3. IL DOVERE DI SEGUIRE LA VOCAZIONE
Vi è obbligo di seguire la vocazione?
S. Alfonso, Dottore moralista benigno, risponde che il non seguire la propria Vocazione per sé non è peccato (eccetto che uno sia convinto, stando nel mondo, di perdersi), perché Nostro Signore non ne ha fatto un precetto. Tuttavia in pratica di rado uno va esente da peccato, a motivo dei pericoli cui espone la propria salvezza, scegliendo uno stato non conforme alla volontà di Dio. E cita in proposito quanto asserisce il D. Habert: "Quantunque, assolutamente parlando, costui possa salvarsi, non potrà tuttavia provvedere alla salvezza della sua anima se non con grande difficoltà" (18).
Il Signore, essendosi proposto da tutta l'eternità di crearci, stabilì, assieme a tutte le circostanze di tempo e di luogo, anche la strada che dobbiamo battere: in essa seminando le grazie che ci avrebbero aiutati a ben vivere, a santificarci, a giungere felicemente al Paradiso. Fortunato chi non devia dalla linea tracciatagli da Dio! Infelice chi scarta! Questi cammina per la via delle sole grazie sufficienti, che in pratica non bastano. Onde il detto: A gratia sufficienti, libera nos Domine! S'avvera anche qui ciò che dicemmo della vocazione naturale: chi sbaglia è uno spostato.
S. Paolo insegna che ciascuno ha il suo dono da Dio (19). La vocazione è per noi questo dono, di cui solo nell'eternità comprenderemo la preziosità. E il rifiutarlo non è nulla? Il Signore c'invita a uno stato di perfezione, ci offre un posto distinto nella Chiesa e nel Cielo, ci dà un segno di divina predilezione, e noi rifiutiamo tutto questo! Vi par nulla?... Si dirà che si tratta solo di consiglio. Sia, ma è così che si stimano i consigli di Dio? Se S. Francesco Zaverio avesse opposto un rifiuto alla divina chiamata, che ne sarebbe ora di lui ? Alla santità non sarebbe giunto certamente.
Quanti "spostati" spiritualmente nel mondo, per aver rifiutato il dono di Dio! Ricordatevi sempre che la prima offerta per l'Istituto, di cento lire, la ricevetti da un sacerdote di cui non seppi mai il nome, che diceva d'inviarla per far tacere il rimorso di non aver seguito da giovane la chiamata all'apostolato fra gli infedeli. Ah, no, non crediamo di essere noi a fare un atto di degnazione verso Dio, se rispondiamo alla Sua chiamata! E' Lui invece che fa a noi un grande dono di elezione e di predilezione.
Da chi consigliarsi
Come prepararsi alla vocazione? Anzitutto con la preghiera e con maggior raccoglimento. Poi con la segretezza: non propalare ai quattro venti la propria vocazione, il che è segno di leggerezza e cioè di non vocazione. Quindi ancora, nel caso che uno si trovi sempre dubbioso, col prendere consiglio. Ma il consiglio non va chiesto a tutte le persone che si conoscono, bensì al padre spirituale o confessore. E non ad un confessore qualsiasi, ma ad uno che abbia le doti di consigliere: dotto, pio, prudente, pratico in materia, ripieno dello spirito di Dio.
Non tutti purtroppo hanno il dono del consiglio o il vero spirito di Dio. S'incontrano di quelli che sembrano interessati ad allontanare dalla vocazione religiosa - e più ancora quella missionaria - chiunque si presenti loro per consiglio, e anche se non si presenta. Ho conosciuto un parroco che si opponeva a tutte le vocazioni religiose, adducendo il motivo "che le figliuole devono santificarsi in casa". Parecchie di queste povere giovani vennero a piangere da me. Non so come costui potesse far ciò in coscienza, mentre S. Tommaso dice chiaro "essere colpa grave impedire o dissuadere una vocazione certa" (20). E S. Alfonso scrive: "Fa meraviglia che anche da Sacerdoti, e persino da Religiosi, ai giovani chiamati allo stato religioso si dica che in qualsiasi luogo, anche nel mondo, si può servire Dio" (21). Costoro: o si son fatti religiosi senza vocazione, o non sanno neppure che cosa sia la vocazione. Certo in ogni luogo si può servir Dio; ma altro è servirlo nel luogo e nel modo ch'Egli desidera da noi, altro il servirlo a nostro capriccio.
Per contro, vi son di quelli che spalancano le porte dei monasteri a chiunque ne manifesti appena l'idea, e ancora ve li spingono, senza prima accertarsi della serietà della vocazione. Altri finalmente dirigono tutte le vocazioni a un solo monastero, come se nel mondo non vi fosse che quello e tutte dovessero passare di lì per salvarsi e santificarsi. Ne avviene che tante ne entrano, altrettante ne escono, con danno loro e scorno di chi le ha consigliate. Dunque: pochi consigli e da persone illuminate. S. Francesco di Sales dichiara espressamente "non essere necessario un esame di dieci Dottori per accertarsi della vocazione: se la si debba o no seguire" (22).
