La storia dell'arte ci tramanda un Cristo
con i capelli lunghi e la barba. Vi siete mai chiesti come il suo volto abbia
acquisito tali sembianze ? I Vangeli canonici non tramandano alcuna
descrizione del suo aspetto e la cultura sostanzialmente aniconica degli ebrei
ha impedito la registrazione e la trasmissione “in diretta” della sua immagine.
Formatesi le prime comunità di credenti prima ad Antiochia e poi a Roma, l'arte
paleocristiana si avvale prevalentemente di simboli e le prime
immagini del Cristo ci mostrano spesso un giovane imberbe con le
sembianze di un dio pagano, ricavate dall'arte romana. Si
ritiene che solo dopo l'editto di Costantino (313), il Cristo giovane delle
catacombe diventi il Cristo adulto e barbuto e che ciò avvenga per influsso
dell'arte siriaca. Che dire poi delle due più celebri immagini del Cristo: il
Mandylion e la Sindone. Il Mandylion rappresenta volto del
Cristo al centro di una tela. Circa la sua origine, si narra che il re di Edessa fosse malato e abbia richiesto la presenza del Cristo presso di lui. Cristo, non
potendosi recare a guarirlo, gli avrebbe mandato una sua immagine impressa su un
telo. Al Mandylion si collega la vicenda del velo della Veronica (frequentemente
rappresentato in area nordica durante il Rinascimento), telo con il quale la
Veronica (figura di donna, forse guarita da Gesù, che non compare nei vangeli
canonici) avrebbe deterso il volto di Cristo durante l'ascesa al Calvario. Si
hanno notizie di telo, subito denominato Mandylion, con impressa l'immagine di
Cristo, ritrovato nella chiesa di Santa Sofia a Edessa (oggi Urfa) in Turchia
nel 525 (secondo alcuni nient'altro che il lenzuolo della Sindone ripiegato in
più parti). Dell'originale non vi è più traccia e la maggior parte delle icone
rappresentanti il Mandylon è comunque posteriore all'VIII secolo quando,
condannata definitivamente l'iconoclastia dal Concilio di Nicea (787), si
costituisce un canone in base al quale le immagini sacre (icone) si devono
attenere solo a determinati modelli (FIG. 1). Le prime notizie della
Sindone conservata a Torino, quale ne sia il grado di
autenticità, risalgono al 348 quando viene citata in un'omelia di Cirillo,
vescovo di Gerusalemme, che la dice ospitata nella locale basilica costantiniana
del Santo Sepolcro (FIG. 2) Parrebbe quindi che, prima del IV secolo,
l'immagine del Cristo come noi la conosciamo non fosse per nulla diffusa.
In un archivio privato abbiamo trovato - e qui pubblichiamo
– un singolare documento: un'immagine a stampa, incollata su
cartoncino, databile al 1920 circa (FIG. 3). Come recita una didascalia in
calce, si tratta del “vero ritratto di Gesù riprodotto da quello fatto
incidere dall'imperatore Tiberio su smeraldo, già proprietà del tesoro imperiale
di Costantinopoli, caduto in mano ai turchi nel 1453 e dal sultano Bajazet II
donato a papa Innocenzo VIII insieme con la santa lancia che ferì il costato del
Signore, in riscatto del proprio fratello fatto prigioniero dalle armi cristiane
a Rodi”. Per la cronaca, Innocenzo VIII, genovese, è stato il 213mo
papa dal 1484-1492.
Immagini del genere dovevano essere popolari alla fine
dell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento. Una di queste è citata in una
novella di Pirandello, intitolata “Il no di Anna” (1895),
appesa al capezzale della protagonista. Anche questa reca una scritta che ci
fornisce un nuovo elemento: la presunta data in cui fu inciso lo smeraldo,
ovvero il 30 d.C. (“Vero ritratto preso dallo smeraldo inciso per ordine di
Tiberio Imperatore di Roma, nel trentesimo anno dell'era cristiana. Questa
gemma, di cui l'inestimabile valore non supera il merito artistico, dopo varie
vicende, fu posseduta dal tesoro turco, e da quell'Imperatore donata al
Pontefice Innocenzo VIII per la redenzione d'un fratello dell'Imperatore fatto
schiavo dai cristiani”).
