FESTA DEI SANTI INNOCENTI
1. In quel tempo: “Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, e gli disse: Álzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto” (Mt 2,13).
In questo vangelo si devono considerare due fatti:
- la fuga del Signore in Egitto,
- la strage dei bambini innocenti.
I. la fuga del signore in egitto
2. “Un angelo del Signore”. In questa prima parte si dimostra, in senso morale, come ogni uomo di buona volontà debba custodire la sua opera ancor tenera(come un bambino appena nato) dalle insidie del diavolo e dal plauso del mondo. Vedremo che cosa significhino: l’angelo, Giuseppe e il suo sonno, che cosa la madre e il bambino, e che cosa infine l’Egitto ed Erode.
L’angelo del Signore raffigura l’ispirazione divina, che annunzia all’uomo che cosa debba e che cosa non debba fare. Si legge nell’Esodo: “L’angelo di Dio precedeva l’accampamento d’Israele” (Es 14,19); e ancora: “Il mio angelo ti precederà” (Es 32,34), per due scopi: per mostrarti la via, e per difenderti dal nemico. E Tobia dice: “Fate un buon viaggio, il Signore vi sia vicino lungo il cammino e il suo angelo vi accompagni” (Tb 5,21).
Giuseppe, che s’interpreta “crescente” (cf. Gn 49,22), raffigura il cristiano che, inserito nella chiesa per la fede in Cristo, deve crescere di bene in meglio e portare frutti di vita eterna. Il suo sonno è la pace della mente o anche la dolcezza della contemplazione. Il sonno è la quiete delle facoltà animali, con la intensificazione e il raffozamento di quelle naturali (Aristotele. Vedi nota nel sermone della II dom. di Quaresima, n. 4).
Infatti quando si quietano gli stimoli del corpo ed emergono le aspirazioni dello spirito, allora Giuseppe entra nel sogno. Dice infatti Giobbe: “Adesso dormirei nel silenzio, e riposerei nel mio sonno con i re e i consoli della terra, che si costruiscono mausolei appartati; oppure con i prìncipi che possiedono oro e riempiono le loro case di argento” (Gb 3,13-14). Considera queste tre dignità: i re, i consoli e i prìncipi.
3. I re raffigurano “coloro che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6). Dice a proposito Agostino: Entra nel tribunale della tua mente: la ragione sia il giudice, la coscienza sia l’accusatore, il timore sia il carnefice, il dolore sia il tormento e il posto dei testimoni sia riservato alle opere.
I consoli (consiglieri) della terra raffigurano “quelli che piangono” (Mt 5,6) la loro miseria e la loro colpa. Saggio consiglio quello di piangere se stessi! Lo suggeriva anche Geremia: “Tàgliati i capelli e gettali via, e datti al pianto in modo aperto e sincero” (Ger 7,29). I capelli simboleggiano le preoccupazioni terrene che ti impediscono di vedere la tua miseria e di piangere i tuoi peccati. Tàgliali dunque dal tuo capo e gettali lontano dalla tua mente, e così potrai darti al pianto apertamente, senza falsità. Si dà al pianto senza falsità colui che non perdona a se stesso e non cerca scuse. L’amor proprio sa bene scusare e piangere falsamente, per finta. E coloro che vogliono veramente mettere in pratica questo consiglio, devono costruirsi posti solitari ed isolati, non solo per la mente ma anche per il corpo. Diceva Girolamo: La città è per me un carcere, la solitudine un paradiso.
Parimenti i prìncipi raffigurano “i poveri nello spirito” (Mt 5,3), che possiedono l’oro, cioè l’aurea povertà, e riempiono le loro case, cioè la loro coscienza, di argento, che ha un bel suono (argentino), e simboleggia il risuonare del canto di lode a Dio e quello della confessione del proprio peccato.
