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mercoledì 7 marzo 2018

L'IRA imbestialisce l'Anima...


L'Anima mite diviene 
Tempio dello Spirito Santo


Capitolo 9 

L'ira 

L'ira (1) e una passione furente e con facilità fa uscir di senno quelli che hanno la conoscenza, imbestialisce l'anima e degrada l'intero consorzio umano (2). 

Un vento impetuoso non piegherà la torre e l'animosità non trascina via l'anima mansueta. 

L'acqua È mossa dalla violenza dei venti e l'iracondo È agitato dai pensieri dissennati. 

Il monaco iracondo vede qualcuno e arrota i denti (3). 

La diffusione della nebbia condensa l'aria e il moto dell'ira annebbia la mente dell'iracondo. 

La nube procedendo offusca il sole e così il pensiero rancoroso (4) ottunde la mente. 

Il leone in gabbia scuote continuamente i cardini come il violento nella cella (quando È assalito) dal pensiero dell'ira (5). 

È deliziosa la vista di un mare tranquillo, ma non È certo più dilettosa di uno stato di pace: infatti i delfini nuotano nel mare in bonaccia e i pensieri volti a Dio si immergono in uno stato di serenità. 

Il monaco magnanimo È una fonte tranquilla, gradevole bevanda offerta a tutti, 
mentre la mente dell'iracondo È continuamente agitata ed egli non darà l'acqua all'assetato e, se gliela darà, sarà intorbidata e nociva; gli occhi dell'animoso sono sconvolti e iniettati di sangue e annunziano un cuore in tumulto. 

Il volto del magnanimo mostra assennatezza e gli occhi benigni sono rivolti verso il basso. 

Capitolo 10 

La mansuetudine (1) dell'uomo È ricordata da Dio e l'anima mite diviene il tempio dello Spirito Santo. 

Cristo reclina il capo in spirito mite e solo la mente pacifica diviene dimora della Santa Trinità. 

Le volpi allignano nell'anima rancorosa e le fiere si appiattano nel cuore sconvolto. 

Fugge l'uomo onesto l'alloggio malfamato, e Dio un cuore rancoroso (2). 

Una pietra che cade in acqua la agita, come un cattivo discorso il cuore dell'uomo. 

Allontana dalla tua anima i pensieri dell'ira e non bivacchi l'animosità nel recinto del tuo cuore e non lo turbi nel momento della preghiera (3): infatti come il fumo della paglia offusca la vista così la mente È turbata dal livore durante la preghiera. 

I pensieri dell'animoso sono prole di vipera (4) e divorano il cuore che li ha generati. 
La sua preghiera È un incenso abominevole ed il salmodiare dà un suono sgradevole. 

Il dono del rancoroso È come un'offerta che brulica di formiche e di certo non si avvicinerà agli altari aspersi di acqua lustrale. 

L'animoso avrà sogni turbati e l'iracondo si immaginerà assalti di belve (5). 

L'uomo magnanimo ha la visione di consessi di santi angeli e colui che non porta rancore si esercita con discorsi spirituali e nella notte riceve la soluzione dei misteri.


AMDG et DVM

sabato 3 marzo 2018

Radice di tutti i mali


Capitolo 7 
L'avarizia 

L'avarizia (1) È la radice di tutti i mali [Prima Lettera a Timoteo 6,10] e nutre come maligni ramoscelli le rimanenti passioni e non permette che inaridiscano quelle fiorite da essa (2). 

Chi vuole recidere le passioni ne estirpi la radice; se infatti poti per bene i rami e l'avarizia permane, non ti gioverà a nulla, perché essi, nonostante siano stati recisi, subito fioriscono. 

Il ricco monaco È come una nave troppo carica che viene sommersa dall'impeto di un fortunale: come infatti una nave che imbarca acqua È messa alla prova da ogni onda, così il ricco È sommerso dalle preoccupazioni. 

Il monaco che nulla possiede È invece un agile viaggiatore e trova dimora ovunque. 

Egli È come l'aquila che vola in alto e scende giù a cercare cibo quando vi È costretta.

È superiore ad ogni prova, se la ride del presente e si leva in alto allontanandosi dalle cose terrene e accompagnandosi a quelle celesti: infatti ha ali leggere mai appesantite dalle preoccupazioni. 

Sopraggiunge l'oppressione ed egli lascia il luogo senza dolore; la morte arriva e quegli se ne va con animo sereno: infatti l'anima non È stata legata da vincolo terreno di sorta. 

Chi invece molto possiede soggiace alle preoccupazioni e, come il cane, È legato alla catena, e, se viene costretto ad andarsene, si porta dietro, come un grave peso e un'inutile afflizione, i ricordi delle sue ricchezze, È punto dalla tristezza e, quando ci pensa, soffre molto, ha perso le ricchezze e si tormenta nello scoramento. 

E se arriva la morte abbandona miseramente i suoi averi, rende l'anima, mentre l'occhio non tralascia gli affari; a malincuore viene trascinato via come uno schiavo fuggiasco, si separa dal corpo e non si separa dai suoi interessi (3): poiché la passione lo trattiene più di ciò che lo trascina via. 

Capitolo 8 

Il mare non si riempie mai del tutto pur ricevendo la gran massa d'acqua dei fiumi, allo stesso modo il desiderio di ricchezze dell'avaro non È mai sazio, egli le raddoppia e subito desidera quadruplicarle e non cessa mai questo raddoppio, finché la morte non mette fine a tale interminabile premura (1). 

Il monaco assennato baderà alle necessità del corpo e sopperirà con pane e acqua allo stomaco indigente, non adulerà (2) i ricchi per il piacere del ventre, né asservirà la sua libera mente a molti padroni: infatti le mani sono sempre sufficienti a servire il corpo e soddisfare le necessità naturali. 

Il monaco che non possiede nulla È un pugile che non può essere colpito in pieno e un corridore veloce che raggiunge rapidamente il premio dell'invito celeste (3). 

