martedì 3 gennaio 2012

“Pater, dimitte illis”, “Padre, perdona loro”.

E' bello incontrare tesori e comunicarli agli amici. Per questo vi faccio partecipi d'una recente scoperta archeologica di Terra Santa che riguarda Santo Stefano Protomartire da noi celebrato il 26 dicembre passato (ed il 3 agosto). Teniamo presente che "La città di Dio" di Sant'Agostino, nel libro XXII, 8... parla diffusamente dei miracoli avvenuti per l'intercessione del martire Stefano. 
Post da Rivista di Maria Ausiliatrice .




STEFANO, 
MORIRE PERDONANDO



In questo mese parleremo di Santo Stefano protomartire. Portare acqua al mare, dirà qualcuno, tanto la sua vita, descritta negli Atti degli Apostoli, è conosciuta.
No, non vogliamo raccontarvi la vita ma parlarvi della sua tomba, localizzata, ormai senza alcun dubbio, a Bet Gemal (Beitgemal) una Casa Salesiana a circa 30 km a ovest di Gerusalemme.
Vi raccontiamo questa storia come la raccontiamo ogni anno (in Ebraico, naturalmente, perché siamo in Israele) a decine di migliaia di visitatori Ebrei che vengono in visita da noi, a Bet Gemal appunto, attirati dal bel panorama, dai reperti archeologici degli scavi eseguiti nella nostra proprietà, dalla bellezza della chiesa moderna (1930) dedicata a Santo Stefano e da tanti altri motivi. Certo, rispetto ai nostri amici Ebrei, voi avete il vantaggio di conoscere, per così dire, le coordinate di questa storia.
A loro dobbiamo spiegare chi era Stefano, chi erano gli Apostoli, chi era Gesù Cristo, ecc. Per voi non c’è bisogno, per cui possiamo entrare subito “in medias res”, cioè nel cuore delle cose. Due le date principali da tener presenti: Kfargamla nel 415 e Bet Gemal nel 1916.
Incominciamo con la prima, il 415 (dopo Cristo, naturalmente!), anno in cui un certo prete di nome
Lucianos, “parroco” greco di una località in Palestina, chiamata Kfargamla, invia una lettera alle Chiese d’Oriente e d’Occidente in cui annuncia, con gioia, la scoperta della tomba del protomartire Stefano, assieme a quella di Nicodemo (cfr Gv 3), del Rabbino Gamaliele, membro autorevole del Sinedrio e zio di Nicodemo (At 5,34-39), e quella di uno dei suoi due figli, Abibos. La lettera comincia così:

