giovedì 29 maggio 2014

Educhiamo: La vita è fatta per essere vinta. - I genitori devono dare esempio di coraggio ai fanciulli. Quando siete colpiti dallo scoraggiamento e dalla tristezza, nascondetevi fino a quando sarete tornati normali. - Ho conosciuto una madre ammirevole.


Vita -  EDUCARE LA VOLONTÀ
Un Curato che ha esercitato molta influenza nella sua parrocchia, don Marco, Curato di S. Nicola di Troyes, in una lettera aperta ai padri e alle madri diceva: " Vedo molti genitori... Essi mi supplicano di fare qualcosa dei loro bimbi. Vedo anche molti fanciulli... li conosco, ma una cosa manca a tutti: l'abitudine allo sforzo. Non sono stati formati su questo punto non si esige abbastanza da essi... si lascia passare... si capitola. Sono buoni, forniti di immense risorse, si potrebbe ottener molto dalla loro buona natura. Malauguratamente si lasciano vivere... Non hanno molta buona volontà... E il male dell'epoca. Bisogna assolutamente rimediare..sviluppare in essi l'energia. È urgente: essi portano in sé l'avvenire ".


* Un Curato che ha esercitato molta influenza nella sua parrocchia, don Marco, Curato di S. Nicola di Troyes, in una lettera aperta ai padri e alle madri diceva: " Vedo molti genitori... Essi mi supplicano di fare qualcosa dei loro bimbi. Vedo anche molti fanciulli... li conosco, ma una cosa manca a tutti: l’abitudine allo sforzo. Non sono stati formati su questo punto: non si esige abbastanza da essi... si lascia passare... si capitola. Sono buoni, forniti di immense risorse, si potrebbe ottener molto dalla loro buona natura. Malauguratamente si lasciano vivere... Non hanno molta buona volontà... E il male dell’epoca. Bisogna assolutamente rimediare... sviluppare in essi l’energia. È urgente: essi portano in sé l’avvenire ".

* È un fatto che in molte famiglie, per leggerezza, si ha paura di chiedere sforzi ai propri figli; si ha paura di contrariarli, di addolorarli, di vedere far storie o di tenere il broncio. È un’educazione nulla, alla rovescia; perché questi fanciulli indisciplinati, immortificati, non sapranno donarsi per gli altri nel modo almeno possibile alla loro età, saranno in seguito dei vinti della vita, se non addirittura i tiranni di coloro che hanno loro insegnato a divenire tali. 

* Una direttrice di colonia estiva scriveva nel suo resoconto:
" Le giovani comandano in molte famiglie e prendono le madri per domestiche. Sono fanciulle apatiche; bisogna ripetere a iosa un comando prima che ubbidiscano e prenderle con le buone, perché lo conducano a termine. Nell’insieme non hanno inciampi; hanno sete: bisogna dar loro da bere prontamente; hanno fame: non importa che manchi poco a cena, mangiano la loro ghiottoneria; sono stanche: è finita, impossibile proseguire, ecc. Per i genitori ciò è naturale e non reagiscono. Alcune madri rispondono: — Io sono stata educata duramente, e non voglio che mia figlia soffra come me; avrà tempo a provarne! ".

* Un’altra direttrice che aveva parlato a una madre sulla educazione della volontà per la sua bimba, ebbe questa risposta: " Per carità, niente di tutto questo! Penserò io a darle dei ricostituenti, ma non posso permettere che le faccia compiere degli sforzi ". 

* La vita è fatta per essere vinta, ha detto R. Bazin. Se un fanciullo, all’età in cui si formano le abitudini, si sforza di vincere una difficoltà invece di scoraggiarsi, arricchisce le sue riserve di energie che più tardi l’aiuteranno a superare l’assillo quotidiano. 

* I genitori dovranno educare la volontà dei figli con l’esempio: è certo che su questo lato il fanciullo diventa, a sua volta, il più esigente educatore dei genitori: i quali devono fare attenzione alla loro condotta fisica e morale. Si sforzino di non lamentarsi mai dinanzi ai figli, di non mostrarsi tristi, cupi, abbattuti, scoraggiati. 

* Non si abbia paura di chiedere cose un po’ ardue ai figli; è opportuno tuttavia prevenirli e incoraggiarli: " Dovrai compiere una cosa un po’ difficile, ma vedrai che vi riuscirai ".

* Si approfitti pure del desiderio istintivo che ha il fanciullo di apparire " qualcuno ". " Se vuoi essere un giovane in gamba, fa’ vedere il tuo coraggio. — Su, tu sei una ragazza energica: e quando uno vuole, non teme un piccolo malessere ".

* All’occasione, bisogna saper rendere il figliolo fiero del suo coraggio. Un omino, lodato dal padre per la resistenza dimostrata durante una passeggiata più lunga del previsto, rispondeva: " Oh, babbo, sono stanco, ma non lo manifesto! ". 

* Si può approfittare anche della tendenza che il fanciullo ha di realizzare l’opinione che si ha di lui: questo, d’altronde, è un ottimo metodo pedagogico. 

* Duhamel in " La Possession du Monde " scrive: " Conobbi un uomo che aveva compiuto molte opere buone, ma anche alcune biasimevoli. Quando lo vedevo indeciso, cominciavo a dirgli presso a poco così: "Tu che sei buono... Che hai compiuto questa e quest’altra azione buona...". Orbene il brav’uomo giunse ad essere veramente ottimo per non mancare alla stima acquistata. Se invece avessi calcato il lato brutto del suo carattere ne avrei fatto un pirata ".

* Si sviluppi il coraggio e lo spirito di sacrificio del fanciullo prima della pubertà, dato che questo periodo è quanto mai prezioso per l’acquisto delle virtù morali. Poiché quanto più ci si abitua alla rinuncia tanto maggiormente si gusteranno le gioie sane e sante della vita. 

* I genitori devono diffidare di quella meticolosa ed assillante sollecitudine che vorrebbe facilitare la vita al bambino appianandogli ogni difficoltà. Sappiano abituarlo, quando ha una certa età, a superare le difficoltà con le proprie forze e a sapersi trarre di impaccio da sé. 

* Educhiamo il fanciullo virilmente. È naturale che subisca " scosse ", incrinature e lesioni leggere: certo, bisogna vigilare perché le piaghe non si incancreniscano, ma in ogni caso, è sempre meglio insegnare al fanciullo a curarsi da sé. Evitare comunque di comportarsi come quei genitori piagnucoloni: " Ah! mio povero cocco, come stai? che cosa brutta!... Sei ferito... che disgrazia! ". Il fanciullo, oggetto d’una esagerata sollecitudine, crederà di essere stato vittima di un terribile accidente e si sforzerà di rendersi più interessante, tanto più che la suggestione aumenta a dismisura il malessere causato da un nonnulla. I genitori rischiano così di fare del loro figliolo un inquieto che si autoausculta, che ingigantisce ogni sofferenza, trasforma in catastrofe il più piccolo malessere, spia il funzionamento del suo organismo e si affanna al minimo turbamento.

* Evitare anche le molte interrogazioni inquietanti, le ansie pietose, le sollecitudini eccessive: " Soffri molto? Dimmi cosa soffri... ". I genitori giungeranno a persuadere il fanciullo di essere fragile e incapace a certi sforzi e a ogni buona riuscita; da ciò goffaggini, timori, fobie o, per contrasto, desiderio sfrenato di evasione. 

* I genitori devono dare esempio di coraggio ai fanciulli. Quando siete colpiti dallo scoraggiamento e dalla tristezza, nascondetevi fino a quando sarete tornati normali. Come pensare diversamente? Devono poggiarsi su voi, e come potrebbero farlo su esseri deboli e cadenti? Allorché siete oppressi dal dolore non cercate conforto nei fanciulli: non è loro compito, e descrivendoglielo farete loro del male. Dovrete essere forti nella prova, e, senza tuttavia dissimularne l’aspetto doloroso, non vi permetterete alcuna debolezza di fronte a loro. Si guardino i genitori dall’educare i fanciulli nella bambagia; potranno certamente dar loro ogni tanto qualche sollievo; è un’esigenza naturale e un po’ di zucchero fa bene. Non bisogna però esagerare, anzi è utile avvezzarli a privarsene volontariamente ogni tanto.

* Si farà ottimo servizio ai fanciulli, assuefacendoli allo sforzo e alla sofferenza senza lamentele. 

