monumentale "llevando por escudo y defensa la Señora de Guadalupe y cantando las letanías lauretanas". 48 La Vergine di Guadalupe, argomenta lo stesso padre Salvatierra che dà conto della notizia, operò allora il suo primo miracolo in Genova: il Palazzo del Principe, nonostante per la sua posizione fosse il più esposto, non fu toccato dalle bombe francesi, che invece distrussero o danneggiarono tanta parte della città 49.
Mentre la vicenda di quest'opera è delineabile con sicurezza, la tradizione che connette un'immagine guadalupana di proprietà Doria alla Battaglia di Lepanto è, come si è detto in precedenza, problematica.
La prima traccia di questa tradizione si trova nella relazione - attinente alla vicenda della donazione dell'opera alla chiesa di Santo Stefano e alla locale venerazione per il dipinto, ritenuto miracoloso - stesa dall'avvocato e storico Antonio Domenico Rossi (1788-1861), poi pubblicata in un opuscolo del 1910 curato dal suo omonimo discendente Mons. Antonio Domenico Rossi 50. Una versione manoscritta conservata in un faldone privo di segnatura presso l'Archivio della chiesa, leggermente diversa da quella stampata seppure coincidente nel racconto dei fatti, recita: "Scoperte in Genova nel palazzo di Sua Ecc. il Sig. Principe Doria due immagini della Madonna di Guadalupe, si potè averne in dono una da S. Ecc. il sig. Cardinale Giuseppe Doria, e fu quella che con tutta certezza, come constatava [sic] nell'archivio di quella nobilissima famiglia, avea toccato l'originale. Era stata donata da S. Maestà Cattolica il Re di Spagna all'immortale Andrea Doria grande ammiraglio delle Spagne per servire d'icona alle cappelle delle principali galee, che conduceva quel celebre capitano; anzi dovea trovarsi nella medesima all'epoca della celebre battaglia di Lepanto, in cui per intercessione di Maria la cristianità ebbe sul turco la più segnalata vittoria". Nella redazione pubblicata nel 1910, sostanzialmente coerente, è ribadita la natura di "copia vera del dipinto" - appartenente all'ampio gruppo delle repliche che, per condividere in qualche misura le proprietà miracolose della tela del Tepeyac, erano "tocadas a su original" 51 - è omesso l'accenno all'archivio Doria come fonte delle notizie ed è reso più esplicito il carattere ipotetico della presenza dell'effigie a Lepanto: "e se si ha da confrontare il tempo in cui fu portato essendo l'icon della capitana di dette Galere è ragionevole il credere che detto quadro esistesse pure su detto legno alla famosa battaglia di Lepanto" 52. Nel 1905 il Canonico Pietro Castellini aveva dato alle stampe un articolo (ripubblicato cinque anni dopo nell'opuscolo del Rossi) in cui riportava le informazioni sopra citate, presentando come fatto e non come ipotesi la presenza a Lepanto della immagine guadalupana della chiesa di Santo Stefano, senza peraltro esplicitare le fonti del suo assunto 53. L'autore trascriveva, a riprova della "devozione" di Giovanni Andrea I per la Madonna di Guadalupe, un solo "documento storico" dell'Archivio Doria Pamphilj: una lettera di istruzioni, datata marzo 1571, per la consegna di una lampada d'oro da porsi dinanzi all' "imagine di Nostra Signora". E' però indubbio che su questo punto il canonico sia caduto in un equivoco, ritenendo che la lettera - tuttora conservata nell'archivio della famiglia 54 - facesse riferimento alla Guadalupe messicana, laddove essa, come già riconoscevano padre Garcia Gutiérrez e padre Bracco , contiene le indicazioni per la presentazione dell'ex voto presso il santuario gerolamita della Vergine di Guadalupe spagnola (a quella data infinitamente più celebre in Europa della controparte novoispanica), alla quale il Doria era devoto e a cui risulta avesse già offerto una lampada aurea nel 1568 55.
