lunedì 22 luglio 2019

La corona, di oro o di plastica, conservata come ri­cordo caro o appena acquistata, ci stà in qualunque ta­sca o borsetta.


UN ROSARIO... FA SEMPRE BENE!


La corona, di oro o di plastica, conservata come ri­cordo caro o appena acquistata, ci stà in qualunque ta­sca o borsetta. Possiamo portarla sempre con noi. È an­che un segno di protezione da parte della Madonna, per cui fanno bene coloro che l'appendono nella camera da letto o allo specchietto retrovisore della loro vettura.
Il Rosario potrebbe essere recitato anche senza co­rona, o usando quella specie di anello dentato che chia­mano «rosario basco, o semplicemente contando le Ave Maria con le dita, quando non si potesse fare diversa­mente.

Non ha controindicazioni

Il Rosario può essere recitato in qualunque luogo di questo mondo, purché ci si trovi sereni e si operi nel santo timor di Dio.
Può essere recitato a qualunque ora del giorno e della notte, da qualunque persona, sana o malata, dotta o senza cultura, buonissima o ingolfata nei peccati da cui vor­rebbe liberarsi.
In qualunque situazione spirituale ti trovi: di gioia e di riconoscenza, di paura o di dolore, di entusiasmo, di desolazione o smarrimento, puoi rivolgerti a cuore aperto alla tua Mamma del cielo.
Se una persona malata o stanchissima si addormen­ta, magari dopo poche Ave Maria?
Ebbene, invece di svegliarla io ne proverei invidia; chiedo a Dio la grazia di addormentarmi per l'ultima volta anch'io recitando l'Ave Maria, sì, nell'ora della mia morte. E se una persona, dopo una decina di Ave Maria, ha la sensazione di essere già stanca? Prima va­luti che non si tratti di pigrizia o di una tentazione del Maligno che odia queste preghiere e che ci suggerisce mille altre cose, in se stesse buone. Chi ritiene che si tratti di vera stanchezza, non abbia scrupoli a sospen­dere il Rosario, convinto che la Madonna è la Mamma più indulgente ed è comprensiva delle nostre situazioni concrete.
All'opposto, chi potendolo fare senza mancare ad altri doveri e senza creare noie al prossimo, dopo un bel Ro­sario, ne volesse recitare un secondo, un terzo, ascolti la buona ispirazione, sicuro che non si prega mai abba­stanza, quando si prega con fede.

I Santi insegnano
Su questo punto i Santi ci danno buon esempio. Quanti e quali Rosari recitava ogni giorno l'attivis­simo don Bosco? Ed il santo Curato d'Ars, posto a mo­dello di tutti i parroci? Il Papa di venerata memoria, Gio­vanni XXIII, confidava con tutto candore che trovava ogni giorno il tempo per recitare il Rosario intero, cioè le tre corone.
Di Padre Pio da Pietralcina dicono che recitasse una dozzina di Rosari al giorno. Io non lo so, anche perché non immagino come ne trovasse il tempo nelle sue gior­nate tutte «mangiate dall'Apostolato; ricordo però di averlo visto sempre - tranne quando celebrava la san­ta Messa - con la corona del Rosario in mano. Ora, scendendo a capofitto dalle vette della santità fino alla mia povera vita, rammento che nei giorni di maggiori impegni o di grande sofferenza, il numero dei Rosari lo lasciavo contare all'Angelo Custode.
Non è questione di tempo, miei cari, ma di volontà e di fede!
Dove riuscivano a ricreare le forze morali, e talvol­ta anche fisiche, tanti papà, mamme, preti e suore che vivevano una carità meravigliosa ma estenuante, se non nell'Eucaristia e in tante belle corone di Rosari? Le of­frivano al Signore e alla Mamma del Cielo, camminan­do, lavorando in casa o nei campi e persino in officina, oppure in ginocchio nella solitudine di una chiesa o di una cameretta.