* Ho conosciuto una madre ammirevole. Aveva studiato da giovane il problema educativo e aveva imparato il modo di suscitare nei suoi piccoli il gusto e la pratica dello sforzo, il senso del bello, l’abitudine alla sincerità, all’ordine, alla preghiera regolare, al buon umore. Ogni settimana lottava contro un difetto... Domandava ai suoi bimbi di correggersene, indicando un fine alto, pratico, capace di muoverli. Li interessava agli ammalati, ai sacerdoti di campagna, ai moribondi bisognosi di grazia... a un ritiro di cui desiderava il buon esito. Li avvinceva dando loro uno " scopo " poi diceva: " Bisogna che per questa sera facciate qualche sacrificio ". Essi erano trascinati, si sorvegliavano, lottavano. Alla sera, poi, la madre faceva loro costatare quanta gioia si provi compiendo il bene; essi se ne rendevano conto e notavano quanto sia disgustoso fare il male e quanta pura gioia invece apporti il dovere compiuto.
Pagavano personalmente, si consideravano dei conquistatori e ne erano fieri.

* Un sistema molto utile, per irrobustire la volontà del fanciullo, consiste nell’imprimere nella sua mente alcune parole d’ordine, in maniera che, quando si tratterà di far compiere qualche sforzo, sarà sufficiente ripeterle per ottenere quanto si desidera. Ad esempio: " La situazione è dura, ma così mi piace. — Mi costa, ma lo faccio ugualmente. — È difficile, tanto meglio ". È a furia di sforzi che si diventa più forti. 

* Un po’ di vita rude è necessaria alla sanità: sia morale che fisica... Quaggiù nulla di bello e di buono si compie senza sforzo. Si può raggiungere la gioia, però dopo aver lottato lungo il cammino. " Latino senza pianti e greco senza lacrime ", illusione pericolosa. La vita umana ha bisogno di una certa tensione in tutti i campi, di un certo fervore che non si trova soltanto negli eroi e nei santi, ma anche nella semplice virtù dell’uomo onesto e nel lavoro ben fatto dell’artigiano. Un po’ d’eroismo — e, a volte, anche molto — è necessario in ogni ceto. È errore grave allontanare l’eroismo dal proprio ideale, un errore che per noi moderni proviene dalla confusione tra violenza ed eroismo. Bisognerebbe bandire la violenza dalla convivenza umana, non l’eroismo.

* Ogni fanciullo ha in sé un eroismo latente a cui spesso bisogna fare appello se lo si vuole educare. 

* Vi sia realismo cristiano e umano insieme. S’ingannano gravemente i fanciulli facendo loro capire che quaggiù hanno un diritto assoluto e incondizionato alla felicità e alla soddisfazione immediata dei loro capricci e delle loro fantasie. Bisogna che abbiano coscienza che nella vita, senza lotta, senza pazienza e senza sforzo, nulla si ottiene. Bisogna che in qualità di cristiani giungano a cooperare alla redenzione del mondo a cui si arriva soltanto abbracciando la croce. Ma non è necessario affannarli continuamente; a ogni giorno il suo affanno, a ogni affanno la sua grazia. Dio da una croce proporzionata alle nostre spalle, ed Egli stesso si offre ad aiutarci per compiere in noi ciò che manca alla sua passione. 

* L’uomo degno di tale nome trova la gioia più stabile e profonda nella lotta e a volte anche nella sofferenza. Beethoven diceva: La gioia attraverso il dolore! 

* La migliore preparazione a portare questa croce, per ogni cristiano che comprende qualche cosa del battesimo e di Cristo, è questo dominio di sé, che in fondo significa rinuncia e abnegazione.

* Per i genitori il dolore ha un senso che il loro figlio deve comprendere. Non dicano questa mostruosità: che la sofferenza in sé è un bene. No, no, la sofferenza è male perché viene dal peccato e non da Dio; non bisogna compiacersi a considerarla come fine, ma soltanto come uno strumento potente per espiare i nostri peccati e cooperare con il Cristo all’opera sua redentrice. Godo nel dolore, diceva S. Paolo, perché compio nella mia carne ciò che manca alla "Passione di Cristo per il suo Corpo che è la Chiesa ".
L’educatore che ha compreso il senso del dolore e ne conosce il valore lo farà comprendere ai suoi bambini. Sapranno così che la sofferenza è dolorosa, ma non ne avranno orrore; sapranno imporsi delle sofferenze volontarie e troveranno nell’accettazione stessa del dolore una gioia infinitamente superiore, perché frutto d’una carità più profonda.

* E’ naturale che il fanciullo sia pauroso; ma è inutile, anzi pericoloso, creare quel senso di paura con racconti terrificanti, sembianze odiose, storie di fantasmi o di banditi. 

* Non prendere in giro un fanciullo perché ha avuto paura, ma avvicinarlo con confidenza e dargli esempio di sangue freddo, facendogli provare quanto la sua paura sia infondata. 

* È cosa buona che il fanciullo abbia fino a un certo punto il gusto del rischio: il primo passo per agire contro il pericolo è non temerlo. 

* Insegnargli ad accettare ciò che non gli piace per abituarlo ad amare soltanto ciò che si deve. 

* Le grandi vittorie morali non si improvvisano. Esse sono il frutto di molte piccole vittorie ottenute quotidianamente.

* Uno degli scopi dell’educazione è di concorrere a formare il carattere, a far conquistare al fanciullo quello che nel Medio Evo chiamavano la più alta delle signorie: la padronanza di sé.

mercoledì 28 maggio 2014

«Vedi, Matteo. La donna non è uguale all’uomo nella sua formazione e nelle reazioni alla colpa d’origine.


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«Vedi, Matteo. La donna non è uguale all’uomo nella sua formazione e nelle reazioni alla colpa d’origine.
L’uomo ha altre mète al suo desiderio, più o meno buono. La donna ha una mèta: l’amore. L’uomo ha 
un’altra formazione. La donna ha questa, sensibile, ancor più perfetta perché destinata al generare. Tu sai che ogni perfezione genera aumento di sensibilità. Un udito perfetto ode ciò che sfugge ad altro orecchio meno perfetto e ne gode. E così l’occhio, e così il palato e l’olfatto. La donna doveva esser la dolcezza di Dio sulla Terra, doveva essere l’amore, l’incarnazione di questo fuoco che muove Colui che è, la manifestazione, la testimonianza di questo amore. Dio l’aveva perciò dotata di uno spirito sovreminentemente sensibile perché, madre un giorno, sapesse e potesse, ai suoi nati, aprire gli occhi del cuore all’amore verso Dio e i loro simili, così come l’uomo avrebbe aperto gli occhi della mente ai suoi nati all’intelligere e all’operare. 

Rifletti il comando di Dio a Se stesso: “Facciamo ad Adamo una compagna”. Dio-Bontà non poteva che voler fare un buona compagna ad Adamo. Chi è buono ama. La compagna di Adamo doveva perciò essere capace di amare per finire di rendere beato il giorno di Adamo nel Giardino felice. Doveva essere tanto capace di amare da essere seconda, collaboratrice e surrogatrice di Dio nell’amare l’uomo, sua creatura, di modo che, anche nelle ore che la Divinità non si palesava al suo creato con la sua voce d’amore, l’uomo non si sentisse infelice per mancanza d’amore. 

Satana sapeva di questa perfezione. Tante cose sa satana. È lui che parla sulle labbra dei pitoni, dicendo menzogne commiste a verità. E queste verità, che esso odia perché egli è Menzogna, le dice solo – tenete a mente, o voi tutti e voi futuri – per sedurvi con la chimera che non sia la Tenebra che parla ma la Luce.

 Satana, astuto, tortuoso e crudele, si è insinuato in questa perfezione e lì ha morso, e lì ha lasciato il suo veleno. La perfezione della donna nell’amare è divenuta così strumento a satana per dominare donna e uomo e propagare il male… ». 
«Ma le nostre madri, allora? ». 
«Giovanni, temi di loro? Non tutte le donne sono strumento a satana. Perfette nel sentimento, sono sempre
eccessive nell’azione: angeli se vogliono essere di Dio, demoni se vogliono essere di satana. Le donne sante, 
e la tua madre fra queste, vogliono esser di Dio e angeli sono ». 

«Non ti sembra ingiusta la punizione alla donna, Maestro? Anche l’uomo peccò ». 
«E il premio, allora? È detto che per la Donna tornerà nel mondo il Bene e sarà vinto satana ». 

