CERCAVO LA VERITA'
PER FAR CONCORDARE
MI VENNE INCONTRO
QUINTA RIVELAZIONE:
ricevuta a Chies d’Alpago nel 1972
§ 1 Un fatto straordinario e meraviglioso mi è accaduto nella
notte della festa dell’Assunta, il 15 agosto 1972 alle ore 3
del mattino.
Da oltre trent’anni mi interessavo del problema dell’origine
dell’uomo, preoccupato del diffondersi tra i giovani della
teoria dell’evoluzione spontanea e della poligenesi dell’uomo,
teorie che portano inevitabilmente alla negazione di
Dio e di ogni principio morale.
Nell’intento di far concordare i dati della Scienza con
quelli della Genesi Biblica, avevo studiato il problema su
tutti i libri relativi ad esso che avevo trovato in vendita (una
cinquantina) e avevo collezionato molte riviste e molti articoli
di giornali ricavandone un pacco di fogli e appunti.
Ad eccezione di pochi autori, gli altri ripetevano in vario
modo la teoria dell’evoluzione naturale, anche se la chiamano
guidata, delle varie specie di viventi, e quindi anche
dell’uomo, contro le affermazioni della Bibbia la quale dice
che Dio ha creato tutte le specie di animali e di piante ‘allo
stato definitivo’ stabilendo che ogni specie generasse ‘secondo
la propria specie’.
Questa espressione è ripetuta nei primi capitoli della Bibbia
per ben 11 volte, per far capire che solo l’Uomo non si attenne
a tale ordine.
U n lungo esame di coscienza
§ 2 Ogni momento libero dagli impegni del mio ministero e
dalle faccende di casa e di Chiesa, lo occupavo nella mia
ricerca, rinunciando alle passeggiate, alla radio, alla televisione
e ad ogni altra distrazione.
Mi coricavo a mezzanotte. Alle tre ero solito alzarmi a passeggiare
in cucina, per venti, trenta minuti, onde agevolare
il processo della digestione. Poi scrivevo qualche appunto,
quindi dormivo fino alle sei.
Nel 1972, ai primi di luglio, avevo comperato un solo libro:
trattava anch’esso dell’evoluzione ed essendo opera di
un altro religioso, speravo di cavarne qualche idea più consona
ai miei princìpi.
La vigilia dell’Assunta mi ero impegnato a terminare le
ultime cento pagine. Era scritto bene, con termini scientifici
appropriati e una certa logica che sembrava proprio credibile.
Lo terminai a mezzanotte, deluso ed angustiato, giurando
a me stesso che sarebbe stato l’ultimo.
Non avevo recitato il Breviario e volli supplire con un’ora
di adorazione prostrato ai piedi dei gradini dell’altare come
nel giorno della mia ordinazione11 .
Ero deluso e amareggiato anche perché i parrocchiani
non erano venuti al triduo e neppure al Rosario di quella
sera. Nessuno a confessarsi, neppure quei quindici fanciulli
che avevo ammesso alla Prima Comunione il dì del Corpus
[11 Nel linguaggio ecclesiastico l’aggettivo ‘‘prostrato’’ significa ‘disteso a terra a braccia
aperte e a faccia in giù’].
Domini. Girando per le contrade li avevo invitati personalmente,
ma tutti avevano una scusa: l’indomani dovevano
attendere degli ospiti o fare una gita, ecc.
Pregai il Signore e la Madonna di accettare me a nome di
tutti. Poi meditai sul ‘povero... me’.
Feci un lungo esame di coscienza e con molta lucidità
passai in rassegna tutte le tappe della mia vocazione da
quando, all’età di tre anni e mezzo, mia nonna mi mandò
nella camera di mio padre moribondo per dirgli di mettersi
in pace con il Signore e di chiamare il prete.
Gli dissi che anch’io da grande sarei diventato prete e
sarei stato contento di sapere che era morto in pace con
Dio. Poi l’infanzia e la fanciullezza senza i giochi e spassi
tipici di quell’età per accudire alle faccende di casa, ma
con la gioia di andare in chiesa alle funzioni e a cantare;
poi la prima Comunione con una trentina di compagni ai
quali avevo fatto da catechista; poi l’invito ad entrare in
Seminario; quindi la Cresima con l’abbraccio del Vescovo,
gli studi.
Conclusi che non avevo sbagliato strada: il Signore mi
aveva segnato fin da quella tenera età.
Mi rialzai dalla mia posizione dopo un’ora. Non ero affatto
stanco, ero sereno.
Ritornando in canonica, osservai il cielo tutto limpido e
stellato. Era cessato il baccano del juke-box e delle grida
della gioventù nel vicino esercizio pubblico.
Coricandomi esclamai:
– O tempo sì malamente speso, io ti maledico! Domani all’alba
porto tutti quei libri nell’angolo dell’orto e ne faccio
un falò. Chi si darebbe la pena di leggerli se vede i crocioni
che ho tracciato su molte pagine e le note che ho scritto sui
margini? A che mi servono tutti quegli appunti? Che cosa
mi resta di tutti i miei studi? Vediamo... – E andavo riassu-
mendo le nozioni imparate sulla Bibbia e sui libri di scienze
naturali.
– Che presunzione la mia volontà di indagare sui segreti
della Bibbia per far concordare i suoi dati con quelli della
scienza! Miserere mei, Deus. –
I pensieri della veglia
§ 3 Il sonno tardava a venire. Mi ripresero i pensieri della veglia:
– Perché perdere tempo, sonno, fatica e danaro per studiare
il problema dell’evoluzione che vanifica la Parola della
Genesi la quale afferma che l’Uomo fu creato perfetto e non
già in via di evoluzione e che solo ‘dopo’ degenerò? Anche
la teologia ci insegna che Colui il Quale fece bene ogni
cosa, fece ‘molto bene’ la prima coppia umana e non già
allo stato bestiale da cui si sarebbe evoluta con l’andare dei
millenni tra sofferenze inaudite. Non poteva quindi l’Uomo
essere frutto di evoluzione, perché in tal caso l’umanità non
sarebbe stata alle sue origini “cosa molto buona”.
– È chiaro che se l’Uomo creato da Dio era un Uomo
perfetto, mentre i reperti archeologici ci rivelano che l’uomo
della preistoria era un individuo imperfetto, è stato il
peccato originale che lo ha corrotto in tutti i suoi aspetti
fino a fargli assumere i caratteri di ominide. E se fu corrotto
anche nella sua componente fisica e psichica, e non solo in
quella spirituale, è logico pensare che il peccato originale
sia stato un peccato di ‘ibridazione12 della specie’ dovuto ad
12 È bene ricordare che al momento di questi pensieri, che precedono la rivelazione che sta
per essere narrata, don Guido aveva avuto già 4 rivelazioni dalle quali aveva appreso, come
dato certo, che l’umanità, fin dalle sue origini, aveva avuto un problema di ibridazione della
specie.
un rapporto consumato fuori della specie. Perché, se i due
progenitori dovevano crescere e moltiplicarsi, un rapporto
fra loro non solo non era proibito, ma doveroso.
§ 4 – Perché gli scienziati danno per scontata la teoria della
poligenesi,
[13 In base a questa teoria si suppone che la specie umana sia il risultato dell’evoluzione da
numerose specie primitive.]
mentre la Bibbia ci parla di un solo Uomo e di
un’unica coppia umana in principio, e non hanno preso in
considerazione l’ipotesi che la differenza tra i gruppi etnici
e talune tare ereditarie sarebbero dovute all’ibridazione
della specie umana con la specie antropomorfa più vicina
all’Uomo avvenuta nei primordi dell’umanità? Il fenomeno
dell’ibridazione è accennato nella Genesi all’inizio del 6°
capitolo, dove, ‘all’albero genealogico della Vita’, quello
dei ‘Figli di Dio’, era vietato ‘conoscere’, cioè avere rapporti
generativi con ‘l’albero genealogico selvatico’; e anche
dove parla dell’infausto connubio tra ‘i Figli di Dio’
(gli Uomini14 perfetti) e ‘le figlie degli uomini’ (le figlie degli
uomini ibridi) per cui entrambe le specie furono corrotte.
Come se il racconto biblico fosse una favola, hanno voluto
prescindere da esso e sofisticare e fantasticare sui reperti
fossili che stanno a provare soltanto come gli uomini hanno
‘perduto l’immagine e la somiglianza con Dio’. Quella che
scienziati e teologi chiamano evoluzione è stata in realtà
una ‘ri-evoluzione’, un recupero progressivo dei caratteri
umani originari avvenuto mediante una selezione guidata
dal Creatore. Solo in questo caso si può parlare correttamente
di rievoluzione guidata, ma non per la creazione
dell’umanità.
14 L’Uomo e la Donna creati perfetti ed i relativi aggettivi sostantivati sono scritti con la
lettera maiuscola per distinguerli dagli uomini contaminati dall’ibridazione, scritti con la
lettera minuscola.
§ 5 – La Bibbia insegna che la natura non compie spontaneamente
dei salti fra una specie e quella successiva.
Soltanto Dio può determinare il sorgere di nuove specie.
Anche questo principio è espresso chiaramente nella Genesi,
benché essa non dica come Dio sia intervenuto.
