El Jardín de Judith: ¿POR QUÉ ES BUENA LA HIERBA BUENA?: “Cuenta una antigua leyenda, que Santa Ana y San Joaquín, padres de la Virgen María, salían cada tarde en amor y compaña a dar un paseo...
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
martedì 31 gennaio 2017
sabato 28 gennaio 2017
PROFEZIA è fedeltà al dogma e non ai tempi
"PROFETICO" E' CIO' CHE STA AL DEFINITIVO E NON AL CAMBIAMENTO
Editoriale di "Radicati nella fede"
Profezia è vivere il definitivo e non ciò che cambia.
Profezia è fedeltà al dogma e non ai tempi.
Ti vogliono schiacciare in una falsa alternativa tra chi vorrebbe la Chiesa del passato e chi quella del futuro. No, noi vogliamo la Chiesa di sempre, che è quella del passato del presente e del futuro.
È opprimente questo clima instauratosi nella Chiesa cattolica, che continua a porre un falso problema, quello della alternativa tra passato e futuro, schiacciando la coscienza dei cattolici in costruiti sensi di colpa, se si attardano al passato e non si adattano ad un presente rivoluzionario, che dovrebbe preparare il futuro. Ed è su questi sensi di colpa che annullano una giusta resistenza ai continui cambiamenti, che stanno smantellando la Chiesa.
Ci dicono che non dobbiamo essere nostalgici, che la chiesa di un tempo non tornerà, che dobbiamo riprogrammarci per una chiesa del futuro; e per preparare la chiesa del futuro ci impongono di “togliere” molte delle cose che hanno fatto la solidità di generazioni di cristiani. È lo smantellamento, dolce o violento secondo le circostanze, di ciò che c'è ancora di stabile nel cattolicesimo, i dogmi - i comandamenti - la disciplina dei sacramenti - la funzione della gerarchia. Ma questo smantellamento non avviene con violenza, come nella rivoluzione protestante che eliminò verità di fede, gran parte dei sacramenti e il sacerdozio gerarchico. No, non avviene con una riforma esplicita, che si dichiarerebbe da se stessa eretica, ma avviene con la tattica della “fluidità”.
Eh sì, è proprio così, tutto viene reso fluido, non negato, per essere cambiato. È la tattica del modernismo, è il modernismo pratico, che da dentro porta alla metastasi il cancro nella chiesa.
E come ti rendono fluido il cattolicesimo, i suoi dogmi e la sua morale? Con il super dogma della Chiesa profetica.
Non se ne può proprio più! Ogni volta che fai presente che si stanno dimenticando le verità rivelate, che si sta concedendo diritto di esistenza al peccato mortale, che si sta favorendo il sacrilegio nell'amministrazione dei sacramenti, che si sta sostenendo l'indifferentismo facendo credere che tutte le religioni vadano bene; ebbene, tutte le volte che sollevi questo doloroso problema, ti viene detto che devi accettare che la chiesa si apra al futuro, che devi accettare che la chiesa sia profetica non ripetendo il passato, ma cambiando continuamente.
La stessa cosa accade quando si fa notare che questi cambiamenti, ammesso che non siano contro la Rivelazione divina (ma lo sono in evidenza, basta usare la ragione per capirlo!), non hanno nemmeno prodotto un incremento di vita cristiana, ma hanno svuotato definitivamente le chiese: anche qui ti dicono che il mutamento fa parte dell'instaurazione della chiesa del futuro, una chiesa con pochissime messe, pochissimi sacerdoti, con sacramenti generalizzati e alternativi, pronta sempre a ripensare se stessa in funzione della società che cambia. Ed ecco la chiesa del futuro, la chiesa fluida per un cristianesimo fluido.
Ma la profezia non è questa cosa qui, questa è una schifezza inventata dai nipoti dei modernisti classici, che stanno portando alla distruzione ciò che ancora resta del cattolicesimo.
La profezia invece è riferimento al fondamento che è Cristo.
Profeti si è in riferimento all'opera di Dio in Gesù Cristo: profeta è chi vive tutto in Dio; chi sa che “la realtà invece è Cristo” e, vivendo dentro il mondo, fa della sua esistenza un richiamo per gli uomini, che vivono l'ingannevole illusione di una vita fuori dalla grazia del Signore. Profeta è chi è stabilito sulla roccia della fede cattolica, della fede trasmessa una volta per tutte ai santi, e sa che il futuro dipende dall'obbedienza, in tutto, al Dio che si è rivelato in Gesù Cristo.
La profezia sta al fondamento dato, non al cambiamento. La profezia sta alla regola, non alla confusione. La profezia sta all'obbedienza a Dio e non ai tempi che cambiano. Per questo i monaci, gli uomini della regola, furono profeti per il loro tempo ed edificarono la cristianità, cercando solo Dio.
La profezia sta alla definitività che è Cristo e alla definitività della vita eterna, altro che al cambiamento!
Occorre avere una chiara consapevolezza di questo, per non essere ricattati moralmente dai modernisti pratici, che affollano ciò che resta della struttura della chiesa: la abitano da padroni per ultimarne lo smantellamento, e poco importa se ne sono coscienti o no.
La chiarezza sulla falsità dell'idea di Chiesa profetica, deve portare a considerarne tutta la portata distruttiva. Questa caratterizzazione di “profetica” coinvolge tutto e tutto distrugge, a partire dalla gerarchia, passando per il sacerdozio, giungendo ai fedeli.
In questa modernizzata mentalità cattolica non hai più il Papato della tradizione, dove il Papa custodisce il deposito della fede, ma un papato profetico, che dovrebbe guidare i cristiani di tutto il mondo verso le spiagge di una fede più liberamente abbracciante tutto e tutti.
In questa modernizzata mentalità cattolica non hai più il sacerdozio cattolico, preoccupato di insegnare la fede e di amministrare la grazia dei sacramenti, curandone la retta ricezione, ma un sacerdozio profetico impegnato in continue rivoluzioni che dovrebbero rendere più interessante il cristianesimo ai cattolici borghesi e benestanti, perennemente annoiati.
E alla fine i fedeli, o i laici come si usa oggi chiamarli, al seguito di un papato e di un sacerdozio così profetici, scompariranno dentro la palude di un mondo secolarizzato, che hanno strenuamente copiato per essere appunto profetici.