«Non giudicate mai le opere di Dio. Questo per prima cosa. Ma pensate che, come per la donna entrò il 
Male, per la Donna è giusto entri il Bene nel mondo. Vi è da annullare una pagina scritta da satana. E lo farà 
il pianto di una Donna. E, poi che satana urlerà in eterno le sue voci, ecco che una voce di Donna canterà per coprire quelle voci ». 
«Quando? ». 
«In verità vi dico che la sua voce è già scesa dai Cieli, dove in eterno cantava il suo alleluia ». 
«Sarà più grande di Giuditta? ». 
«Più grande di ogni donna ». 
«Che farà? Che farà mai? ». 
«Capovolgerà Eva col suo triplice peccato. Ubbidienza assoluta. Purezza assoluta. Umiltà assoluta. Su questo si drizzerà, regina e vittoriosa… ». 
«Ma non è tua Madre, Gesù, Colei che è la più grande per averti generato? ». 
«Grande è colui che fa la volontà di Dio. E Maria per questo è grande. Ogni altro merito viene da Dio. Ma 
questo è tutto suo, e ne sia benedetta ». 

E tutto finisce. 


AMDG et BVM





Da prima che nasca




«L’educazione d’un bimbo ha inizio vent’anni prima della sua nascita, 

con l’educazione della madre». Non vi è qualcosa di vero in questo 

slogan?


* L’educazione d’un bimbo ha inizio vent’anni prima della sua nascita, con l’educazione della madre. Non vi è qualcosa di vero in questo slogan? L’esperienza e gli studi scientifici sull’ereditarietà non dimostrano forse quanto una madre imprima profondamente se stessa nel suo bambino? 

* Il periodo che precede la nascita è proprio il periodo in cui la madre prepara una parte delle future tendenze e della linea morale del suo bimbo. Ella può dire a ragione: "Io sono anche lui; egli è qualcosa di me". Intimo è il legame organico che lega il bimbo alla madre, quasi altrettanto fisico che morale. 

* Proprio durante i nove mesi di pre-educazione la giovane mamma dica a se stessa: — Io posso aiutare il mio bimbo ad essere se stesso se io sarò me stessa; posso aiutarlo alla calma rimanendo calma, al sorriso gioendo anch’io, alla fortezza essendo coraggiosa, alla purezza allontanando ogni pensiero malsano, alla bontà con la benevolenza verso tutti. 

* Una giovane madre con quale rete di grazie non può avviluppare il suo piccolo, sul piano soprannaturale, per poco che viva alla presenza del Cristo mediante la Grazia e offra al raggio divino, in unione con Maria, il suo piccolo a lei unito col sangue! Misticismo, si dirà? No! semplice logica della nostra fede.

* Una gestante che durante la giornata, ad esempio nel pomeriggio, si concede un po’ di riposo non perde tempo, È un’occasione meravigliosa per un ritorno alla calma e al proprio intimo. 

* II desiderare ardentemente il bimbo è la migliore condizione fisica e psicologica affinchè la creaturina si sviluppi ottimamente. 

* Alcuni fanciulli giungono perfino al punto di sentirsi colpevoli di essere nati. Il bambino non deve essere soltanto nutrito, ma anche amato. 

* Alcuni figli sono desiderati dalla madre come compenso ai disagi coniugali: questo è un desiderio egoista (per amor di sé stessa, per ritrovarsi); li si investe quasi dell’ufficio di bimbi vendicatori. Non sono queste le migliori garanzie di un felice sviluppo. Quando il bimbo è desiderato non come figlio soltanto, ma come consacrazione dell’amore vicendevole, cioè quando la sposa desidera il fanciullo "del suo sposo" (e questi a sua volta "della sua sposa"), si mettono allora le condizioni più preziose per l’educazione del nascituro.

DALLA NASCITA

* Al nascere del bambino, la intercomunicazione tra madre e figlio non cessa. È essenziale che essa stessa educhi il suo bambino e non ceda ad altri questo ufficio, se non per forza maggiore. 

* Non si apprezzeranno mai a sufficienza le prime settimane, in cui una lotta silenziosa s’ingaggia tra madre e figlio per il mutuo dominio. Se la madre cede, avrà sempre al suo fianco un piccolo tiranno domestico cui si dovrà piegare, e il quale, in seguito, non trovandola sempre docile al suo capriccio, dovrà crudelmente soffrire per il bisogno d’un dominio inappagato. 


* Convincetevi che l’educazione positiva del bambino comincia alla sua nascita. È questo un principio di cui pochi genitori sono convinti.

* Di solito, i genitori viziano il neonato e lo lusingano a cuor leggero non badando alle conseguenze, nella certezza che il momento dell’educazione giunge quando il bambino comincia a parlare. Sarà allora troppo tardi per riparare gli errori commessi antecedentemente!

* Bisogna condannare la ridicola abitudine di prendere in braccio il bambino quando grida, di cullarlo e cantargli canzoni o di danzare con lui in lungo e in largo per la stanza. Più vizierete il bambino e più egli disturberà il vostro sonno e vi priverà del riposo essenziale. Le solite zie e consigliere che circondano sempre la giovane madre, alla minima smorfia del bambino danno l’allarme e vi fanno credere che ha fame, delle coliche o che so io. Non lasciatevi impressionare dagli strilli del piccolo: se non è bagnato, lasciatelo strillare.

* Il fanciullo è un sensibile "registratore" portato istintivamente alla tirannia. Accorgendosi che ad ogni minimo pianto o strillo tutta la casa accorre, capisce di aver un mezzo sicuro per chiamare a sé i genitori che presto saranno schiavi dei suoi capricci e delle sue fantasie. D’altra parte, il bebé s’adagerà nella convinzione che tutti sono al suo servizio e pronti ai suoi minimi richiami. Più tardi, quindi, proverà disagio a distaccarsi da questo suo egocentrismo infantile.

* In principio è bene che la madre educhi il bambino col "noi": "Andiamo, Bebé, saremo buoni oggi... non piangeremo... succhieremo il nostro biberon...". Questa prima educazione agirà sul bambino attraverso la vita interiore della madre, finché egli non prenda a poco a poco coscienza di sé. L’educazione — non lo ripeteremo mai abbastanza — è l’avvio alla libertà, ma ad una libertà progressiva.

* Si renderà un ottimo servizio al bambino facendogli provare le realtà che s’impongono: che vi sono cioè resistenze che non cedono né subiscono eccezioni, che un muro insormontabile non può essere sorpassato tutto ad un tratto, ecc. ecc.

* II fanciullo non osserva nel senso che noi diamo a questo verbo. Egli associa confusamente o, piuttosto, non dissocia ancora le sue azioni dalle reazioni di quanti lo circondano. Dai primi giorni possono crearsi dei "blocchi" come "pianti — arrivo della mamma — passeggio", o "pianti — venuta della nonna — poppatoio". Sono riflessi causati maldestramente dall’adulto e tantopiù difficili a sciogliersi quanto più sono precoci. Di qui tirannie di cui i genitori sono i veri autori prima d’esserne le vittime.

* Le poppate abbiano un orario: osservatelo rigorosamente, senza eccezioni. Troppe mamme sono schiave dei loro bimbi e in qualsiasi momento li accontentano senza badare alla quantità. Questi piccoli non hanno ancora ne' ragione, ne' volontà, ma agiscono istintivamente, abituandosi così malamente. 

* Se piange, verificate che non lo punga qualche spillo; ma non cullatelo, né prendetelo in braccio. Su questo punto bisogna essere rigorosi notte e giorno. Un bimbo trattato così ha tutte le probabilità di ricevere una buona educazione. 

* II bambino si deve prendere in braccio soltanto per curarlo o per fargli succhiare il latte, ma dopo nessun altro lo tocchi: attenti alle nonne e alle zie! Non saranno esse a subire le esigenze che avranno suscitato nei piccoli! 

* Pianga o no, il piccolo sia messo a letto: a lungo andare lo farà spontaneamente, sapendo che le sue ire non sono ascoltate. Non pensate che sia necessario addormentare i bambini; bisogna addormentare gli abituati male, per gli altri ci pensa la natura. Non c’è inoltre bisogno di lumino da notte, né di porte aperte.

* Siate decisi sul principio. Lo so: il pianto dei bambini scuote penosamente il cuore delle mamme e i cervelli dei papà. Ma bisogna a volte calpestare la sensibilità del cuore per il vero bene del bimbo. E anche per il bene tuo, perché se cedi diventerai, adagio adagio, sua schiava, e il giorno in cui vorrai liberarti, rischierai di essere vinta o di svincolarti troppo bruscamente, determinando un turbamento affettivo nel bambino. 