– Il primo vivente della specie umana è sicuramente
Adamo. Se la moglie fu tratta dalla ‘costa’ di Adamo, anche
lei apparteneva all’Albero genealogico della Vita.
E se egli è il primo Vivente (umano), è anche padre di lei.
– Dice la Genesi che Adamo generò Set a oltre 130 anni d’età.
A quale età generò allora il primogenito maschio Caino? E
ancor prima, a quale età Adamo generò la Donna ?
§ 6 – Altro problema.
– Dice la Genesi che fu Eva la causa della tentazione e
della caduta di Adamo.
– Dunque è Adamo l’autore di questa caduta. Ma come ha
potuto il primo Uomo, dotato di doni soprannaturali e preternaturali,
commettere il ‘peccato originale’, un fallo così
gravido di conseguenze? Lo ha fatto per istigazione di Eva?
– Che tipo era Eva? La Bibbia non dice che Dio le abbia
soffiato in faccia il soffio di Vita come ad Adamo. Però dice
che parlava e ragionava, ma cadde nel peccato ed incitò
anche l’Uomo al peccato.
E nella subcoscienza mi affiorò il ricordo di due fatti:
a) la rivelazione de ‘Il segno di Caino’ di quattro anni
prima, dalla quale avevo capito che Caino aveva l’aspetto
antropoide;
b) e poi l’altra, la visione de ‘Il peccato originale’, avuta
due anni dopo la prima, con la quale assistetti al peccato
di Adamo, rivelazioni per le quali avrei saputo darmi una
risposta, ma diffidavo e temevo di servirmene giudicandole
frutto di fantasia, come mi venne detto da un confratello con
il quale mi ero confidato.
Un Angelo precede l’arrivo delle due Celesti Messaggere
§ 7 La voce di un adolescente, vicinissima al mio orecchio destro,
molto chiara e non in sordina, mi disse prima sottovoce
e poi forte:
– GUIDO, ALZATI CHE È L’ORA SOLITA. –
Non ebbi alcun sussulto a quella improvvisa chiamata,
perché ero ancora nel dormiveglia.
Avevo l’impressione che una persona si fosse curvata sopra
il mio capo e parlasse.
Non mi mossi, non aprii neppure gli occhi: trattenni il fiato
per sentire il rumore dei passi della persona che mi aveva
parlato o, almeno, il fruscio dei suoi vestiti.
Nulla: il silenzio era assoluto.
Quella voce era risuonata dentro la camera, come di persona
che parlasse proprio vicinissima al mio orecchio destro.
Era una voce chiara, molto familiare, ma non riuscivo ad
identificarla sebbene conoscessi dal loro timbro le voci di
tutti i miei parrocchiani. Sembrava quella di mio fratello
quando era ragazzo. Anzi, sembrava proprio la mia di quando
avevo dodici o tredici anni.
Mi accorsi di avere l’orecchio destro contro il guanciale.
La voce mi era entrata proprio di lì. Alzai il braccio alla
testiera del letto e accesi la luce. Uno sguardo intorno, nella
piccola stanza, che misura solo 3 m per 3 per 2,20 di altezza,
mi assicurò che non c’erano ospiti.
La porta era chiusa, l’unica finestra anche.
Sollevai il guanciale. Nulla. Mi sporsi a guardare sotto il
letto: nulla!
Rimasi seduto sul letto per qualche minuto, riflettendo:
– Mi ha chiamato Guido, invece che don Guido.
– Mi ha dato del tu, forse per disprezzo.
– Mi ha dato un ordine: ALZATI. Con quale autorità?
– Ha soggiunto: “È L’ORA SOLITA”. Infatti il mio orologio
segna proprio le tre; ma come fa a sapere l’orario delle
mie levate notturne? Ciò vuol dire che mi ha spiato, ma a
quale scopo? E, se mi ha spiato anche questa volta, dovrebbe
sapere che non mi sono coricato a mezzanotte come al
solito, ma all’una e perciò non ho bisogno di muovermi per
agevolare la digestione e scrivere appunti come di consueto.
Il mio nome era comune ad altre persone e pensai che non
mi riguardasse. A conclusione esclamai:
– No che non mi alzo! – e mi adagiai contrariato e indispettito.
Pensai di essermi sbagliato e mi girai sull’altro fianco
cercando di dormire, ma la mia mente tornava ai soliti interrogativi.
Le due Madri dei ‘Figli di Dio’
§ 8 Mentre mi stavo ponendo ancora delle domande, sentii
delle voci15 femminili che sembravano provenire da oltre la
parete di graticcio che dietro la mia testa separa la mia camera
dal vano scale. Esse mi chiamavano per nome:
– GUIDO, NON TEMERE, SIAMO QUI ANCHE NOI, LE
DUE MADRI DEI FIGLI DI DIO. –
Poi la Voce più alta e sonora, molto dolce, che mi penetrò
nel cuore, proseguì:
15 Per facilitare la comprensione in chi legge, useremo la ‘v’ minuscola per riferirci alla voce
dell’Angelo e della prima Donna. Scriveremo invece ‘Voce’ con la ‘V’ maiuscola quando è
riferita a quella del Signore e della Vergine Maria.
– MARIA, MADRE NATURALE DI GESÙ E MADRE,
SECONDO LO SPIRITO, DI TUTTI I REDENTI. – Seguì la
voce più grave dell’altra Donna:
– E LA DONNA DELLA QUALE TI INTERESSI, MADRE
NATURALE DEI ‘FIGLI DI DIO’.–
Le parole dell’una e dell’altra furono pronunciate adagio,
ma molto chiaramente.
Dapprima credetti che non mi riguardassero, poi, un po’
commosso dalle parole di Maria, pensai:
“Le loro espressioni sono teologicamente perfette”. Credo
mi abbiano lasciato qualche secondo per capire bene le loro
parole, poi le sentii pronunciare assieme:
§ 9 – SIAMO VENUTE PER AIUTARTI NELLE RICERCHE
DEI TUOI STUDI. –
Il timbro delle voci questa volta era più forte, o almeno ero
più attento a recepirlo.
Dopo qualche secondo udii la Voce delle due Donne che
ora pareva venisse da oltre la finestra, quasi che il loro suono
fosse attutito dalle imposte e dai vetri.
– GUIDO, NON ANGUSTIARTI; NON HAI PERSO
TEMPO CON QUEI LIBRI. HAI CERCATO LA VERITÀ
CON RETTA INTENZIONE E ‘LA VERITÀ ’ TI VIENE
INCONTRO. –
L’accenno agli studi mi convinse che potevano riguardare
la mia persona. Quelle parole mi consolavano. Poi udii:
– PERCHÉ NON PRENDI IN MANO LA BIBBIA ? –
Insonnolito risposi a stento:
– Lì non c’è quello che cerco; lo so quasi a memoria quel
racconto – risposi, non senza uno sforzo per superare il torpore
del sonno che ormai mi prendeva.
– PRENDI IN MANO LA BIBBIA E LO SAPRAI. –
§ 10 A questo punto sentii di nuovo sopra di me, la solita voce
di fanciullo, fatta più decisa e più forte:
– È UN ORDINE, SÙ. –
Mi svegliai completamente, come elettrizzato. Accesi la
luce. La camera aveva il solito aspetto, ma da ogni angolo
e da ogni mobile, sembrava mi venisse ripetuto:
– PRESTO, UBBIDISCI, UBBIDISCI. – Il tono era affettuoso,
non arrogante. Gettai il lenzuolo in fondo ai piedi e
mi sedetti sulla sponda del letto.
Mentre stavo per prendere i calzoni per infilarmeli, udii
nuovamente quell’invito:
– UBBIDISCI SUBITO, VIA! –
Infilai solo le scarpette da camera e così, come mi trovavo,
uscii dalla stanza da letto per correre nel mio studio.
Attraversai il corridoio e giunsi alla cucina. Accesi la luce
come al solito e mi diressi verso la portiera della stanzetta
che avevo adibito a studio.
§ 11 Entrato, accendo la luce, vado alla libreria che mi sta di
fronte e, aperto lo sportello di destra, faccio per prendere
il I volume della Bibbia commentata dal Marietti, ma una
Voce femminile in tono sommesso mi suggerisce:
– LA BIBBIA INTERA. –
Con questo suggerimento la Voce mi invitava a prendere
sol volume l’Antico e il Nuovo Testamento.
Forse l’invito era per mettere in evidenza l’unità della
Rivelazione biblica. Può esservi però anche una seconda
ragione: le traduzioni più recenti, nel tentativo di essere più
scorrevoli, a volte sono meno fedeli al testo originario. La
Voce forse intendeva ricondurre la lettura alle traduzioni
più tradizionali. Ma potrebbe esservi anche una terza ragione,
più profonda: mentre oggi molti biblisti mettono in
dubbio che l’Autore della Genesi sia Mosè, nell’introduzione
della Bibbia commentata dal Sales si leggono invece queste
righe: “L’Autore del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico,
Numeri, Deuteronomio) è Mosè, come hanno sempre ritenuto
le tradizioni ebraica e cristiana poggiate sulle affermazioni
dell’Antico Testamento e sulle affermazioni stesse di
Nostro Signore Gesù Cristo e degli Apostoli”.