Lucianos, bisognoso della misericordia di Dio e presbitero della Chiesa di Dio che si trova nella località di Kfargamla, nel territorio di Gerusalemme, alla santa Chiesa e a tutti i santi che sono in Cristo Gesù in tutto il mondo, vi saluta nel Signore”.
Va’ dal Vescovo Giovanni....
Lucianos continua scrivendo che il 3 dicembre dell’anno 415, mentre dormiva vicino al battistero della sua chiesa, gli apparve un personaggio, alto di statura, vestito con abiti sacerdotali e adornato di un manto con dei gioielli e con il segno della croce, che gli disse:
“Va’ nella città chiamata Elia (cioè Gerusalemme) e di’ a Giovanni, Vescovo: «Fino a quando dobbiamo rimanere rinchiusi senza che tu ci apra?». È assolutamente necessario che nel tempo del tuo servizio episcopale riporti alla luce i nostri resti mortali, che giacciono abbandonati e dimenticati. Non sono tanto preoccupato per me, quanto per quelli che sono sepolti con me, che sono santi e degni di onore”. Alla domanda chi fosse, il personaggio rispose:
Io sono Gamaliele che ho istruito Paolo, l’Apostolo di Cristo, e ho insegnato la Legge in Gerusalemme. Accanto a me si trova Stefano, che per la sua fede in Cristo fu lapidato dai Giudei e i capi dei sacerdoti in Gerusalemme fuori della porta a Nord da dove una via conduce alla valle del Cedron. Là il corpo di Stefano, per ordine dei capi empi della città, fu lasciato esposto giorno e notte senza sepoltura, perché fosse divorato dagli animali".
Tuttavia, per volontà di Dio, nessun animale lo toccò, nessun animale feroce, nessun uccello, nessun cane. Io, Gamaliele, che ammiravo grandemente Stefano e volevo essere associato alla sua fede, mandai i miei servi in segreto perché portassero il corpo di Stefano sul mio carro alla mia tenuta di Kfargamla, che significa «tenuta di Gamaliele», a 20 miglia (30 km circa) dalla città. Dissi loro che doveva essere deposto nella mia tomba e si procurassero tutto il necessario per la sepoltura, a mie spese”.
Gamaliele proseguì descrivendo quello che era sepolto accanto a Stefano e cioè suo nipote Nicodemo che fu battezzato da Pietro e Giovanni (dei quali poi prese le difese) e dovette per questo subire persecuzioni dai Giudei.
Infine parla di suo figlio Abibos che, assieme a lui, abbracciò il cristianesimo, mentre l’altro suo figlio e la moglie rimasero ebrei e furono seppelliti nel paese natale della moglie.
L’apparizione di Gamaliele si ripeté altre due volte, perché Lucianos voleva essere sicuro che la visione venisse dal cielo e non fosse un’illusione.

Alla terza, dopo un aspro rimprovero per la sua incredulità, Lucianos si decise a cercare, secondo le indicazioni avute, ed effettivamente trovò la tomba, non distante dalla chiesa vicino alla quale viveva. I resti dei quattro personaggi, Stefano, Nicodemo, Gamaliele e suo figlio Abibos, secondo la richiesta o meglio l’ordine del Vescovo Giovanni, furono portati a Gerusalemme e deposti nella Chiesa Madre della Hagia Sion, la chiesa del Cenacolo. Lucianos dovette accontentarsi di alcune reliquie dei medesimi, conservate in un monumento o Mausoleo, che Giovanni costruì per consolarlo di tanta perdita.
Fin qui la lettera di Lucianos. Ai visitatori Ebrei ricordiamo poi un po’ di storia della Terra Santa, e cioè come nel 614 i Persiani di Cosroe distrussero tutte le chiese della Palestina, dalla più grande alla più piccola, fatta eccezione della chiesa della Natività a Betlemme (una delle tre chiese che Elena la Madre di Costantino aveva fatto costruire in Terra Santa: le altre due sono quella del Santo Sepolcro e quella dell’Eleona, sul Monte degli Ulivi), perché sulla facciata di questa chiesa erano rappresentati i Re Magi, vestiti come i Persiani. Anche la chiesa di Kfargamla fu distrutta e, come tante altre località storiche o bibliche del Vecchio e Nuovo Testamento, se ne perse la memoria.
L’Opera di Don Antonio Belloni
Facciamo ora un salto nella storia, verso il 1850. Don Antonio Belloni, sacerdote italiano del Patriarcato latino di Gerusalemme fonda la Congregazione della Santa Famiglia per aiutare gli orfani, con centro a Betlemme. In seguito compra un grande appezzamento di terreno in un villaggio musulmano, Bet Gemal, alle pendici dei monti della Giudea, ai confini con la pianura della Shefela (abitata nell’Antico Testamento dai Filistei). Sistema altrove alcune famiglie rimaste e costruisce una grande casa che era allo stesso tempo orfanotrofio e Scuola Agricola.
Nel 1891,
Don Belloni diventò Salesiano e le sue case (Betlemme, Bet Gemal, Cremisan e Nazaret) passarono ai Salesiani.