Si chiude così la parabola del post-concilio, che vide un chiesa profetica, ma che dimenticò che la profezia è stabilità e non cambiamento. Stabilità fondata sulla roccia immutabile che è Cristo.
mercoledì 18 gennaio 2017
IL DONO DELLA GRAZIA E DELLE BEATITUDINI
170. Secondo discorso della Montagna: il
dono della Grazia e le beatitudini.
Gesù parla agli
apostoli mettendoli ognuno al loro posto per dirigere e sorvegliare la folla,
che sale fin dalle
prime ore del
mattino con malati portati a braccio o in barella o trascinantisi sulle grucce.
Fra la gente è
Stefano ed Erma.
L'aria è tersa e un poco freschetta, ma il sole tempera presto questo frizzare
di aria
montanina che,
rendendo mite il sole, se ne avvantaggia però, facendosi di una purezza fresca
ma non rigida.
La gente si siede
sui sassi e pietroni che sono sparsi nella valletta fra le due cime, altri
attendono che il sole
asciughi l'erba
rugiadosa per sedersi sul suolo. E’ molta la gente e di tutte le plaghe
palestinesi e di tutte le
condizioni. Gli
apostoli si sperdono nella moltitudine ma, come api che vanno e vengono dai
prati all'alveare,
ogni tanto
tornano presso il Maestro per riferire, per chiedere, per il piacere di essere
guardati da vicino dal
Maestro. Gesù
sale un poco più in alto del prato che è il fondo della valletta, addossandosi
alla parete, e
inizia a parlare.
«Molti mi hanno
chiesto, durante un'annata di predicazione: "Ma Tu, che ti dici il Figlio
di Dio, dicci cosa è
il Cielo, cosa il
Regno, cosa è Dio. Perché noi abbiamo idee confuse. Sappiamo che vi è il Cielo
con Dio e
con gli angeli.
Ma nessuno è mai venuto a dirci come è, essendo chiuso ai giusti". Mi
hanno chiesto anche
cosa è il Regno e
cosa è Dio. Ed Io mi sono sforzato di spiegarvi cosa è il Regno e cosa è Dio.
Sforzato non
perché mi fosse
difficile a spiegarmi, ma perché è difficile, per un complesso di cose, farvi
accettare la verità
che urta, per
quanto è il Regno, contro tutto un edificio di idee venute nei secoli e, per
quanto è Dio, contro
la sublimità
della sua Natura. Altri ancora mi hanno chiesto: "Va bene. Questo è il
Regno e questo è Dio. Ma
come si
conquistano questo e quello?". Anche qui Io ho cercato di spiegarvi, senza
stanchezze, l'anima vera
della Legge del
Sinai. Chi fa sua quell'anima fa suo il Cielo. Ma per spiegarvi la Legge del
Sinai bisogna
anche far sentire
il tuono forte del Legislatore e del suo Profeta, i quali, se promettono
benedizioni agli
osservanti,
minacciano tremende pene e maledizioni ai disubbidienti. La epifania del Sinai
fu tremenda e la
sua terribilità
si riflette in tutta la Legge, si riflette su tutti i secoli, si riflette su
tutte le anime. Ma Dio non è
solo Legislatore.
Dio è Padre. E Padre di immensa bontà. Forse, e senza forse, le vostre anime,
indebolite dal
peccato
d'origine, dalle passioni, dai peccati, da molti egoismi vostri e altrui -
facendovi gli altrui un'anima
irritata, i
vostri un'anima chiusa - non possono elevarsi a contemplare le infinite
perfezioni di Dio, meno di
ogni altra la
bontà, perché è la virtù che con l'amore è meno dote dei mortali. La bontà! Oh!
dolce essere
buoni, senza
odio, senza invidie, senza superbie! Avere occhi che solo guardano per amare, e
mani che si
tendono a gesto
d'amore, e labbra che non profferiscono che parole d'amore, e cuore, cuore
soprattutto che
colmo unicamente
d'amore sforza occhi, mani e labbra ad atti d'amore! I più dotti fra voi sanno
di quali doni
Dio aveva fatto
ricco Adamo, per sé e per i suoi discendenti. Anche i più ignoranti fra i figli
d'Israele sanno
che in noi vi è
lo spirito. Solo i poveri pagani lo ignorano questo ospite regale, questo
soffio vitale, questa
luce celeste che
santifica e vivifica il nostro corpo. Ma i più dotti sanno quali doni erano
stati dati all'uomo,
allo spirito
dell'uomo. Non fu meno munifico allo spirito che alla carne e al sangue della
creatura da Lui fatta
con poco fango e
col suo alito. E come dette i doni naturali di bellezza e integrità, di
intelligenza e di
volontà, di
capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali con la soggezione del
senso alla ragione, di
modo che nella
libertà e padronanza di sé e della propria volontà, di cui Dio aveva beneficato
Adamo, non si
insinuava la
malvagia prigionia dei sensi e delle passioni, ma libero era l'amarsi, libero
il volere, libero il
godere in
giustizia, senza quello che fa schiavi voi facendovi sentire il mordente di
questo veleno che Satana
sparse e che
rigurgita, portandovi fuor dell'alveo limpido su campi fangosi, in putrefacenti
stagni, dove
fermentano le
febbri dei sensi carnali e dei sensi morali. Perché sappiate che è senso anche
la concupiscenza
del pensiero. Ed
ebbero doni soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore,
la visione di
Dio. La Grazia
santificante: la vita dell'anima. Quella spiritualissima cosa deposta nella
spirituale anima
nostra. La Grazia
che ci fa figli di Dio perché ci preserva dalla morte del peccato, e chi morto
non è "vive"
nella casa del
Padre: il Paradiso; nel regno mio: il Cielo. Cosa è questa Grazia che santifica
e che dà Vita e
Regno? Oh! non
usate molte parole! La Grazia è amore. La Grazia è, perciò, Dio. E Dio che
ammirando Se
stesso nella
creatura creata perfetta si ama, si contempla, si desidera, si dà ciò che è suo
per moltiplicare
questo suo avere,
per bearsi di questo moltiplicarsi, per amarsi per quanti sono altri Se stesso.
Oh! figli! Non
defraudate Dio di
questo suo diritto! Non derubate Dio di questo suo avere! Non deludete Dio in
questo suo
desiderio!