Allora apro lo sportello di sinistra verso l’angolo della
stanza e prendo la Bibbia commentata dal Sales.
Estraendo il Libro, dico con voce normale:
– Come ha fatto a trovarla? – Volevo dire: come ha fatto
Adamo a trovare la Donna , la prima Donna che credevo
Eva?
Teofania
§ 12
a) Lo scoppio di un tuono mi sorprese, perché all’una, al
ritorno dalla chiesa, avevo visto il cielo stellato e limpido;
ma non mi impaurii benché fosse ‘preceduto da una specie
di soffio’. Sembrava fosse caduta una folgore sull’orto
davanti alla finestra dello studio. Non era un suono secco
come quello del fulmine, ma un tuono il cui rombo andava
ripetendosi con molte eco che si disperdevano lontano,
come quelli che provengono dall’atmosfera.
b) Cessata l’eco del tuono, un terremoto sussultorio e
ondulatorio mi fece una certa impressione. Il pavimento tremava
sotto i miei piedi e mi inclinavo per stare in equilibrio,
spostando i piedi ora a destra ora a sinistra. Le pareti ed il
soffitto scricchiolavano e mi aspettavo di veder cadere calcinacci
e polvere e sfasciarsi tutto. Ma niente cadde. Ero
preoccupato.
“Se esco così svestito, divento la favola del paese” pensai.
c) Cessato il terremoto, sentii un fortissimo sibilo come
di vento impetuoso che entrasse da tutte le parti, anche dalle
pareti. Mi aspettavo di veder volar via tutte le mie scartoffie.
Invece nulla.
Non sono superstizioso né timido, ma di fronte ad un pericolo
di cui non conosco la causa né gli eventuali effetti, la
prudenza mi suggerisce di scappare. Era quello che volevo
fare, ma non potei muovermi.
Feci il gesto di scappare ma non vi riuscii, non per paura
ma perché i piedi parevano incollati a terra da una forza
esterna, misteriosa.
d) Cessato il vento mi accorsi di una luce rosea, non di un
colore caldo come quello del fuoco che ha diverse gradazioni
dal bianco al rosso al giallo, ma di un rosso tenue, più
simile al rosa che all’arancione.
Questa luce rosea che aveva invaso la stanza non era tremula
come quella della fiamma, ma continua, quasi lattiginosa
come una leggera nuvola.
– Anche il fuoco adesso? – dissi allarmato. Annusai ripetutamente.
Nessun odore di gas, né di bruciato. Mi tastai le
mani nel timore che fosse una radiazione nucleare. Tutto
normale.
Mi venne il dubbio allora che il tuono fosse stato provocato
da una bombola di gas che, scoppiando, avesse fatto
esplodere altre bombole vicine, imitando il rimbombo del
tuono.
Volli muovere un passo verso la finestra. Potei alzare il
tallone ma non la gamba, sebbene avessi incominciato a
protendermi innanzi.
§ 13
Una Voce di uomo adulto disse:
– IO SONO. –
Voglio spiegarmi meglio: quella sensazione non mi veniva
solo dall’esterno. La Voce “IO SONO” mi risuonava dentro,
così che non era come se mi sentissi in compagnia di
qualcuno, ma quel Qualcuno mi circondava, mi compenetrava,
mi possedeva tutto e mi faceva sentire molto piccolo
alla Sua Presenza.
Dopo qualche secondo la Voce mi disse dentro:
– RESTA. È TUTTO BENE. –
Dovetti restare. Provai a sollevare nuovamente l’uno e
l’altro tallone e ad alzarmi in punta di piedi. Nessun impedimento,
gli arti funzionavano regolarmente ma le punte dei
piedi erano ancora incollate al pavimento.
§ 14
mio orecchio destro, mi disse:
– DA UN SEGNO. –
Sentii le parole, ma non il fiato che avrebbe dovuto accompagnarle.
Rigido nella persona, girai lentamente il capo
verso la spalla destra. Nulla.
Nella stessa direzione osservai la lampadina sotto il paralume
di porcellana bianca pendente dal centro del soffitto.
Mi aspettavo di vederla avvolta entro una carta velina color
rosa che mi faceva vedere la luce rosea nella stanza.
Quella luce rosea non era ancora molto densa e mi lasciava
intravedere i contorni dei mobili e degli oggetti. Non
c’era anima viva. Silenzio assoluto, quando la Voce mi disse
ancora dentro, cioè senza interessare gli organi dell’udito:
– È LA RISPOSTA ALLA TUA DOMANDA. –
Con tutto quello che era accaduto nel frattempo, avevo dimenticato
di aver fatto una domanda nel prendere in mano
che sarebbe diventata sua moglie?”), né pensavo che le mie
parole fossero state prese in considerazione da chicchessia.
Compresi. Pieno di commozione e di rispetto chiusi lo
sportello di destra dicendo:
– Ma che tipo di segno? –
Allungai poi il braccio sinistro e chiusi l’altro sportello
che, aperto, era aderente alla parete e che si apriva di misura
verso il fianco della cartelliera.
A poco a poco la luce rosea si fece più intensa avvolgendo
mobili e oggetti che scomparvero in essa: vedevo bene
solamente la Bibbia che avevo in mano, ma non vedevo più
nemmeno la mia mano.
(Nota della curatrice) A questo punto don Guido interrompe il racconto
per dar spazio ad una descrizione del suo appartamento perché la visione,
durata più di mezz’ora, si è spostata, in senso antiorario, lungo le pareti ed
i mobili del suo studio e della cucina-pranzo. Questo semplice espediente
voluto dal Signore gli ha permesso, in un secondo tempo, di ricostruire
non solo la sequenza delle immagini e degli episodi, ma anche di derivarne
l’orientamento e di farne una mappa. Perciò il lettore che volesse velocemente
proseguire nel racconto, può tranquillamente saltare il § 15.
§ 15 Prima di proseguire mi sembra opportuno descrivere
l’ambiente dove le scene della visione si sono manifestate
e fare una ‘composizione di luogo’ visualizzando oggetti e
mobili dentro le mie stanze per ricostruire con la memoria
le varie fasi di questa grande visione nell’ordine in cui si
sono succedute perché, ad ogni sfondo, corrispondeva una
scena della visione partendo dallo studio fino alla cucina.
Fra quelle mura ebbi infatti una visione durata mezz’ora
che mi inseguì nei miei movimenti su ben nove posti, lungo
le pareti meridionali e orientali delle due stanze.
Per la precisione, le prime scene furono verso la parete
Sud e la parete Ovest della canonica, cioè verso la casa
adiacente e verso l’orto; l’ultima, la più importante, fu verso
Est. Il lato Est, che guarda la strada, è lievemente girato
verso Nord’
Quanto descrivo non è una perdita di tempo perché le immagini
e le scene che ho veduto avevano, nell’ambiente naturale,
e questo lo capii solo in un secondo tempo, lo stesso
orientamento delle scene che vedevo proiettate sui mobili
delle due stanze. Questo aiuto datomi dal Signore mi permise
di ricostruire non solo la sequenza delle scene, ma anche
l’orientamento di quell’habitat e disegnare in seguito la
mappa di quei luoghi mettendoli in rapporto di successione
fra loro, così che oggi, se mai dovessi visitare quella regione,
sarei in grado di riconoscere quei posti perché erano
abbastanza singolari.
Venendo dalla camera, devo passare per il corridoio e,
dal corridoio, per la cucina per entrare nel mio studio, o
biblioteca, che misura 3 metri per 2,80.
Entrando in cucina dalla porta che si trova quasi al centro
della parete, alla mia sinistra vi è la parete Est con due finestre
che guardano la strada. Di fronte, sempre all’entrata
della cucina, vi è la parete Sud nella quale si apre, a sinistra,
una portiera con vetro smerigliato che dà sulle scale
che scendono alla cantina e due metri più in là, a destra,
l’altra portiera, simile alla prima, che porta nello sbrattacucina.
Tra una portiera e l’altra è collocata la credenza
con l’alzatina dalle antine in vetro che abitualmente chiamo
‘vetrina’. Al centro della cucina il tavolo da pranzo. Alla
mia destra, al centro della parete Ovest, c’è la portiera della
mia biblioteca dove entrai.
Appena dentro la biblioteca, alla mia sinistra, addossata
alla stessa parete che divide la cucina dalla biblioteca, vi è
una libreria alta due metri con due sportelli simmetrici con
vetro stampato. Di fronte a questa vi è, sulla parete Ovest,
la seconda libreria, identica alla prima. Entrambe hanno il
fianco addossato alla parete Sud. Sulla parete Sud è sistemata,
al centro, una cartelliera a cassetti sottili alta m 1,50
che occupa di stretta misura lo spazio tra lo sportello aperto
della libreria che sta alla mia sinistra e lo sportello aperto
dell’altra libreria gemella collocata di fronte alla prima.
A fianco di quest’ultima, al centro della parete Ovest,
c’è l’unica finestra del mio studio che guarda verso l’orto.
Siamo sul piano rialzato di una casa costruita nel 1740 su
un terreno in forte pendenza.
