Abbiamo già accennato altrove [qui] alla presunta divisione fra dottrina e pastorale in nome della quale si sono giustificati ovunque i peggiori abusi. L’occasione di parlare di questo argomento ci è stata fornita dal recente sinodo dei Vescovi, in cui alcuni “pastori”, in nome di questo mantra post conciliare, pretendevano introdurre novità pratiche di una certa rilevanza, a loro dire “senza mutare la dottrina”.
La cosa, grazie a Dio, almeno per ora, s’è infranta sugli scogli di una opposizione trasversale di numerosi altri pastori più attenti dei primi al dettato evangelico. Tuttavia, il pericolo non è affatto scampato, ma solo rimandato di un anno, al prossimo sinodo. Per questo crediamo importante continuare l’approfondimento del tema, onde offrire a tutti i fedeli alcuni sicuri punti fermi cui aggrapparsi in giorni di grande confusione come quelli che stiamo vivendo, punti fermi oseremmo dire “irremovibili” perché posti sullo stesso fondamento che è Cristo e, come ci ricorda san Paolo, nessuno può porre un fondamento diverso (Cf 1Cor 3, 11).
E dove lo troviamo Cristo? Lo troviamo nella Sacra Scrittura: l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo (san Girolamo). Ma la Scrittura, come dice san Pietro, «non è soggetta a privata interpretazione» (2Pt 1, 20), bensì deve essere letta nello Spirito in cui è stata scritta. Dunque, la Scrittura va letta nel modo in cui è stata letta dai Santi e dal costante Magistero della Chiesa in 2000 anni di storia. Impariamo dai Santi: in ogni tempo essi hanno accolto la Scrittura con semplicità e Fede, come i bambini che semplicemente credono a quel che viene detto loro dai genitori. Il dubbio metodico e il metodo storico-critico saranno anche “scientifici”, ma fanno perdere lo spirito evangelico e spesso la fede stessa. Lo stesso Gesù sembra metterci in guardia da troppa “scientificità” quando dice: «chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non entrerà in esso» (Mc 10, 15).
Per comprendere quanto sia realmente importante rimanere ancorati fedelmente al dettato evangelico è utile meditare quei famosi versi del Vangelo di Giovanni in cui Gesù dice: «se rimanete fedeli alla mia parola sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32).
Siamo qui in presenza di un interessante collegamento posto da Gesù stesso tra la “verità”, che è su un livello speculativo, e “libertà”, che è su un livello pratico. È la “verità” che ci rende liberi: non può esserci vera libertà senza verità e san Paolo specifica che bisogna vivere «secondo la verità, nella carità» (Ef 4, 15). Un agire al di fuori della verità, non è un agire libero, bensì costretto: vuoi dal peccato, vuoi dalle convenzioni sociali, vuoi dalle pressioni ambientali.
Dobbiamo quindi acquisire la “libertà dei figli di Dio”, e per farlo Gesù stesso ci dice che dobbiamo rimanere fedeli alla sua parola, per conoscere la verità che ci renderà liberi. L’effetto pratico che ricerchiamo, la libertà, ha una causa speculativa, ossia la conoscenza della verità. A sua volta, la conoscenza della verità è originata dalla fedeltà alla parola di Gesù. Lineare e semplice, forse troppo per alcuni che «sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4, 14) preferiscono seguire le idee contorte dei falsi dottori dei nostri tempi, piuttosto che le parole semplici del Salvatore.
Questa citazione paolina ci offre lo spunto per approfondire un poco il concetto di "dottrina", che secondo alcuni [qui] potrebbe addirittura essere percepita come "una clava che giudica".