Pensate che Egli opera per amore. Se anche voi non foste, Egli sarebbe sempre
l'Infinito, né
sarebbe sminuita
la sua potenza. Ma Egli, pur essendo completo nella sua misura infinita,
immisurabile,
vuole non per Sé
e in Sé - non lo potrebbe perché è già l'Infinito - ma per il Creato, sua
creatura, Egli vuole
aumentare l'amore
per quanto esso Creato di creature contiene, onde vi dà la Grazia: l'Amore,
perché voi in
voi lo portiate
alla perfezione dei santi, e riversiate questo tesoro, tratto dal tesoro che
Dio vi ha dato con la
sua Grazia e
aumentato di tutte le vostre opere sante, di tutta la vostra vita eroica di
santi, nell'Oceano
infinito dove Dio
è: nel Cielo. Divine, divine, divine cisterne dell'Amore! Voi siete, né vi è
data al vostro
essere morte,
perché siete eterne come Dio, dio essendo. Voi sarete, né vi sarà data al
vostro essere termine,
perché immortali
come gli spiriti santi che vi hanno supernutrite, tornando in voi arricchiti dei
propri meriti.
Voi vivete e
nutrite, voi vivete e arricchite, voi vivete e formate quella santissima cosa
che è la Comunione
degli spiriti, da
Dio, Spirito perfettissimo, al piccolo pargolo testé nato, che poppa per la
prima volta il
materno seno. Non
criticatemi in cuor vostro, o dotti! Non dite: "Costui è folle, Costui è
menzognero! Perché
come folle parla
dicendo la Grazia in noi, privi di essa per la Colpa. Perché mente dicendoci
già uni con
Dio". Sì, la
Colpa è; sì, la separazione è. Ma davanti al potere del Redentore, la Colpa,
separazione crudele
sorta fra il
Padre e i figli, crollerà come muraglia scossa dal nuovo Sansone; già Io l'ho
afferrata e la scrollo
ed essa vacilla,
e Satana trema d'ira e di impotenza non potendo nulla contro il mio potere e
sentendosi
strappare tanta
preda e farsi più difficile il trascinare l'uomo al peccato. Perché quando Io
vi avrò, attraverso
di Me, portato al
Padre mio, e nel filtrare dal mio Sangue e dal mio dolore voi sarete divenuti
mondi e forti,
tornerà viva, desta,
potente la Grazia in voi, e voi sarete i trionfatori, se lo vorrete. Non vi
violenta Iddio nel
pensiero e
neppure nella santificazione. Voi siete liberi. Ma vi rende la forza. Vi rende
la libertà sull'impero
di Satana. A voi
riporvi il giogo infernale o mettere all'anima le ali angeliche. Tutto a voi,
con Me a fratello
per guidarvi e
nutrirvi del cibo immortale. "Come si conquista Iddio e il suo Regno
attraverso altra più dolce
via che non la
severa del Sinai?" voi dite. Non vi è altra via. Quella è. Ma però
guardiamola non attraverso il
colore della
minaccia, ma attraverso il colore dell'amore. Non diciamo: "Guai se non
farò questo!"
rimanendo
tremanti in attesa di peccare, di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo:
"Beato me se farò
questo!" e con
slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci verso queste
beatitudini, nate
dall'osservanza
della Legge come corolle di rose da un cespuglio di spine.
1-Beato me se
sarò povero di spirito perché mio allora è il Regno dei Cieli!
2-Beato me se sarò
mansueto perché erediterò la Terra!
3-Beato me se
sarò capace di piangere senza ribellione perché sarò consolato!
4-Beato me se più
del pane e del vino per saziare la carne avrò fame e sete di giustizia. La
Giustizia mi
sazierà! Beato me
se sarò misericordioso perché mi sarà usata divina misericordia!
5-Beato me se
sarò puro di cuore perché Dio si piegherà sul mio cuore puro ed io lo vedrò!
6-Beato me se
avrò spirito di pace perché sarò da Dio chiamato suo figlio, perché nella pace
è l'amore, e Dio
è Amore che ama
chi è simile a Lui!
7-Beato me se per
fedeltà alla giustizia sarò perseguitato, perché a compensarmi delle terrene
persecuzioni
Dio, mio Padre,
mi darà il Regno dei Cieli!
8-Beato me se
sarò oltraggiato e accusato bugiardamente per saper essere tuo figlio, o Dio!
Non desolazione
ma gioia mi deve
venire da questo, perché questo mi uguaglia ai tuoi servi migliori, ai Profeti,
per la stessa
ragione
perseguitati, e coi quali io credo fermamente di condividere la stessa
ricompensa grande, eterna, nel
Cielo che è mio!
Guardiamo così la via della salute. Attraverso la gioia dei santi.
(1) Beato me se
sarò povero di spirito Oh! delle ricchezze, arsura satanica, a quanti deliri tu
porti! Nei ricchi,
nei poveri. Il
ricco che vive per il suo oro: l'idolo infame del suo spirito rovinato. Il
povero che vive dell'odio
al ricco perché
egli ha l'oro, e se anche non fa materiale omicidio lancia i suoi anatema sul
capo dei ricchi,
desiderando loro
male d'ogni sorta. Il male non basta non farlo, bisogna anche non desiderare di
farlo. Colui
che maledice
augurando sciagure e morti non è molto dissimile da colui che materialmente
uccide, poiché ha
in lui il
desiderio di veder perire colui che odia. In verità vi dico che il desiderio
non è che un atto trattenuto,
come un concepito
da ventre già formato ma non ancora espulso. Il desiderio malvagio avvelena e
guasta,
poiché permane
più a lungo dell'atto violento, più in profondità dell'atto stesso. Il povero
di spirito se è ricco
non pecca per
l'oro, ma del suo oro fa la sua santificazione poiché ne fa amore. Amato e
benedetto, egli è
simile a quelle
sorgive che salvano nei deserti e che si danno, senza avarizia, liete di
potersi dare per
sollevare le disperazioni.
Se è povero, è lieto nella sua povertà, e mangia il suo pane dolce della
ilarità del
libero
dall'arsione dell'oro, e dorme il suo sonno scevro da incubi, e sorge riposato
al suo sereno lavoro che
pare sempre
leggero se viene fatto senza avidità e invidia. Le cose che fanno ricco l'uomo
sono l'oro come
materia, gli
affetti come morale. Nell'oro sono comprese non solo le monete ma anche le
case, i campi, i
gioielli, i
mobili, le mandre, tutto quanto insomma fa materialmente doviziosa la vita.
Nelle affezioni: i
legami di sangue
o di coniugio, le amicizie, le dovizie intellettuali, le cariche pubbliche.