Quasi al centro della stanzetta adibita a biblioteca vi è un
tavolo ingombro di libri, di riviste e di fascicoli di appunti.
Al lato Nord, una stufa al kerosene, sedie coperte di riviste e
giornali, scatoloni, pieni delle stesse cose, che impediscono
di aprire la vecchia porta verso il corridoio. Disordine solo
apparente: so trovare le mie cose se altri non le toccano.
Don Guido (a destra) davanti alla canonica di Chies d’Alpago (facciata est).
La stessa canonica vista da ovest.
* Piantina della canonica di Chies d’Alpago, leggermente ruotata in
senso antiorario rispetto ai punti cardinali
N
S
O E
l’orto studio
* Mappa del promontorio e della piana
I punti cerchiati corrispondono agli orientamenti delle visioni avute in canonica.
N
S
O E
I PARTE DELLA VISIONE:
IL PRIMO PIONIERE,
“IL CAMPIONE”
Il primo Pioniere
(1° orientamento: scena rivolta verso Sud, punto À di pag. 81)
§ 16 Con mia grande sorpresa vidi sulla parete Sud del mio studio,
al posto che era coperto dallo sportello sinistro della
libreria di destra (punto À di pag. 80), una finestra aperta al
chiaro della luce meridiana occupata dalla figura nitida di
un Ragazzo nudo, dalla pelle lucida e arrossata come fosse
stato scottato di recente dal sole. Lo vedevo solo dalle anche
in su. Non aveva segno di vestito, neppure un perizoma. I capelli
nerissimi, lucidi e lisci, gli scendevano fino alle spalle.
Mi veniva da fargli molte domande: “Chi sei? Come sei
venuto qui?”.
mi guardava. Aveva una faccia bonaria e paffuta. Era intento
a guardare qualcosa che aveva fra le mani. Sembrava
un mazzetto di steli di paglia. Si girò dalla parte opposta e
fece due o tre passi guardando in alto. C’era un soffitto fatto
di lastroni di pietra giallastra di arenaria dello spessore di
circa 40 cm . Si fermò dove la serie di lastre era interrotta
per la caduta di una di esse. Da quel vano sporgevano in giù
dei corpi grigi, bucherellati, che credetti, lì per lì, dei pezzi
di tufo. Ne vedevo solo l’estremità inferiore.
Guardavo il Ragazzo sospeso lì fuori del muro della mia
stanza pensando a come facesse a reggersi a quell’altezza
di 5 m dal suolo, dato che nel muro esterno non vi erano
mensole né appigli. La mia meraviglia dipendeva dal fatto
che la canonica di Chies è situata su un terreno in pendio:
mentre le stanze rivolte ad Est sono a livello della strada,
quelle rivolte a Ovest sono un piano più alto dell’orto.
§ 17
Lo vedevo di schiena che armeggiava con le mani così
da far sprizzare verso il suo fianco destro un pennacchio di
scintille a brevissimi intervalli. Si girò sul fianco sinistro e
potei vedere che quello che aveva nella mano sinistra era un
mazzetto di steli diritti di frumento o di segala le cui spighe
vuote intrise di un liquido nero ora bruciavano con molto
fumo gocciolando. Uno stelo acceso si era piegato in giù ed
egli si curvò e non lo vidi più.
Quando si rialzò aveva in mano il mazzetto senza fuoco.
Dispose le estremità opposte alla spiga sul palmo della
mano sinistra, fermandole con l’indice e il mignolo contro il
dito medio e anulare. Sopra il tratto che restava sul palmo,
strinse tra il pollice e il mignolo una pietra piatta. Nella
destra ne teneva una simile e si mise a sfregare in un’unica
direzione questa con quella producendo frequenti pennacchi
di scintille verso le spighe finché presero nuovamente
fuoco e fecero fumo.
Il Ragazzo produsse, col suo fuoco, una nube nera di fumo
che saliva a quei pezzi di tufo dalla forma di grossi salami
pendenti sopra la sua testa fra le due grosse lastre di pietra,
provocando il volo di numerosi insetti che gli svolazzavano
intorno. Lo vidi fare una piccola smorfia. Si ritirò di alcuni
passi verso la mia virtuale finestra; attese finché il fumo
si diradò e, prima che cessasse, ritornò là, alzò le braccia
(non vidi pelo sotto le sue ascelle), scostò due o tre tufi
osservandone gli interstizi e, non senza difficoltà, ne staccò
uno provocando un nuovo sciame di insetti. Parevano mosche.
Egli si ritrasse, ma non li scacciava. Ne staccò qualche
pezzetto d’intorno e lo lasciò cadere.
Si ritirò di nuovo venendo ancor più vicino e proprio davanti
a me, si chinò e scomparve sotto il davanzale del quadro
visivo.
Questo non era sempre uguale: veniva ristretto fra i due
lati orizzontali, ora più ora meno, per inquadrare solo la
scena che dovevo guardare.
Mentre il protagonista stava sotto la linea inferiore del
quadro visivo, potei vedere il panorama e un lembo orizzontale
di cielo. Era sereno, alla luce meridiana. Lo deducevo
dall’ombra quasi inesistente.
Finestra aperta alla luce meridiana:
l’habitat del primo Uomo
§ 18
Volevo guardare l’ambiente, orizzontarmi, ma al di là vedevo
solo il cielo sereno.
L’orizzonte era lontano, a perdita d’occhio, ad un livello
più basso del luogo in cui mi trovavo.
Il punto d’osservazione era da un’altura. Mi alzai in punta
di piedi per osservare il panorama nascosto dal davanzale
di quella strana finestra da cui distavo quasi un metro.
Con mia sorpresa e grande gioia, la finestra mi venne incontro,
così che potei affacciarmi.
Mi trovavo su uno sperone di roccia marnosa, che scendeva
quasi verticalmente con uno strapiombo verso Ovest.
Questo sperone era la parte estrema di un alto promontorio
che si spingeva da Nord verso Sud.
Sotto quello strapiombo vidi da Nord-Ovest a Sud una
grande distesa di bosco, tutte piante latifoglie e nessuna conifera.
Quella foresta dal lontano orizzonte arrivava fino ai
pressi dell’altura su cui mi trovavo.
Appoggiai la mano sinistra alla cartelliera (che già non
vedevo) e mi protesi innanzi per sporgermi dalla finestra e
guardai giù nelle immediate adiacenze.
La finestra mi si accostò ancor di più, lentamente. Più
scorgevo la parte più prossima di quella foresta, più percepivo
la misura del dislivello in rapporto al mio punto di osservazione,
alto almeno una sessantina di metri. Non potevo
distinguere, dalle foglie, la specie di piante del bosco. Forse
erano castani o querce o faggi.
Mi sporsi di più, fino a mettere la testa fuori dal davanzale.
Ebbi un brivido. Quello strapiombo era costituito da
molti lunghi corsi sovrapposti ed obliqui di pietra arenaria
giallastra intervallati da marna di colore più scuro. Anzi,
ora anch’io ero nell’incavo fra due cenge sovrapposte dove
lo strato di marna era stato eroso.
Ai piedi della roccia su cui mi trovavo c’era l’alveo di un
torrente asciutto dal colore bianco in contrasto con le pietre
giallastre dell’altura. Non distinguevo i ciottoli.
Ad una ventina di metri dalla base dello strapiombo, oltre la
sponda opposta del greto del torrente, questo bosco terminava
di netto con un brusco salto di dieci metri rispetto all’alveo del
torrente che lo delimitava in linea retta da Nord-Ovest a Sud.
§ 19
Di fronte a questo promontorio si apriva a ventaglio verso
Sud fra due linee divergenti, che inizialmente distavano
una cinquantina di metri, una zona pianeggiante, fertile,
coperta di vegetazione cerealicola che si stendeva a perdita
d’occhio. Non vedevo monti all’orizzonte o perché non ce
n’erano o perché la foschia mi impediva di vederli.
Dall’enorme estensione di quella vegetazione color oro dedussi
che quelle messi crescevano spontanee, aiutate nelle
vicinanze dell’altura da qualche fosso rettilineo che distinguevo
appena e che, suppongo, fosse un rudimentale sistema
di canali d’irrigazione che qualcuno aveva scavato.
A Est dell’immensa campagna vi era un’altra valle che
usciva dal lato orientale dello sperone di roccia. Forse, al di
là di una fila di piante irregolari che delimitavano a sinistra
la pianura, vi era anche un’altura. Non potei vedere se ci
fosse un altro corso d’acqua.
Nel guardare il dirupo che stava sotto di me ebbi un momento
di sconcerto e mi tenni, con la sinistra, ancor più
saldo alla cartelliera.
§ 20
Mi ritraggo e osservo ancora l’orizzonte. Non mi raccapezzo.
So di essere nella mia abitazione e tengo i piedi per
terra. La canonica non è sull’orlo di un precipizio. Strana
associazione di idee. Anch’io sono un uomo che, a volte,
sono incline a giudicare le cose secondo le proprie misure.
Pensai:
“In questa parete è stata murata una finestra che guardava
il sottostante cortiletto interno della canonica, ultimo
lembo dell’orto del Beneficio, salvato un tempo dall’usurpo
dei vicini che poi, in questi ultimi anni, hanno costruito e
ampliato la loro casa abusivamente. Ora, ecco sprofondato
il cortile e anche la casa nell’abisso, forse a causa del terremoto
che ho sentito. Meglio così: ora potrò vedere di nuovo
il sole d’inverno e vedrò la Chiesa e il colle del Cimitero.