* I bambini devono imparare a restare soli e a trastullarsi da soli. Se la madre o altra sorvegliante si industria a riempire ogni loro minuto, si abituano ad essere divertiti. In seguito potrebbero diventare i più duri tiranni. Conosco bambini che annoiano la loro madre fin dai primi anni chiedendole ad ogni istante: "Mamma, cosa debbo fare oggi?", oppure; "Mamma, raccontami una storia! Mi annoio tanto!", Questi bambini soffriranno poi una continua agitazione, e il tempo libero da impegni precisi diverrà per essi un opprimente problema.

* È inutile accarezzare il bimbo per calmarlo o per fargli piacere. Le carezze aumentano fortemente l’eccitabilità della pelle. Il bisogno di carezze e di moine potrebbe poi restare per tutta la vita. 

* La madre comunica al bimbo il suo affetto più col materno e insostituibile sorriso, che accondiscendendo ai suoi capricci.

* II ragionamento coi bimbi bisogna ridurlo al minimo necessario, poiché non sono ancora in possesso del pensiero logico. Il volerli abituare a ragionare assai presto è come volerli far camminare a sei mesi: si rischia di renderli deboli per tutta la vita. 

* Regolare gli automatismi del bambino è uno dei più grandi servizi che gli si possano rendere. Vuol dire prevenirlo da impacci, pensieri, incertezze, ambizioni; facilitargli lo sviluppo morale e fisico; aiutarlo a conquistare la vera libertà. A quest’età, l’ordine e la regolarità sono indispensabili quanto l’amore. 

* Ogni bambino è uno psicologo che giudica papa e mamma secondo il loro valore. Egli li esamina finché non abbia trovato i limiti del loro potere e della libertà che lui possiede: a questo scopo usa tutte le sue piccole armi, pianti e collere soprattutto. Se ci si impietosisce, se si ha paura delle sue convulsioni, se, dopo averlo molto sgridato, minacciato e picchiato, si cede per amor di pace, il piccolo nota queste debolezze e, con ammirevole conoscenza del cuore umano, baserà su di esse tutta la sua condotta.
È chiaro dunque che quando il bambino vuol oltrepassare i limiti del ragionevole, deve urtare contro un muro, un muro spietato per la sua piccola fronte caparbia, Cozzerà una volta, due volte: al terzo bernoccolo deciderà di restare nel suo recinto. Quando sarà grande, gli spiegherete perché certe cose si possono fare ed altre no. Se grazie alla vostra saggezza, forza e preveggenza, fin dall’infanzia ha preso l’abitudine di fare solo ciò che è permesso, un giorno non soffrirà affatto ad essere spontaneamente buono... .

* Dipende da voi, o mamme, che a sei anni il vostro piccolo sappia leggere; il suo libro, dove imparerà a distinguere ciò che bisogna e ciò che non bisogna fare, è il vostro viso con le sue diverse espressioni. Voi sapete quel che volete da lui, e ogni volta che il suo modo d’agire corrisponde alla vostra volontà, il vostro sguardo e il vostro sorriso gli dicano: "Bene!". Quando questa espressione d’amore e questo sorriso spariranno, e un’espressione seria li sostituirà, avrà l’impressione d’un: "Male!". Per lui, anche il vostro linguaggio, sebbene non comprenda le parole, ha un senso che egli afferra. Il tono della sgridata e il tono della carezza non sono affatto uguali per lui, le inflessioni della vostra voce rinforzano notevolmente la portata del vostro sorriso o della vostra serietà. 

* Non trattate mai il bambino come un balocco o come una bambola... Dopo qualche mese egli partecipa talmente ai giochi con cui lo si diverte che si è tentati di farlo giocare per divertire se stessi. A questo punto c’è pericolo che l’adulto oltrepassi la misura. Non dimentichiamo che il sistema nervoso del bambino è fragile e che c’è pericolo di stancarlo presto. D’altra parte si usano le risorse dei giochi di fisionomia, che sono il primo linguaggio col quale il bambino comprende l’adulto.

* E da sciocchi costringere un bambino a ripetere spesso "buon giorno" alla stessa persona, con lo scopo specioso di abituarlo bene o di divertire la compagnia. I piccoli non chiedono altro che comportarsi come i grandi, ma sentono ripugnanza ad atteggiarsi a cani sapienti. Se non sentissero ripugnanza sarebbe ancor più pericoloso, perché ciò significherebbe che hanno un’anima di istrione. 

* Evitate di parlare col vostro bambino in modo sdolcinato, per quanto commovente vi possa sembrare. Gli si fa un brutto servizio imitando il suo modo di esprimersi. Un servizio da rendergli più tardi sarà quello d’insegnargli a pronunziare correttamente la lingua materna e a correggerne le forme o le inflessioni difettose. 

* Collezionate pure le parole graziose e incantevoli dei vostri bambini, ma non ripetetele mai dinanzi a loro: è il modo più efficace per togliere al bambino il suo candore e indurlo a considerarsi un fenomeno interessante.

* Nei primi anni del bambino, il compito del padre è più nascosto. Senza dubbio egli può manifestare la sua tenerezza incipiente: ma l’uomo, in generale, è poco portato a esternare lungamente tali sentimenti. È giusto che si occupi di loro qualche volta, perché si  abituino al suo contatto e viceversa; ma non tenti di usurpare prematuramente il compito della madre creandosi una facile popolarità: non costituisce egli forse 1’elemento nuovo che i bambini vedono meno frequentemente della madre e che perciò, proprio per questo, potrebbe esercitare su loro un fascino particolare? Sappia sempre togliersi dallo sguardo dei suoi bambini, onde lasciare alla madre il compito principale.

* È certamente desiderabile che la forte autorità, che gli conferisce eventualmente la forza fisica e la potenza della voce, possa a volte sostenere l’autorità della madre, quando, stanca, è momentaneamente incapace di assolvere da sola il compito educativo. Ma è conveniente che tale intervento avvenga il più raramente possibile, soprattutto riguardo ai bimbi più piccoli. La sproporzione delle forze crea nel bambino la paura. La paura è l’inconscio che si rivela ed è anche l’inibizione delle migliori facoltà. La paura (nel suo pieno significato) non educa. Ci sembra infinitamente preferibile che l’autorità paterna si eserciti indirettamente sotto la forma di una piena approvazione delle decisioni materne, perché il bambino è maestro nell’arte di trovare i lati deboli dell’autorità, di creare delle discordanze, se non addirittura delle contraddizioni. Ciò non deve accadere. 

* Se l’uomo non approva sua moglie in taluni atti riguardo ai bimbi, lo dica a lei sola spiegandole le ragioni. Ciò può essere utilissimo. L’uomo che contempla le cose più dal di fuori, e che in genere ha quindi vedute più larghe e lungimiranti, può utilmente dare un consiglio a sua moglie circa l’educazione; un consiglio, diciamo, non l’amara critica che scoraggia o la sterile canzonatura. 

* Si astenga da interventi fragorosi in cui molti padri trovano un’apparente soddisfazione del loro compito educativo. Egli non deve affatto trasformarsi in una macchina di severe punizioni, delle cosiddette punizioni esemplari: tutto codesto apparato drammatico è nefasto all’educazione. La sua calma ferma e la chiarezza d’un rimprovero, a volte, varranno meglio d’un atteggiamento chiassoso e corrucciato. Cerchi di non incutere mai paura ai bambini. La violenza dei gesti, il tono sguaiato della voce, gli sguardi sfolgoranti, spesso sono per il padre manifestazioni di un nervosismo passeggero e senza importanza, ma sui piccoli hanno ripercussioni inattese e disastrose.

* Spetta a te, mamma, interessare il tuo sposo della vita del piccolo. Lungi dal tener gelosamente in te stessa le scoperte e le intuizioni che vai facendo nel tuo figlio, comunicale a tuo marito, fagli spiare il risveglio delle sue facoltà e tutti i segni del suo sviluppo. La vostra reciproca confidenza ne avrà vantaggio. Non vi è nulla che faccia crescere la confidenza di un marito verso la moglie, quanto il sentirsi aiutato da essa a penetrare le segrete intimità di quel piccolo essere enigmatico, a cui essi hanno dato la vita.






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martedì 27 maggio 2014

Apostoli degli ultimi tempi.