Quanti successivamente hanno sposato la tesi di una presenza a Lepanto della tela conservata a Santo Stefano hanno basato la loro posizione essenzialmente sui materiali raccolti dal Rossi 56. L'elemento che sembra minare la credibilità di questa ipotesi, al di là dell'assenza di riscontri documentari verificabili, è la precocità della data della Battaglia di Lepanto, che ebbe luogo il 7 ottobre 1571, rispetto alla reale diffusione, soprattutto al di fuori del Messico, del culto dell'immagine del Tepeyac. La definizione della leggenda dell'apparizione e la grande ascesa della fama della Guadalupe messicana, sono, come si è visto, fenomeni essenzialmente seicenteschi. La prima replica conosciuta del dipinto in ambito messicano - la più antica copia nota in assoluto - risale al 1606 57. Per quanto riguarda il presunto dono del dipinto da parte di Filippo II ad Andrea (o Giovanni Andrea) Doria, nella letteratura scientifica dedicata al tema è citata una lettera riguardante "la fundación de la eremita de nuestra Señora de Guadalupe" inviata da Martin Enriquez de Almanza, quarto viceré della Nuova Spagna, al sovrano spagnolo, nel contesto di una diatriba di tipo economico originata dal tentativo dei frati gerolamiti del santuario spagnolo della Guadalupe di reclamare parte delle elemosine ricevute dalla chiesa messicana intitolata alla "loro" Vergine 58; ma non vi è alcun accenno all'invio, in quella o in altra occasione, di un'immagine guadalupana al re, ed in ogni caso la missiva del viceré fu scritta nel 1575, quattro anni dopo la grande vittoria sui Turchi nella quale si ipotizza la presenza della tela Doria.
Appare quindi arduo credere che Giovanni Andrea I, del quale non sono noti speciali legami con il Messico, abbia con tanto anticipo fatto proprio il culto di una Madonna così remota e di fama ancora sostanzialmente locale. E' più credibile ritenere che la devozione del Doria per la Guadalupe spagnola abbia ingenerato un equivoco iniziale, di cui si è poi nutrita la successiva tradizione.
Poiché il dipinto della chiesa di Santo Stefano presenta caratteristiche di elevata qualità e può ragionevolmente datarsi al XVII secolo, considerata anche la coincidenza di alcuni caratteri della tela - come il tono "plomizo" , aderente all'originale, della carnagione di Maria - con quelli tipici delle opere note di Luis de Texeda 59, si può pensare che il quadro sia invece l'immagine guadalupana ricevuta da Violante Lomellini Doria. Certamente presente nel Palazzo del Principe nel 1684, come si è visto, il dipinto risulta comunque una delle immagini della Guadalupe messicana più precocemente attestate in Italia, la seconda per antichità di data d'arrivo, per quanto è noto, dopo la tela di Juan Carrea portata a Roma nel 1672. 60
Se dunque va riconosciuta ai Doria un'attenzione precoce per il tema (senza dimenticare che nel loro palazzo nel 1811 risultavano presenti due icone guadalupane, anche se di una si sono perse le tracce), non mancano altre testimonianze di una significativa presenza storica dell'iconografia della Guadalupe a Genova e in Liguria. Le opere, settecentesche, seguono tutte il già citato modello compositivo - probabilmente inaugurato dal Carrea nel 1667 nella tela del Museo della Passione di Valladolid, divenuto poi prevalente nel XVIII secolo 61 - in cui la replica dell'effigie originale è affiancata da medaglioni recanti le scene delle apparizioni della Vergine a Juan Diego e del miracolo della tilma, episodi la cui iconografia era stata definita nelle incisioni eseguite nel 1686 dal sivigliano Matía de Artega y Alfaro ed utilizzate a corredo del fortunato testo di Luis Becerra Tanco, Felicidad de México. 