Il monaco ricco gioisce per i molti proventi, mentre quello che non ha nulla gode per i premi che gli vengono dalle cose ben riuscite. 

Il monaco avaro lavora duramente mentre quello che non possiede nulla usa il tempo per la preghiera e la lettura. 

Il monaco avaro riempie d'oro i penetrali (4), mentre quello che nulla possiede tesoreggia in cielo. 

Che sia maledetto colui che foggia l'idolo e lo nasconde, simile a colui che È affetto da avarizia: l'uno infatti si prostra di fronte al falso e all'inutile, l'altro porta in sé l'immagine (5) della ricchezza, come un simulacro

AMDG et DVM

domenica 4 febbraio 2018

Attenzione a inganni e veleni, con buona pace delle donne innocenti


La lussuria 


La temperanza genera l'assennatezza, mentre la gola È madre della sfrenatezza; l'olio alimenta il lume della lucerna e la frequentazione delle donne attizza la fiaccola del piacere. 

La violenza dei flutti infuria contro il mercantile mal zavorrato come il pensiero della lussuria sulla mente intemperante. 

La lussuria accoglierà come alleata la sazietà, la congederà, starà con gli avversari e combatterà alla fine con i nemici. 

Rimane invulnerabile alle frecce nemiche colui che ama la tranquillità, chi invece si mescola alla folla riceve in continuazione percosse. 

Vedere una femmina È come un dardo velenoso, ferisce l'anima, vi intrude il tossico e quanto più perdura , tanto più alligna la sepsi [ La Sepsi o la setticemia è una malattia pericolosa che può accadere quando il corpo intero reagisce ad un'infezione]

Chi intende difendersi da queste frecce sta lontano dalle affollate riunioni pubbliche e non gironzola a bocca aperta nei giorni di festa; È infatti assai meglio starsene a casa passando il tempo a pregare piuttosto che compiere l'opera del nemico credendo di onorare le feste. 

Evita la dimestichezza con le donne se desideri essere saggio e non dar loro la libertà di parlare e neppure fiducia. Infatti all'inizio hanno o simulano una certa cautela, ma in seguito osano di tutto spudoratamente: al primo abboccamento tengono gli occhi bassi, pigolano dolcemente, piangono commosse, l'atteggiamento È grave, sospirano con amarezza, pongono domande sulla castità e ascoltano attentamente; le vedi una seconda volta e alzano un poco il capo; la terza volta si avvicinano senza troppo pudore; hai sorriso e quelle si sono messe a ridere sguaiatamente; in seguito si fanno belle e ti si mostrano con ostentazione, cambia il loro sguardo annunciando l'ardenza, sollevano le sopracciglia e ruotano gli occhi, denudano il collo e abbandonano l'intero corpo al languore, pronunciano frasi ammollite nella passione e ti sfoggiano una voce fascinosa ad udirsi finché non espugnano completamente l'anima. 

Accade che questi ami ti adeschino alla morte e queste reti intrecciate ti trascinino alla perdizione; e dunque non farti neppure ingannare da quelle che si servono di discorsi ammodo: in costoro infatti si occulta il maligno veleno dei serpenti. 

(Evagrio Pontico - Antirrhetikos - GLI OTTO SPIRITI MALVAGI) 


AMDG et DVM

domenica 28 gennaio 2018

La gola! Ecco i suoi ... svantaggi.


La gola

L'origine del frutto è il fiore e l'origine della vita attiva è la temperanza: chi domina il proprio
stomaco fa diminuire le passioni, al contrario chi È soggiogato dai cibi accresce i piaceri. 

Come Amalec È l'origine dei popoli così la gola lo È delle passioni. 

Come la legna È alimento del fuoco così i cibi sono alimento dello stomaco. 

Molta legna anima una grande fiamma e un'abbondanza di cibarie nutre la cupidigia. 

La fiamma si estingue quando viene meno la legna e la penuria di cibo spegne la cupidigia. 

Colui che ha potere sulla mascella sbaraglia gli stranieri e 
scioglie facilmente i vincoli delle proprie mani. 

Dalla mascella gettata via sgorga una fonte d'acqua e 
la liberazione dalla gola genera la pratica della contemplazione. 

Il palo della tenda, irrompendo, uccise la mascella
nemica ed il lògos della temperanza uccide la passione. 

Il desiderio di cibo genera disobbedienza e
una dilettosa degustazione caccia dal paradiso. 

Saziano la strozza i cibi fastosi e nutrono l'insonne verme dell'intemperanza. 

Un ventre indigente prepara ad una preghiera vigile, al contrario 
un ventre ben pieno invita ad un lungo sonno. 

Una mente sobria si raggiunge con una dieta molto scarna,
mentre una vita piena di mollezze tuffa la mente nell'abisso. 

La preghiera del digiunatore È come il pulcino che vola più alto dell'aquila 
mentre quella del crapulone È avvolta nelle tenebre. 

La nube nasconde i raggi del sole e la grassa digestione dei cibi offusca la mente.


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INGREDIENTI
Per 4 persone:
  • 500 gr di spaghetti
  • 8 spicchi d’aglio
  • Olio d’oliva extravergine
  • peperoncino q.b.
  • 1 mazzetto di prezzemolo freschissimo tritato
  • 100 gr di pecorino o parmigiano grattugiato
  • Sale q.b.
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Mondate l’aglio e tagliatelo a pezzettini mentre avrete messo sul fuoco una pentola con acqua. Appena questa bolle, salate e tuffatevi gli spaghetti.
In una padella fate soffriggere l’aglio in olio a fuoco moderato fino a farlo dorare e aggiungete un mestolo di acqua di pasta.
Scolate gli spaghetti al dente e nella stessa pentola condite con l’aglio e l’olio. Spruzzate con il prezzemolo e aggiungete il peperoncino tritato.
Servite in un piatto di portata accompagnando con il formaggio da voi scelto.

AMDG et DVM

lunedì 2 febbraio 2015

Gli otto spiriti della malvagità.