Ma, e le persone? Oh! Misericordia, no! Ma,... questo non
è il mio ambiente! Se fosse scomparso anche il colle vedrei
l’orizzonte sopra il lago di S.Croce. L’Alpago è bello, ma
non è il Paradiso Terrestre, anche se i bellunesi lo chiamano
‘il giardino di Belluno’. E poi, qui è notte e lì è giorno”.
§ 21
La finestra inquadra di nuovo il protagonista che ora si è
rizzato in piedi. Ha in mano un oggetto bucherellato da cui
sta strappando dei pezzettini che lascia cadere.
Non riesco a capire che cosa sia. Mi sembra un pezzo di
quel tufo.
I soliti insetti gli volano attorno e si posano su quell’oggetto.
Egli, con calma, strappa il pezzettino infestato e lo
lascia ancora cadere.
Qualche volta scorgo sulle sue labbra una leggera fugace
smorfia di dolore.
Finalmente alza la testa e sbanda i capelli dalla fronte. È
vicinissimo a me, nel lato più esterno della cengia. La Voce
sommessa mi suggerisce di osservarlo bene. È ad un mezzo
palmo di distanza davanti alla mia spalla destra. Lo vedo
di profilo. Egli alza lo sguardo verso la mia sinistra, lentamente.
Con la mano sinistra fa il gesto di sistemare i capelli
dietro l’orecchio sinistro.
Gli osservo la mano grassoccia, rosea e lucida, le dita
perfette nella forma e nella proporzione del palmo, le unghie
regolari e pulite. Così pure l’orecchio è ben fatto.
Ad un mezzo palmo di distanza egli accosta la sua guancia
al mio sguardo. Posso constatare che non vi è alcuna traccia
di barba e neppure di peluria di baffi. I pori della sua
pelle, rosea, liscia, delicata e lucida, sono invisibili. Niente
peluria neanche alle ascelle né sul petto.
Ora che lo vedo muoversi con tanta naturalezza, rivolto
sempre verso la mia sinistra, provo un senso di ammirazione
e di simpatia al constatare la perfetta armonia dei
suoi lineamenti. Il naso è un po’ piccolo e delicato nella
tinta, come quello di un bimbo. Gli occhi neri sono profondi
e piuttosto piccoli. L’arco sopraccigliare, fatto proprio
ad arco, è ricoperto da sopracciglia nere normali, non a
cespuglio, non lunghe né sporgenti, ma giuste, che non si
congiungono sopra il naso. Tra le sopracciglia e le ciglia
la nicchia è profonda più di un centimetro ed è pallida, così
pure la palpebra quando abbassa lo sguardo, perché il sole
non l’ha arrossata.
Forse anche per questo gli occhi mi sembrano molto profondi.
La fronte è alta e ben proporzionata. L’angolo facciale
è retto, il mento e la bocca sono regolari.
§ 22
Mentre lo fissavo, egli, guardando lontano sempre verso
la mia sinistra, aprì la bocca e sentii pronunciare due parole,
con voce forte e lentamente:
– DALLA VOCE. –
Notai che mentre sentivo pronunciare “dalla”, il Ragazzo
aveva mostrato tutti i denti bianchi e regolari, anche i quattro
canini che non erano più lunghi degli altri denti. Aveva
mosso la lingua verso gli incisivi come avesse pronunciato
la prima consonante ‘d’, e poi contro il palato per la ‘l’. Ma
quanto alla parola “voce” non mi sembrò corrispondente il
movimento delle sue labbra, perché si erano contratte come
nell’atto di zufolare.
Inoltre il suono delle parole non mi veniva da quella direzione,
ma da sopra la mia spalla destra. Dovetti pensare
un po’ per capire. Era la risposta alla mia ultima domanda:
“Ma che tipo di segno?”. E quel ‘segno’ era a sua volta la
risposta a quell’altra domanda espressa prima che iniziasse
la visione mentre stavo per prendere in mano la Bibbia :
“Come ha fatto (l’Uomo) a trovarla (la Donna )?”. Dunque
l’Uomo aveva trovato la Donna da un segno e quel segno
era la voce. Ma di chi?
§ 23
Il Ragazzo era ad una distanza che calcolavo essere appena
di là del muro dello studio. Stava passando dalla mano
destra alla sinistra quell’oggetto che credevo essere un
pezzetto di tufo volgendo anche il capo dalla stessa parte come
volesse rivolgersi a me. Invece guardava lontano.
In quel momento la solita Voce diceva:
– HA SENTITO LA SUA VOCE. –
Non avevo compreso che era stato l’Illustre Commentatore
a parlare. Credendo fosse stato il Ragazzo che mi stava dando
del ‘lei’ e che si riferisse a qualcuno che aveva sentito la
mia voce, risposi con lo stesso tono forte:
– Eh! Ho altro a cui pensare io! Altro che la mia voce! –
Desideravo studiare la Bibbia. Non volevo distrazioni.
Il mio Illustre Maestro intendeva invece, come mi venne
detto di lì a poco, che il Ragazzo aveva sentito la voce della
madre che stava per partorire quella che sarebbe diventata
la sua Donna.
Frattanto Chi mi parlava nel pensiero si fece più insistente
e andava dicendo parecchie parole di cui ricordo bene solo
queste:
– EGLI HA SENTITO. TI PARLO DI LUI. –
‘Il Campione’
(2° orientamento: scena rivolta verso Sud-Ovest, punto Á di pag. 81)
§ 24
La finestra aperta si spostò verso destra inquadrandolo
oltre l’angolo della stanza: anzi era fuori del muro della
biblioteca per almeno un metro, dietro l’angolo della libreria.
Ora l’inquadratura era rivolta verso Sud-Ovest. Non
vedevo più il mobile della libreria, come se fosse sparito.
Sporsi la mano e la toccai, la sentii ma non la vidi. Non vidi
nemmeno la mia mano.
Una Voce di uomo mi disse dentro:
– GUARDALO! È BELLO. LO RICONOSCI? –
Lo fissai mentre si muoveva fino a quando, spostando i
capelli che gli scendevano sul viso mentre era intento al suo
lavoro, li cacciò nuovamente dietro gli orecchi. Era veramente
bello. Aveva quindici o sedici anni.
Era paffuto. Forse la cavità orbitale sembrava così profonda
proprio a cagione delle guance paffute. Risposi mentalmente:
“No”.
– RISPONDI – soggiunse.
Ero convinto che se io Lo sentivo e Lo capivo a livello
intellettivo anche l’Interlocutore mi capiva. Risposi facendo
il gesto negativo con il capo.
– PARLA – insistette.
– No, non lo conosco – dissi a voce normale. – Chi è? –
§ 25 – È IL CAMPIONE – mi rispose con voce tenue all’orecchio.
– L’HAI DEFINITO TU COSÌ, UN MESE E MEZZO
FA, NELL’AULA MAGNA DEL SEMINARIO16. –
16 Scrive in un appunto don Guido: “Un mese e mezzo prima della visione, cioè il 28 giugno
del 1972, assistetti nell’Aula Magna del Seminario ad una conferenza di microbiologia genetica
in rapporto alle tare ereditarie che condizionano il comportamento dell’uomo. Quando
l’oratore, il prof. Giambattista Marson, primario nel reparto di dermatologia dell’ospedale
di Belluno, spiegò come in America l’esame delle cellule di condannati all’ergastolo rivelò
che alcuni di costoro invece di avere i normali XY avevano anche un cromosoma più piccolo,
cioè una y, per cui gli scienziati si chiedevano come quella y fosse entrata nel patrimonio
genetico umano rendendo squilibrato chi ne era in possesso, io intervenni dicendo:
– Siamo dei credenti e per noi è certissimo che Colui che ha guidato l’evoluzione delle specie
dei viventi fino ai vertici del ‘philon’, ha posto in essere una creatura umana perfetta che
doveva essere ‘il Campione’ di tutti i suoi discendenti. Se ancora al giorno d’oggi si trovano
dei casi di caratteri ancestrali, ciò è dovuto al fatto che il Campione, il quale nel Paradiso
terrestre va sotto il nome di ‘Albero genealogico della Vita’, ha avuto rapporti generativi
con l’‘albero selvatico’ che poteva dare frutti buoni con l’intervento di Dio e frutti cattivi
senza l’intervento di Dio, cioè ibridi, bastardi... –
Non potei continuare perché un anziano professore di Esegesi biblica, don Angelo Santin,
mi interruppe dicendo: – Non siamo preparati su questa linea –.”
Non dimentichiamo che prima di questa conferenza don Guido aveva avuto già 4 rivelazioni
e che, a differenza del suo confratello, aveva potuto vedere lo svolgersi del ‘peccato originale’
e osservare l’aspetto del primo Uomo e della prima Donna ancora bambina (II rivelazione)
e quello degli esseri della specie pura più prossima all’Uomo (II e III rivelazione) e
quello degli ‘ibridi’ di alcune generazioni dopo l’incrocio delle due specie (IV rivelazione).