Come vedete, se per
la prima
categoria il povero può dire: " Oh! per me! Basta che io non invidi chi ha
e poi sono a posto perché
io sono povero e
perciò a posto per forza ", per la seconda anche il povero ha da
sorvegliarsi, potendo, anche
il più miserabile
fra gli uomini, divenire peccaminosamente ricco di spirito. Colui che si
affeziona
smoderatamente ad
una cosa, ecco che pecca. Voi direte: "Ma allora dobbiamo odiare il bene
che Dio ci ha
concesso? Ma
allora perché comanda di amare il padre e la madre, la sposa, i figli, e dice:
'Amerai il tuo
prossimo come te
stesso? Distinguete. Amare dobbiamo il padre e la madre e la sposa e il
prossimo, ma nella
misura che Dio ha
dato: " come noi stessi ". Mentre Dio va amato sopra ogni cosa e con
tutti noi stessi. Non
amare Dio come
amiamo fra il prossimo i più cari, questa perché ci ha allattato, l'altra
perché dorme sul
nostro petto e ci
procrea i figli, ma amarlo con tutti noi stessi, ossia con tutta la capacità di
amare che è
nell'uomo: amore
di figlio, amore di sposo, amore di amico e, oh! non vi scandalizzate! e amore
di padre. Sì,
per l'interesse
di Dio dobbiamo avere la stessa cura che un padre ha per la sua prole, per la
quale con amore
tutela le
sostanze e le accresce, e si occupa e preoccupa della sua crescita fisica e
culturale e della sua riuscita
nel mondo.
L'amore non è un male e non lo deve divenire. Le grazie che Dio ci concede non
sono un male e
non lo devono
divenire. Amore sono. Per amore sono date. Occorre con amore usarne di queste
ricchezze
che Dio ci
concede in affetti e in bene. E solo chi non se ne fa degli idoli ma dei mezzi
per servire in santità
Dio, mostra di
non avere un attaccamento peccaminoso ad esse. Pratica allora la santa povertà
dello spirito,
che di tutto si
spoglia per essere più libero di conquistare Iddio santo, suprema Ricchezza.
Conquistare Dio,
ossia avere il
Regno dei Cieli.
(2) Beato me se
sarò mansueto. Ciò può parere in contrasto con gli esempi della vita
giornaliera. I non
mansueti sembrano
trionfare nelle famiglie, nelle città, nelle nazioni. Ma è vero trionfo? No. E’
paura che
tiene
apparentemente proni i soverchiati dal despota, ma che in realtà non è che velo
messo sul ribollire di
ribellione contro
il tiranno. Non possiedono i cuori dei famigliari, né dei concittadini, né dei
sudditi, coloro
che sono iracondi
e prepotenti. Non piegano intelletti e spiriti alle loro dottrine quei maestri
del "ho detto e
ho detto".
Ma solo creano degli autodidatti, dei ricercatori di una chiave atta ad aprire
le porte chiuse di una
sapienza o di una
scienza che essi sentono essere e che è opposta a quella che viene loro
imposta. Non
portano a Dio
quei sacerdoti che non vanno alla conquista degli spiriti con la dolcezza
paziente, umile,
amorosa, ma
sembrano guerrieri armati che si lancino ad un assalto feroce tanto marciano
con irruenza e
intransigenza
contro le anime... Oh! povere anime! Se fossero sante non avrebbero bisogno di
voi, sacerdoti,
per raggiungere
la Luce. L'avrebbero già in sé. Se fossero giusti non avrebbero bisogno di voi
giudici per
essere tenuti nel
freno della giustizia, l'avrebbero già in se. Se fossero sani non avrebbero
bisogno di chi cura.
Siate dunque
mansueti. Non mettete in fuga le anime. Attiratele con l'amore. Perché la
mansuetudine è
amore, così come
lo è la povertà di spirito. Se tali sarete erediterete la Terra e porterete a
Dio questo luogo,
già prima di
Satana, perché la vostra mansuetudine, che oltre che amore è umiltà, avrà vinto
l'odio e la
superbia
uccidendo negli animi il re abbietto della superbia e dell'odio, e il mondo
sarà vostro, ossia di Dio,
perché voi sarete
giusti che riconoscerete Dio come Padrone assoluto del creato, al Quale va dato
lode e
benedizione e
reso tutto quanto è suo.
(3) Beato me se
saprò piangere senza ribellione. Il dolore è sulla terra. E il dolore strappa
lacrime all'uomo. Il
dolore non era.
Ma l'uomo lo mise sulla terra e per una depravazione del suo intelletto si
studia di sempre più
aumentarlo, con
tutti i modi. Oltre le malattie e le sventure conseguenti da fulmini, tempeste,
valanghe,
terremoti, ecco
che l'uomo per soffrire, e per far soffrire soprattutto - perché vorremmo solo
che gli altri
soffrissero, e
non noi, dei mezzi studiati per far soffrire - ecco che l'uomo escogita le armi
micidiali sempre
più tremende e le
durezze morali sempre più astute. Quante lacrime l'uomo trae all'uomo per
istigazione del
suo segreto re
che è Satana! Eppure in verità vi dico che queste lacrime non sono una
menomazione ma una
perfezione
dell'uomo. L'uomo è uno svagato bambino, è uno spensierato superficiale, è un
nato di tardivo
intelletto finché
il pianto non lo fa adulto, riflessivo, intelligente. Solo coloro che piangono,
o che hanno
pianto, sanno
amare e capire. Amare i fratelli ugualmente piangenti, capirli nei loro dolori,
aiutarli colla loro
bontà, esperta di
come fa male essere soli nel pianto. E sanno amare Dio perché hanno compreso
che tutto è
dolore fuorché
Dio, perché hanno compreso che il dolore si placa se pianto sul cuore di Dio,
perché hanno
compreso che il
pianto rassegnato che non spezza la fede, che non inaridisce la preghiera, che
è vergine di
ribellione, muta
natura, e da dolore diviene consolazione. Sì. Coloro che piangono amando il
Signore
saranno
consolati.
(4) Beato me se
avrò fame e sete di giustizia. Dal momento che nasce al momento che muore
l'uomo tende
avido al cibo.