62 Le tela conservata presso la chiesa di Santa Maria della Castagna, nel quartiere genovese di Quarto, reca la data 1718 63; essa appartiene al tipo, assai diffuso, in cui alla illustrazione delle apparizioni e del miracolo è aggiunta, ai piedi della Vergine, un'immagine del nuovo santuario del Tepeyac, completato nove anni prima. La presenza degli angioletti è, nelle versioni settecentesche del tema, "casi una costante" 64; in questo dipinto essi sorreggono gli ovali con le scene narrative - una soluzione adottata in un gran numero di tele - nonché un cartiglio recante un'iscrizione nella quale si specificano i caratteri del dipinto: RETRATO D(E) LA MILAGROSA YMAGEN D(E) N.S. D(E) GUADALUPE QUE VENERA LA DEVOCION EN SU SANTUA(RI)O UNA LEGUA DE LA CIUDAD DE MEXICO SE HISO A DEVOCION DE D JUAN ALBERTO BENDER EL ANO DE 1718. Il quadro fu donato nel 1776 alla chiesa da Maddalena Bender, figlia del committente messicano dell'immagine, Juan Alberto, e sposa a Genova di un membro della famiglia Priaruggia che nella zona di Quarto aveva le proprie case e nella chiesa della Castagna la sepoltura 65. La firma in basso a sinistra ci consente di riconoscere nella tela un'opera del noto artista novoispanico Juan Rodriguez Xuarez (1675-1728), che proprio all'altezza cronologica della pala della Castagna giunse ad essere in patria "el mejor pintor de su momento" 66, e la cui fama in quel torno di tempo è testimoniata dalle importanti commissioni ricevute per la cattedrale di Città del Messico e per la Profesa negli anni immediatamente successivi 67. Si nota nel volto della Vergine una significativa attenuazione del colore moreno della pelle, rispetto all'originale e alle copie seicentesche, che è tipica del processo di normalizzazione - rispetto alle Madonne europee - che l'icona guadalupana subì nel XVIII secolo, e che si riscontra anche nelle altre versioni presenti nel territorio genovese e ligure.
Ad un più tardo momento del Settecento appartiene l'immagine conservata presso il Convento di Sant'Anna, la prima sede fondata dai Carmelitani scalzi fuori dalla Spagna 68, nella quale ai quattro tradizionali medaglioni, qui connotati da cornici di gusto rocaille, se ne affianca un quinto, posto ai piedi di Maria, nel quale si legge NON FECIT TALITER OMNI NATIONI, un verso del Salmo 147 che si trova talora iscritto sulle immagini guadalupane ed identifica le genti del Messico quale popolo eletto, al quale Maria ha mostrato, attraverso le apparizioni e il miracolo dell'effigie acheropita, la sua predilezione. 69 Già utilizzata per la Madonna del Pilar e per quella di Loreto, la citazione venne per la prima volta associata all'icona guadalupana, nel 1678, dal padre gesuita Francisco de Florencia, poi autore del celebre La Estrella del Norte de México...Nuestra Señora de Guadalupe; nel corso del XVIII secolo la sua presenza nei dipinti legati al culto divenne progressivamente più frequente, soprattutto dopo che Benedetto XIV inserì l'epigrafe nell'ufficio della festa della Vergine messicana (1754) 70.
Il convento di Sant'Anna , in ragione delle sue origini, costituì a lungo, nel contesto genovese, un baluardo della spiritualità e della cultura spagnole, nelle quali già nel Seicentocome si è detto e ancor più nel Settecento - la devozione per la Guadalupe del Tepeyac si era ampiamente diffuso (lo stesso Filippo V era membro della confraternita della Madonna messicana fondata a Madrid 71); il convento genovese era tra l'altro luogo di formazione dei padri missionari, ed anche questo certamente contribuì a focalizzare l'attenzione sul culto novoispanico.
La medesima forte connessione con la Spagna sembra essere alla base della presenza di alcune tele guadalupane nel Ponente Ligure. A Finale e nel suo territorio - diretto dominio spagnolo tra il 1602 e il 1713, base logistica di strategica importanza per raggiungere i possessi iberici lombardi e meridionali - il dipinto presente nella Collegiata di San Giovanni Battista, opera di Antonio de Torres (autore anche dell'icona guadalupana del Collegio de la Enseñanza di Tudela, presso Pamplona) deve forse la sua attuale collocazione, secondo la tradizione orale, ad una donazione novecentesca 72, ma altre tele si possono ricondurre ad un probabile radicamento storico in loco.