Dongo (Como), 8 giugno 1991. Festa del Cuore Immacolato di Maria.

Apostoli degli ultimi tempi.

«Oggi celebrate la memoria liturgica del mio Cuore Immacolato.
È la vostra festa, miei prediletti e figli a Me consacrati.
Voi siete stati scelti da Me e chiamati a far parte della mia schiera vittoriosa.
Voi fate parte della mia proprietà.
Ho un grande disegno sopra di voi.
Questo mio disegno vi è stato svelato in ogni suo particolare.
Ora esso deve apparire alla Chiesa ed all'umanità in tutto il suo splendore, 
perché sono questi i tempi della vostra maturità e della vostra pubblica 
testimonianza. Mostratevi a tutti come i
miei consacrati, come gli Apostoli di questi ultimi tempi.


Come Apostoli degli ultimi tempi, dovete annunciare con coraggio tutte le verità 
della fede cattolica, proclamare con forza il Vangelo, smascherare con decisione 
le pericolose eresie, che si travestono di verità, per meglio ingannare le menti e 
così allontanare un grande numero di miei figli dalla vera fede.


Come Apostoli degli ultimi tempi, dovete opporvi con la potenza dei piccoli 
alla superba forza dei grandi e dei dotti, che, sedotti da una falsa scienza e 
dalla vanagloria, hanno dilaniato il Vangelo di Gesù, proponendo di esso 
un'interpretazione razionale, umana e tutta errata.
Sono giunti i tempi predetti da San Paolo in cui molti annunciano dottrine false 
e peregrine e così si corre dietro a queste favole e ci si allontana dalla 
verità del Vangelo.


Come Apostoli degli ultimi tempi, dovete seguire Gesù sulla strada del 
disprezzo del mondo e di voi stessi, dell'umiltà, della preghiera, della 
povertà, del silenzio, della mortificazione, della carità, di una più profonda 
unione con Dio.
Siete sconosciuti e disprezzati dal mondo e da quanti vi circondano, 
spesso siete ostacolati, emarginati e perseguitati, perché questa sofferenza 
è necessaria alla fecondità della vostra stessa missione.


Come Apostoli degli ultimi tempi, dovete ora illuminare la terra con la Luce di Cristo.
Mostratevi a tutti come miei figli, perché Io sono sempre con voi.
La fede sia la luce che vi illumini, in questi giorni di apostasia e di grande 
oscurità, e vi consumi solo lo zelo per la gloria di mio figlio Gesù, in questi 
tempi di una così vasta infedeltà.

Come Apostoli degli ultimi tempi, tocca a voi il compito di compiere la seconda
evangelizzazione, tanto domandata dal mio Papa Giovanni Paolo II.

Evangelizzate la Chiesa, che si è allontanata dallo Spirito di Cristo e si è 
lasciata sedurre dallo spirito del mondo, che in essa è profondamente 
penetrato e l'ha tutta pervasa.

Evangelizzate la umanità che è ritornata pagana, dopo quasi duemila anni 
dal primo annuncio del Vangelo.

Evangelizzate tutti gli uomini, che sono diventati vittime degli errori, del 
male, del peccato e si lasciano travolgere dal vento impetuoso di tutte le 
false ideologie.

Evangelizzate i popoli e le nazioni della terra, immersi nella tenebra della 
pratica negazione di Dio, mentre si prostrano al culto del piacere, del denaro, 
della forza, dell'orgoglio, dell'impurità.

Sono giunti i vostri tempi ed Io vi ho formato in questi anni perché possiate 
dare ora la vostra forte testimonianza di discepoli, fedeli a Gesù, fino 
allo spargimento del vostro stesso sangue.

Quando, da ogni parte della terra, tutti voi, miei piccoli bambini, darete 
questa testimonianza di Apostoli degli ultimi tempi, allora 
il mio Cuore Immacolato avrà il suo più grande trionfo».

Vergine bella, umile, casta, paziente, amorosa...


  • In Maria, paradiso vivo dove la Trinità prende le sue compiacenze, l’amore di Dio prese carne, il Verbo amato dal Padre s’incarnò per essere offerto vittima per la salute del mondo. E Sacerdotessa regale e purissima fu la Vergine ardente della carità più pura e forte che creatura nata d’uomo mai ebbe. Essa lo accettò e l’offerse per tutti gli uomini. Rm. 12.2.48
  • Da Te, o Maria, o Vergine per un capovolgimento dei fattori fu tratto l'Uomo, il Cristo, senza che fecondazione di seme umano fosse necessaria a far fertile il tuo grembo. Tu sola Generante. Da Te sola concepisti e donasti la Luce alla Luce. La Grazia, in Te già piena, in un tripudio d'ardori incontenibili, penetrò il tuo seno, e il Verbo prese Carne per abitare tra gli uomini e dare loro la Vita. Rm.13-2-48
  • Vergine bella, umile, casta, paziente, amorosa, Eva nuova, per volere di Dio Immacolata, per volere suo fedele alla Grazia, Dio decretò:  “Tu non morrai, non può morire Colei che ha dato alla terra la Vita”, ma anzi per aver dato il Frutto del tuo seno, per averlo dato onde fosse colto, preso, mangiato e spremuto, Pane, Vino, Sangue, Redentore, si apriranno i tuoi occhi e sarai come Dio avendo la conoscenza del Bene e del Male, per amare e insegnare ad amare, mirabile Maestra, il primo e per combattere con le tue armi il secondo. Rm. 13.2.48
  • Per Te l'Adamo nuovo. Per Te l'Ordine ricostruito. Per Te la grazia agli uomini. Per Te la redenzione. Per Te il Cristo e lo Spirito Santo ... in una maternità sovraeccelsa ... hai dato agli uomini lo Spirito Santo. Rm.13.2.48
  • (Maria) Vergine bella, umile, casta, paziente, amorosa, Eva nuova, per volere di Dio Immacolata, per volere suo fedele alla Grazia. Rm 13.2.48
  • Maria Madre del Cristo e Madre nostra non in senso simbolico ma reale, perché è madre colei che dà la vita, e Maria ci ha dato la Vita e conseguentemente lo Spirito Santo, ossia Colui che mantiene la Vita in voi e più ancora fa di voi dei portatori di Cristo. Rm. 13.2.48

«Gesù mio, misericordia!». «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna»


In occasione del suo viaggio in Angola, papa Benedetto XVI ha rilevato un'obiezione spesso fatta ai missionari del Vangelo: «Perché non lasciamo gli altri in pace? Essi hanno la loro verità ; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com'è, perché realizzi nel modo migliore la propria identità ». Il Papa ha risposto: «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna» (Omelia nella chiesa di São Paulo di Luanda, 21 marzo 2009). Tra i predicatori che hanno preso sul serio questo dovere di annunciare la salvezza a tutti è San Leonardo da Porto Maurizio.

Il 20 dicembre 1676, a Porto Maurizio, sulla costa ligure, nel nord Italia, viene al mondo un bambino posto con il battesimo sotto il patrocinio dei Santi Paolo e Girolamo. Dirà in seguito di aver ricevuto la grazia di avere dei genitori molto bravi. La sua giovinezza è esemplare; trascina facilmente i compagni a pregare e a fare opere buone. Uno dei suoi autori spirituali preferiti è San Francesco di Sales di cui ha sempre con sé il libro Introduzione alla vita devota. Trova sostegno morale e spirituale negli incontri di giovani organizzati dai gesuiti e degli oratoriani; vi attinge un crescente fervore per la pratica delle virtù, accompagnato dal desiderio delle penitenze. Nei giorni di festa, percorre le strade e le piazze di Roma, e, sfidando lo sprezzo e gli insulti, esorta tutti coloro che vogliono ascoltarlo a recarsi a sentire i sermoni nelle chiese.