– L’ho detto per fede, non per esperienza. Non l’ho mai
visto! –
– L’HAI VISTO. TI HO ASCOLTATO VOLENTIERI IN
QUELLA OCCASIONE, E ANCHE PRIMA NEGLI ALTRI
TUOI INTERVENTI ALLA CATTEDRA DEL CONCILIO
AL CENTRO DIOCESANO. –
– Non me ne ricordo – risposi.
Qui una Voce femminile disse in sordina:
– E PARLERAI ANCORA ANCHE SULL’EUCARISTIA
– e aggiunse altre parole che non ricordo.
– Chi è? – insistetti.
§ 26
– IL TUO PRIMO PARENTE. –
– Eh no, Signore! Non ho parenti così belli, né prossimi né
lontani. –
Intanto cercavo di realizzare:
– Ma chi è? Cosa viene a fare qui? Un mio parente...? Un
campione...? Ho un’allucinazione? – esclamai forte.
– PROTO, PROTOPARENTE – soggiunse sommessamente
e ripetè:
§ 27
– PROTOPARENTE DI TUTTI GLI UOMINI. – E dopo
alcuni attimi:
§ 28
– È LUI IL PROGENITORE. –
Ripensandoci poi, ricordai d’averlo già visto nella rivelazione
de ‘Il peccato originale’ quand’era ancora poco più
che un ragazzo e nella rivelazione de ‘La morte di Abele’,
quand’era nel pieno della sua virilità. Ma vedendolo così
giovane non l’avevo realmente riconosciuto.
Non potevo credere che Adamo fosse così giovane per cui,
fissandolo di nuovo in viso, al vedergli quella pelle rosea e
delicata e le guance paffute con quel naso di fanciullo, dissi:
– È mai possibile? È un ragazzino! – Ricordavo che nella
Bibbia era scritto che Adamo generò Set a 130 anni. Poi,
ragionando, pensai che anche lui doveva pur esser stato
giovane. Anzi, un Giovane speciale che era dotato di doni
soprannaturali e preternaturali e che godeva di un dialogo
costante con Dio che gli faceva da Padre e da Maestro.
È scontato che il primo Uomo parlasse con Dio e che Dio
gli avesse insegnato a parlare. Non c’è da stupirsi, visto
che parla anche oggi agli uomini! Se non fosse stato così,
Adamo avrebbe imparato solo i versi degli animali. Quindi,
oltre alla parola, anche la conoscenza dell’uso del fuoco
gli venne trasmessa da Dio che gli insegnò ad usarlo, ma
si perdette assieme a tutte le altre conoscenze con l’ibridazione,
fino a riemergere nell’uomo preistorico come una
conquista.
§ 29
– TU GLI SOMIGLI. –
– So di non essere bello, lo so fin dall’infanzia. –
– ‘ORA’ TUTTI GLI UOMINI GLI SOMIGLIANO. –
– Beh! Pressappoco. Chi più, chi meno... –
Sentii sopra le mie ultime parole, la Voce sommessa che
disse alcune parole riguardo all’Uomo che per la sua disobbedienza
divenne padre di un’umanità degenerata e alcune
altre considerazioni riguardo all’uomo decaduto.
Ogni volta che si trattava di accusare l’Uomo, Egli lo faceva
in sordina, riguardoso. E di lì a qualche secondo continuò:
§ 30 – L’HO PRESERVATO DALL’ESTINZIONE E L’HO
GUIDATO ALLA RISURREZIONE. –
Seguirono altre 8 o 10 parole che non ricordo, ma che si
riferivano alla Sua opera nel guidare l’umanità, imbestialita
a causa dell’ibridazione, al recupero dell’immagine originaria,
non tanto riguardo ai caratteri somatici che hanno
ben poca importanza, quanto alla ‘capacità di intendere e di
volere’. Con quelle parole non intendeva solo dire che siamo
rievoluti, cioè che siamo stati recuperati parzialmente
e che, entro certi limiti, abbiamo riacquistato le sembianze
del primo Uomo, ma che abbiamo anche riacquistato in
buona parte le capacità intellettive. ‘Ci ha messi in grado’
di partecipare alla sorte dei Santi nella Luce, ci ha dato la
possibilità di essere liberati dal potere delle tenebre dandoci
l’opportunità di essere trasferiti nel Regno del Suo
Figlio diletto per opera del Quale abbiamo la Redenzione ,
la remissione delle conseguenze psicofisiche e spirituali del
‘peccato originale’.
‘Io Sono la Risurrezione ’
§ 31
Le ultime parole le ricordo bene:
– IO SONO LA RISURREZIONE.
Ho inteso la parola “risurrezione” in senso pieno, attraverso
la quale Egli ha operato un recupero non solo spirituale
ma anche psicofisico dell’umanità. È Lui l’Autore
della sua ‘rievoluzione fisica e psico-intellettiva’.
“Risurrezione” va dunque intesa come recupero della immagine
originaria secondo il modello con il quale fu fatto il
campione, il prototipo, il primo Uomo. Quindi, Rievoluzione,
Rigenerazione, Riabilitazione, anche fisica, sono state operate
e guidate da Dio. Siamo, anche fisicamente, dei risuscitati.
§ 32
Dopo una breve pausa soggiunse:
– MA ORA CHE TUTTI HANNO RECUPERATO LA
CAPACITÀ DI INTENDERE E DI VOLERE, HANNO PARI
DIGNITÀ E DIRITTI. –
Da queste parole intesi che tutti abbiamo oggi “pari dignità
e diritti” non riguardo alla salvezza, ma alla ‘capacità’
di aspirare alla salvezza.
Il Vangelo di Giovanni ci dice che Cristo diede a tutti gli
uomini ‘la possibilità’ o meglio ‘l’opportunità’ di diventare
figli di Dio (dedit eis ‘potestatem’ filios Dei fieri) e con ciò di
avere la Vita eterna in comunione con Dio, ma non disse che
Dio diede a tutti la Vita eterna.
Nel suo Vangelo Giovanni
scrive anche che Gesù disse: “Oro pro multis”; non disse:
“Oro pro omnibus”, prego per molti e non prego per tutti.
Quei ‘multis’ sono coloro che hanno buona volontà perché
corrispondono all’Amore di Dio, a qualunque credo in buona
fede appartengano. Perché, se tutti hanno pari possibilità
di diventare figli adottivi di Dio, solo coloro che mettono
a frutto i beni della Redenzione diventano ‘figli di Dio’. Gli
altri, quelli che non seguono (che non vogliono seguire)
i principi del Vangelo, ‘restano
creature di Dio’, ossia esseri ‘inferiori’ come gli animali,
benché intelligenti: inferiori fra gli inferiori. Restano degli esclusi.
Dio non castiga, Dio promuove o non promuove. La non
promozione è già un castigo, ma non viene da Dio.
Il primo Uomo ‘è ancora innocente’
§ 33
Ero affascinato dalla figura del Ragazzo che mi stava dinanzi
e desideravo conoscere tante altre cose su di lui.
Per esempio, desideravo misurare la sua altezza perché, fino
ad allora, mi sembrava posto su un piano più alto del mio
che non vedevo perché dalle anche in giù restava nascosto.
Chi conosceva il mio desiderio, mi ha accontentato.
Per un attimo il quadro visivo si abbassò fino a terra, per
riprendere subito dopo la posizione di prima. Potei notare
che aveva le gambe molto lunghe, la metà della sua statura
complessiva.
Il Ragazzo, un po’ più avanti di me di forse 10 cm , mi si
accostò dal mio fianco destro e mi si incorporò fino a metà
del mio corpo. Vedevo la sua testa occupare la mia spalla
destra.
Non vedevo il mio corpo né la mia spalla, solo il suo corpo
che era nella luce, sullo stesso piano del mio. Alla mia riluttanza
per quell’accostamento la Voce mi disse dentro:
– È TUTTO BENE. È ANCORA INNOCENTE. –
Mi portai la mano sinistra sulla spalla destra, che non
vedevo, per controllare l’altezza precisa che ricercavo, ma
la prova non riuscì. Non vedendo la mia mano non potevo
misurare. Portai allora la mia mano sinistra distesa sotto il
mio naso. Non vedevo ancora la mia mano. E poi essa si trovava
troppo sopra la sua testa. Dovevo misurare a occhio.
Potevo sbagliarmi di qualche centimetro, anche a causa
del volume della sua capigliatura. Il Ragazzo intanto si scostò
e riprese la posizione di prima senza che io avessi potuto
raggiungere il mio scopo.
La sua altezza
(3° orientamento: scena verso Sud-Est, punto  di pag. 81)
§ 34
A consentirmi una misurazione più precisa accadde un
fatterello incredibile. Ero sempre nel lato più interno della
cengia ed egli quasi sul ciglio, a due metri da me sulla mia
destra.
Il Ragazzo mosse il primo passo per dirigersi verso la mia
sinistra. Al rimirarlo così lucido di pelle e di capelli pensai:
“Adesso mi passa davanti, proprio vicinissimo. Voglio annusare
i suoi capelli e la sua spalla”.