Apre la bocca alla nascita per afferrare il capezzolo, apre le labbra per
inghiottire ristoro nelle
strette
dell'agonia. Lavora per nutrirsi. Fa della terra un enorme capezzolo dal quale
insaziabilmente succhia,
succhia per ciò
che muore. Ma che è l'uomo? Un animale? No, è un figlio di Dio. In esilio per
pochi o molti
anni. Ma non
cessa la sua vita col mutare della sua dimora. Vi è una vita nella vita così
come in una noce vi è
il gheriglio. Non
è il guscio la noce, ma è l'interno gheriglio che è la noce. Se seminate un
guscio di noce non
nasce nulla, ma
se seminate il guscio con la polpa nasce grande albero. Così è l'uomo. Non è la
carne che
diviene
immortale, è l'anima. E va nutrita per portarla all'immortalità, alla quale,
per amore, essa poi porterà
la carne nella
risurrezione beata. Nutrimento dell'anima è la Sapienza, è la Giustizia. Come
liquido e cibo
esse vengono
aspirate e corroborano, e più se ne gusta e più cresce la santa avidità del
possedere la Sapienza
e di conoscere la
Giustizia. Ma verrà pure un giorno in cui l'anima insaziabile di questa santa
fame sarà
saziata. Verrà.
Dio si darà al suo nato, se lo attaccherà direttamente al seno e il nato al
Paradiso si sazierà
della Madre
ammirabile che è Dio stesso, e non conoscerà mai più fame, ma si riposerà beato
sul seno
divino. Nessuna
scienza umana equivale a questa divina. La curiosità della mente può essere
appagata, ma la
necessità dello
spirito no. Anzi nella diversità del sapore lo spirito prova disgusto e torce
la bocca dall'amaro
capezzolo,
preferendo soffrire la fame all'empirsi di un cibo che non sia venuto da Dio.
Non abbiate timore, o
sitibondi, o
affamati di Dio! Siate fedeli e sarete saziati da Colui che vi ama.
(5) Beato me se
sarò misericordioso. Chi fra gli uomini può dire: "Io non ho bisogno di
misericordia "?
Nessuno. Ora se
anche nell'antica Legge è detto: "Occhio per occhio e dente per dente
", perché non deve
dirsi nella
nuova: " Chi sarà stato misericordioso troverà misericordia"? Tutti
hanno bisogno di perdono.
Ebbene, non è la
formula e la forma di un rito, figure esterne concesse per la opaca mentalità
umana, quelle
che ottengono
perdono. Ma è il rito interno dell'amore, ossia ancora della misericordia. Che
se fu imposto il
sacrificio di un
capro o di un agnello e l'offerta di qualche moneta, ciò fu fatto perché a base
di ogni male
ancora si trovano
sempre due radici: l'avidità e la superbia. L'avidità è punita con la spesa
dell'acquisto
dell'offerta, la
superbia con la palese confessione di quel rito: "Io celebro questo
sacrificio perché ho
peccato". E
fatto anche per precorrere i tempi e i segni dei tempi, e nel sangue che si sparge
è la figura del
Sangue che sarà
sparso per cancellare i peccati degli uomini. Beato dunque colui che sa essere
misericordioso
agli affamati, ai nudi, ai senza tetto, ai miseri delle ancor più grandi
miserie che sono quelle
del possedere
cattivi caratteri che fanno soffrire chi li ha e chi con loro convive. Abbiate
misericordia.
Perdonate,
compatite, soccorrete, istruite, sorreggete. Non chiudetevi in una torre di
cristallo dicendo: "Io
sono puro e non
scendo fra i peccatori" Non dite: "Io sono ricco e felice, e non
voglio udire le miserie altrui".
Badate che più
rapido di fumo dissipato da gran vento può dileguarsi la vostra ricchezza, la
vostra salute, il
vostro benessere
famigliare. E ricordate che il cristallo fa da lente, e ciò che mescolandovi
fra la folla
sarebbe passato
inosservato, mettendovi in una torre di cristallo, unici, separati, illuminati
da ogni parte, non
potete più
tenerlo nascosto. Misericordia per compiere un segreto, continuo, santo
sacrificio di espiazione e
ottenere
misericordia.
(6) Beato me se
sarò puro di cuore. Dio è Purezza. Il Paradiso è regno di Purezza. Niente di
impuro può
entrare in Cielo
dove è Dio. Perciò se sarete impuri non potrete entrare nel Regno di Dio. Ma,
oh! gioia!
Anticipata gioia
che il Padre concede ai figli! Colui che è puro ha dalla terra un principio di
Cielo, perché
Dio si curva sul
puro e l'uomo dalla terra vede il suo Dio. Non conosce sapore di amori umani,
ma gusta, fino
all'estasi, il
sapore dell'amore divino, e può dire: "Io sono con Te e Tu in me, onde io
ti possiedo e conosco
come sposo
amabilissimo dell'anima mia". E, credetelo, che chi ha Dio ha
inspiegabili, anche a se stesso,
mutamenti
sostanziali per cui diviene santo, sapiente, forte, e sul suo labbro fioriscono
parole, e i suoi atti
assumono potenze
che non sono, no, della creatura, ma di Dio che vive in essa. Cosa è la vita di
colui che
vede Dio?
Beatitudine. E vorreste privarvi di simile dono per fetide impurità?
(7) Beato me se
avrò spirito di pace. La pace è una delle caratteristiche di Dio. Dio non è che
nella pace.
Perché la pace è
amore, mentre la guerra è odio. Satana è Odio. Dio è Pace. Non può uno dirsi
figlio di Dio,
né può Dio dire
figlio suo un uomo se costui ha spirito irascibile sempre pronto a scatenare
tempeste. Non
solo. Ma neppure
può dirsi figlio di Dio colui che, pur non essendo di proprio scatenatore delle
stesse, non
contribuisce con
la sua grande pace a calmare le tempeste suscitate da altri. Colui che è
pacifico effonde la
pace anche senza
parole. Padrone di sé e, oso dire, padrone di Dio, egli lo porta come una
lampada porta il
suo lume, come un
incensiere sprigiona il suo profumo, come un otre porta il suo liquido, e si fa
luce fra le
nebbie fumiganti
dei rancori, e si purifica l'aria dai miasmi dei livori e si calmano le onde
infuriate delle liti,
per quest'olio
soave che è lo spirito di pace emanato dai figli di Dio. Fate che Dio e gli
uomini vi possano
chiamare così.
(8) Beato me se
sarò perseguitato per amore della giustizia. L'uomo è tanto insatanassato che
odia il bene
ovunque si trovi,
che odia il buono, quasi che chi è buono, anche se tace, lo accusi e rampogni.
