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giovedì 15 febbraio 2024

LETTERA DI Publio Lentulo

IL VERO RITRATTO  DI GESU' CRISTO

E' QUELLO DESCRITTO  DA PUBLIO LENTULO 

Proconsul romanus in Judea

 A  PONZIO PILATO  SUO AMICO

(Lettera indirizzata al Senato Romano / Pubblicata da Fabricius)

Ho inteso, o Cesare, che desideri sapere quanto ora ti narro: essendo qui un uomo, il quale vive di grandi virtù chiamato Gesù Cristo, dalla gente è detto profeta ed i suoi discepoli lo tengono per divino e dicono, che egli è figlio di Dio Creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose che in essa si trovano e son fatte. In verità, o Cesare, ogni giorno si sentono cose meravigliose di questo Cristo: risuscita morti, e sana gli infermi con una sola parola.     Uomo di giusta statura, è molto bello di aspetto; ED HA MAESTÀ NEL VOLTO, e quelli che lo mirano sono forzati ad amarlo e temerlo.

Ha i capelli di color della nocciola ben matura, sono distesi sino alle orecchie e dalle orecchie sino alle spalle sono di color della terra, ma più risplendenti.

   Ha nel mezzo della fronte in testa il crine spartito ad usanza dei Nazareni, IL VOLTO SENZA RUGA, O MACCHIA, accompagnato da un colore modesto. Le narici e le labbra non possono da alcuno essere riprese con ragione: la barba è spessa ed a somiglianza dei capelli, non molto lunga, ma spartita per mezzo.

   Il suo mirare è molto spaventoso e grave: ha gli occhi come i raggi del sole e nessuno può guardarlo fisso per lo splendore; e quando ammonisce, si fa amare, ed è allegro con gravità. Dicono che nessuno l’ha veduto mai ridere, ma bensì piangere. Ha le mani e le braccia molto belle, nella conversazione contenta molti ma si vede di rado: e quando vi si trova, è molto modesto all’aspetto, e nella presenza è il più bell’uomo che si possa immaginare; tutto simile alla madre la quale è la più giovane che si  sia mai vista in queste parti.

   Però se la Maestà tua, o Cesare, desidera di vederlo come negli avvisi passati mi scrivesti, fammelo sapere, che non mancherò subito di mandartelo. Di lettere fa stupire la città di Gerusalemme. Egli non ha studiato giammai con alcun, eppure sa tutte le scienze, cammina scalzo, senza cosa alcuna in testa; molti ne ridono in vederlo, ma in presenza sua nel parlare con lui tremano e stupiscono.

   Dicono che un tal uomo non è stato mai veduto, né inteso in queste parti. In verità secondo mi dicono gli ebrei non si è sentito mai di tali consigli, di così grande dottrina, come insegna questo Cristo e molti dei Giudei lo tengono per divino e lo credono; e molti altri me lo querelano con dire che è contro la Maestà tua, o Cesare. Si dice di non aver mai fatto dispiacere ad alcuna persona, ma sì bene tutti quelli che lo conoscono che l’hanno provato dicono di aver ricevuto benefizi e sanità.
   Però alla Maestà tua, o Cesare, alla tua obbedienza sono prontissimo: quando mi comandi sarà eseguito. Vale. 
Da Gerusalemme Indizione settima, luna undicesima, Della Maestà tua fedelissimo e obbedientissimo.
Publio Lentulo
Governatore della Giudea 







lunedì 28 maggio 2012

Il suo nome è Gesù. In verità o Cesare, ogni giorno si sentono cose prodigiose di questo Cristo, che risuscita i morti e guarisce ogni infermità e fa stupire tutta Gerusalemme con la sua dottrina straordinaria. Egli è di aspetto maestoso, con una splendente fisionomia piena di soavità talchè coloro i quali lo vedono, lo amano e lo temono a un tempo.