Evagrio Pontico 
“Sentenze – Gli otto spiriti della malvagità” Città Nuova (2010) Roma.

Wvagrio_spiritiEvagrio Pontico (345-399), è una degli esponenti più fecondi di quell’esperienza religiosa e mistica della Chiesa che nasce dall’esperienza monastica, nota come tradizione dei Padri del deserto. La sua produzione letteraria è molto ampia e ha conosciuto una vasta diffusione sia nell’area mediorientale che nell’occidente latino.

Così come nel “Trattato pratico” vengono date delle indicazione per seguire la via dei comandamenti, purificare l’animo e portarlo ad un gradino più alto di conoscenza verso Dio, in questo volume sono raccolte sia le “Sentenze”, testi in cui si tratteggia un percorso spirituale per aiutare il monaco a prendere consapevolezza delle passioni, per potersene distaccare, in un processo di ulteriore ascesi dalla conoscenza sensibile a quella spirituale, sia la nota opera di Evagrio Pontico Gli otto spiriti della malvagità, che qui è presentata nella sua forma più estesa. È interessante scoprire come l’esame dei vizi e delle passioni, il loro attecchimento negli spiriti umani, non varia poi di molto con l’evolversi dell’umanità. Si scopre così che il monaco, che viveva nel deserto nella seconda metà del 300, aveva la tendenza a quegli stessi difetti che sono ancora ricorrenti nella modernità: il peccato originale, la superbia dell’uomo che ha voluto fare da sé lo ha portato ad allontanarsi da Dio e ne ha sancito la solitudine, trasformando la distinzione originaria in una separazione e frammentazione apparentemente incontrovertibile. Per questa ragione, così come è utile all’uomo di oggi confrontarsi con le indicazione date nella praktikéè altrettanto fruttuoso rileggere la propria esperienza di vita e di fede alla luce di quelle tentazioni o demoni che abitano nel cuore e nello spirito dell’uomo, di ogni uomo, chiamati gli otto spiriti della malvagità e noti come demoni della gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia.

L’uomo moderno, l’uomo “liberato” da quella che è stata, ed è ancora, definita come l’oppressione della fede, li ha solo potuti svuotare della loro definizione peccaminosa, non della loro incidenza maligna sulla sua persona. Così, la gola (come d’altro canto avarizia o lussuria o ira…), depurata dal suo essere una “mancanza”, e divenuta esclusivamente causa di sensi di colpa, dei quali l’uomo della modernità non è ancora riuscito a disfarsi, diventa non più peccato, ma sicuramente un necessario interfacciarsi con il limite, la finitezza dell’uomo, con una sua dipendenza. Tristezza e acedia sono stati eletti a mali del secolo, ma di quale? Evagrione parlava ai monaci nel IV secolo! Tutto è ormai quell’inevitabile scontro con un nemico, con qualcosa definito come “altro da sé”, da combattere per mostrare una perfezione “a portata d’uomo” e dal quale ci si può affrancare con le diete, supporti di medicina estetica o psicologici, con la concentrazione, e in ultima analisi con la metempsicosi o, termine molto più di moda, la reincarnazione: nel caso non riuscissimo a renderci perfetti in questa vita… c’è la prossima! Ma è così? È davvero un altro da sé, che in genere, nondimeno, vediamo benissimo nel nostro nemico e molto meno potente in noi, riducibile ad uno dei tanti problemi della modernità e svalutabile a poca cosa, o esso nasconde un male più grande, l’incapacità di dare seguito ad una brama insita, e spesso non riconosciuta, un desiderio di infinito che l’uomo cerca disperatamente di saziare seguendo altri appetiti?

L’uomo teme la sua finitezza, dunque, teme la morte, questa è la radice della sua insoddisfazione e il nutrimento iperproteico, come potremmo definirlo, di questi pensieri, che poi diventano abitudini, per il credente peccato. E qual è la strada per uscire dal gorgo in cui l’uomo sprofonda ogni volta che incontra questa realtà del limite e della incompiutezza?

Questi pensieri, viziati dalla paura della morte, toccano ogni uomo e ne scoprono la nudità profonda, l’impossibilità di essere adeguato all’immagine che si è fatto di sé e da sé e lo interrogano da un livello più semplice ad uno sempre più complesso. Come mette in evidenza l’autore dell’ampia introduzione a questa edizione, Lucio Coco, “è interessante notare come la deduzione degli otto vizi sia inserita in uno schematismo più ampio corrispondente all’articolazione dell’anima razionale stessa. Non si tratta quindi di una estrazione casuale oppure di un processo semplicemente induttivo, per cui attraverso l’esperienza si può ricavare una serie di passioni. In base a queste considerazioni risulta evidente una certa concatenazione dei vizi e una certa loro progressione in base alloro generarsi all’ interno dell’anima tripartita. Avremo così i vizi del concupiscibile, più legati alla sfera sensibile: la gola, la lussuria e l’avarizia; quelli dell’irascibile, più legati all’ interiorità: la tristezza, l’ira e l’accidia; e infine i vizi della parte razionale, la vanagloria e la superbia, secondo una direzione ascendente che orienta dal basso verso l’alto i gruppi di vizi.

logismoi, i pensieri viziosi sono causa della caduta: “È impossibile che un monaco che abbia accolto un pensiero cattivo non ne sia rovinato” (Ex. 44). Per Evagrio essi sono il modo con cui i demoni, per questo li definisce spiriti della malvagità, spingono il monaco, e l’uomo, “a un modo di vita irragionevole” (Spir. 6), basato sulle passioni dominanti nell’anima irascibilis e in quella concupiscibilis. L’impegno da assolvere è allora volto a riconoscere l’azione di questi pensieri e a riconoscere quella mistificazione della realtà che essi operano nell’individuo.