Il quadro visivo, seguendo lo spostamento del Ragazzo
verso la mia sinistra, coprì parte della cartelliera attraversandola
e attraversando anche il muro al quale era addossata.
Il Ragazzo mi sfiorò.
Piegai il capo, aspirando, sopra i suoi capelli che gli scendevano
sulle spalle. Nulla, alcun odore.
Sentii invece il sopracciglio dell’occhio sinistro urtare
contro un oggetto contundente. Mi ritrassi e tastai: era lo
spigolo acuto della cartelliera che non vedevo. Ora so che
la cartelliera è alta m 1,50 dunque quella era la sua altezza.
Mi arrivava alla spalla o poco più.
“Che stupido sono stato – mormorai – sapevo bene che
era un’ombra; come ho fatto a lasciarmi incantare? E che
c’entra tutto questo con lo studio che devo fare? È una cosa
fuori del normale? O sono io anormale?”.
Chiusi gli occhi, ma la luce era anche dentro la mia testa.
Contrassi le palpebre, le sopracciglia, mossi gli orecchi
e il cuoio capelluto, strinsi le labbra e i denti, strinsi ambo
le mani sulla Bibbia, premendola contro il petto, mossi alternativamente
i muscoli dell’addome, delle braccia, delle
gambe, delle caviglie e le dita dei piedi dicendo tra me:
“Sono o non sono io?”.
Avevo un perfetto controllo della mia persona.
Scende lungo la cengia
(4° orientamento: scena verso Est, punto à di pag. 81)
§ 35
Mi girai sulla sinistra per uscire dalla stanza.
Ora il Ragazzo si dirige verso Est e cammina davanti a me.
Non vedo la cartelliera che avevo toccato e che ora è alla
mia destra, né il tavolo alla mia sinistra.
Mi muovo a tentoni. Vedo invece una specie di corridoio
illuminato dal sole che proviene da destra e questo corridoio
visivo si prolunga lungo la stanza, occupa in parte la
cartelliera, passa attraverso la libreria di sinistra e, attraverso
il muro che separa la biblioteca dalla cucina, a destra
della portiera, prosegue giù per un piano inclinato.
Il percorso era coperto dalla sporgenza di un filone di lastroni
di arenaria giallastra. Era dunque una cengia che da
Ovest scendeva verso Est.
Lo vidi scendere agile e prudente per quel sentiero largo
ora un metro, ora molto meno. Procedeva in quella direzione
sempre diritto nonostante i balzi che presentava la discesa.
Era, di certo, una discesa. Ad ogni passo di una gamba
vedevo seguire il piede dell’altra all’altezza del ginocchio.
Lo vedevo dalla testa alle ginocchia. Solo due volte potei
vedere degli spuntoni di roccia alla sua sinistra.
§ 36
Cominciavo intanto ad avviarmi verso la porta per spegnere
la luce che aveva l’interruttore sulla parete opposta,
palpando a destra e a sinistra per non urtare i mobili e le
mie scartoffie che non vedevo.
Sebbene fossi attratto dalla sua figura, volevo uscire dalla
stanza per liberarmene.
Il Ragazzo continuava la sua corsa nella medesima direzione.
Lo osservavo procedendo faticosamente mezzo piede
per volta, curvo come se portassi sulle spalle un quintale di
peso.
Un rudimentale acquedotto
§ 37
Ad un tratto il Ragazzo si ferma per girare attorno ad un
paletto forcello. Questo era uno dei tanti paletti che si trovavano
nei posti più stretti dove la cengia era rientrante e
mancava il tetto di roccia.
I paletti erano parecchi, appaiati e legati incrociati alla
sommità: sostenevano una lunga serie di tubi di bambù uniti
fra loro, aderenti al soffitto e legati con stringhe dalla parte
superiore dei paletti stessi: era un rudimentale acquedotto
formato da tubi di canna di bambù infilati per le estremità.
Egli, muovendo due stanghe contigue, stacca le due estremità
in uno dei punti di collegamento. Ne scende molta acqua
ed egli si innaffia abbondantemente forse per lavarsi o
forse per rinfrescarsi dal bruciore delle punture di quegli
insetti. Poi ricongiunge i due tubi.
A circa venti o trenta metri davanti a lui, la cengia era
ostruita da quattro o cinque tavole schiette e non rifilate,
cioè ottenute spaccando in lungo il tronco, messe di traverso
e sostenute da pali. Sembravano aver la funzione di arginare
uno smottamento. O forse era un lato della cisterna
nella quale affluiva l’acqua della condotta.
Camminando sempre davanti a me arrivò laggiù, davanti
a quella chiusa, si voltò a destra e scese sulla cengia sottostante
e proseguì lungo il nuovo tratto di sentiero.
§ 38 Spenta la luce, ancora curvo in avanti e sempre a passetti
di mezzo piede per volta, uscii dal mio studio.
Passato di là, mi girai verso la portiera donde ero uscito,
la chiusi energicamente spingendola da sinistra a destra e
vi appoggiai contro la spalla sinistra per tener fuori
l’intruso. Qui in cucina la lampadina da 60 watt mandava una
luce fioca, come là dentro prima.
Attraverso il vetro stampato della portiera non vedevo se
nello studio ci fosse ancora quella luce rosea. Non potevo
distinguere. Aprii con uno spiraglio la portiera per controllare
meglio. La luce era sempre quella, dentro e fuori della
portiera, ma non vedevo nulla là dentro. Richiusi e vi appoggiai
contro la spalla destra. Così facendo mi ero rivolto
verso la portiera dello sbrattacucina.
(5° orientamento: scena verso Sud, punto Ä di pag. 81)
§ 39
Con mia sorpresa non vedevo più tutta intera la portiera
dello sbrattacucina, ma vedevo al suo posto e a quello del
muro alla sua destra, il solito quadro visivo con la consueta
cornice rosea. La visuale, limitata però in questa nuova
scena entro un secondo riquadro centrale che misurava 15
cm di base e 30 di altezza, mi mostrava il Ragazzo che procedeva
in quella nuova direzione verso Sud.
Lì il percorso era ostruito a destra da altri due o tre blocchi
sovrapposti di pietra arenaria. Poggiò la destra contro il più
basso di quei massi, piegò le gambe e scomparve di sotto.
Il Ragazzo, uscito dal muro della mia cucina, era ormai lontano,
forse una trentina di metri. Rassegnato, più che contrariato,
mi strofinai le palpebre con entrambe le mani.
La specie immediatamente precedente all’Uomo
(6° orientamento: rivolto verso Sud–Sud-Est, punto Å di pag. 81)
§ 40
Torno a guardare: il quadro visivo ora è un po’ spostato
a sinistra rispetto al precedente ed occupa parte della por101
tiera dello sbrattacucina, parte dell’interstizio con la parte
bassa della credenza, il fianco sinistro della credenza, che è
al centro della parete, e un po’ anche dell’antina inferiore di
destra.
Il quadro con la cornice rosea ha ancora il riquadro centrale
con il campo visivo molto ridotto.
Il riquadro rettangolare che nella scena precedente era
in piedi, ora è posto orizzontalmente mantenendo le stesse
dimensioni.
Vedo, alla distanza di dieci metri e da una posizione un po’
elevata, un tratto di campo di frumento, o di cereali, grande
poco più di un metro quadrato o due. Le spighe sono biondeggianti,
alte una quarantina di centimetri.
Un piccolo animale, nero e peloso, si muove tra le spighe.
Quando si rizza in piedi e guarda oltre le spighe, vedo che
ha due cornetti sulla testa e questa è molto schiacciata.
Quando si abbassa e sparisce vedo, dal movimento degli
steli che egli sbanda passando, che si sposta di qualche metro.
Mi accorgo quando lo vedo di profilo che i cornetti sono
orecchi. Penso ad un cane Dobermann, ma poi vedo che ha
il muso corto ed è senza naso.
Gioca a nascondino con un esserino più piccolo che si
muove sui quattro arti ed è simile a lui, fuorché per gli orecchi
che, invece di essere ritti fin sopra il livello della testa,
sono lunghi e sporgenti orizzontalmente. Capisco che sono
scimmie di una specie sconosciuta. La più grande, il maschietto,
fa delle capriole. È alta forse 40 cm .
Guardo intorno. Tutto come prima. Sempre la luce rosea
che investe e nasconde tutto. Ci vedo bene solo attraverso
quella feritoia, in quel quadretto.
L’Albero della Vita e l’albero selvatico
(L’orientamento rimane lo stesso, ma la profondità di campo si allunga)
§ 41
Nuova scena. In primo piano, alla distanza di circa 15
metri, il Ragazzo nudo, spuntato in quel momento dal
lato destro, cammina con passo sicuro verso la mia sinistra.
Lo rivedo con molto piacere non solo perché la sua figura
spicca bene su quello sfondo, ma anche perché non lo sento
più un intruso in casa mia. Guarda davanti a sé, alla distanza
di 20 metri , un gruppo di quattro animali, tre neri con
pelo arruffato, ma non folto, e uno bianco-giallastro senza
pelo.
Di essi non vedo, né la testa, né le gambe, ma solo un
tratto del tronco e questo molto curvo a sinistra in modo
anormale.
Una Voce sommessa interviene:
- ALBERI - ma io non capisco.
