venerdì 7 ottobre 2011

7.X: La Vittoria di Lepanto, vista dal Prof. Dott. Massimo de Leonardis

San Pio V fu l'artefice di quella Lega che vinse a Lepanto il 7-X-1571









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Come scrive un maestro della storiografia, Nicolò Rodolico: “Al di sopra di interessi materiali, di ambizioni, di possessi e di ricchezze, vi era un Crociato che chiamava a raccolta la Cristianità: Pio V. Non era Cipro dei Veneziani in pericolo, ma la Croce di Cristo nell’Europa era minacciata. La parola commossa del Papa riuscì a conciliare Veneziani e Spagnoli”. Fu firmata a Roma il 20 maggio 1571 una Lega, cui aderirono il Papa, il Re di Spagna, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, il Granduca di Toscana, il Duca di Savoia, l’Ordine di Malta, la Repubblica di Lucca, il Marchese di Mantova, il Duca di Ferrara e il Duca di Urbino. “Le differenze che possono insorgere tra i contraenti – prevedeva il trattato di alleanza – saranno risolte dal Papa. Nessuna delle parti alleate potrà conchiudere pace o tregua da sé o per mezzo di intermediari, senza il consenso o la partecipazione delle altre”. Accanto all’azione diplomatica, il Papa ordinò solenni preghiere, in particolare la recita del Santo Rosario, e processioni di penitenza, alle quali prese parte personalmente, nonostante i dolori cagionatigli dalla sua malattia. Il Sultano ebbe ad esclamare: “Temo più le preghiere di questo Papa, che tutte le milizie dell’imperatore”.

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Il mattino del 7 ottobre 1571 iniziò lo scontro tra le flotte cristiana e musulmana al largo di Lepanto (oggi Nafpaktos), allo sbocco del golfo di Corinto ed a nord di quello di Patrasso. La flotta cristiana era sotto il comando supremo di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale del defunto Imperatore Carlo V, ai cui ordini stavano i veneziani Sebastiano Veniero ed Agostino Barbarigo, il romano Marcantonio Colonna, il genovese Gian Andrea Doria, ed era composta di circa 208 galee, centodieci delle quali avevano comandanti veneziani, anche se, per la scarsezza di uomini, gli equipaggi erano stati rinforzati con truppe provenienti dagli Stati spagnoli, in specie archibugieri. Trentasei galee provenivano da Napoli e dalla Sicilia; ventidue da Genova; ventitré dagli Stati pontifici e da altri Stati italiani (18); quattordici dalla Spagna in senso stretto e tre da Malta. Vi era poi naviglio minore: sei galeazze, tutte venete, e oltre 60 fregate. In totale circa 280 bastimenti, sui quali trovavano posto 1.800 pezzi d’artiglieria, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 43.000 vogatori. La flotta turca, al comando dell’ammiraglio Alì-Mouezzin Pascià, contava circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori, per un totale di circa 290 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 41.000 rematori (in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci). La vittoria cristiana fu netta. Gli alleati della Lega contarono circa 7.500 morti, uccisi o annegati, in gran parte soldati, e circa 20.000 feriti e persero 12 galee. Il Generale Giustiniani, dell’Ordine di Malta, e il comandante della galera capitana dell’Ordine, fra’ Rinaldo Naro, furono feriti tre volte; 60 cavalieri di Malta perirono nel combattimento. I turchi ebbero 30.000 morti e 10.000 prigionieri, circa 100 navi bruciate o affondate e 130 catturate; 15.000 schiavi cristiani furono liberati. “Il trionfo cristiano fu immenso”, scrive Braudel.