Nel 1916, sempre a Bet Gemal, in un terreno adiacente all’orfanotrofio, si decise di costruire dei bagni, all’aperto, vicino al cortile dove gli orfani facevano le loro ricreazioni. Appena si cominciarono gli scavi per la costruzione, vennero alla luce dei mosaici. P. Maurizio Gisler, benedettino svizzero del monastero della Dormitio sul Monte Sion a Gerusalemme, venne per seguire gli scavi. I mosaici risultarono essere il pavimento di una chiesa bizantina del V secolo.
I Salesiani e Padre Gisler, a conoscenza della lettera di Lucianos, di cui sopra, fecero subito l’accostamento o il legame tra Kfargamla e il nome Bet Gemal, che, secondo loro, non sarebbe stato altro che lo stesso nome (Kfargamla), con la parola “Bet” (casa) al posto di Kfar (villaggio, insediamento). La distanza, 30 km, corrispondeva a quella indicata da Lucianos.
Convinti di aver trovato la tomba di Santo Stefano, i Salesiani nel 1930 costruirono sul sito del mosaico ritrovato una chiesa, delle stesse dimensioni di quell’antica e la chiamarono “Chiesa di Santo Stefano”.

Non tutti però accettarono questa identificazione di Kfargamla con Bet Gemal. I più duri oppositori furono i Domenicani (Padre Lagrange, Padre Abel, ecc.) dell’Ecole Biblique di Gerusalemme che si battevano per un’altra località, Jammal, a 30 km a Nord di Gerusalemme. La controversia fu risolta solo ultimamente a favore di Bet Gemal. Vediamo, come.
Nell’autunno del 1999, Don Andrea Strus, un Salesiano polacco, professore all’Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma, morto prematuramente nel giugno del 2005, iniziò gli scavi archeologici in una località, chiamata Jiljil, sempre nella nostra proprietà, a circa 300 metri dalla nostra casa.
Furono rinvenuti i resti di una struttura rotonda, che come ultimo uso serviva da pressoio per fare il vino. Fin dall’inizio però non doveva essere così, perché la struttura era eseguita molto bene e con misure bizantine precise.
L’ipotesi di Don Strus fu quella di un monumento funerario, un mausoleo, in onore di un personaggio importante o di un santo.
Anzi Don Strus credette di aver trovato in questa struttura rotonda (perché Stefano, in greco, vuol dire corona) il monumento che Giovanni, Vescovo di Gerusalemme, aveva fatto costruire a Kfargamla, per custodire le reliquie di Santo Stefano, quando la sua salma fu portata a Gerusalemme. Bella ipotesi, ma come provarla?
La parola all’esperto di epigrafia
Vicino a questa struttura rotonda, tre anni fa, fu trovata un’architrave, in pietra, con una tabula ansata. La tabula ansata su un’architrave dice che su questa era scritto, o meglio, scolpito qualcosa. Questa scritta però era stata così rovinata dalle intemperie, lungo i secoli, che ad occhio nudo non si poteva leggere niente. Questo per un profano, non per un esperto.
Difatti Don Strus, due anni fa (nel 2004), fece venire a Bet Gemal Père Puech, l’esperto di epigrafia antica dell’Ecole Biblique di Gerusalemme. Questi con una pasta di carta bagnata ricavò dalla tabula ansata uno stampo, una specie di negativo che studiò per mesi. Il risultato della ricerca, apparso in un articolo ben documentato su La Revue Biblique, la rivista biblico-archeologica dell’Ecole Biblique, ha riempito di gioia non solo noi di Bet Gemal ma anche Don Strus, prima della sua morte. La scritta dice:


“DIAKONIKON STEPHANOU PROTOMARTYROS”.

Per “diakonikon” si intendeva un luogo per conservare le reliquie. Possiamo quindi affermare, senza alcun dubbio, che Bet Gemal è l’antica Kfargamla, dove Stefano ebbe la sua prima sepoltura.
Il messaggio di Santo Stefano? Nella chiesa di Bet Gemal, sopra l’abside, è dipinto Gesù in croce con ai piedi la Vergine Maria e San Giovanni. A fianco del Crocifisso, a caratteri cubitali, è scritta la richiesta di Gesù al Padre, a riguardo dei suoi crocifissori:


Pater, dimitte illis”,



“Padre, perdona loro”.