Giuseppe che dorme con tutti costoro, è lontano dal frastuono delle cose del secolo, e riposa nel suo sonno senza il tumulto dei pensieri; e quindi gli appare un angelo che gli dice: “Lèvati su!”, cioè “tendi all’alto”, perché tu sia veramente uno che cresce verso l’alto, e non verso il basso come la rapa, che cresce nella terra e sotto terra, ma come la palma che si spinge verso l’alto. “Lèvati su!”, dunque, e tendi all’alto come le rondini, le quali non prendono il cibo stando ferme, ma catturano i moscerini e li mangiano mentre sfrecciano nel cielo. Dice l’Apostolo: “Cercate le cose di lassù e non quelle che sono sulla terra” (Col 3,1.2).
“Lèvati su, dunque, e prendi il bambino e sua madre” (Mt 2,13).
4. La madre simboleggia la buona volontà che, ispirata da Dio, concepisce l’opera buona nel sentimento e la partorisce nell’azione. Per esempio: se hai la buona volontà, ma non hai nel cuore il proposito di fare il bene, la volontà è sterile, e sta scritto: “Maledetta la donna sterile in Israele!” (cf. Es 23,26; Dt 7,14). Quando fai il proposito di fare il bene, concepisci; quando porti ad esecuzione il proposito con l’opera, allora partorisci.
Dice infatti Isaia: “Mi unii a una profetessa, che concepì e partorì un figlio. E il Signore mi disse: chiamalo: Mahèr-salal-cash-baz, che significa: “Rapida preda, pronto bottino”, vale a dire: Affréttati, prendi le spoglie, affrèttati a predare!” (Is 8,3). La profetessa è figura dell’anima o anche della volontà dell’uomo, la quale deve predicare a se stessa la gloria del Regno, il castigo dell’inferno, la malizia del diavolo, la falsità del mondo e la propria miseria. Ti unisci a questa profetessa con la devozione, ed essa concepisce con il proposito e partorisce con l’esecuzione. E osserva che il figlio tuo, cioè la tua opera, ha tre nomi: si chiama infatti Affrèttati, perché l’indugio implica pericolo e il differire fu dannoso a chi era pronto ad agire (Lucano). “Quello che devi fare, fallo presto! (Gv 13,27). Ed ogni opera buona dev’essere fatta in tre modi: con prontezza, con carità e con un fine; affrèttati dunque, per agire con prontezza. Prendi le spoglie, prendi da te stesso per provvedere al prossimo con la carità. “Affrèttati a predare, ad impadronirti del regno dei cieli, che dev’essere lo scopo, il fine ultimo di ogni tua opera.
“Prendi dunque il bambino e sua madre”, perché Esaù non possa colpire la madre con il figlio (Gn 32,11), il faraone non anneghi il bambino nel fiume ed Erode non lo possa trafiggere di spada.
5. “Erode sta cercando il bambino per ucciderlo” (Mt 2,13). Il nome di Erode s’interpreta “gloria della pelle”. Egli personifica il diavolo o anche il mondo. “Il diavolo si trasforma in angelo di luce” (2Cor 11,14), fa sfoggio del candore della pelle diversa, perché la sua è nerissima. Così è anche il mondo, simile ai sepolcri imbiancati che sono pieni di ogni sozzura (cf. Mt 23,27); la sua bellezza sta solo all’esterno, nella bianchezza della pelle: infatti tutto ciò che fa, lo fa per essere ammirato dagli uomini (cf. Mt 6,5); e Giovanni dice: “Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (Gv 5,44).
Il diavolo e il mondo sono perfettamente d’accordo nel tramare la rovina del bambino, per distruggere cioè la santità delle nostre opere: il diavolo con l’inganno, il mondo con il plauso; il diavolo con la suggestione, il mondo con l’adulazione. Questi sono i satiri, i fauni, dei quali Isaia dice: “I satiri si chiameranno l’un l’altro”(Is 34,14), per cercare il bambino e ucciderlo.
