Che nella Chiesa vi sia ed agisca un’ala «progressista» non è un’etichetta, un modo di dire, ma una realtà: a codificarne la presenza è stato lo stesso papa Francesco, dopo l’ultimo Sinodo. Ed è esattamente quella parte del popolo di Dio, che oggi maggiormente alza la voce, anche sui social network, sentendosi più compresa, tutelata, protetta, finanche incoraggiata dalle gerarchie e dalle alte sfere.
Così, in Francia, pare essersi aperta la caccia ai nemici del modernismo, specie se Episcopi: mons. Le Vert, costretto a ritirarsi per il tiro incrociato dei fondamentalisti post-conciliari; mons. Castet, di cui in molti vorrebbero la testa; ed ora il Vescovo di Lescar-Oloron-Bayonne, mons. Marc Aillet (nella foto, al centro), contro cui si è scatenata la frangia più “liberal” della Diocesi, come dichiarato dal periodico Sud Ouest. Sin dalla scorsa estate, quando si costituì il gruppo «Prendiamo la parola nella Chiesa», con circa 150 aderenti, riunitisi per mettere a punto un “manifesto”, fatto di 21 punti o rimostranze, presentate poi all’interessato.
Punto di partenza per questa sorta di programma è la convinzione di non volere «che il governo episcopale, per mancanza di concertazione, somigli ad una dittatura e che gli ebrei vengano criticati nelle omelie», preferendovi una Chiesa da loro definita «aperta e non gerarchica», specie se «tendente verso il Fronte Nazionale». Insomma, una lettura tutt’altro che spirituale, anzi nemmeno pastorale, bensì solo politica dell’esperienza di fede. Così ecco il solito “cattolico impegnato” di Bayonne dichiarare d’aver preso la penna a nome dei «molti cristiani dei Pirenei-Atlantici» delusi dal proprio Pastore, rivolgendosi direttamente a papa Francesco (i cattolici “di sinistra” mica si accontentano degli intermediari): «Noi siamo ben disposti – si legge – ad applicare tutte le disposizioni del Concilio Vaticano II, ma non per tornare indietro, al concilio di Trento o agli Anni Cinquanta»: ciò per cui, a loro dire, si sarebbero registrati casi di abbandoni della pratica domenicale e della parrocchia più in generale, travisando cause e responsabilità.
Ed ecco anche la madre di famiglia, pure attivissima in parrocchia, ricordare l’arrivo di mons. Aillet, dopo l’ordinazione del 2008, sin da allora accusato di aver «imposto la sua visione retrograda di Chiesa, senza un sorriso affabile ed aperto. Delle tre chiese attorno a casa mia, in due si celebra la Messa in latino ed in una la si celebra in basco. Mi sento esclusa, indesiderata. Non ho più un mio posto».
Mons. Aillet si è fatto, in Diocesi, una fama di uomo attento e comunicativo, senza complessi, ma assolutamente fermo nell’opporsi al Gay Pride di Biarritz, al Salone dell’erotismo di Pau, alle moderne leggi “bioetiche”, all’eutanasia; nel cancellare uno spettacolo, che si sarebbe dovuto allestire in Cattedrale; nel rilanciare la devozione al Sacro Cuore di Gesù ed al Cuore Immacolato di Maria; nell’aprire nuove scuole cattoliche; nell’avviare un valzer di parroci, atto a scardinare incrostazioni ormai consolidate; nell’arruolare sacerdoti, chiamati per celebrare la forma detta “straordinaria”, con tanto di canto gregoriano. Ed eliminando le chierichette dal servir Messa, come richiesto dalla liturgia della Chiesa. Esattamente ciò che ha fatto tremare di paura i “cattolici del new age”. Passati subito alla riscossa.
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fonte: NoCristianofobia
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