È una battaglia che il monaco, e il cristiano, deve compiere, si tratta di un combattimento spirituale che parte dal riconoscimento in atto di dinamiche psicologiche insite in ogni individuo e che sono volte ad allontanarlo da Dio con tecniche sempre più raffinate. Man mano che lo Spirito progredisce verso la contemplazione, i pensieri anche si adattano al nuovo stato raggiunto e lo sollecitano con forme sempre più avanzate del culto del sé: non a caso, l’orgoglio è posto al vertice di questi pensieri. Già nelle “Paraenesis ad monachos”, Evagrio aveva bene illustrato questa essenzialità della lotta a questi spiriti del male, che si esplica nel loro riconoscimento e confessione per ridurne la capacità di distruzione che essi hanno nell’anima, allorché aveva rivelato che “Come non è possibile costruire una torre senza un muratore, così non è possibile acquistare la sapienza di Dio senza il combattimento” (Ex. 21); “Chi fugge la prova utile, fugge la vita eterna” (Ex. 24); “Come non è possibile che un lottatore riceva il premio senza aver combattuto, così non è possibile diventare un cristiano senza lottare” (Ex. 32).

Il monaco del Ponto ritiene che solo impegnandosi nella lotta con fatica e grazie alla preghiera, come riporta nella Sentenza 37 di questo testo, “chi prega continuamente sfugge alle tentazioni, i pensieri disturbano il cuore di chi è trascurato”. Si può uscire da questa deriva solo con la preghiera incessante, che consente di maturare una vera conoscenza spirituale.

Come già indicato nel Trattato Pratico, infatti, l’uomo deve purificarsi dalle passioni e solo dopo ha la possibilità di avvicinarsi alla vera scienza e gnosis, conoscenza, che conduce lo spirito dell’uomo, viva esso nel deserto o nella metropoli moderna, fino alla contemplazione di Dio. Sempre nel testo citato, Evagrio spiega in che modo sia arrivato a definire gli otto spiriti della malvagità. Partendo da una visione filosofica e di derivazione platonica caratterizzata da una tripartizione dell’anima in tre parti, razionale, concupiscibile e irascibile, evidenzia che un uso corretto di queste funzioni orienta alla virtù, ma una distorsione di esse può altresì portare ad un comportamento vizioso, contro natura, alterando e mistificando le funzioni stesse dell’anima. Nella parte inferiore si sviluppano i vizi i della sfera del concupiscibile, nella parte mediana quelli della sfera dell' irascibile e infine in alto quelli della sfera logica e razionale. Appartengono a quest’ultima sfera quei pensieri che, mossi dall’autocompiacimento e da una sopravvalutazione di sé, tipici della vanagloria e della superbia, portano l’individuo fino alla blasfemia della negazione di ogni dipendenza dell’uomo da Dio e dalla sua Grazia.

L’uomo sia che viva nel deserto, sia che viva nella metropoli super industrializzata moderna non ha sconti nei confronti dei pensieri, che attanagliano la sua anima razionale e la impoveriscono costantemente, può solo affrontarli consapevolmente, sforzandosi nel tempo che gli è dato di ritrovare in quell’anima razionale che è il luogo in cui risiede l’immagine che l’Altissimo si è compiaciuto di imprimere nell’umano, quello Spirito divino che gli consenta di sentirsi creatura creata e pertanto amata.


Alcuni passaggi delle riflessioni di Evagrio sugli 
otto spiriti della malvagità.

Gola
“Un fuoco spento si riaccende se prende dei fuscelli, la voluttà sopita si infiamma con cibo a sazierà. Non aver compassione di un corpo che si lamenta per la debolezza e non ingrassarlo con cibi ricercati. Infatti qualora riprenda vigore, si leverà contro di te e ti farà una guerra senza tregua finché non avrà fatto prigioniera la tua anima e ti avrà reso servo del vizio della lussuria. Un cavallo docile è un corpo tenuto a stecchetto e non disarciona mai chi lo cavalca; quello infatti si tira indietro quando viene stretto dal morso e ubbidisce alla mano del cavaliere, il corpo invece è domato dalla fame e dalla veglia e non recalcitra davanti alle decisioni di chi lo monta, né nitrisce agitato da un moto passionale”.

Lussuria
“Quando un ricordo di donna genera indifferenza e la fantasia di lei non muove la passione, allora considera che sei giunto alle soglie della continenza. Quando una sua immagine ti spinge a contemplarla e puoi collegare il suo corpo alle qualità dell'anima allora credi di essere nel possesso della virtù. Tuttavia non indugiare su simili pensieri e non fare a lungo mentalmente familiarità con una figura di donna, la passione infatti ama tornare indietro e ha vicino a sé il pericolo. Come infatti un'adeguata fusione purifica l'argento e se dura di più facilmente lo brucia e rovina, così una fantasia che si attarda distrugge uno stile di vita improntato alla continenza. Non presentare alla mente una fantasia di donna, perché non si sviluppi una fiamma di voluttà li e incendi il campo dell'anima tua. Infatti come una scintilla che cova nella paglia fa sviluppare un fuoco, così un ricordo di donna che permane accende il desiderio”.

Avarizia
“L’avarizia è la radice di tutti i mali e nutre come rami maligni le altre passioni, se tagli un ramo ne fa venire subito un altro e non permette che si secchi quello che è da lei sbocciato. Chi vuole uccidere il vizio deve strappare la radice… Chi molto possiede invece è irretito dalle cure ed è come un cane legato alla catena. Qualora sia obbligato a spostarsi, si porta in giro carico pesante e inutile fastidio, il ricordo delle ricchezze, viene punto dalla tristezza e soffre fortemente all’idea: ha abbandonato gli averi ed è sferzato dall’afflizione”.

Ira
“Tieni lontano dalla tua anima i pensieri d’ira, la collera non prenda dimora nel tuo cuore e non essere turbato durante la preghiera. Infatti nello stesso modo in cui il fumo delle stoppie disturba gli occhi così il rancore [disturba] la mente nel tempo della preghiera… L’offerta di chi serba rancore è un sacrificio irritante e non sarà portata all’altare per l’aspersione”.