Parole che vanno diritto al cuore

Paolo Girolamo si sente chiamato allo stato religioso.  Il suo confessore lo stimola a intensificare la sua vita di preghiera e di penitenza per ottenere la grazia di conoscere la volontà di Dio. Un giorno, al vedere due religiosi vestiti poveramente e dall'atteggiamento modesto, Frati Minori Riformati del «Ritiro di San Bonaventura», sente nascere in sé il desiderio di abbracciare il loro genere di vita. Entrando nella chiesa del convento nel momento in cui i Fratelli iniziano la recita della Compieta, sente queste parole: « Convertici, Dio, nostra Salvezza ! » Queste parole gli vanno diritto al cuore e decide di chiedere la sua ammissione. Accolto nel noviziato, riceve, il 2 ottobre 1697, l'abito e il nome di Fra Leonardo. Un anno dopo, pronuncia i suoi voti. Il giovane religioso è l'edificazione di tutti, in particolare per la sua fedeltà alle osservanze, anche a quelle che sembrano più insignificanti. Egli ama dire: «Se, mentre siamo giovani, teniamo in poco conto le piccole cose e vi manchiamo volontariamente, quando saremo avanti negli anni e avremo più libertà, ci permetteremo di mancare ai punti più importanti».Zelante per gli studi sacri, insiste sulla necessità di acquisire nuove conoscenze per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, viene nominato professore di filosofia. Si ammala però gravemente. I suoi superiori lo mandano a Porto Maurizio, suo paese natale, ma questo cambiamento d'aria si rivela inefficace. Il giovane Padre supplica allora la Vergine Maria di ottenergli dal suo divin Figlio una salute robusta che dedicherà a guadagnare anime per il Cielo. La sua preghiera viene esaudita; l'infermità di cui soffre scompare completamente.
Nel 1708, padre Leonardo predica, non lontano da Porto Maurizio, la sua prima «missione popolare». Questo nome viene dato a una serie di sermoni predicati nel corso di diversi giorni o settimane, presso una parrocchia, da un sacerdote di passaggio. Queste missioni, allora in voga, portavano frutti abbondanti. Tradizionalmente, il predicatore prendeva per tema la necessità di convertirsi al Signore al fine di condurre una vita veramente cristiana per la salvezza della propria anima.

Nel nostro tempo, parlare della salvezza dell'anima non è più di moda. Il contesto culturale e le ideologie diffuse rinchiudono sempre più l'uomo all'interno delle realtà terrene: molti vivono solo per questo mondo e non pensano a ciò che segue la morte. Per altri, vi è certo «un'eternità» dopo la morte, ma la salvezza non costituisce un problema: si immagina che tutti senza distinzione vadano in Paradiso. Il risultato, in entrambi i casi, è la noncuranza per la salvezza delle anime.


La vera felicità


Ora, «Dio ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in Paradiso... La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova... in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore... Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei Cieli» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1721-1724). Il Signore Gesù è venuto a rivelare agli uomini l'amore infinito del Padre che vuole che tutti siano salvati e partecipino alla sua vita divina in Cielo, ma Egli insiste anche sul fatto che gli uomini saranno giudicati secondo le loro opere e che coloro che non muoiono nell'amicizia divina non possiederanno la vita eterna. «Gesù parla ripetutamente della geenna, del fuoco inestinguibile, (cf. Mt 5,22.29; 13,42.50; Mt 9,43-48) che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo (cf. Mt 10,28). Gesù annunzia con parole severe che egli manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno (...) tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! (Mt 25,41). La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira» (CCC, 1034-1035).

La considerazione dei Novissimi, cioè delle realtà ultime, è al cuore dell'insegnamento di padre Leonardo. «Considera, scrive, quanto sia importante per te giungere alla tua meta ultima. Ne va di tutto per te; perché, se vi arrivi, sei salvato, sei eternamente felice, colmo di tutti i beni per l'anima e per il corpo. Se invece la manchi, sei perduto, corpo e anima, perdi Dio e il paradiso, sei eternamente infelice, dannato per sempre. Ecco allora, tra tutte le occupazioni, l'unica utile, importante, necessaria: servire Dio e salvarsi. Se tu perdessi ora una parte dei tuoi beni, te ne resterebbero degli altri; se perdessi una causa, potresti ricorrere in appello; se ti accadesse di commettere qualche errore temporale, può essere riparato. E qualora tu venissi anche a perdere tutto, che importa? Comunque, che ti piaccia o no, verrà un giorno in cui bisognerà lasciare tutto. Ma se manchi la tua meta ultima, perdi tutti i beni e attiri su di te mali irreparabili per tutta un'eternità. Che giova all'uomo, dice il Salvatore, se guadagna tutto il mondo e poi perde la propria anima? (Mt 16,26). Salvarci! ecco la nostra grande, la nostra unica occupazione. Quando non si tratta che delle faccende di questo mondo, se non ci pensi, un altro può pensarci per te; ma quando si tratta di quella grande della tua salvezza eterna, se non ci pensi, chi può pensarci per te? Se non te ne prendi cura, chi può assumere questo incarico per te? Se non ti aiuti da te stesso a salvarti, chi ti salverà ? Quel Dio che ti ha creato senza di te non vuole salvarti senza di te. Se vuoi salvarti , bisogna che tu ci pensi» (Meditazione sul fine dell'uomo).


L'ostacolo da rimuovere

Prima di iniziare un'opera, è necessario rimuovere gli  ostacoli che si oppongono alla sua realizzazione. L'ostacolo alla salvezza eterna è il peccato mortale, vale a dire una violazione pienamente cosciente della legge di Dio su una questione grave. «Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili» (CCC, 1861).

A questo proposito, ecco in quali termini padre Leonardo era solito rivolgersi ai suoi ascoltatori: «Ah! come aveva ben ragione sant'Agostino a prendersela con la strana cecità che considera il male come un bene, e il bene come un male, secondo le parole di Isaia (5,20): Guai a coloro che chiamano «bene» il male e «male» il bene! Egli non sa come chiamare, se sia frenesia, passione o demenza, questo disordine, così comune tra gli uomini, per cui, pur essendo il peccato il male più abominevole che vi sia al mondo, non vi è al mondo un male che sia detestato meno del peccato... Ecco qual è l'origine di tante cadute, e perché tante anime fanno passi falsi, e si precipitano in un abisso di iniquità: il motivo è che non si pensa, no, non si riflette al male che si fa commettendo un peccato mortale» (Sermone sulla malizia del peccato mortale).

Alcuni pensano che il peccato mortale sia commesso solo in casi eccezionali di odio o di disprezzo esplicito di Dio. Ma San Giovanni Paolo II ha ricordato nell'Enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993): «La grazia della giustificazione, una volta ricevuta, può essere perduta non solo per l'infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi altro peccato mortale... È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso... Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l'uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato», il che avviene «in tutte le disubbidienze ai comandamenti di Dio in materia grave» (nn. 68 e 70). Il Catechismo spiega: «La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre (Mc 10,19)» (CCC, 1858). Tra i peccati gravi frequenti, bisogna menzionare i peccati contro il sesto e il nono comandamento: «Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l'adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria» (Compendio del CCC, 492), che, senza essere il più grave, tuttavia porta alla cecità della mente sulle realtà eterne.
Non ci si deve quindi stupire delle seguenti parole di padre Leonardo: «Peccatore, a che cosa pensi? Saresti più duro della pietra? Hai mai riflettuto alla grazia tutta speciale che Dio ti fa dandoti il tempo di fare penitenza? Insensato che sei!... Che cosa fai per metterti al sicuro? Sarebbe troppo praticare qualche piccola mortificazione?... Sarebbe troppo preparare una buona confessione generale, per porre fine a questa vita piena di disordini che conosci?» (Invito alla penitenza).


Il rimedio

Ma padre Leonardo non si accontenta di fustigare il  male; fornisce anche il rimedio: lasciarsi conquistare dal Signore che offre a tutti la sua misericordia: «Considerate che se la giustizia di Dio è infinita nei confronti dei peccatori ostinati, la sua misericordia non è meno infinita nei confronti dei peccatori penitenti. Dio odia infinitamente il peccato; ma ama infinitamente le sue creature: non appena l'anima si pente del suo peccato, ritrova l'amore del suo Dio; se tutti i peccatori volessero ricorrere a Dio con un cuore contrito e umiliato, tutti sarebbero salvati. Questa bontà infinita desidera che tutti gli uomini arrivino in Paradiso... Una madre sarebbe meno sollecita nel soccorrere il suo bambino caduto nel fuoco di quanto Dio sia sollecito nell'abbracciare il peccatore pentito. Più i vostri peccati sono grandi, più è grande anche il trionfo della bontà, della carità, della clemenza di questo Dio infinitamente ricco di misericordia» (Meditazione sulla misericordia di Dio).

« Gesù invita i peccatori... alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l'infinita misericordia del Padre suo per loro (cf. Lc 15,11-32) e l'immensa gioia [che] ci sarà in cielo per un peccatore convertito (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita in remissione dei peccati (Mt 26,28)» (CCC 545).