Nel salmo vengono indicate cinque astuzie escogitate da questi due [il diavolo e il mondo], che di solito portano alla rovina il bambino; però prima viene anche indicato un rimedio per salvarlo. Dice dunque il salmo: “La tua verità ti proteggerà come uno scudo” (Sal 90,5). La verità del Padre è il Figlio, il cui scudo è la croce, con la quale ti protegge per difenderti dal diavolo, dal mondo e dalla carne. Nella croce c’è l’umiltà contro la superbia del diavolo; c’è la povertà di Cristo contro l’avarizia del mondo; e c’è la crocifissione con i chiodi contro la lussuria della carne.
E quindi “non temerai il terrore notturno”, cioè la suggestione diabolica; “la freccia” della vanagloria “che vola di giorno”, della quale Geremia dice: “Tu sai che non ho desiderato il giorno (la gloria) dell’uomo” (Ger 17,16), e Luca: “E ora, in questo tuo giorno, non hai riconosciuto cioè che serviva alla tua pace” (Lc 19,42); [non temerai] “la peste che vaga nelle tenebre”, cioè l’inganno e l’ipocrisia, “il sopraggiungere” delle avversità, e “il demonio meridiano” (Sal 90,5-6) della prosperità, che brucia come il sole a mezzogiorno.
6. Perché il bambino non venga ucciso, “prendilo con la madre sua e fuggi in Egitto”, nome che s’interpreta “tenebre" o anche “strettezze”, e in cui è simboleggiato le stato di penitenza. Osserva che la “gloria della pelle” consiste in due cose: nello splendore e nello sfarzo; al contrario la gloria della penitenza consiste nell’oscurità e nella ristrettezza. Oscurità nella veste perché, come è detto nell’Apocalisse: “Il sole si fece nero come il sacco tessuto di crine (Ap 6,12); ristrettezza dell’umiltà, o anche dolore e angoscia dell’animo, di cui dice Isaia: “Mi hanno colto dolori come di una partoriente” (Is 21,3), cioè di un penitente che partorisce lo spirito della salvezza.
Vuoi dunque salvare il bambino? Fuggi in questo Egitto, “e resta lì finché non ti avvertirò” (Mt 2,13). Ricorda che Gesù, come dice la Glossa, restò nascosto in Egitto sette anni: anche tu devi abitare nell’Egitto della penitenza per l’intero settenario della tua vita. Solo dopo aver finito “i sette anni” ti sentirai dire: “Ritorna nella terra d’Israele” (Mt 2,20), cioè alla celeste Gerusalemme, nella quale vedrai Dio faccia a faccia (cf. 1Cor 13,12).
II. la strage dei bambini
7. “Allora Erode, vedendosi beffato dai magi”, ecc. (Mt 2,16). Dice la Glossa che probabilmente Erode infierì contro i bambini un anno e quattro giorni dopo la nascita del Redentore, e che forse differì il suo intervento a motivo di un viaggio a Roma, o perché sotto accusa, oppure per consigliarsi con i Romani su ciò che si raccontava di Cristo; o anche che si trattenne così a lungo dal cercare il bambino per sorprenderlo più facilmente, senza che avesse nessuna possibilità di sfuggirgli.
“Dall’età di due anni in giù” (Mt 2,16), cioè dal bambino che era nato da una sola notte fino a quello di due anni: e li uccise tutti. Vedremo che cosa significhi tutto questo: i magi, l’inganno fatto a Erode, Betlemme e l’uccisione dei bambini, i due anni, Rama e Rachele.
I Magi che adorano Cristo e gli offrono doni raffigurano i penitenti che, illuminati dalla stella della grazia, adorano in spirito e verità (cf. Gv 4,23) , e offrono il triplice dono della penitenza. Da essi il diavolo viene beffato quando non ritornano più a lui, ma propongono di ritornare alla patria eterna per un’altra via, cioè per la via dell’umiltà. Dice Giobbe: “Beemot”, il mostro, “spera che il Giordano scorra dentro la sua bocca”; “ma ecco che la sua speranza viene frustrata” (Gb 40,18.28).