Tristezza
“Il monaco triste non conosce il piacere spirituale. La tristezza è abbattimento d’anima ed è in relazione con pensieri d’ira. … La tristezza è un verme del cuore che divora la madre che lo ha generato. La madre che partorisce un bambino ha dolore ma quando ha partorito il dolore scompare. La tristezza generata invece causa un grande travaglio e permanendo dopo il parto reca non poca afflizione.
Chi ha vinto il desiderio ha vinto le passioni e chi ha vinto le passioni non è soggiogato dalla tristezza. Chi è temperante non si rattrista per la mancanza di cose da mangiare, né chi è continente per non aver soddisfatto una passione  dissoluta, né il mite per non aver ottenuto vendetta, né l'umile per essere stato privato di un umano riconoscimento, né chi non è avaro per aver subito una perdita; essi infatti possibilmente hanno evitato di desiderare queste cose, Come chi indossa una corazza non viene colpito da un proiettile, così chi non è soggetto alle passioni non viene ferito dalla tristezza”.

Accidia
“L’accidioso, leggendo, spesso sbadiglia e facilmente si fa prendere dal sonno, si sfrega gli occhi, stende le mani e, levato lo sguardo dal libro, prende a fissare il muro. Quindi torna a girarsi, legge un poco e inutilmente si affatica a sillabare le terminazioni delle parole, conta le pagine, calcola i quartini, critica la scrittura e la decorazione. Infine, chiuso il libro, lo mette sotto la testa e cade in un sonno non tanto profondo perché poi la fame desta la sua anima e lo porta a darsene pensiero. Un monaco accidioso è lento nella preghiera e non pronuncia mai le parole dell'orazione. Infatti come chi è malato non sopporta un peso grave, così pure 1'accidioso non sarà sollecito nel compiere l'opera di Dio, dal momento che uno è debilitato nelle forze del corpo e 1'altro è allentato nel tono spirituale… Fissa per te una misura in ogni lavoro e non separartene prima di averlo completato; prega continuamente e intensamente e lo spirito dell' accidia fuggirà da te”.

Vanagloria
“La vanagloria cresce accanto alle virtù e non se ne separa finché non ne abbia fiaccato il vigore… Una borsa bucata non tiene quello che vi si mette e la vanagloria disperde i premi delle virtù. …la preghiera di chi vuol piacere agli uomini non salirà a Dio. La vanagloria è uno scoglio a fior d'acqua, se ci vai contro perdi il carico della nave. …La vanagloria consiglia di pregare in piazza, chi la combatte invece prega nella sua stanza… La virtù del vanaglorioso è un sacrificio di ossa spezzate  e non viene presentato all'altare di Dio. Una linea tracciata sull' acqua scompare e lo sforzo della virtù in un'anima vanagloriosa. … L'accidia allenta la tensione spirituale, la vanagloria invece rafforza la mente che ha trascurato Dio, ridona gagliardia a chi è malato e rende più vigoroso il vecchio del giovane, a condizione che siano presenti molti testimoni dell'accaduto. In tal caso sono facili da sopportarsi il digiuno, la veglia, le preghiere, perché la lode di tanti desta la prontezza d'animo. Non svendere i tuoi sforzi per glorie umane e non tradire la gloria futura per una lode a buon mercato. L'umana gloria infatti riposa nella polvere e il suo c clamore si spegne in terra, la gloria della virtù invece rimane in eterno”.

Superbia
“La superbia è un rigonfiamento pieno di umore dell'anima; qualora giunga a maturazione, scoppierà e farà molto disgusto. …L'anima del superbo sale a una grande altezza e da lì precipita nell'abisso… Chi si è distaccato da Dio è malato di superbia e ascrive alla propria forza i buoni risultati. Come chi sale su una rete se va con un piede a vuoto, viene sbalzato giù, allo stesso modo cade chi confida sulla propria forza. … Al contadino non serve a niente un frutto marcio e Dio non saprà che farsene della virtù di un superbo. …L'anima del superbo infatti viene abbandonata da Dio e diventa il trastullo dei demoni. …Infatti chi poco prima si e opposto a Dio, rifiutando il suo soccorso, dopo viene spaventato da fatui fantasmi… La superbia precipitò giù dal cielo l'arcangelo e fece sì che si abbattesse sulla terra come una folgore. Perché inorgoglirti, uomo, se sei fango e putredine, perché gonfiarti e spingerti oltre le nuvole? Considera la tua natura: sei terra e polvere e in breve in cenere ti dissolverai. …Perché alzi quella testa che presto marcirà? È infatti cosa grande che l'uomo venga soccorso da Dio: fu abbandonato e ha conosciuto la debolezza della natura. Non hai niente che non abbia ricevuto da Dio… Perché ti vanti della grazia di Dio come se fosse un tuo acquisto? Riconosci chi è che ha dato e non esaltarti tanto! Tu sei una creatura di Dio, non rifiutare il Creatore; sei stato aiutato da Dio non rinnegare il benefattore. Sei asceso fino alla patria celeste ma è stato lui a guidarti; sei cresciuto nella virtù ma è stato lui che ha operato. Credi a colui che ti ha innalzato per rimanere saldo in quell' altezza. Sei uomo, stai dentro i limiti della tua natura. Riconosci il tuo simile perché è della tua stessa sostanza. …Quando sarai giunto al vertice delle virtù, allora avrai molto bisogno di tutelarti. Infatti chi cade dal basso rapidamente si rialza, invece chi cade dall'alto rischia la morte”.
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cfr:  http://www.cristinacampo.it/public/evagrio%20pontico%20%20la%20preghiera.pdf

mercoledì 30 ottobre 2013

La gola



Evagrio Pontico

ANTIRRHETIKOS

GLI OTTO SPIRITI MALVAGI

Capitolo 1

La gola

L’origine del frutto è il fiore e l’origine della vita attiva è la temperanza chi domina il proprio stomaco fa diminuire le passioni, al contrario chi è soggiogato dai cibi accresce i piaceri. Come Amalec è l’origine dei popoli così la gola lo è delle passioni. Come la legna è alimento del fuoco così i cibi sono alimento dello stomaco. Molta legna anima una grande fiamma e un’abbondanza di cibarie nutre la cupidigia. La fiamma si estingue quando viene meno la legna e la penuria di cibo spegne la cupidigia. Colui che ha potere sulla mascella sbaraglia gli stranieri e scioglie facilmente i vincoli delle proprie mani. 