Infatti la
bontà di uno fa
apparire ancor più nera la malvagità del malvagio. Infatti la fede del credente
vero fa apparire
ancora più viva
la ipocrisia del falso credente. Infatti non può non essere odiato dagli
ingiusti colui che col
suo modo di
vivere è un continuo testimoniare la giustizia. E allora, ecco, che si
infierisce sugli amanti della
giustizia. Anche
qui è come per le guerre. L'uomo progredisce nell'arte satanica del
perseguitare più che non
progredisca
nell'arte santa dell'amare. Ma non può che perseguitare ciò che ha breve vita.
L'eterno che è
nell'uomo sfugge
all'insidia, e anzi acquista una vitalità ancor più vigorosa dalla
persecuzione. La vita fugge
dalle ferite che
aprono le vene o per gli stenti che consumano il perseguitato. Ma il sangue fa
la porpora del
re futuro e gli
stenti sono tanti scalini per montare sui troni che il Padre ha preparato per i
suoi martiri, ai
quali sono
serbati i seggi regali del Regno dei Cieli.
67
(9) Beato se sarò
oltraggiato e calunniato. Fate solo che di voi possa essere scritto il nome nei
libri celesti, là
dove non sono
segnati i nomi secondo le menzogne umane nel lodare i meno meritevoli di lode.
Ma dove
però, con
giustizia e amore, sono scritte le opere dei buoni per dare ad essi il premio
promesso ai benedetti
da Dio. Prima di
ora furono calunniati ed oltraggiati i Profeti. Ma quando si apriranno le porte
dei Cieli,
come imponenti
re, essi entreranno nella Città di Dio, e li inchineranno gli angeli, cantando
di gioia. Pure
voi, pure voi,
oltraggiati e calunniati per essere stati di Dio, avrete il trionfo celeste, e
quando il tempo sarà
finito e completo
sarà il Paradiso, ecco che allora ogni lacrima vi sarà cara, perché per essa
avrete
conquistato
questa gloria eterna che in nome del Padre Io vi prometto.
Andate. Domani vi
parlerò ancora. Restino ora solo i malati acciò li soccorra nelle loro pene. La
pace sia con
voi e la meditazione della salvezza,
attraverso all'amore, vi instradi sulla via la cui fine è il Cielo».
Gamaliele, Saulo e Stefano
7 agosto.
Ieri sera ho avuto una singolarissima visione 1 che sul principio mi ha lasciata
proprio sbalordita. Poi ho capito che si riferiva alle prime persecuzioni verso
i cristiani, avvenute proprio in Gerusalemme. Ma questo l’ho capito poi, quando
la visione si è animata, perché sul principio non vedevo che l’interno del
Tempio, e precisamente quel portico in quel cortile presso al quale è la bocca
del Tesoro, quel punto, insomma, presso il quale, appoggiato a una colonna, Gesù
osservava la folla nella visione della vedova che dà i due piccioli 2.
Alla stessa colonna, proprio alla stessa - la riconosco per la sua posizione
presso le bocche del Tesoro e la scala che immette all’altro cortile - è un
autorevole personaggio. Un fariseo certo, tale me lo denunciano 3 la veste e il
mio interno ammonitore.
È un uomo sui sessant’anni, a giudicare dall’aspetto 4. Dai 55 ai 60. Alto, di
nobile portamento e anche bello nei tratti fortemente semitici. La fronte deve
essere alta, ma non è scoperta per un bizzarro copricapo che la copre sino a
quasi le sopracciglia molto folte e dritte, che ombreggiano due occhi
intelligentissimi, penetranti, neri, molto lunghi di taglio e incassati ai lati
di un naso che scende diritto dalla fronte, lungo, sottile, dalle narici
palpitanti, lievemente curvo in basso, alla punta. Guance di un avorio carico
piuttosto incavate, non per emaciazione ma per conformazione del viso. Bocca
piuttosto larga, dalle labbra sottili, ma bella, ombreggiata da baffi che non ne
superano gli angoli e che si mescono ad una barba tagliata quadrata, che scende
non più di tre dita dal mento; i baffi e la barba, molto ben curati, sono di una
brizzolatura tanto accentuata da esser più bianca che nera, come doveva essere
inizialmente e come denunciano dei rari fili di un nero fin quasi azzurrognolo
tanto è morato.
Ma quello che mi colpisce è l’abito. Sulla testa ha un copricapo fatto di un
telo di lino piuttosto rigido, che cinge la fronte e si chiude sulla nuca come
la cuffia delle infermiere di Croce Rossa. Il lembo libero ricade, al disopra
della fermatura, sul collo e giunge alle spalle. È una specie di cappuccio,
insomma, ma da adattarsi di volta in volta. L’abito invece è fatto così. Sotto,
una lunga (fino a terra, a coprire i piedi, che infatti non vedo) veste di lino
candidissimo, molto ampia, con maniche lunghe e larghe, tenuta a posto alla vita
da una ricca cintura che è tutto un gallone di ricamo e di cordoni. La veste ha
degli orli ricamati come a bordura, molto ampi.
1 La visione, che qui viene narrata con qualche incertezza e discontinuità, si
ritroverà trascritta con maggior sicurezza e più ordine narrativo sul quaderno
n. 100, e formerà l’episodio del “Martirio di Stefano” del ciclo della
“Glorificazione” della grande opera sul Vangelo.
2 Da noi indicata a pag. 319.
3 riconosco, immette e denunciano sono nostre correzioni da riconocosco, ammette
e denuncia
4 dall’aspetto è nostra correzione da all’aspetto
Sopra questa vi è una specie di sopraveste curiosissima. Dietro pare una pianeta
da Messa: un pezzo di stoffa tutta ricamata che pende dalle spalle sin verso il
ginocchio, aperta ai lati, e che sul davanti scende a V fino all’altezza di dove
finisce lo sterno facendo pieghe: 3 per parte, e sullo sterno è tenuta raccolta
da una targa lavorata di metallo prezioso, che pare la borchia o chiusura di una
cintura preziosa, che va ad allacciarsi ai lati posteriori della pianeta (la
chiamerò così) ma non strettamente: appena quel tanto da tenere tutto a posto.
Oltre questa fibbia, la pianeta scende senza più pieghe fino al ginocchio.
Questo scarabocchio [grafico] vorrebbe essere la parte davanti di questa parte
dell’abito del fariseo. Non rida di me. Tutto intorno ai suoi bordi, questa
singolare casacca ha dei nastrini messi così [grafico] azzurri, fitti fitti.