Giordano s’interpreta “umile discesa”, e simboleggia i penitenti che, dalla dignità del mondo scendono fino al disprezzo di sé. Il diavolo spera ancora di attirarli e di farli ritornare a sé; ma invano spera nel loro ritorno: l’avvertimento dell’angelo, cioè la grazia dello Spirito Santo li sostiene perché a lui più non ritornino. Oppure: Erode è figura del mondo, che essi beffano quando gli lasciano tutte le loro cose. Inganniamo un cane che ci rincorre, lascinadogli un nostro indumento. Così Giuseppe (l’antico) beffò la meretrice che lo tratteneva dicendogli: “Dormi con me. Ma lui, lasciato tra le sue mani il mantello, fuggì e uscì all’aperto” (Gn 39,12). E quella, vedendosi respinta, disse (al marito): Ecco che hai introdotto in casa quell’uomo ebreo perché ci ingannasse” (Gn 39,14). La meretrice è il mondo; se il mondo ti vuole trattenere nel peccato, lasciagli il mantello, cioè le cose temporali, e fuggi in libertà.
8. “S’infuriò terribilmente” – il diavolo, beffato, va su tutte le furie –, “e mandò ad uccidere tutti i bambini che erano a Betlemme e nei luoghi vicini” (Mt 2,16).
Il lupo divora di preferenza i piccoli, così il diavolo macchia di preferenza la purezza della continenza. Nessun’altra opera buona odia quanto la castità, e per questa ragione nel battesimo viene distrutto il suo potere, i peccati sono perdonati, viene infusa la grazia e viene aperta la porta della vita. Egli si sforza di distruggere tutto questo tentando con ogni mezzo di macchiare con la lussuria della carne, sia nell’uomo che nella donna, la stola dell’innocenza battesimale.
Ma ciò che è più doloroso e deplorevole, uccide “i piccoli a Betlemme”, nome che significa “casa del pane”. Betlemme raffigura la religione, l’ordine religioso, nel quale viene nutrita l’anima. I suoi bambini vengono uccisi quando i religiosi si corrompono con l’incontinenza della carne. E non solo nell’Ordine, ma anche “in tutti i luoghi vicini”: anche in coloro che sembrano in qualche modo seguire le loro orme e vivere secondo il loro insegnamento va perduto lo splendore della castità. E questo “dai due anni in giù”: nel numero due è indicata la perdita della duplice castità: dell’anima e del corpo.
In altro senso: Erode simboleggia l’ira; Betlemme l’anima; i bambini i sinceri sentimenti della ragione; i luoghi vicini raffigurano i sensi del corpo; i due anni gli atti della duplice carità.
L’ira impedisce all’animo di discernere la verità, turba la stabilità della mente, fa perdere i sentimenti della ragione. Dice Giobbe: “L’ira uccide lo stolto e l’odio uccide il bambino” (Gb 5,2). E questo non solo all’interno, ma anche all’esterno: l’occhio si oscura, la lingua minaccia, la mano si prepara a colpire e così si perde la carità. Perciò: “L’ira dell’uomo non opera la giustizia di Dio” (Gc 1,20) e neppure quella del prossimo.
Ed ecco che, a motivo di tutti questi mali, il grido del lamento e del pianto – cioè la contrizione del cuore e la confessione della bocca – si deve sentire in Rama(cf. Mt 2,18), cioè nell’alto dei cieli, davanti a Dio: “Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata perché non sono più” (Mt 2,18). La chiesa piange, e non vuole essere consolata quaggiù, perché i suoi figli non sono di questo mondo.
Rachele, che s’interpreta “pecora” o anche “che vede Dio”, è figura dell’anima penitente, la quale, quasi con la semplicità della pecora, vede Dio nella contemplazione. Essa piange i figli, cioè le sue opere, perché esse non sono più così vive, piene e perfette, com’erano prima che commettesse il peccato mortale, e quindi non vuole essere consolata. Dice Isaia: “Allontanatevi da me, che io pianga amaramente; non cercate di consolarmi per la desolazione della figlia del mio popolo” (Is 22,4). “Rifiutai che la mia anima fosse consolata” (Sal 76,3), perché spero di venir consolato “quando apparirà la tua gloria” (Sal 16,15).