Il nostro confratello Don Domenico Dezzutto, 84 anni ma sempre giovanile, alla fine della spiegazione ai gruppi, grandi o piccoli, spiega quelle parole dicendo:
“Tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio e di perdonarci l’un l’altro”. È il messaggio di Santo Stefano con quella invocazione: “Signore, non imputare loro questo peccato”.
È un messaggio che cerchiamo di trasmettere ai visitatori. I Salesiani, negli anni venti del secolo scorso, nel loro entusiasmo per il ritrovamento della tomba di Santo Stefano, avevano progettato di costruire, sul posto dei mosaici della Chiesa bizantina, un grande santuario dedicato al “Perdono Cristiano”. Avevano ottenuto già l’approvazione della Santa Sede, poi, per tanti motivi abbandonarono il progetto, accontentandosi della chiesa attuale, molto bella, ma di dimensioni più modeste. Certo che in questo Medio Oriente, sempre sulle prime pagine dei giornali on line o su carta c’è bisogno di tanto perdono. Qualcuno dice che qui non ci sarà mai la pace, perché i due popoli che si affrontano, Arabo Musulmano ed Ebreo, non sanno e non possono perdonarsi, non avendo la tradizione o la cultura del perdono. E per fare pace, o la pace, come insegnava Giovanni Paolo II, ci vuole anche il perdono:


“Non c’è pace senza giustizia,
e non c’è giustizia senza perdono”.

Che il Signore, per intercessione di Santo Stefano, smuova le menti e cuori di questi popoli e ci dia la pace.
D. ANTONIO SCUDU sdb
e Comunità Salesiana di Bet Gemal (2006) Beit Gemal | Israel



*** Questo e altri 120 santi e sante di Dio sono confluiti nel volume:MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice ELLEDICI, Torino 2011, pp.936


IMMAGINI (cliccare per ingrandirle)

1 © Ph. Sante / Entrata alla Casa Salesiana di Bet Gemal dove si trova la chiesa di Santo Stefano, costruita sul luogo del ritrovamento di un antico mosaico.
2
© Vita di Santo Stefano, (Luigi Poggi), Chiesa di Bet Gemal, Israele / Stefano, il cui nome significa “corona”, apparteneva alla comunità cristiana di lingua greca e venne scelto per assistere i bisognosi della Chiesa primitiva.3 © Vita di Santo Stefano, (Luigi Poggi), Chiesa di Bet Gemal, Israele / Nello svolgimento del suo servizio, Stefano venne ben presto chiamato a rendere ragione della sua fede e dovette testimoniarla davanti al tribunale giudaico che lo condannerà alla lapidazione.4 © Vita di Santo Stefano, (Luigi Poggi), Chiesa di Bet Gemal, Israele / La lapidazione di Stefano avvenne in un periodo in cui l’autorità romana non era presente a Gerusalemme, altrimenti ogni condanna a morte sarebbe dovuta essere prima esaminata dal rappresentante dell’Imperatore.5 © Vita di Santo Stefano, (Luigi Poggi), Chiesa di Bet Gemal, Israele / Sepoltura di Santo Stefano a Bet Gemal, l’antica Kfargamla.6 La struttura rotonda trovata dagli scavi condotti da P. Andrea Strus. Qui venne rinvenuta l’architrave riportante la notizia del luogo della sepoltura di Santo Stefano.7 © Ph. Sante / Interno della Chiesa di Santo Stefano a Bet Gemal. Sopra l'altare l'invocazione di Stefano prima di morire: "Pater, dimitte illis" (Padre, perdona loro).


AVE MARIA!
AMDG

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