Iconografia


Il mistero della più antica immagine di Cristo 

di Fausto Riva

La storia dell'arte ci tramanda un Cristo con i capelli lunghi e la barba. Vi siete mai chiesti come il suo volto abbia acquisito tali sembianze ?
I Vangeli canonici non tramandano alcuna descrizione del suo aspetto e la cultura sostanzialmente aniconica degli ebrei ha impedito la registrazione e la trasmissione “in diretta” della sua immagine. Formatesi le prime comunità di credenti prima ad Antiochia e poi a Roma, l'arte paleocristiana si avvale prevalentemente di simboli e le prime immagini del Cristo ci mostrano spesso un giovane imberbe con le sembianze di un dio pagano, ricavate dall'arte romana. Si ritiene che solo dopo l'editto di Costantino (313), il Cristo giovane delle catacombe diventi il Cristo adulto e barbuto e che ciò avvenga per influsso dell'arte siriaca.
Che dire poi delle due più celebri immagini del Cristo: il Mandylion e la Sindone.
Il Mandylion rappresenta volto del Cristo al centro di una tela. Circa la sua origine, si narra che il re di Edessa fosse malato e abbia richiesto la presenza del Cristo presso di lui. Cristo, non potendosi recare a guarirlo, gli avrebbe mandato una sua immagine impressa su un telo. Al Mandylion si collega la vicenda del velo della Veronica (frequentemente rappresentato in area nordica durante il Rinascimento), telo con il quale la Veronica (figura di donna, forse guarita da Gesù, che non compare nei vangeli canonici) avrebbe deterso il volto di Cristo durante l'ascesa al Calvario. Si hanno notizie di telo, subito denominato Mandylion, con impressa l'immagine di Cristo, ritrovato nella chiesa di Santa Sofia a Edessa (oggi Urfa) in Turchia nel 525 (secondo alcuni nient'altro che il lenzuolo della Sindone ripiegato in più parti). Dell'originale non vi è più traccia e la maggior parte delle icone rappresentanti il Mandylon è comunque posteriore all'VIII secolo quando, condannata definitivamente l'iconoclastia dal Concilio di Nicea (787), si costituisce un canone in base al quale le immagini sacre (icone) si devono attenere solo a determinati modelli (FIG. 1).
Le prime notizie della Sindone conservata a Torino, quale ne sia il grado di autenticità, risalgono al 348 quando viene citata in un'omelia di Cirillo, vescovo di Gerusalemme, che la dice ospitata nella locale basilica costantiniana del Santo Sepolcro (FIG. 2)
Parrebbe quindi che, prima del IV secolo, l'immagine del Cristo come noi la conosciamo non fosse per nulla diffusa.
In un archivio privato abbiamo trovato - e qui pubblichiamo – un singolare documento: un'immagine a stampa, incollata su cartoncino, databile al 1920 circa (FIG. 3). Come recita una didascalia in calce, si tratta del “vero ritratto di Gesù riprodotto da quello fatto incidere dall'imperatore Tiberio su smeraldo, già proprietà del tesoro imperiale di Costantinopoli, caduto in mano ai turchi nel 1453 e dal sultano Bajazet II donato a papa Innocenzo VIII insieme con la santa lancia che ferì il costato del Signore, in riscatto del proprio fratello fatto prigioniero dalle armi cristiane a Rodi”.
Per la cronaca, Innocenzo VIII, genovese, è stato il 213mo papa dal 1484-1492.
Immagini del genere dovevano essere popolari alla fine dell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento. Una di queste è citata in una novella di Pirandello, intitolata “Il no di Anna” (1895), appesa al capezzale della protagonista. Anche questa reca una scritta che ci fornisce un nuovo elemento: la presunta data in cui fu inciso lo smeraldo, ovvero il 30 d.C. (Vero ritratto preso dallo smeraldo inciso per ordine di Tiberio Imperatore di Roma, nel trentesimo anno dell'era cristiana. Questa gemma, di cui l'inestimabile valore non supera il merito artistico, dopo varie vicende, fu posseduta dal tesoro turco, e da quell'Imperatore donata al Pontefice Innocenzo VIII per la redenzione d'un fratello dell'Imperatore fatto schiavo dai cristiani).
La particolarità del nostro documento consiste nel fatto di mettere in relazione lo smeraldo con una lettera. La didascalia, infatti, prosegue:“A questo dolcissimo ritratto iconografico fa riscontro quello letterario della celebre lettera di P. Lentulo, proconsole della Giudea, allo stesso imperatore Tiberio”. La lettera di cui si parla, presumibilmente una traduzione dal latino, compare a stampa sul retro del documento stesso. Cristo viene descritto con il “viso roseo, con la barba divisa nel mezzo” e viene detto “di una bellezza incomparabile, e che nessuno può fissarlo a lungo per lo splendore nei lineamenti, negli occhi cerulei, nei cappelli biondoscuri” (Il testo completo è riportato in Appendice).
I personaggi citati sono storici. Tra quelli più antichi, Tiberio (Roma 42 a.C. – Capo Miseno 37 d.C.) è l'imperatore romano sotto il quale si svolge la vicenda umana di Gesù.
Publio Lentulo era governatore della Giudea, il predecessore di Ponzio Pilato.
Sappiamo che la lettera, della quale sono note diverse traduzioni, esiste, secondo alcune fonti conservata presso l'Archivio Vaticano, secondo altre presso privati sempre a Roma.
Può apparire difficile credere che la descrizione di Cristo che Lentulo fornisce sia stata sufficiente a farlo ritrarre sullo smeraldo in modo così verosimile. Possiamo allora citare una leggenda, che si ricollega a quanto detto sopra a proposito del Mandyllon, secondo la quale la stessa Veronica, venuta a Roma, avrebbe guarito proprio l'imperatore Tiberio mettendolo a contatto con la preziosa reliquia. L'ipotesi che l'immagine di Cristo sia stata trasferita su uno smeraldo già nel I secolo è quindi plausibile, ma del gioiello che potrebbe fornire la testimonianza della più antica immagine del Cristo che si conosca non si hanno notizie.
Ad esso è stata dedicata una sezione della mostra “Il volto di Cristo”, tenutasi nel Palazzo delle Esposizioni a Roma (dicembre 2000-gennaio 2001). Sappiamo inoltre che il volto di Cristo compare su una serie di medaglie coniate tra la fine del Quattrocento e il secolo successivo e che sul verso di una delle tante varianti compare un testo che riporta proprio la leggenda dello smeraldo donato da Bajazet II a papa Innocenzo VIII. Può darsi che lo smeraldo esistesse nei tesori vaticani, o altrove, all'epoca in cui le medaglie furono coniate. Era, infatti, prassi frequente riprodurre in bronzo (in placchette o medaglie) i tesori della glittica antica.
Appendice. Lettera di Publio Lentulo