Dalla mascella gettata via sgorga una fonte d’acqua e la liberazione dalla gola genera la pratica della contemplazione. Il palo della tenda, irrompendo, uccise la mascella nemica ed il lògos della temperanza uccide la passione. Il desiderio di cibo genera disobbedienza e una dilettosa degustazione caccia dal paradiso. Saziano la strozza i cibi fastosi e nutrono l’insonne verme dell’intemperanza. 

Un ventre indigente prepara ad una preghiera vigile, al contrario un ventre ben pieno invita ad un lungo sonno. Una mente sobria si raggiunge con una dieta molto scarna, mentre una vita piena di mollezze tuffa la mente nell’abisso. La preghiera del digiunatore è come il pulcino che vola più alto dell’aquila mentre quella del crapulone è avvolta nelle tenebre. La nube nasconde i raggi del sole e la grassa digestione dei cibi offusca la mente.

Capitolo 2

Uno specchio sporco non riflette distintamente la forma che gli si pone di fronte e l’intelletto, ottuso dalla sazietà, non accoglie la conoscenza di Dio. Una terra incolta genera spine e da una mente corrotta dalla gola germogliano cattivi pensieri. Come il brago non può emanare fragranza neppure nel goloso sentiamo il soave profumo della contemplazione. L’occhio del goloso scruta con curiosità i banchetti, mentre lo sguardo del temperante osserva i simposi dei saggi. L’anima del goloso enumera i ricordi dei martiri, mentre quella del temperante imita il loro esempio. Il soldato vigliacco rabbrividisce al suono della tromba che preannuncia la battaglia, ugualmente trema il goloso di fronte ai proclami di temperanza. 

Il monaco goloso, sottomesso a sferzate dal proprio stomaco, esige il suo tributo giornaliero. Il viandante che cammina di buona lena raggiungerà presto la città e il monaco temperante arriverà presto ad uno stato di pace; il viandante lento si fermerà solo, all’aperto, ed il monaco ghiottone non raggiungerà la casa dell’apàtheia. L’umido vapore del suffumigio profuma l’aria, come la preghiera del temperante delizia l’olfatto divino. 

Se ti concedi al desiderio dei cibi nulla più ti basterà per soddisfare il tuo piacere: il desiderio dei cibi, infatti, è come il fuoco che sempre accoglie e sempre avvampa. Una misura sufficiente riempie il vaso mentre un ventre sfondato non dirà mai: «basta!». L’estensione delle mani mise in fuga Amalec e una vita attiva elevata sottomette le passioni carnali.

Capitolo 3

Stermina tutto ciò che ti ispirano i vizi e mortifica fortemente la tua carne. In qualunque modo, infatti, sia ucciso il nemico, esso non ti incuterà più paura, così un corpo mortificato non turberà l’anima. Un cadavere non avverte il dolore del fuoco e tantomeno il temperante sente il piacere del desiderio estinto. Se percuoti un egiziano, nascondilo sotto la sabbia, e non ingrassare il corpo per una passione vinta: come infatti nella terra grassa germina ciò che è nascosto così nel corpo grasso rivive la passione. 

La fiamma che illanguidisce si riaccende se viene aggiunta della legna secca e il piacere che si va attenuando rivive nella sazietà dei cibi; non compiangere il corpo che si lagna per lo sfinimento e non rimpinzarlo con pranzi sontuosi: se infatti lo rinforzerai ti si rivolterà contro muovendoti una guerra senza tregua, finché renderà schiava la tua anima e ti menerà servo della lussuria. 

Il corpo indigente è come un docile cavallo e mai disarcionerà il cavaliere: questo, infatti, costretto dal freno, arretra e obbedisce alla mano di chi tiene le briglie, mentre il corpo, domato dalla fame e dalle veglie, non recalcitra per un cattivo pensiero che lo cavalca né nitrisce eccitato dall’impeto delle passioni

AVE MARIA!

giovedì 17 novembre 2011

LA TRIPLICE CONCUPISCENZA: SUPERBIA AVARIZIA LUSSURIA




La superbia

<<La superbia (1) È un tumore dell'anima pieno di sangue. Se matura scoppierà, emanando un orribile fetore. Il bagliore del lampo annuncia il fragore del tuono e la presenza della vanagloria annuncia (2) la superbia. L'anima del superbo raggiunge grandi altezze e da lì cade nell'abisso. Si ammala di superbia l'apostata di Dio ascrivendo alle proprie capacità le cose ben riuscite (3).



Come colui che sale su una tela di ragno precipita, così cade colui che si appoggia alle proprie capacità. Un'abbondanza di frutti piega i rami dell'albero e un'abbondanza di virtù umilia la mente dell'uomo. Il frutto marcio È inutile al contadino e la virtù del superbo non È accetta a Dio. Il palo sostiene il ramo carico di frutti e il timore di Dio l'anima virtuosa. Come il peso dei frutti spezza il ramo così la superbia abbatte l'anima virtuosa. Non consegnare la tua anima alla superbia e non avrai terribili fantasie. L'anima del superbo È abbandonata da Dio e diviene oggetto di gioia maligna per i demoni. Di notte egli si immagina branchi di belve che l'assalgono e di giorno È sconvolto da pensieri di viltà. Quando dorme facilmente sussulta e quando veglia lo spaventa l'ombra di un uccello (4). Lo stormire delle fronde atterrisce il superbo e il suono dell'acqua spezza la sua anima. Colui che infatti poco prima si È opposto a Dio respingendo il suo soccorso, viene poi spaventato da volgari fantasmi>>.