Questa famiglia animale è l’‘unico albero’ genealogico
della sua specie esistente sulla Terra
§ 42
Il piccolo quadro visivo abbandona la figura del Ragazzo
e inquadra quegli animali per intero e la Voce riprende:
– SAI CHE ANIMALI SONO? –
– Orsi seduti? – chiedo forte.
– NO – mi risponde in tono normale – QUATTRO RAMI
DELL’ ‘UNICO ALBERO’. –
§ 43
Erano schierati in fila di semiprofilo. I dorsi mostravano
sempre la curva dell’addome verso la mia sinistra.
Il riquadro si dilata e vedo che quelle bestie non sono sedute
ma in piedi. Non si trattava di bestie che conoscevo e
ne rimasi sconcertato.
Testa schiacciata, e quindi fronte bassa, capelli neri, diritti
e opachi fino al collo, orecchi enormi che spuntavano fuori
dai capelli orizzontalmente per più di 10 cm , senza naso,
con fosse nasali nere e scoperte, labbra nere aperte fino alla
radice delle mascelle, senza mento. E le braccia lunghe, giù
fin sotto il polpaccio.
Avevano tutti il ventre gonfio che, sopra quelle gambe magre
e corte, erano proprio un brutto spettacolo.
Quegli esseri dal ventre gonfio se lo toccavano ogni volta
che quell’essere bianco-giallastro lo faceva. Simpatia?
Forse gridavano, perché aprivano la bocca e facevano vedere
la lingua lunga e vibrante che sembrava attaccata solo
alla gola e la protendevano fuori dalla bocca.
– Obesi? – chiesi. Risposta sommessa:
– NO, PREGNANTI (cioè gravide). È LA LORO
STAGIONE. – Allora capii che erano femmine.
§ 44 Incredulo e deluso, mi volsi verso la portiera donde ero
uscito e, appiccicando il naso sul vetro, brontolai:
“ Sogno o sono desto? Questo è il vetro, questo il montante
della porta, questa la maniglia” .
Il mio controllo era reale perché toccavo con mano gli
oggetti, nonostante la luce mi impedisse di vedere ciò che
mi stava attorno.
– Signore, se viene da Voi fate che io capisca. –
Mi rispose:
– TI INSEGNO A LEGGERE TRA LE RIGHE LE COSE
CHE IN QUEL LIBRO NON CAPISCI. –
Avrei dovuto tranquillizzarmi ma, diffidente per natura di
fronte alle cose che non posso controllare e che non capisco,
queste parole suggeritemi a livello intellettivo non mi persuasero.
Continuai, toccando, il controllo del mio ambiente domestico,
girandomi sulla destra per voltare le spalle alla scena
ed iniziai ad elencare ad alta voce i mobili, che solo vagamente
intravedevo, da sinistra a destra cominciando dalla
portiera che conduce in biblioteca:
“Questa è la chiave, questa la cassetta della legna, la cucina
a legna, la porta donde sono entrato venendo dal corridoio,
il canapè addossato alla parete a destra della porta.
Sulla parete contigua, verso oriente, ci sono le due finestre,
poi, nell’angolo di destra, il televisore CGE a 24 pollici .
Nell’altra parete, di seguito oltre l’angolo di destra, c’è la
portiera delle scale che portano in cantina”.
Non volevo girare lo sguardo più oltre per non vedere quegli
animali pelosi da cui volevo distogliere il pensiero. Ma
qualcosa di irresistibile attirava la mia attenzione su di loro.
“La prima famiglia degli ancestri più prossimi all’Uomo”
(7° orientamento: scena verso Sud-Est, punto Æ di pag. 81)
§ 45 Il quadro si sposta ancora più a sinistra. Con mia grande
sorpresa e meraviglia vidi al centro dell’alzata in vetro della
credenza, la ‘vetrina’, la solita finestra aperta per tutta
la sua estensione alla luce diurna, come un quadro visivo
rettangolare alto 55 cm e largo 75, delimitato dalla solita
cornice rosea di luce più intensa larga circa 5 cm .
In altezza arrivava quasi alla sommità della vetrina e
sporgeva, nel suo lato inferiore, di 15 cm al di sotto di essa,
occupando circa metà del vano libero frapposto col piano
della credenza. Ci sarebbe stato dentro comodamente il mio
televisore.
Dentro quella cornice una veduta panoramica dal vivo occupava
l’intero schermo. Sembrava un bellissimo dipinto:
in alto il cielo azzurro, in basso una grande pianura biondeggiante
di messe matura che si estendeva a perdita d’occhio
per due, tre, forse quattro chilometri, delimitata dalla
foschia dell’orizzonte.
A destra, il bordo del bosco verde di latifoglie, quello già
visto dalla cengia. A sinistra, alcune piante d’alto fusto dietro
le quali non mi fu dato di vedere.
§ 46
Ora a quei quattro animali, i quattro rami dell’unico ‘albero’,
se ne erano aggiunti altri due: uno grigio ad un’estremità
della schiera ed uno nero più alto di tutti, all’altra, più
prossima.
Gli ultimi sopraggiunti non avevano il ventre gonfio.
Vedevo quell’essere bianco-giallastro e senza pelo e poi
quegli altri esseri a distanza tra i 6 e gli 8 metri così che
potevo osservarli comodamente.
– Che bestie sono? – domandai.
– GLI ANCESTRI – mi fu risposto.
Questo nome non mi era familiare e mi fece pensare all’aggettivo
‘ancestrali’.
Quegli ancestri non erano belli a vedersi. La solita Voce,
ora tenue, mi disse:
– LA PRIMA FAMIGLIA DEGLI ANCESTRI PIÙ
PROSSIMI ALL’UOMO. –
Allora capii: quella che vedevo era la prima famiglia della
specie animale più prossima all’Uomo: la specie degli
ancestri (cioè i nostri predecessori).
Da prima non avevo capito il significato di “alberi”, ma
da questa spiegazione compresi che la definizione significava
‘alberi genealogici’, indicando così le due specie: ‘l’albero
della Vita’, quello della specie umana rappresentato
dal Ragazzo che era appena uscito di scena, e ‘l’albero selvatico’,
quello della specie di questi singolari animali.
Compresi anche il significato di “unico”. Il Signore, come
aveva affermato la monogenesi della specie umana quando
aveva definito Adamo “progenitore di ‘tutti’ gli uomini”,
così aveva ribadito la monogenesi anche di quest’albero genealogico
selvatico.
Quindi, se per la specie umana il Progenitore era unico,
ed unico l’albero genealogico selvatico (gli ancestri puri
nella loro specie) da cui l’Uomo era derivato, il Signore,
di conseguenza, affermava la monogenesi anche dell’albero
ibrido, la specie umana corrotta che avevo già visto in una
precedente rivelazione, frutto dell’incrocio di queste due
specie pure.
“Non sono controfigure”
§ 47
Vedo di sfuggita il Ragazzo che passa veloce davanti al
gruppo.
Le femmine pregnanti sciolsero il crocchio e si misero
fianco a fianco un po’ più indietro del punto occupato, alla
destra di quel ‘figuro’ alto e grosso col ventre più alto e rotondo
che ora vidi essere un maschio.
Era adulto e stava in primo piano, a sinistra della schiera
che andava nuovamente formandosi.
Dal lato opposto si era sistemato quell’essere brizzolato,
evidentemente la madre di tutte le prime quattro. Quindi
dedussi che, se quella era la prima famiglia degli ancestri
più prossimi all’uomo, la vecchia madre era la capostipite di
quella famiglia e anche della sua specie.
Una Voce sommessa:
– LI VEDI VIVI. ORA NON CE NE SONO PIÙ. NON
SONO CONTROFIGURE. – Questa definizione non mi era
familiare, ma era molto pertinente, per cui pensai:
“Gli scienziati ricostruiscono la loro figura basandosi sugli
scheletri fossili e ci mettono naso e orecchie a modo loro.
Che cosa pagherebbero gli antropologi per poterli vedere
vivi!? E questo privilegio è toccato proprio a me!?”.
Compresi che se questi ancestri non esistono più allo stato
originale è perché ora vivono fusi nell’uomo.
Avevano caratteri assai diversi da come vengono raffigurati
i cosiddetti ominidi, gli uomini preistorici. Questi, in
via di rievoluzione, sono chiamati comunemente ominidi,
ma è un termine equivoco perché comprende anche i pongidi,
cioè le scimmie maggiori non caudate come l’orango, lo
scimpanzè e il gorilla17 .
( 17 “Ancestri”, antropoidi, ominidi non sono termini equivalenti. Gli ancestri sono gli individui appartenenti a quest’unica specie, ora estinta, dalla quale Dio trasse una femmina predisposta per lo sviluppo dell’embrione dell’Uomo creato da Dio; ‘antropoidi’ è un termine
generico per indicare le scimmie non caudate come gli scimpanzé, gli orango e i gorilla; gli
‘ominidi’ sono tutti i primati bipedi a stazione eretta. Questo termine viene generalmente
usato impropriamente per indicare gli uomini preistorici con caratteri intermedi che noi
sappiamo ora essere gli ibridi alle prime tappe della rievoluzione.)
AVE MARIA!
AMDG
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