“A Tiberio Cesare, Salute. - Eccoti la risposta che desideri. E' apparso da queste parti un uomo dotato di eccezionale potenza, e lo chiamano il grande Profeta. I suoi discepoli lo appellano Figlio di Dio. Il suo nome è Gesù. In verità o Cesare, ogni giorno si sentono cose prodigiose di questo Cristo, che risuscita i morti e guarisce ogni infermità e fa stupire tutta Gerusalemme con la sua dottrina straordinaria. Egli è di aspetto maestoso, con una splendente fisionomia piena di soavità talchè coloro i quali lo vedono, lo amano e lo temono a un tempo. Dicono che il suo viso roseo, con la barba divisa nel mezzo, è di una bellezza incomparabile, e che nessuno può fissarlo a lungo per lo splendore nei lineamenti, negli occhi cerulei, nei cappelli biondoscuri. Egli è simile alla madre, che è la più bella mesta figura, che siasi mai vista da queste parti. Nei suoi detti recisi, gravi, inoppugnabili è l'espressione più pura della virtù e di una sapienza che supera di gran lunga quella dei più grandi genii. Nel riprendere e rampognare è formidabile; nell'insegnare ed esortare è mite, amabile, affascinante. Cammina scalzo a capo scoperto, e in vederlo a certa distanza, molti ridono, ma in sua presenza tremano e stupiscono. Nessuno lo vide mai ridere, ma molti lo videro piangere. Tutti coloro che l'hanno praticato dicono di averne avuto benefici e sanità. Però io sono molestato da maligni che dicono Egli sia a danno della Tua Maestà perchè afferma pubblicamente che re e sudditi sono uguali avanti a Dio. Comandami in proposito e sarai prontamente obbidito. - Vale”.
© riproduzione riservata

AMDG et BVM
"Jesu, tibi sit gloria
Qui natus es de Virgine,
Cum Patre, et almo Spiritu
In sempiterna sæcula. Amen".