10 — Come deve essere chi si accosta al governo delle anime (dalla Regola di san Gregorio Magno)
Pertanto, in tutti i modi deve essere trascinato, a divenire esempio di vita, colui che morendo a tutte
le passioni della carne vive ormai spiritualmente; ha posposto a tutto il successo mondano; non
teme alcuna avversità; desidera solamente i beni interiori.
Pienamente conformi alla sua intima
disposizione, non lo contrastano né il corpo con la sua debolezza né lo spirito col suo orgoglio. Egli
non è condotto a desiderare i beni altrui, ma è largo dei propri.
Per le sue viscere di misericordia si
piega ben presto al perdono ma non deflette dalla più alta rettitudine, passando sopra più di quanto
conviene. Non commette nulla di illecito, ma piange come proprio il male commesso dagli altri.
Compatisce la debolezza altrui con tutto l’affetto del cuore, gioisce dei beni del prossimo come di
successi suoi. In tutto ciò che fa si mostra imitabile agli altri, così che con loro non gli avviene di
dover arrossire nemmeno per fatti passati.
Si studia di vivere in modo tale da essere in grado di
irrigare, con le acque della dottrina, gli aridi cuori del suo prossimo.
Attraverso la pratica della
preghiera, ha imparato per esperienza che può ottenere da Dio ciò che chiede, lui cui in modo
speciale è detto dalla parola profetica: Mentre ancora tu parli, io dirò: Eccomi, sono qui (Is. 58, 9).
Infatti, se venisse qualcuno a prenderci per condurci come suoi intercessori presso un potente
adirato con lui e che, per altro, non conosciamo, noi risponderemmo subito: non possiamo venire ad
intercedere perché non sappiamo niente di lui.
Dunque, se un uomo si vergogna di farsi intercessore
presso un altro uomo che non conosce, con quale animo può attribuirsi la funzione di intercedere
per il popolo presso Dio, chi non sa di godere la familiarità della sua grazia con la sua condotta di
vita?
O come può chiedergli perdono per gli altri uno che non sa se egli è placato verso di lui?
A
questo proposito, un’altra cosa occorre temere con maggiore sollecitudine, cioè che colui che si
crede possa placare l’ira, non la meriti a sua volta a causa del proprio peccato.
Giacché sappiamo
tutti molto bene che se chi viene mandato a intercedere è già sgradito per se stesso, l’animo di chi è
irato viene provocato a cose peggiori.
Pertanto, chi è ancora stretto dai desideri terreni veda di non
accendere più gravemente l’ira del Giudice severo e mentre gode del suo luogo di gloria, non
divenga autore di rovina per i sudditi.
AMDG et DVM
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