La vocazione e i parenti
Vi è obbligo di chiedere consiglio ai parenti, attendere il loro consenso, obbedirli se vi si oppongono?
Fu Lutero ad affermare che i figli peccano se entrano in Religione senza il consiglio dei genitori. E' uno dei tanti errori di questo infelice eresiarca. No, non è così; vari Concili affermano il contrario. I santi Padri e Dottori della Chiesa sono del pari unanimi nell'insegnare che i figli non son tenuti ad obbedire ai parenti in materia di vocazione. S.Tommaso, ad esempio, dice: "Riguardo al conservarsi vergine e a tutto ciò che concerne questo stato, né i servi son tenuti ad obbedire ai padroni, né i figli ai parenti" (23). Non mancano, è vero, genitori che solo vogliono accertarsi della vocazione, pronti poi a dare il consenso, ma son rari. Per lo più essi la fanno da oppositori, avverandosi ciò che Gesù predisse: E nemici dell'uomo saran quelli della sua casa(24).
Si dovrà almeno chiedere loro consiglio? No, risponde ancora S. Alfonso, perché il giudizio dei parenti per lo più è carnale, interessato. Non hanno la grazia ad hoc. E' solo per accidens che possono talora dar consigli al riguardo (25). Non bisogna quindi lasciarsi influenzare e guidare da essi in ciò che concerne la vocazione. Ha ragione S. Bernardo quando dice che sovente i parenti, in fatto di vocazione, si comportano come se preferissero vedere i figli perire con essi, piuttosto che vederli salvi senza di essi (26). Proprio così. Se si tratta di matrimonio; son tutti d'accordo, tutti solleciti, e il denaro per le spese necessarie e superflue lo trovano sempre; ma per il figlio o la figlia che entra in Religione, non lo si trova mai e s'inventano mille pretesti per rifiutarlo. Vi furono già parenti senza cuore che lasciarono partire il figlio sprovvisto persino del corredo necessario.
Si dovrà differire l'entrata in Religione fino a consenso ottenuto? S. Alfonso risponde negativamente (27). Tuttavia, dati i tempi attuali, se v'è speranza di ottenere il consenso, sarà bene chiederlo, anche per evitare noie alla comunità e perché i genitori diano la dote necessaria. Così noi, se chiediamo il consenso dei genitori per gli studenti, è solo per non aver fastidi. Bisogna però essere ben fermi nella vocazione e non cedere di fronte alle loro prove di severità o di tenerezza, di lacrime ecc.; né far dipendere la propria vocazione dal loro consenso. Non sta ad essi il fare o disfare le vocazioni.
Vi fu già un tempo in cui i parenti credevano di poter fissare essi stessi la vocazione dei figli: quale prete e quale no. Destinavano l'uno alla milizia (ed erano per lui tutti i beni), l'altro ad abate del tal convento. E ne risultavano abati senza vocazione. Anche al presente non mancano genitori che credono di poter disporre dei figli a piacimento. Se uno è d'ingegno è per il mondo; se invece è mezzo scemo: - Fatti frate, figlio mio! - Eh, no! Non tocca ad essi. E' Nostro Signore che elegge, ed elegge chi vuole. Egli è libero di fare ciò che vuole.
In quest'affare della vocazione, Nostro Signore ha dato a tutti, ma specialmente a noi Religiosi e Missionari, una importantissima lezione quando, in età di dodici anni, si fermò nel Tempio all'insaputa di Maria e di Giuseppe, pur conoscendo quanto dolore avrebbe ad essi procurato. Esempio di distacco e di santa durezza verso i parenti: e non solo quando sono di ostacolo alla vocazione, ma anche quando, come nel caso di Maria e di Giuseppe, non si oppongono.
Il mondo non comprende queste cose e si appella al quarto comandamento, ma dimentica il primo. E Gesù ce lo ricorda con quelle parole: Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me (28). Prima Lui poi i parenti. Ad essi possiamo sempre rispondere: Non sapete com'io debbo occuparmi delle cose spettanti al Padre che è nei cieli? (29). Così fecero tanti martiri della fede; così tutti coloro che, chiamati all'apostolato, resistettero alle lusinghe dei parenti. Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (3O). L'ordine esige tale preferenza.
Tutti i Santi si conformarono sempre a questi divini insegnamenti, a costo di qualsiasi martirio. S. Giovanna Francesca di Chantal, per seguire la chiamata di Dio, non dubitò di passare sul corpo del proprio figlio. Santa crudeltà che pochi praticano e solo i veri amanti di Gesù comprendono. Ben la comprese S. Paolo il quale, appena conosciuta la volontà di Dio a suo riguardo, non prese consiglio dalla carne e dal sangue (31), ma si diede subito e totalmente all'apostolato.
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