Alle cinque della sera, ora in cui si concludeva la battaglia, il Papa stava attendendo agli affari di curia con alcuni prelati, quando ad un tratto s’interruppe, si accostò ad una finestra fissando lo sguardo verso l’Oriente come estatico, per poi esclamare: “Non occupiamoci più d’affari, ma andiamo a ringraziare Iddio. La flotta cristiana ha ottenuto la vittoria”. Il Re Filippo II di Spagna stava assistendo ai vespri nella cappella del suo palazzo quando entrò l’ambasciatore veneziano, proprio mentre veniva intonato il Magnificat, gridando “Vittoria! Vittoria!”. Ma il re non volle che si interrompesse la sacra funzione. Solo al termine fece leggere il dispaccio e intonare il Te Deum. S. Pio V attribuì il trionfo di Lepanto all’intercessione della Vergine: volle che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse l’invocazione “Auxilium Christianorum, ora pro nobis”, e fissò al 7 ottobre la festa in onore di nostra Signora della Vittoria. Nel 1573, Gregorio XIII, suo successore, trasferì la festa alla prima domenica di ottobre, col titolo di solennità del Rosario; Clemente VIII la riportò al 7 ottobre, estendendola a tutta la Chiesa e facendola inserire nel Martirologio romano con queste parole: “Commemorazione di S. Maria della Vittoria, istituita da Pio V, Sommo Pontefice, per l’insigne vittoria riportata dai cristiani sui turchi in una battaglia navale, con la protezione della Madre di Dio”. Pio VI fissò infine il 24 maggio la festa di Maria Ausiliatrice, in memoria della battaglia di Lepanto e della propria liberazione a Savona. Il Senato veneziano fece scrivere sul quadro della battaglia di Lepanto, collocato nella sala delle sue adunanze, la famosa epigrafe: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit”.

Sette mesi dopo, S. Pio V moriva e, priva del suo artefice, la Lega cristiana nel giro di pochi anni si sfaldava senza sfruttare a fondo la vittoria. Non a caso, alla notizia della morte del Papa, il Sultano ordinò a Costantinopoli una festa di tre giorni. Al di là del pur importante fattore personale vanno rilevate alcune tendenze di fondo della politica internazionale. La Spagna, che il poeta Marcelino Menendez y Pelayo definirà “evangelizzatrice di mezzo mondo, martello degli eretici, luce di Trento, spada di Roma, culla di S. Ignazio”, era il pilastro del Cattolicesimo. Tuttavia essa era impegnata su molteplici fronti: contro l’Impero ottomano nel Mediterraneo orientale, contro le reggenze mussulmane dell’Africa Settentrionale, nei Paesi Bassi in rivolta (anche con connotazioni religiose calviniste), in Atlantico contro l’Inghilterra protestante. Lo stesso impero ottomano combatteva su due fronti, ad Occidente contro i cristiani e ad oriente contro la Persia. Entro la fine del secolo Spagna ed Impero ottomano arrivarono ad una pace abbastanza stabile, rivolgendo la loro attenzione verso le altre direttrici geopolitiche di loro interesse. Anche il Papa doveva dividersi tra lotta al turco e all’eresia protestante.

Dopo gli attentati del 2001, il Cardinale Biffi, Arcivescovo di Bologna, pr
egò “perché la Cristianità trovi la strada giusta per la propria sopravvivenza”. Fu uno dei pochi a parlare di “Cristianità”. Mons. Claudio Stagni, suo vescovo ausiliare, nel primo anniversario degli attentati negli Stati Uniti, durante la Messa in suffragio delle vittime, propose di fare del 12 settembre “una giornata di preghiera alla Vergine Maria perché protegga i nostri paesi dal diffondersi della religione islamica”. La data richiama il 12 settembre 1683 quando Vienna festeggiò la vittoria sugli assedianti turchi. Animatore infaticabile della resistenza fu il Beato cappuccino Marco d’Aviano, la cui statua campeggia nella capitale austriaca davanti alla Kapuzinerkirche.

Alberto Leoni, autore di un volume che ripercorre 1.400 anni di scontri militari tra Cristianità ed Islam, ricordando le figure di condottieri difensori dell’Europa cristiana dall’Islam, come d’Aviano, Giovanni Hunyadi ed il francescano San Giovanni da Capistrano, commenta giustamente: “Nati in un’età di ferro, la loro vita avventurosa e tormentata può forse scandalizzare la maggior parte dei cristiani contemporanei, sicuramente più mansueti e pacifici: eppure la pace e la libertà che permettono questa mitezza sono conseguenza diretta di quelle battaglie”.

* Prof. Dott. Massimo de Leonardis
Ordinario di Storia delle Relazioni e delle Istituzioni Internazionali
Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano



Da http://blog.messainlatino.it/

AMDG et BVM

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