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La particolarità del nostro documento consiste nel fatto di mettere
in relazione lo smeraldo con una lettera. La didascalia, infatti,
prosegue:“A questo dolcissimo ritratto iconografico fa riscontro quello
letterario della celebre lettera di P. Lentulo, proconsole
della Giudea, allo stesso imperatore Tiberio”. La lettera di cui si parla,
presumibilmente una traduzione dal latino, compare a stampa sul retro del
documento stesso. Cristo viene descritto con il “viso roseo, con la barba
divisa nel mezzo” e viene detto “di una bellezza incomparabile, e che nessuno
può fissarlo a lungo per lo splendore nei lineamenti, negli occhi cerulei, nei
cappelli biondoscuri” (Il testo completo è riportato in
Appendice).
I personaggi citati sono storici. Tra quelli più
antichi, Tiberio (Roma 42 a.C. – Capo Miseno 37 d.C.) è
l'imperatore romano sotto il quale si svolge la vicenda umana di Gesù.
Publio
Lentulo era governatore della Giudea, il predecessore di Ponzio Pilato.
Sappiamo che la lettera, della quale sono note diverse traduzioni, esiste,
secondo alcune fonti conservata presso l'Archivio Vaticano, secondo altre presso
privati sempre a Roma. Può apparire difficile credere che la descrizione di
Cristo che Lentulo fornisce sia stata sufficiente a farlo ritrarre sullo
smeraldo in modo così verosimile. Possiamo allora citare una leggenda, che si
ricollega a quanto detto sopra a proposito del Mandyllon, secondo la quale la
stessa Veronica, venuta a Roma, avrebbe guarito proprio l'imperatore Tiberio
mettendolo a contatto con la preziosa reliquia. L'ipotesi che l'immagine di
Cristo sia stata trasferita su uno smeraldo già nel I secolo è quindi
plausibile, ma del gioiello che potrebbe fornire la testimonianza della
più antica immagine del Cristo che si conosca non si hanno notizie.
Ad esso è stata dedicata una sezione della mostra “Il volto di Cristo”,
tenutasi nel Palazzo delle Esposizioni a Roma (dicembre 2000-gennaio 2001).
Sappiamo inoltre che il volto di Cristo compare su una serie di medaglie coniate
tra la fine del Quattrocento e il secolo successivo e che sul verso di una delle
tante varianti compare un testo che riporta proprio la leggenda dello smeraldo
donato da Bajazet II a papa Innocenzo VIII. Può darsi che lo smeraldo esistesse
nei tesori vaticani, o altrove, all'epoca in cui le medaglie furono coniate.
Era, infatti, prassi frequente riprodurre in bronzo (in placchette o medaglie) i
tesori della glittica antica. |
Appendice. Lettera di Publio Lentulo
“A Tiberio Cesare, Salute. - Eccoti la risposta che
desideri. E' apparso da queste parti un uomo dotato di eccezionale potenza, e lo
chiamano il grande Profeta. I suoi discepoli lo appellano Figlio di Dio. Il suo
nome è Gesù. In verità o Cesare, ogni giorno si sentono cose prodigiose di
questo Cristo, che risuscita i morti e guarisce ogni infermità e fa stupire
tutta Gerusalemme con la sua dottrina straordinaria. Egli è di aspetto maestoso,
con una splendente fisionomia piena di soavità talchè coloro i quali lo vedono,
lo amano e lo temono a un tempo. Dicono che il suo viso roseo, con la barba
divisa nel mezzo, è di una bellezza incomparabile, e che nessuno può fissarlo a
lungo per lo splendore nei lineamenti, negli occhi cerulei, nei cappelli
biondoscuri. Egli è simile alla madre, che è la più bella mesta figura, che
siasi mai vista da queste parti. Nei suoi detti recisi, gravi, inoppugnabili è
l'espressione più pura della virtù e di una sapienza che supera di gran lunga
quella dei più grandi genii. Nel riprendere e rampognare è formidabile;
nell'insegnare ed esortare è mite, amabile, affascinante. Cammina scalzo a capo
scoperto, e in vederlo a certa distanza, molti ridono, ma in sua presenza
tremano e stupiscono. Nessuno lo vide mai ridere, ma molti lo videro piangere.
Tutti coloro che l'hanno praticato dicono di averne avuto benefici e sanità.
Però io sono molestato da maligni che dicono Egli sia a danno della Tua Maestà
perchè afferma pubblicamente che re e sudditi sono uguali avanti a Dio.
Comandami in proposito e sarai prontamente obbidito. - Vale”.
© riproduzione riservata
AMDG et BVM
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"Jesu, tibi sit gloria
Qui natus es de Virgine,
Cum Patre, et almo Spiritu
In sempiterna sæcula. Amen".
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