Capitolo 18



<<La superbia precipitò l'arcangelo dal cielo (1) e come un fulmine lo fece piombare sulla terra. L'umiltà invece conduce l'uomo verso il cielo e lo prepara a far parte del coro degli angeli. Di che ti inorgoglisci, o uomo, quando per natura sei melma e putredine (2), e perché ti sollevi sopra le nuvole? Guarda alla tua natura poiché sei terra e cenere e fra un po' tornerai alla polvere (3), ora superbo e tra poco verme. A che pro sollevi il capo che tra non molto marcirà? Grande È l'uomo soccorso da Dio; una volta abbandonato egli riconobbe la debolezza della natura.

Nulla possiedi che tu non abbia ricevuto da Dio. Perché dunque ti scoraggi per ciò che appartiene ad altri come se fosse tuo? Perché ti vanti di quel che viene dalla grazia di Dio come se fosse una tua personale proprietà? Riconosci colui che dona e non ti inorgoglire tanto: sei creatura di Dio, non disprezzare perciò il Creatore. Dio ti soccorre, non respingere il beneficatore (4). Sei giunto alla sommità della tua condizione (5), ma lui ti ha guidato; hai agito rettamente secondo virtù ed egli ti ha condotto. Glorifica chi ti ha innalzato per rimanere al sicuro nelle altezze; riconosci colui che ha le tue stesse origini perché la sostanza È la medesima e non rifiutare per iattanza questa parentela>>.

Capitolo 19


<<Umile e moderato È colui che riconosce questa parentela; ma il demiurgo (1) plasmò sia lui sia il superbo. Non disprezzare l'umile: infatti egli È più al sicuro di te: cammina sulla terra e non precipita; ma colui che sale più in alto, se cade, si sfracellerà. Il monaco superbo È come un albero senza radici e non sopporta l'impeto del vento. Una mente senza boria (2) È come una cittadella ben munita e chi vi abita sarà imprendibile. Un soffio di vento solleva la festuca e l'insulto porta il superbo alla follia (3). Una bolla scoppiata svanisce e la memoria del superbo perisce. La parola dell'umile addolcisce l'anima, mentre quella del superbo È ripiena di millanteria. Dio si piega alla preghiera dell'umile, È invece esasperato dalla supplica del superbo. L'umiltà È la corona della casa e tiene al sicuro chi vi entra. Quando salirai al sommo delle virtù allora avrai molto bisogno di sicurezza. Colui infatti che cade sul pavimento rapidamente si rialza, ma chi precipita da grandi altezze, rischia la morte (4). La pietra preziosa si addice al bracciale d'oro e l'umiltà umana risplende di molte virtù>>.

                                                  
L'avarizia


<<L'avarizia (1) È la radice di tutti i mali e nutre come maligni ramoscelli le rimanenti passioni e non permette che inaridiscano quelle fiorite da essa (2). Chi vuole recidere le passioni ne estirpi la radice; se infatti poti per bene i rami e l'avarizia permane, non ti gioverà a nulla, perché essi, nonostante siano stati recisi, subito fioriscono. Il ricco monaco È come una nave troppo carica che viene sommersa dall'impeto di un fortunale: come infatti una nave che imbarca acqua È messa alla prova da ogni onda, così il ricco È sommerso dalle preoccupazioni.

Il monaco che nulla possiede È invece un agile viaggiatore e trova dimora ovunque. Egli È come l'aquila che vola in alto e scende giù a cercare cibo quando vi È costretta. È superiore ad ogni prova, se la ride del presente e si leva in alto allontanandosi dalle cose terrene e accompagnandosi a quelle celesti: infatti ha ali leggere mai appesantite dalle preoccupazioni. Sopraggiunge l'oppressione ed egli lascia il luogo senza dolore; la morte arriva e quegli se ne va con animo sereno: infatti l'anima non È stata legata da vincolo terreno di sorta. Chi invece molto possiede soggiace alle preoccupazioni e, come il cane, È legato alla catena, e, se viene costretto ad andarsene, si porta dietro, come un grave peso e un'inutile afflizione, i ricordi delle sue ricchezze, È punto dalla tristezza e, quando ci pensa, soffre molto, ha perso le ricchezze e si tormenta nello scoramento. E se arriva la morte abbandona miseramente i suoi averi, rende l'anima, mentre l'occhio non tralascia gli affari; a malincuore viene trascinato via come uno schiavo fuggiasco, si separa dal corpo e non si separa dai suoi interessi (3): poiché la passione lo trattiene più di ciò che lo trascina via>>.

Capitolo 8

<<Il mare non si riempie mai del tutto pur ricevendo la gran massa d'acqua dei fiumi, allo stesso modo il desiderio di ricchezze dell'avaro non È mai sazio, egli le raddoppia e subito desidera quadruplicarle e non cessa mai questo raddoppio, finché la morte non mette fine a tale interminabile premura (1). Il monaco assennato baderà alle necessità del corpo e sopperirà con pane e acqua allo stomaco indigente, non adulerà (2) i ricchi per il piacere del ventre, né asservirà la sua libera mente a molti padroni: infatti le mani sono sempre sufficienti a servire il corpo e soddisfare le necessità naturali. Il monaco che non possiede nulla È un pugile che non può essere colpito in pieno e un corridore veloce che raggiunge rapidamente il premio dell'invito celeste (3).

Il monaco ricco gioisce per i molti proventi, mentre quello che non ha nulla gode per i premi che gli vengono dalle cose ben riuscite. Il monaco avaro lavora duramente mentre quello che non possiede nulla usa il tempo per la preghiera e la lettura. Il monaco avaro riempie d'oro i penetrali (4), mentre quello che nulla possiede tesoreggia in cielo. Che sia maledetto colui che foggia l'idolo e lo nasconde, simile a colui che È affetto da avarizia: l'uno infatti si prostra di fronte al falso e all'inutile, l'altro porta in sé l'immagine (5) della ricchezza, come un simulacro>>.