Il termine dottrina è in sé neutro, ossia può essere caricato di significato sia negativo che positivo. Infatti, tale termine indica genericamente un insegnamento organico, un insieme di principi e/o nozioni tra loro collegate, senza per questo darne un giudizio di valore. In tal senso, quando parliamo di dottrina cattolica, ci riferiamo all’insegnamento che Cristo ha trasmesso ai suoi apostoli e consegnato alla sua Chiesa nei Vangeli, creduto dai Santi Padri e trasmesso sino a noi dalla Santa Chiesa: insegnamento che dobbiamo seguire fedelmente se vogliamo conoscere la verità e se vogliamo essere liberi e salvi. Infatti, la verità donataci da Cristo è una verità salvifica, presupposto della libertà e della vita eterna: «chi crederà sarà salvo» (Mc 16, 16). Dunque, si può ben capire come la fedele trasmissione di questo insegnamento, di questa dottrina, sia letteralmente di “vitale” importanza. Per gli appassionati del Concilio Vaticano II, esso insegna autorevolmente nella Costituzione DogmaticaDei Verbum, che «i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture» (n. 11).
Quanto sopra premesso, dobbiamo affermare che è semplicemente falso e capzioso creare una presunta contrapposizione o separazione fra dottrina e pastorale, pretendendo di operare una prassi dissociata dalla verità: in nome di una finta misericordia si finisce per mettere tra parentesi o accantonare l’insegnamento di Cristo. Dico che è finta misericordia perché quelle verità che vengono taciute o accantonate, in nome della misericordia stessa, sono verità liberatorie e salvifiche, verità da cui dipende la libertà e la salvezza delle anime che hanno tutto il diritto di sentirsele predicare, così come d'altro canto i pastori hanno il dovere di predicarle. Tutto ciò è semplicemente diabolico.
Una pastorale che non sia ancorata saldamente nella verità rivelata non conduce alla libertà e non porta alla salvezza.
Inoltre, un’azione umana, proprio in quanto umana, è per ciò stesso razionale. Tanto più un “piano pastorale” non può non avere a monte idee e dei principi che, se non sono quelli della dottrina cattolica divinamente rivelata, saranno inevitabilmente altri.
Per comprender meglio quanto l’agire umano dipenda effettivamente da una dottrina che lo precede, ricorriamo ancora una volta al Vangelo.
Poco dopo la seconda moltiplicazione dei pani, Gesù ammonisce i suoi apostoli dicendo loro: «fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei» (Mt 16, 6). Questi non capirono subito cosa volesse dire il Maestro, ma infine compresero che il lievito dai farisei, da cui si dovevano guardare era la loro dottrina. (Mt 16, 12).
Questo passo è particolarmente importante perché Gesù parla di una dottrina come di un lievito. Il lievito è il principio attivo della fermentazione della pasta. L’azione della fermentazione dipende dal lievito che, in un certo senso, "anima" la pasta.
Inoltre, quando il lievito è amalgamato alla pasta e questa è fermentata, umanamente è impossibile separarlo. Per questo Gesù dice di “fare bene attenzione e di guardarsi” da dalla dottrina farisaica, che è un insegnamento umano e che, se accolto senza discernimento, diviene principio di un agire non secondo Dio, ma secondo gli uomini. Questa ammonizione di Gesù, deve farci ancora di più comprendere, quanto sia vitale non lasciarsi inquinare l’anima da ogni vento di dottrina umana.
San Paolo dice che «verrà il giorno – e dico io che sembra che sia arrivato – in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» (2Tm 4, 4-5).
E ancora altrove, in modo altrettanto profetico quanto categorico scrive che: «lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio» (1Tm 4, 1-3).
Io non so se adesso sono gli ultimi tempi, quello che so è che questo brano della prima lettera a Timoteo mette i brividi per quanto è attuale: parla di ipocriti “impostori” che come prima cosa attaccheranno il matrimonio vietandolo. Non siamo arrivati a tanto, grazie a Dio, ma ciascuno può giudicare da sé quanto queste parole di san Paolo risultino drammaticamente vere soprattutto in questi giorni in cui il matrimonio è attaccato come mai prima d’ora.
Chi ha orecchi per intendere.
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