Questi nastri messi a frangia si ritrovano anche sui bordi di un amplissimo
mantello di stoffa morbidissima, pare quasi una seta tanto è pieghevole e lieve,
deve essere lino o lana del filato più fino, ma per la candidezza direi lino. Il
mantello è tanto ampio che potrebbe bastare a coprire tre persone. Ora è aperto
e pende dalle spalle sino a terra, dove si ammucchia con pieghe fastose.
Il fariseo ha le mani conserte sul petto, le braccia conserte, e guarda con
severità e direi con disgusto qualche cosa. Non è sprezzante però. Direi
addolorato.
Fin qui la prima parte della visione che ho descritto al presente per maggior
vivezza, anche perché è tuttora presente alla mia vista come ieri sera. Se
sapesse quanto ho studiato la veste del fariseo! Potrei dire e disegnare, se
fossi capace, i ghirigori 5 della fibbia preziosa e le greche dei bordi
ricamati.
In un secondo tempo ho visto venire davanti al fariseo un giovinotto 6, un ebreo
certo, dalle caratteristiche nette, e anzi un brutto ebreo. Bassotto, tarchiato,
direi quasi un poco rachitico, con gambe molto corte e grosse, un poco
divaricate ai ginocchi: le vedo bene perché ha veste corta come chi si appresta
a viaggiare, me lo dice il mio ammonitore... Una veste grigiognola. Braccia pure
corte e nerborute, collo corto e grosso che sostiene una testa piuttosto grossa,
bruna, con capelli corti e ruvidi, dalle orecchie piuttosto sporgenti, labbra
tumide, naso fortemente camuso, zigomi alti e grossi, fronte convessa e alta,
occhi... tutt’altro che dolci. Piuttosto bovini ma dallo sguardo duro, iracondo.
Eppure questi occhi, nerissimi sotto i cespugli di sopracciglia arruffate, sono
occhi bellissimi. Fanno pensare. Non ha barba lunga, ma le guance paiono
affumicate dall’ombra di una barba foltissima e che deve esser ispida come i
capelli. È un uomo decisamente brutto nel corpo e nel volto. Pare persino un
poco gobbo nella spalla destra. Ma pure colpisce e attira nonostante abbia
aspetto brutto e cattivo.
Va di fronte al fariseo e gli dice qualcosa, con le sue grosse labbra, che io
non capisco.
Il fariseo risponde: “Non approvo la violenza. Per nessun motivo. Da me non
avrai mai adesione a un disegno violento. L’ho detto anche pubblicamente”.
5 ghirigori è nostra correzione da girigori
6 giovinotto potrebbe leggersi anche giovinetto
“Sei forse protettore di questi bestemmiatori, seguaci del Nazareno?”
“Sono protettore della giustizia. E questa insegna ad esser cauti nel giudicare.
L’ho detto: ‘Se è cosa che viene da Dio resisterà, se no cadrà da sé’. Ma io non
voglio macchiarmi le mani di un sangue che non so se meriti morte”.
“Tu, fariseo e dottore, parli così? Non temi l’Altissimo?”
“Più di te. Ma penso e ricordo... Tu non eri che un piccolo, non ancora figlio
della Legge, ed io insegnavo in questo Tempio con il rabbino più saggio di
questo tempo... E la nostra saggezza ebbe una lezione che ci fece pensare per
tutto il resto della vita. Gli occhi del saggio si chiusero sul ricordo di
quell’ora e la sua mente sullo studio di quella verità che si rivelava agli
onesti. I miei hanno continuato a vigilare, e la mente a pensare, coordinando le
cose... Io ho udito l’Altissìmo parlare dalla bocca di un fanciullo 7 che poi fu
uomo e giusto e che fu messo a morte per esser giusto. E quelle parole hanno
avuto conferma nei fatti... Misero me che non compresi avanti! Misero popolo
d’Israele!”.
“Maledizione! Tu bestemmi! Non vi è più salvezza se i maestri d’Israele
bestemmiano il Dio vero”.
“Non io l’ho bestemmiato. Tutti! E lo continuavamo a bestemmiare. Giusto hai
detto: non vi è più salvezza!”.
“Mi fai orrore”.
“Denunciami al Sinedrio come colui che fu lapidato. Sarà l’inizio felice della
tua missione e io sarò perdonato, per il mio sacrificio, di non aver compreso il
Dio che passava”.
Il brutto giovane va via sgarbatamente e la visione cessa lì. Stamane si
ripresenta nettissima alla memoria, ma con un anticipo 8 che me la fa capire.
Vedo l’aula del Sinedrio, la stessa e messa nello stesso modo di quando accolse
il mio Gesù nella notte fra il Giovedì e Venerdì 9. Il Sommo Sacerdote e gli
altri sono sui loro scanni; al centro dell’aula, nello spazio vuoto dove era
Gesù, è ora un giovane, direi sui 25 anni, alto e bello. Intorno a lui, sgherri
e allievi del Sinedrio, non so se si chiamino così, ma mi paiono studenti alle
dipendenze dei rabbini, perciò allievi.
Stefano deve avere già parlato 10, perché il tumulto è al colmo e ha riscontro
solo nella gazzarra assassina che accompagnò 1’uscita di Gesù dall’aula. Pugni,
maledizioni e bestemmie sono tesi e lanciati contro il diacono Stefano e anche
percosse brutali, per cui egli traballa, stiracchiato qua e là con ferocia.
7 Gesù dodicenne fra i dottori nel Tempio: Luca 2, 41-50. Nell’analogo episodio
scritto da Maria Valtorta per l’opera sul Vangelo, si incontrano i personaggi di
Gamaliele (che è il fariseo che qui parla) e di Hillel (che è il saggio rabbino
qui ricordato).
8 anticipo è nel senso di antefatto
9 Nella visione dell’11 febbraio, pag. 95.
10 Atti 7.
Ma egli conserva calma e dignità. Più che calma, gioia. Con viso ispirato e
luminoso, senza curarsi degli sputi che vengono a rigargli il viso né di un filo
di sangue che scende dal naso violentemente colpito, egli alza gli occhi e
sorride ad una vista nota a lui solo. Apre le braccia in croce e le tende come
per un abbraccio e cade in ginocchio così, adorando ed esclamando: “Ecco, io
vedo i Cieli aperti ed il Figlio dell’Uomo, Gesù Nazareno, il Cristo di Dio che
voi avete ucciso, è alla destra di Dio!”