Costruita secondo il diffuso schema dei cinque medaglioni - quattro recanti le scene della leggenda dell'apparizione, il quinto la rappresentazione del santuario del Tepeyac - già riscontrato nella tela della chiesa genovese della Castagna, una pala di collezione privata connota più esplicitamente l'effigie della Guadalupana come Tota pulchra. In quest'opera infatti, ad ulteriore celebrazione del significato immacolista dell'immagine, le figure di quattro angioletti reggono altrettanti simboli delle litanie lauretane, secondo una variante iconografica di inclusione dei simboli della purezza mariana che si riscontra, ad esempio, nelle Madonne di Guadalupe dell'ex convento di Nuestra Señora del Carmen di Sanlúcar la Mayor (Siviglia) e del già citato Collegio de la Enseñanza di Tudela 73. La raffigurazione del santuario completato nel 1709 costituisce un certo termine post quem per il dipinto; accettabile risulta inoltre, nel caso specifico, l'indicazione del 1760 circa come data entro la quale perdura l'uso di cornici poligonali 74 - qui ottagonali - per le rappresentazioni delle scene minori, e quindi come limite cronologico ante quem. Parimenti ipotizzabile, pur in assenza di notizie certe, è la presenza già in antico dell'opera conservata all'interno della chiesa di Santo Stefano, nella vicina Borgio Verezzi, connotata da una versione piuttosto semplice dell'impianto compositivo con i quattro consueti episodi, cui si aggiunge in alto la colomba dello Spirito Santo. Sempre nella diocesi di Albenga-Imperia - nella quale si è riscontrata, anche in riferimento alle iconografie immacoliste in senso lato, l'incidenza di un "umore spagnolo" particolarmente pronunciato 75 - si rileva con interesse l'esistenza di un corpus di tele di provenienza certamente iberica nella chiesa di Santo Stefano a Chiusanico, la cui presenza è stata connessa al "continuo rapporto" che legava la popolazione dell'area, soprattutto in età moderna, al meridione della Spagna 76. Di tale gruppo fanno parte due dipinti guadalupani (figg. 6,7): anche in queste redazioni, alle quattro canoniche scene della leggenda si aggiunge la raffigurazione del santuario del Tepeyac. Proprio la rappresentazione della chiesa inaugurata nel 1709, riconoscibile per l'importante cupola ed i quattro campanili, e l'assenza invece della Iglesia del Pocito, costruita nel 1777, hanno indotto correttamente a datare le due tele entro questi estremi cronologici. 77
La figura della Vergine di Guadalupe, ritenuta ritratto fedele delle vere fattezze di Maria, trapassa da una tela all'altra con minime variazioni iconografiche. Essa cristallizza una specifica immagine dell'Immacolata, di tale forza nella sua patria messicana da soppiantare quasi completamente le altre iconografie immacoliste: "apena existieron representaciones de la Inmaculata en el virreinato. La razón es que su culto estaba implícito en el de la Virgen de Guadalupe" 78. Della ricchezza di significati di questa "Immacolata india", Genova ed il Ponente ligure nel Seicento e soprattutto nel Settecento - per diretta connessione con il Messico, nel caso della tela di Santa Maria della Castagna, o più spesso attraverso la mediazione della devozione spagnola - intercettarono alcuni elementi importanti. La vicenda, eccezionalmente ben documentata, dell'opera commissionata da Violante Lomellini Doria è emblematica del modo in cui, in un contesto di forte sensibilità al culto della Concezione e di pervasiva influenza dell'ordine gesuita, il carattere immacolista e la natura acheropita del miracoloso originale guadalupano concorsero ad assicurare la non scontata fortuna locale di una iconografia che sintetizza modelli europei ed istanze specificamente novoispaniche.

Desidero espimerere la mia gratitudine per le utili indicazioni ricevute da Elisa Vargaslugo, Investigador Emérito del Instituto de Investigaciones Estéticas de la Universidad Nacional Autónoma de México; ringrazio inoltre vivamente per la collaborazione e la cortese disponibilità Azzurra Balistreri, Massimo Bartoletti, Renato Boi, Massimo Brizzolara, Grazia Di Natale, Margherita Gaudioso, Alessandra Mercantini, Carola Pareti, Anna Storace, nonchè i responsabili delle chiese e dei conventi in cui sono conservate le opere analizzate nel presente contributo e i proprietari della "Madonna di Guadalupe" in collezione privata.


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