Si degni di concederci questa gloria colui che è benedetto nei secoli. Amen.
III. sermone allegorico
9. “I tuoi figli, come virgulti di olivo, intorno alla tua mensa” (Sal 127,3). Anche in Luca troviamo un riferimento a questo: “I miei bambini sono a letto con me” (Lc 11,7). Dei figli è detto nel Deuteronomio: “Benedetto nei figli è Aser” (Dt 33,24). Aser s’interpreta “delizia” ed è figura di Cristo che è la delizia di tutti i beati.
Cristo è benedetto e lodato nei figli Innocenti, che per lui e al suo posto sono stati oggi uccisi da Erode. “Un bambino è cercato, vengono uccisi dei bambini, nei quali nasce l’immagine, la figura del martirio e nei quali viene consacrata a Dio l’infanzia della chiesa (Glossa). E la chiesa per bocca di Isaia dice: “Chi mi ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile, espatriata e condotta schiava: questi chi li ha allevati? Io ero abbandonata e sola, e questi dov’erano?”(Is 49,21). “I tuoi figli quindi sono come virgulti di olivo”.
Osserva che nel virgulto è indicata la delicatezza della prima infanzia, e nell’oliva, dalla quale si spreme l’olio, lo spargimento del sangue. O crudeltà di Erode! Lascia almeno che l’oliva maturi per poterne estrarre completamente l’olio. Tu spargi prima il latte che il sangue, perché la pianticella che sradichi sta appena germogliando, tenera la creatura cui tagli la gola.
O strazio, o pietà! Il bimbo sorrideva alla spada dell’uccisore e giocava, il pargoletto! Gli agnellini, come afferrati per i piedi, vengono condotti al macello per essere uccisi per Cristo. Le olive nuove vengono portate al torchio per estrarne l’olio. Ecco la passione dei pargoli!
10. E quale il loro premio? Ecco: “Sono intorno alla tua mensa” (Sal 127,3), dove cantano un canto nuovo (cf. Ap 14,3). Leggiamo infatti nell’Apocalisse: “E nessuno poteva cantare quel cantico, se non quei centoquarantaquattromila che sono stati riscattati dalla terra. Essi sono coloro che non si sono contaminati con donne: sono infatti vergini e seguono l’Agnello ovunque vada. Essi sono stati riscattati tra tutti, come primizie per Dio e per l’Agnello. E nella loro bocca non fu trovata menzogna: sono senza macchia dinanzi al trono di Dio” (Ap 14,3-5). Nota che in questa citazione sono poste in evidenza cinque grandi “glorie” dei santi Innocenti. Primo, la grazia della verginità, quando dice: “Sono infatti vergini”. Secondo, la gloria dell’eternità, con le parole: “Seguono l’Agnello”. Terzo, la precoce offerta del loro sangue, dove è detto: “come primizie per Dio” Padre, “e per l’Agnello”, cioè il Figlio. Quarto, l’innocenza dell’infanzia, con le parole: “Nella loro bocca non fu trovata menzogna”. Quinto, la contemplazione della maestà divina: “Sono dinanzi al trono di Dio”.
Osserva che abbiamo usato tre parole: trono, mensa, letto. Tutte e tre indicano una stessa cosa: la vita eterna. Stanno dinanzi al trono cantando le lodi di Dio e contemplando il suo volto. Dice infatti Isaia: “Voce delle tue sentinelle: alzeranno la voce e insieme canteranno lodi, perché vedranno con i loro occhi” (Is 52,8). Sederanno alla tua mensa mangiando e bevendo; infatti dice Luca: “Io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,29-30). È detto anche che questa mensa è rotonda (“attorno alla tua mensa”), perché l’eterna sazietà sarà senza principio e senza fine.