Un «sogno» di don Bosco

Il 20 agosto 1862 erano appena tornati a Valdocco i giovani per le ripetizioni, dopo il breve soggiorno in famiglia cominciato il 28 luglio (gli altri sarebbero tor­nati verso la metà di ottobre), quando don Bosco alla «Buona Notte» prese il tono dei giorni migliori e, pur avendo dinanzi a sé non più di un centinaio di ragazzi, raccontò un sogno che aveva avuto probabilmente la notte del suo dì natalizio, il 16 agosto precedente.
Questa volta non fece alcun preambolo né di ordine precauzionale né di ordine segreto; disse semplicemen­te che aveva avuto un sogno e che lo voleva narrare loro perché, a pensarci bene, gli era parso che avesse un con­tenuto efficace per gli ascoltatori. Prese dunque a dire che, tra la stalla di suo fratello Giuseppe e il portico per i carri, c'era un prato, quello precisamente dove, ai tempi della sua fanciullezza, stendeva la corda e intratteneva i paesani, con giochi di equilibrio e di prestigio. Su quel prato in forte declivio, a un certo punto del sonno era comparso un «personaggio».
Infatti, don Bosco non si stupì della sua presenza, gli fece anzi atto di ossequio e avviò una conversazione che, data l'esperienza del passato, avrebbe potuto con­cludersi con qualche prezioso ammaestramento, se non addirittura con qualche rivelazione di cose. Ma il dia­logo non durò a lungo; anzi, morì subito, dinanzi a un'in­giunzione del personaggio che, dopo avergli fatto os­servare tra l'erba un serpentaccio lungo sette od otto me­tri, gli mise anche tra le mani il capo di una corda con cui avrebbero dovuto immobilizzarlo e ucciderlo.
Don Bosco non se la sentiva di fare il boia in quella circostanza, e lo disse anche al personaggio, che inve­ce insistette e lo costrinse a rimanere sul luogo.
- Se non osi battere - gli disse - tieni solo duro; batterò io e vedrai cosa ne faremo di questa bestiaccia. Infatti cominciò a menar frustate da orbo, flagellan­do il serpente in maniera che, rivoltandosi quello per vendicarsi e liberarsi nello stesso tempo, s'incagliava sempre più, fino a restar preso come nelle maglie di una rete. Dibattendosi, le sue carni volavano all'aria e rica­devano pesantemente sull'erba del prato, che risultò così lordata da tutto quel sangue e popolata da tutti quei brandelli di carne che, tra l'altro, mandavano un fetore in­sopportabile.
Don Bosco, che aveva legato per ordine del perso­naggio misterioso il capo della corda a un albero, tirò un respiro di sollievo, quando di tutto quel mostro non vide impigliato nella rete che uno scheletro immane ma impotente, afflosciato come un sacco svuotato del suo contenuto.
Morto il serpente, quando credeva che tutto fosse finito, don Bosco si sentì invece dire di stare con gli oc­chi bene aperti, perché ora sarebbe succeduta cosa, che avrebbe mandato in estasi il più gran prestigiatore di questo mondo, non diciamo poi un povero prete come lui era.
Quel personaggio prese la corda, ne fece un gomi­tolo che mise in una cassetta, dove la rinchiuse. Tosto la riaprì sotto gli occhi stupiti dei giovani, che intanto erano accorsi.
Che cosa era successo? che la corda si era disposta in maniera da formare le parole: Ave Maria.
- Ma come può essere che la corda si sia cambiata in una scritta così venerata?
- Il motivo è questo - rispose compiaciuto il per­sonaggio, dal momento che era proprio qui che vole­va portare il discorso fin dal principio. - Il motivo è che il serpente raffigura il demonio e la corda l'Ave Maria o piuttosto il santo Rosario, che è una continua­zione di Ave Maria, con la quale, o con le quali, si possono battere, vincere e distruggere tutti i demoni dell'inferno.  (Don Enzo)

AVE MARIA PURISSIMA!

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