Diventato maestro nell'arte di guidare le anime, padre Leonardo ha spesso fatto l'esperienza dell'utilità di certe devozioni per aiutarle a convertirsi e a mantenersi nello stato di grazia ritrovato. 

Vi è prima di tutto la pratica delle tre Ave Maria. Questa pratica deve la sua origine alla benedettina tedesca santa Matilde, che un giorno chiese alla Madonna di ispirarle una preghiera che le piacesse. Le apparve la Vergine che portava sul petto a lettere d'oro l'Ave Maria. «Mai, le disse, si arriverà più in alto di questo saluto, e non mi si può salutare con più dolcezza che facendolo rispettosamente con queste parole»

Un altro giorno, la stessa santa chiedeva alla sua celeste Regina come ottenere sicuramente la grazia della perseveranza finale e della buona morte. Di nuovo, la santa Madre di Dio le si mostrò e le disse: «Se vuoi ottenere questa grande grazia, recita ogni giorno tre Ave Maria, in onore dei miei privilegi, e te la concederò ». San Leonardo si fa propagatore di questa devozione consigliando di recitare queste tre Ave Maria in onore dei privilegi di Maria: «Tutte le mattine al suo risveglio, e alla sera prima di coricarsi, l'anima devota a Maria chiederà la benedizione della sua santa Madre; non mancherà di recitare tre Ave Maria, in onore della sua purezza senza macchia, di offrirle i suoi sensi e tutte le potenze della sua anima, affinché li custodisca come cose a lei appartenenti e consacrate in suo onore, e le chiederà la grazia di non cadere, in quel giorno (o in quella notte), nel peccato».


La tromba dell'ultimo giorno


Il santo diffonde anche la breve invocazione: «Gesù  mio, misericordia!» Egli riferisce queste parole di un missionario: «Quando ritorno in un luogo in cui ho già predicato la missione, mi accade spesso di veder venire a me dei penitenti che iniziano la loro confessione con queste parole: «Padre mio, sono quel dissoluto che, diversi anni fa, è venuto a sgravarsi ai vostri piedi di un sacco di iniquità; non so se mi riconoscete, ma grazie a Dio, a partire da quella missione, non ho più commesso alcun peccato disonesto, né alcuna colpa mortale. – Come avete fatto? gli chiedeva il missionario. – Ah! Padre mio, ho messo in pratica la grande risoluzione che ci avete così fortemente inculcata di raccomandarci sovente a Dio con questa pia invocazione: 'Gesù mio, misericordia!' L'ho fatta tutti i giorni, mattino e sera, e, soprattutto nelle tentazioni, imploravo spesso l'aiuto di Dio dicendo: 'Gesù mio, misericordia!' Devo dirvi di più, Padre mio? Sentivo rinascere nella mia anima nuove forze e, in questo modo, non mi è più accaduto di soccombere»». E padre Leonardo proseguiva: «Fratelli miei carissimi, chi mi darà una voce di tuono, o piuttosto una di quelle trombe che risuoneranno nel giorno del giudizio finale, e, trasportato da un santo zelo, m'innalzerò sulla cima delle più alte montagne, e di là griderò con tutte le mie forze: Popoli smarriti! Svegliatevi una buona volta, e se volete assicurarvi la vostra eternità, raccomandatevi a Dio, ricorrete spesso a Lui, con queste o altre simili parole: «Gesù mio, misericordia!» E vi do la mia parola, poiché Gesù Cristo vi ha dato la sua prima di me nel suo santo Vangelo: «Chiedete e vi sarà dato (Mt 7,7), chiedete il mio aiuto e l'avrete, e con il mio aiuto non peccherete più». Ve ne do la mia parola, ripeto, se vi raccomandate spesso a Dio dicendo dal profondo del cuore: «Gesù mio, misericordia!» non peccherete più, e vi salverete».

L'esercizio della Via Crucis – che consiste nel seguire Gesù nelle tappe principali della sua Passione – esiste già a quell'epoca, ma è poco in uso al di fuori dell'Ordine francescano. Grazie a padre Leonardo, questa pratica si estenderà a tutta la Chiesa. Egli ne parla con affetto, e non teme di chiamarla «la madre di tutte le devozioni, in quanto la più antica, la più santa, la più pia, la più divina, la più eccellente, e meritevole, per questo, di avere, giustamente, la precedenza su tutte le altre». Da solo padre Leonardo istituirà 572 Via Crucis. La sua devozione alla Passione poggia su una lunga tradizione. San Bonaventura, per esempio, dichiara che, tra tutti gli esercizi di pietà, non ve ne sono che contribuiscano in modo più efficace alla santificazione.

Il Cielo benedice le opere del Padre e le missioni si moltiplicano. Quasi tutta l'Italia e la Corsica beneficiano delle sue predicazioni. Nel 1715, padre Leonardo viene nominato custode del convento di San Françesco al Monte, a Firenze, dove introduce la massima regolarità. Ma la solitudine di un convento ordinario non gli basta; cerca, come san Francesco ha fatto prima di lui, un luogo appartato dove poter, di tanto in tanto, vivere da solo con Dio. Fonda un eremo situato su una montagna, chiamato Santa Maria dell'Incontro, dove possono ritirarsi i religiosi che vogliono raccogliervisi. Vi si osservano le regole della più rigorosa povertà e ci si dedica ai lavori manuali. Ben presto, religiosi di diversi istituti e anche uomini laici chiedono di esservi accolti per partecipare agli esercizi spirituali. Padre Leonardo stesso lo ama tanto che solo il suo ardente zelo di apostolo può strapparlo da quel luogo.


Il sole del cristianesimo


Partito dopo il Giubileo del 1750 per un nuovo giro  di missioni, il Padre viene ben presto richiamato a Roma dal Papa. In uno spirito di obbedienza al Vicario di Cristo, si mette in cammino. Questo viaggio, in prossimità dell'inverno, gli è molto faticoso. Lasciando Tolentino si sente male, ma deve valicare le montagne. Arrivato a Foligno, desidera celebrare la Messa; a un Fratello che lo prega di rinunciarvi a causa della sua grande stanchezza, risponde: «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». Aveva scritto in un opuscolo: «La Santa Messa non è niente di meno che il sole del cristianesimo, l'anima della fede, il cuore della religione di Gesù Cristo; tutti i riti, tutte le cerimonie, tutti i sacramenti vi si ricollegano. Essa è, in una parola, la quintessenza di tutto ciò che vi è di bello e di buono nella Chiesa di Dio... Per me, non ne ho nessun dubbio, senza la Santa Messa il mondo sarebbe a quest'ora in fondo all'abisso, trascinato dal peso spaventoso di tante iniquità. La Messa, ecco la leva vittoriosa che lo sostiene. Vedete quindi, dopo questo, a che punto il divino Sacrificio ci è indispensabile» (La Santa Messa, Tesoro Sconosciuto).

È recitando il Te Deum che padre Leonardo arriva al convento di San Bonaventura nel novembre 1751. Viene fatto scendere con difficoltà dalla carrozza: è così debole che non si sente più il suo polso. Appena arrivato all'infermeria, si confessa e riceve gli ultimi sacramenti, dopo aver pronunciato con un'energia sorprendente gli atti di fede, di speranza e di carità. Gli viene offerta una bevanda che accetta, poi dice: «Non ho abbastanza parole per ringraziare Dio per la grazia che mi concede di morire in mezzo ai miei confratelli». Poco dopo aver ricevuto l'Estrema Unzione, si addormenta tranquillamente nel Signore. Era il venerdì 26 novembre 1751. Canonizzato dal beato Pio IX, è stata dichiarato da Pio XI «celeste patrono dei sacerdoti che si dedicano alle missioni popolari».
San Leonardo, ottienici la grazia di un grande zelo per la salvezza delle anime!
Dom Antoine Marie osb

439- Aurea impara a fare la volontà di Dio: «Allora… benedicimi e sia fatta la volontà del Signore… >>