Allora la canea cessa di avere l’ultima parvenza di umanità e di legalità e, con
la furia di una muta di mastini idrofobi, si scaglia sul diacono, lo morde, lo
afferra, lo mette in piedi a suon di calci, lo spinge fuori a suon di pugni,
tirandolo per i capelli, facendolo cadere e trascinandolo ancora, facendo
ostacolo alla sua furia con la sua stessa furia, perché nella rissa chi cerca
tirare il martire è ostacolato da chi lo calpesta.
Fra i più veementi e crudeli è il giovane brutto che ho visto parlare al rabbino
e fariseo e che chiamano Saulo. Mi spiace per l’apostolo... ma pareva un
teppista prima di esser di Cristo...
Vedo anche il fariseo e dottore il quale, uno dei pochi che non è partecipante
alla zuffa, come è stato sempre silenzioso durante l’accusa e mentre è data
condanna (e con lui mi pare vedere anche Nicodemo, in un angolo semi-scuro), il
quale fariseo e dottore, disgustato della scena illegale e feroce, si ammanta
nel suo amplissimo mantello e si dirige verso un’uscita opposta a quella verso
la quale è diretta la turba dei carnefici.
La mossa non sfugge a Saulo che grida: “Rabbi, te ne vai?” e dato che l’altro
mostra di non prendere per sé la domanda, Saulo specifica: “Rabbi Gamaliel, ti
astrai da questo giudizio?”.
Gamaliele si volge tutto d’un pezzo e con sguardo altero e freddo risponde
semplicemente: “Sì”. Ma è un “sì” che vale un intero discorso.
Saulo comprende e, lasciando la muta, corre a lui. “Non vorrai dirmi, maestro,
che disapprovi la nostra condanna”.
Silenzio.
“Quell’uomo è doppiamente colpevole per aver rinnegato la Legge seguendo un
samaritano posseduto da Belzebù e per averlo fatto dopo essere stato tuo
allievo”.
Silenzio.
“Sei tu forse seguace del malfattore detto Gesù?”.
“Non lo sono. Ma se egli era colui che si diceva, io prego l’Altissimo che io lo
divenga”.
“Orrore!”.
“Nessun orrore. Ognuno ha una intelligenza per adoperarla e una libertà per
applicarla. Ognuno l’usi secondo quella libertà che Dio ha dato e quella luce
che ci ha messo in cuore. I giusti l’useranno nel bene, i malvagi nel male.
Addio”. E se ne va senza curarsi d’altro.
Saulo raggiunge gli aguzzini nel cortile ed esce con loro dal Tempio e dalle
porte della città, sempre fra percosse e dileggi.
Fuori le mura, in uno spazio incolto e sassoso, i carnefici si allargano a
cerchio. Al centro è il condannato con le vesti lacere e già pieno di ferite
sanguinose. Tutti si levano le sopravvesti rimanendo in corte tuniche come
quella di Saulo nella visione di ieri sera. Le vesti vengono date a Saulo che
non prende parte alla lapidazione. Non so se perché troppo piccolo o conscio
della sua incapacità di tiratore o se perché scosso dalle parole di Gamaliele.
Fatto è che Saulo resta con la veste lunga e il mantello a custodire le vesti
degli altri, i quali, a colpi di pietra (le pietre abbondano nel luogo, ciottoli
tondi e selci aguzze), finiscono il martire.
Stefano prende i primi colpi in piedi con un sorriso di perdono sulla bocca
ferita. Prima, con quella bocca, ha salutato Saulo. Gli ha detto, mentre la muta
si apriva a cerchio e Saulo era intento a ritirare le vesti: “Amico, io ti
attendo sulla via di Cristo”. Al che Saulo aveva risposto, accompagnando gli
epiteti con un calcio vigoroso: “Porco! Ossesso!”.
Poi Stefano vacilla, e sotto la grandine dei colpi cade in ginocchio dicendo:
“Signore Gesù, ricevi lo spirito mio!”. Altri colpi sul capo ferito lo fanno
stramazzare, e mentre cade e si adagia col capo nel suo sangue, fra i sassi,
mormora spirando: “Signore, Padre,... perdonali... non tener loro rancore per il
loro peccato. Non sanno quello che...”. La morte ferma la frase qui.
I carnefici lanciano un’ultima valanga 11 di sassi sul morto, lo seppelliscono
quasi sotto questa grandinata di pietre. Si rivestono e vanno. Tornano al Tempio
e i più accesi si presentano, ebbri di zelo satanico, al Sommo Sacerdote per
aver carta libera a perseguitare.
Fra questi, il più acceso è Saulo. Avuta la lettera di autorizzazione - una
pergamena col sigillo del Tempio in rosso - esce. Non perde tempo. Si appresta
subito al viaggio e alla persecuzione. Il sangue di Stefano gli ha fatto
l’effetto del rosso a un toro e di un vino ad un demente per alcoolismo. Lo ha
portato alla furia. È più brutto che mai. Mi scusi l’apostolo. Ma devo dire ciò
che vedo.
Mentre attende non so chi, vede Gamaliele appoggiato alla colonna e va a lui. Ho
l’impressione che Saulo fosse di quelli che non lasciavano cadere una disputa,
ma con una insistenza da mosca tornasse sempre all’assalto. Nel male prima, nel
bene poi.
Rivedo esattamente la scena di ieri sera, che perciò non ripeto. E null’altro.
Io non avevo riconosciuto Gamaliele, molto più vecchio del momento della disputa
di Gesù fanciullo 12, e ora con quel copricapo che allora non aveva. Ma dico il
vero. Fin da allora mi era piaciuto. Ora mi piace più ancora. Mi impone
11 lanciano e valanga sono correzioni della scrittrice su copia dattiloscritta
da scaricano e scarica
12 Vedi la precedente nota 7.
rispetto. Non so se sia morto cristiano 13. Ma vorrei lo fosse perché mi pare lo
meritasse. Era giusto.
Come lei vede, una visione proprio impensabile ad aversi, specie per quello che
riguarda Gamaliele. Ma è così netta! Una delle più nette e insistenti. Potrei
numerare persone, pietre e colpi, tanto sono esatti i particolari.
Per ora nessun commento da parte di Gesù.
13 Nel 1951 Maria Valtorta scriverà l’episodio della conversione di Gamaliele al
cristianesimo, che sarà uno degli ultimi capitoli della grande opera sul
Vangelo.
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