La lussuria


<<La temperanza genera l'assennatezza, mentre la gola È madre della sfrenatezza; l'olio alimenta il lume della lucerna e la frequentazione delle donne attizza la fiaccola del piacere.
La violenza dei flutti infuria contro il mercantile mal zavorrato come il pensiero della lussuria sulla mente intemperante.
La lussuria accoglierà come alleata la sazietà, la congederà, starà con gli avversari e combatterà alla fine con i nemici. Rimane invulnerabile alle frecce nemiche colui che ama la tranquillità, chi invece si mescola alla folla riceve in continuazione percosse.

Vedere una femmina È come un dardo velenoso, ferisce l'anima, vi intrude il tossico e quanto più perdura , tanto più alligna la sepsi. Chi intende difendersi da queste frecce sta lontano dalle affollate riunioni pubbliche e non gironzola a bocca aperta nei giorni di festa; È infatti assai meglio starsene a casa passando il tempo a pregare piuttosto che compiere l'opera del nemico credendo di onorare le feste. Evita la dimestichezza con le donne se desideri essere saggio e non dar loro la libertà di parlare e neppure fiducia. Infatti all'inizio hanno o simulano una certa cautela, ma in seguito osano di tutto spudoratamente: al primo abboccamento tengono gli occhi bassi, pigolano dolcemente, piangono commosse, l'atteggiamento È grave, sospirano con amarezza, pongono domande sulla castità e ascoltano attentamente; le vedi una seconda volta e alzano un poco il capo; la terza volta si avvicinano senza troppo pudore; hai sorriso e quelle si sono messe a ridere sguaiatamente; in seguito si fanno belle e ti si mostrano con ostentazione, cambia il loro sguardo annunciando l'ardenza, sollevano le sopracciglia e ruotano gli occhi, denudano il collo e abbandonano l'intero corpo al languore, pronunciano frasi ammollite nella passione e ti sfoggiano una voce fascinosa ad udirsi finché non espugnano completamente l'anima. Accade che questi ami ti adeschino alla morte e queste reti intrecciate ti trascinino alla perdizione; e dunque non farti neppure ingannare da quelle che si servono di discorsi ammodo: in costoro infatti si occulta il maligno veleno dei serpenti.


Capitolo 5

<<Accostati al fuoco ardente piuttosto che ad una giovane donna, soprattutto se sei giovane anche tu: quando infatti ti avvicini alla fiamma e senti un bel bruciore, ti puoi allontanare rapidamente, mentre quando sei lusingato dalle ciarle femminili , difficilmente riesci a darti alla fuga. L'erba cresce quand'è vicina all'acqua, come germina l'intemperanza bazzicando le femmine.

Colui che si riempie il ventre e fa professione di saggezza È simile a chi afferma di frenare la forza del fuoco nella paglia. Come infatti È impossibile contrastare il mutevole guizzare del fuoco nella paglia, così È impossibile colmare nella sazietà l'impeto infiammato dell'intemperanza.
Una colonna poggia sulla base e la passione della lussuria ha le fondamenta nella sazietà.


La nave preda delle tempeste si affretta a raggiungere il porto e l'anima del saggio cerca la solitudine: l'una fugge le minacciose onde del mare, l'altra le forme femminili che portano dolore e rovina.
Una fattezza abbellita di donna affonda più di un maroso: ma l'uno ti dà la possibilità di nuotare se vuoi salva la vita, invece la bellezza muliebre, dopo l'inganno, ti persuade a disprezzare financo la vita stessa.
Il rovo solitario si sottrae intatto alla fiamma e il saggio che sa tenersi lontano dalle donne non si accende d'intemperanza: come infatti il ricordo del fuoco non brucia la mente, così neppure la passione ha vigore se manca la materia.

Capitolo 6


<<Se avrai pietà per il nemico esso ti sarà nemico, e se farai grazia alla passione essa ti si ribellerà contro. La vista delle donne eccita l'intemperante, mentre spinge il saggio a glorificare Dio; se in mezzo alle donne la passione sta tranquilla non prestare fede a chi ti annuncia che hai raggiunto l'apatheia. E infatti il cane scodinzola quando È lasciato in mezzo alla folla , mentre, quando se ne allontana, mostra la propria malvagità. Solo quando il ricordo della donna affiorerà in te privo di passione, allora ritieniti giunto ai confini della saggezza. Quando invece la sua immagine ti spinge a vederla e i suoi strali accerchiano la tua anima, allora ritieniti fuori dalla virtù.
Ma non devi perdurare così in tali pensieri né la tua mente deve per molto familiarizzare con le forme femminili, la passione È infatti recidiva e ha accanto il pericolo.
Come infatti accade che un'appropriata fusione purifichi l'argento, ma, se prolungata, facilmente lo distrugga, così una insistente fantasia di donne distrugge la saggezza acquisita: non avere infatti familiarità a lungo con un volto immaginato affinché non ti si appicchino le fiamme del piacere e non bruci l'alone che circonda la tua anima: come infatti la scintilla, rimanendo in mezzo alla paglia, sprigiona le fiamme, così il ricordo della donna, persistendo, incendia il desiderio>>.
Da "GLI OTTO SPIRITI MALVAGI", Evagrio P. 
 http://www.scribd.com/doc/70805850/EVAGRIO-PONTICO-Glio-Otto-Spiriti-Malvagi

AMDG et BVM

giovedì 16 giugno 2011

Prega, fratello, prega, sorella. (1)






Tre massime, tre perle:
 

14. Mitezza

La preghiera è un germoglio della mansuetudine e dell’assenza di collera.

15. Letizia

La preghiera è un frutto della gioia e della riconoscenza.

16. Rimedio alle frustrazioni

La preghiera è difesa contro la tristezza e lo scoraggiamento.

Evagrio Pontico. La preghiera.

Ave Maria, Gratia plena!