439. 
Maria Ss. riferisce sulla missione compiuta a Tiberiade. 

È molto stanca la Vergine quando rimette piede nella sua casetta. Ma è molto felice. E cerca subito del suo 
Gesù che ancora lavora, alle ultime luci del giorno che muore, intorno alla porta del forno che sta rimettendo 
a posto. Le ha aperto Simone il quale, dopo il saluto, si ritira prudente nello stanzone-laboratorio. Tommaso 
non lo vedo. Forse è fuori casa. 
Gesù posa i suoi attrezzi, appena vede la Madre, e va a Lei pulendosi le mani unte (sta rendendo scorrevoli i 
gangheri e i chiavistelli con dell’olio) nel suo grembiule da lavoro. Il loro reciproco sorriso pare far luminoso 
l’orto in cui decresce la luce. 
«La pace a te, Mamma ». 
«La pace a Te, Figlio ». 
«Come sei stanca! Non hai riposato… ». 
«Da un alba a un tramonto in casa di Giuseppe. Ma senza questi grandi calori sarei ripartita subito per venirti 
a dire che Aurea è tua ». 
«Sì?! ». il viso di Gesù si ringiovanisce persino nella sorpresa gioiosa. Sembra un volto poco più che 
ventenne, e nella gioia, perdendo quella gravità che generalmente è sul suo volto e nei suoi atti, viene ad 
assomigliare ancor più alla madre, sempre così serenamente fanciulla nelle movenze e nell’aspetto. 
«Sì, Gesù. E senza alcuna fatica ho ottenuto questo. La dama aderì subito. Si è commossa riconoscendo che lei, e con lei le sue amiche, sono troppo corrotte per educare una creatura a Dio. Un riconoscimento così umile, così schietto, vero! Non è facile trovare chi, senza esserne forzato, riconosca di essere difettoso ». 
«Sì, non è facile. Molti in Israele non lo sanno fare. Sono delle anime sepolte sotto una crosta di lordura. Ma 
quando la lordura cadrà… ». 
«Avverrà, Figlio? ». 
«Ne sono sicuro. Tendono istintivamente al Bene. Finiranno con l’aderirvi. Che ti ha detto? ». 
«Oh! poche parole… Ci siamo subito intese. Ma sarà bene avere subito Aurea. Le voglio dire io questa cosa, se Tu vuoi, però, Figlio mio ». 
«Sì, Mamma. Manderemo Simone », e chiama forte lo Zelote che viene subito. 
«Simone, và da Simone d’Alfeo e dì che mia Madre è tornata, poi vieni con la fanciulla e con Toma, che 
certo è là per finire quel lavoretto di cui lo ha pregato Salome ». 
Simone si inchina e va subito. 
«Racconta, Mamma… Il tuo viaggio… il tuo colloquio… Povera Mamma, come sei stanca per causa mia! ». 
«Oh! no, Gesù! Nessuna stanchezza quando Tu sei felice… », e Maria racconta il suo viaggio e le paure di 
Maria d’Alfeo, la sosta in casa del barcaiolo, l’incontro con Valeria, terminando: «Ho preferito vederla a 
quell’ora, posto che il Cielo lo permetteva. Più libera lei, più libera io, e Maria Cleofe consolata più presto, 
perché di essere due donne sole per Tiberiade aveva un terrore che soltanto l’amore per Te, il pensiero di 
servirti, poteva vincere… », e Maria sorride ricordando le ansie della cognata… 


E sorride Gesù dicendo: «Poveretta! È la vera donna d’Israele, l’antica donna, riservata, tutta casa, la donna 

forte secondo i Proverbi. (La donna, lodata in Proverbi 31, 10-31, è “forte” nella traduzione letterale della 
volgata, “perfetta” in quella della neo-volgata). Ma nella nuova Religione la donna non sarà soltanto forte 
nella casa… Molte saranno quelle che supereranno Giuditta e Giaele, essendo eroiche in sé, con eroismo da 
madri di Maccabei… E lo sarà anche Maria nostra. Ma per ora… è ancora così… Hai visto Giovanna? ». 
Maria non sorride più. Forse teme un’altra domanda su Giuda. E risponde svelta: «Non ho voluto imporre 
nuove ansie a Maria. Ci siamo chiuse in casa fino a metà fra nona e sera, riposando, e poi siamo partite… Ho pensato che presto la vedremo, sul lago… ». 
«Hai fatto bene. Mi hai dato la prova del sentimento delle romane verso di Me. Se Giovanna fosse 
intervenuta si sarebbe potuto pensare che cedevano all’amica. Ora attenderemo sino a sabato e, se Mirta non viene, andremo noi con Aurea ». 
«Figlio, io vorrei rimanere… ». 
«Sei stanca molto, lo vedo ». 
«No, non per questo… Penso che Giuda potrebbe venire qui… Come è bene che a Cafarnao sia sempre chi lo attende per accoglierlo da amico, anche qui è bene che ci sia chi lo accoglie con amore ». 
«Grazie, Mamma. Tu sola capisci cosa ancora lo può salvare… ». 
Sospirano tutti e due sul discepolo che dà dolore… 


Rientrano Simone e Tommaso con Aurea, che corre verso Maria. Gesù la lascia con la Madre, andando in 

casa con gli apostoli. 
«Tu hai molto pregato, figlia, e il buon Dio ti ha ascoltata… », inizia Maria. 
Ma la fanciulla la interrompe con un grido di gioia: «Resto con te! », e le getta le braccia al collo baciandola. 
Maria ricambia il bacio e, sempre tenendola fra le braccia, dice: «Quando uno fa un grande favore bisogna 
ricambiare, non è vero? ». 
«Oh! sì! E io ricambierò con tanto amore ». 
«Sì, figlia. Ma sopra di me è Dio. È Lui che ti ha fatto questo grande favore, questa grazia senza misura di 
accoglierti fra i membri del suo popolo, di farti discepola del Maestro Salvatore. Io non sono stata che lo 
strumento della grazia, ma la grazia Egli, l’Altissimo, te l’ha concessa. Che darai dunque all’Altissimo per 
dirgli che lo ringrazi? ». 
«Ma… non so… Dimmelo tu, o Madre… ». 
«Amore, questo è certo. Ma l’amore, per essere veramente tale, deve essere unito al sacrificio, perché se una cosa costa ha più valore, non è vero? ». 
«Sì, Madre ». 
«Ecco, allora io direi che tu, con la stessa gioia con cui hai gridato: “Resto con te!”, dovresti gridare: “Sì o 
Signore” quando io, povera serva, ti dirò la volontà del Signore su te ». 
«Dimmela, Madre », dice Aurea facendosi però seria in volto. 
«La volontà di Dio ti affida a due buone madri, a Noemi e a Mirta… ». 
La fanciulla ha grossi lacrimosi che lucono negli occhi chiari, ed essi rotolano poi sul visetto rosato. 
«Sono buone. Sono care a Gesù e a me. Ad una Gesù ha salvato il figlio, (Vedi Vol 4 Cap 248), all’altra io 
glielo ho allattato. (Vedi Vol 6 Cap 365). E che siano buone, lo hai visto… ». 
«Sì… ma io speravo stare con te… ». 
«Figlia, non tutto si può avere! Vedi che io pure non sto col mio Gesù. Ve lo dono, e sto lontana, tanto 
lontana da Lui, mentre Egli va girando per la Palestina a predicare, guarire e salvare le fanciulle… ». 
«È vero… ». 
«Se io lo volessi per me sola, tu non saresti stata salvata… Se io lo volessi per me sola, le vostre anime non 
verrebbero salvate. Pensa quanto è grande il mio sacrificio. Vi do un Figlio perché sia immolato per le vostre anime. Del resto, io e te saremo sempre unite, perché le discepole stanno e staranno sempre unite intorno a Cristo, formando una grande famiglia unita dall’amore per Lui ». 
«È vero. E poi… verrò ancora qui, non è vero? E ci vedremo ancora? ». 
«Certamente. Finché Dio lo vorrà ». 
«E tu pregherai sempre per me… ». 
«E io pregherò sempre per te ». 
«E quando saremo insieme mi istruirai ancora? ». 
«Si, figlia… ». 
«Ah! io volevo divenire come te! Lo potrò mai? Sapere, per essere buona… ». 
«Noemi è madre di un sinagogo e discepolo del Signore. Mirta di un figlio che ha meritato la grazia del 
miracolo ed è discepolo buono. E le due donne sono buone e sapienti, oltre che tanto piene d’amore ». 
«Me lo assicuri? ». 
«Sì, figlia ». 
«Allora… benedicimi e sia fatta la volontà del Signore… come dice l’orazione di Gesù. L’ho tanto detta… È giusto che ora faccia ciò che ho detto, per ottenere di non andare più dai romani… ». 
«Sei una buona fanciulla. E Dio sempre più ti aiuterà. Vieni, andiamo a dire a Gesù che la più giovane 
discepola sa fare la volontà di Dio… », e tenendola per mano Maria rientra con la fanciulla nella casa. 

AVE MARIA!