Parimenti, riposando dormono nel letto; infatti dice Isaia: “Va’, popolo mio, entra nelle tue stanze, chiudi le porte dietro a te” (Is 26,20); e ancora: “Mese seguirà mese, e sabato seguirà sabato” (Is 66,23); vale a dire che alla perfezione della vita seguirà la perfezione della gloria, e al riposo del corpo il riposo dell’eternità.
Per le preghiere dei santi Innocenti si degni di concedere tutto questo anche a noi colui che è benedetto nei secoli. Amen.
IV. sermone morale
11. “I tuoi figli”, o buon Gesù, sono questi cristiani che hai generato con le sofferenze della tua passione. Dice Isaia: “Forse non partorirò, io che faccio partorire gli altri? – dice il Signore. Io che do agli altri la facoltà di generare, sarò sterile? – dice il Signore Dio” (Is 66,9). Chi ci ha partorito nel dolore della passione? “La donna”, cioè la Sapienza del Padre, “quando partorisce è nella tristezza” (Gv 16,21). E Gesù dice: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mt 26,38). Egli stesso con la grazia fa partorire agli altri lo spirito della salvezza.
Nota che figlio deriva dal verbo greco filèo, che significa amare. Dice Osea: “Li amerò di vero cuore” (Os 14,5). L’amore è chiamato in lat. dilectio, quasi duosligans, che lega cioè due persone tra loro. L’amore lo ha talmente legato a noi, da attirarlo verso la nostra miseria, quasi che non potesse più vivere in cielo senza di noi. Fu come un’aquila che vola in cerca di cibo, di cui dice Giobbe: “Dov’è un cadavere, là essa si trova” (Gb 39,30). Cadavere deriva da cadere, oppure dal verbo latino careo, sono privo: infatti cade dalla vita, o è privo della vita. Il cadavere è figura della natura umana che, quando “cadde” dalla grazia divina, fu privata della vita.
O amore incomparabile! O pietà smisurata! Dal più alto cielo dei serafini volare a un cadavere putrido, prendere un corpo umano, portare il patibolo della croce, versare il proprio sangue, per risuscitare il figlio morto. Per questo si paragona al pellicano, dicendo: “Mi sono fatto simile al pellicano del deserto” (Sal 101,7).
12. Osserva che il pellicano è un piccolo (sic) uccello, al quale piace stare in solitudine. Si racconta che uccida a forza di colpi i suoi piccoli, che li pianga, ma che dopo tre giorni si ferisca, e che essi, bagnati del suo sangue, ritornino in vita (Glossa).
Cristo, fattosi piccolo per umiltà, amante della solitudine per la preghiera – dicono gli evangelisti che passava le notti in preghiera (cf. Lc 6,12) e che dimorava in luoghi deserti (cf. Lc 1,80) –, uccise per così dire a forza di colpi i suoi figli Adamo ed Eva e la loro discendenza, quando disse: “Sia maledetta la terra per ciò che hai fatto” (Gn 3,17), e “Sei polvere, e in polvere ritornerai” (Gn 3,19). Ma poi li pianse, come dice il salmo: “Quasi triste e in pianto, così mi umiliavo” (Sal 34,14).
Nel secondo libro dei Re si racconta che Davide, affranto dal dolore, salì in pianto alla sue stanze sospirando: “Figlio mio Assalonne, Assalonne figlio mio! Chi mi concederà di morire per te?” (2Re 18,33). Così Cristo, rattristato per la morte del genere umano, salì sul patibolo della croce e ivi pianse, poiché dice l’Apostolo: Offrì se stesso con forti grida e lacrime (cf. Eb 5,7); e poté dire: Figlio mio, Adamo! Adamo, figlio mio! Chi mi concederà di morire per te? Chi farà che la mia morte ti sia di giovamento?
E dopo tre giorni, cioè dopo i tre tempi, della natura, della legge e della grazia (cioè da Adamo a Mosè, da Mosè a Gesù e da Gesù in poi), ferì se stesso, cioè permise che altri lo ferissero, e con il suo sangue asperse i suoi figli morti e li fece ritornare in vita. E tutto questo provenne dall’immenso amore con il quale ci amò. Dice infatti Giovanni: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), cioè fino alla morte. “Tuoi figli”, dunque. Veramente tuoi, perché redenti con il tuo sangue; e voglia il cielo che siano “tuoi”, e non “suoi”, cioè schiavi della loro carne, perché “i suoi non l’hanno ricevuto” (Gv 1,11). E per essere tuoi è necessario che siano “come virgulti di olivo”.
13. Osserva che l’ulivo ha la radice amara, il legno durissimo e quasi indistruttibile, la foglia verde, il frutto gradevole. Anche il cristiano dev’essere amaro per la contrizione, fermo nel proposito, fedele alla parola, gradito nelle opere di misericordia. L’olio infatti simboleggia l’opera di misericordia.
E considera attentamente che è detto in lat. novellae, germogli, e questo per indicare che i figli di Cristo devono camminare nella novità dello spirito (cf. Rm 6,4): di giorno in giorno devono rinnovare, per mezzo della confessione, il loro spirito (cf. 2Cor 4,16), che altrimenti si corrompe dietro le passioni ingannatrici (cf. Ef 4,22).
“Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente” (Ef 4,23). E Geremia: “Questo dice il Signore agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme” – cioè ai laici e ai chierici –: “Rimettete a coltura il campo arato per la prima volta e non seminate tra le spine” (Ger 4,3). Il campo arato per la prima volta è figura del cuore dell’uomo, che dev’essere solcato dall’aratro della contrizione, ripulito dalle erbe nocive con il sarchio della confessione: questo vuol dire rimettere a coltura un campo arato di fresco. Invece semina tra le spine colui che compie qualche opera buona mentre si trova in peccato mortale. Quindi “i tuoi figli siano come virgulti (nuovi germogli) di olivo”.
14. E dov’è la loro abitazione? Dove deve svolgersi la loro vita? Sicuramente “intorno alla tua mensa”. Osserva che ci sono tre tipi di mensa, e in ognuna c’è una propria refezione. La prima è la mensa della dottrina: “Davanti a me tu prepari una mensa, di fronte a quelli che mi perseguitano (Sal 22,5), cioè contro gli eretici. La seconda è la mensa della penitenza: “Tranquillità alla tua mensa, piena di grasse vivande” (Gb 36,16). Felice quella penitenza che produce la quiete della coscienza e abbondanza di bene, cioè opere di carità verso i fratelli. La terza è la mensa dell’Eucaristia, di cui dice l’Apostolo: Non potete partecipare alla mensa di Cristo e alla mensa dei demoni (cf. 1Cor 10,21). Nella prima mensa la refezione è la Parola di vita, nella seconda i gemiti e le lacrime, nella terza la carne e il sangue di Cristo. E anche qui fa’ attenzione che non è detto “alla mensa”, ma “intorno alla mensa”. Intorno a queste mense deve stare ogni cristiano, a somiglianza di coloro che girano avidamente intorno a ciò che desiderano vedere e trovare, ma dove non riescono ad entrare.
Così costoro devono girare intorno alla mensa della dottrina, per imparare a distinguere il bene dal male, e tra bene e bene; devono girare intorno alla mensa della penitenza per suscitare in sé il dispiacere dei peccati commessi e anche dei peccati di omissione, per confessare le loro colpe, precisando le circostanze, per riparare il danno arrecato, per restituire ciò che hanno illecitamente tolto, per elargire le cose proprie a chi è nel bisogno; devono girare intorno alla mensa eucaristica per credere con fermezza, per accostarsi ad essa con devozione, e ricevere il corpo di Cristo dopo profonda riflessione, reputandosi indegni di tanta grazia.
Preghiamo dunque il Figlio di Dio che ci conceda di ristorarci a questa triplice mensa per essere degni di saziarci alla mensa celeste insieme ai beati Innocenti. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
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