martedì 30 maggio 2023

O CON GESU' O COL DIAVOLO

Patrizia Stella: O CON GESU' O COL DIAVOLO:                  Considerazioni alla luce degli ultimi gravi avvenimenti   LINK. N. 1  CIONCI AL DIRETTORE DE "LA BUSSOLA"     h...

Prete Don Gaston benedice il fiume che sta per esondare 18/maggio/2023 in quel di Pescara







Dio non può che amare il bene...

 






  • LA DOTTRINA IGNORATA

Omosessualità, i Focolarini confondono peccato e peccatore

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Anche i Focolarini chiedono un cambio di paradigma in tema di omosessualità. E lo fanno attraverso Avvenire parlando del gruppo “Nessuno solo”, pensato per accogliere figli gay e trans. Ma si dimentica la distinzione tra peccatore (da accogliere) e peccato (da abbandonare).



Appare ogni giorno sempre più evidente che all’interno della Chiesa cattolica c’è una strategia ben pianificata per sdoganare omosessualità e transessualità che per la dottrina cattolica rimangono e rimarranno per sempre condizioni intrinsecamente disordinate (clicca qui e qui).

In merito all’omosessualità i plurimi giudizi negativi, da parte del Magistero recente, su questa condizione e sui relativi atti si possono rinvenire in: Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2357-2358; Congregazione per la Dottrina della Fede, Persona humana, n. 8, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 3; Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, n. 10; Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, n. 4.

In netta antitesi all’insegnamento limpido del Magistero ormai sono in molti - laici, uomini di Chiesa, istituzioni ecclesiali, movimenti religiosi, eccetera - a chiedere un cambio di paradigma, ossia di dottrina, su queste tematiche. Ultimi, in termini di tempo, sono i Focolarini, i quali giocano la solita carta dell’accoglienza delle persone omo e transessuali per accogliere in realtà omosessualità e transessualità. Ne parla Avvenire, che si guarda bene dal criticare simile scelta. Anzi Luciano Moia, penna di riferimento nel giornale per questi temi, verga un pezzo che incensa un simile approccio gay friendly.

I Focolarini hanno creato il gruppo “Nessuno solo”, formato da coppie di genitori provenienti da tutto il mondo, con lo scopo di accogliere i figli gay e trans dei membri del movimento. Più precisamente, come spiega Moia, «l’obiettivo non è quello di trovare una ricetta buona per tutte le situazioni o di esprimere valutazioni giudicanti sui diversi casi». Ovviamente si usa un linguaggio ambiguo per ingoiare il cammello e pure il moscerino. Chiariamoci bene: è doveroso giudicare negativamente omosessualità e transessualità e condotte conseguenti. Il giudizio è negativo perché omosessualità e transessualità non fanno il bene della persona. Da qui lo sforzo di accompagnare queste persone ad abbandonare queste condizioni. Irragionevole invece assecondarle nelle loro condotte che le renderebbero ancor più infelici. Parimenti è doveroso sospendere ogni giudizio sulla responsabilità individuale riguardo a chi assume queste condotte. Giudizio quest’ultimo che spetta a Dio. In sintesi: doveroso giudicare condizione e atti, vietato giudicare la responsabilità della persona.

Moia intervista Maria e Gianni Salerno, responsabili centrali di questo gruppo, i quali dichiarano: «Sentiamo l’importanza di essere vicini alle famiglie e ai loro figli e stiamo cercando di individuare come creare spazi di accoglienza e condivisione, perché tutti possano scoprire e sperimentare l’amore di Dio. Il riferimento rimane l’obiettivo espresso al n. 250 di Amoris laetitia perché tutti, indipendentemente dal loro orientamento sessuale possano “realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”. Sicuramente abbiamo compreso ancora di più che siamo tutti figli di un Dio che ci ama immensamente così come siamo e ha a cuore la felicità dei nostri figli e la nostra».

Questo è un altro topos tipico di chi vuole cattolicizzare l’omosessualità e la transessualità: Dio ci ama come siamo. Ribadiamo alcuni concetti già espressi in passato: Dio ama il peccatore, ma non il peccato. Più correttamente dovremmo dire che ama la persona che pecca nonostante i suoi peccati. Quindi non ama il peccatore in quanto peccatore, ma ama la persona nonostante sia anche peccatrice. La costituzione apostolica del Concilio Vaticano II Gaudium et spes a questo proposito appunta: «Occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose» (n. 28). Parole che fanno eco a quelle di papa Giovanni XXIII: «Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre e anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità» (Pacem in terris, n. 83).

Dio accoglie a braccia aperte il ladro, l’omicida, la prostituta, la persona omosessuale, l’adultero, ma non accoglie a braccia aperte il furto, l’omicidio, la prostituzione, l’omosessualità e l’adulterio. Così san Tommaso d’Aquino: «Nei peccatori si possono considerare due cose: la natura e la colpa. Per la natura, che essi hanno ricevuto da Dio, i peccatori sono capaci della beatitudine […]. Perciò per la loro natura essi devono essere amati con amore di carità. Invece la loro colpa è contraria a Dio, ed è un ostacolo alla beatitudine. Quindi per la colpa, con la quale si oppongono a Dio, tutti i peccatori devono essere odiati […]. Infatti nei peccatori dobbiamo odiare che siano peccatori, e amare il fatto che sono uomini capaci della beatitudine. E questo significa amarli veramente per Dio con amore di carità» (Summa Theologiae, II-II, q. 25, a. 6 c.).

Dio non può che amare il bene e quindi non può che amare le parti buone del nostro essere: ama la bontà che trova in noi, non la nostra malvagità. Il luogo comune “Dio ti ama per quello che sei” è accettabile se lo riferiamo solo alle parti migliori di noi, ossia alle azioni buone da noi compiute. Dio non potrebbe mai amare il lato omicida di una persona. Il Signore perciò non ama tutto ciò che siamo. Sotto altra prospettiva, ma giungendo alle medesime conclusioni, potremmo dire che Dio ci ama sempre come persone, ma siamo noi che con le nostre azioni ci allontaniamo dal suo amore. Per accogliere l’amore di Dio dunque dobbiamo essere degni del suo amore, cioè lo stato della nostra anima deve essere adeguato al suo amore. Dio scarica su di noi la pioggia del suo amore, della sua grazia, ma, se noi apriamo l’ombrello del peccato, non una goccia di quell’amore potrà toccarci. Infatti, Dio non obbliga nessuno ad amarlo e a ricevere il suo amore.

Il “Dio ti ama come sei”, inteso come qui abbiamo descritto, infine sfocia in un paradosso: se Dio ci ama per quello che siamo e Tizio ad esempio è un ladro, perché Tizio dovrebbe cessare di essere un ladro dato che comunque Dio lo ama anche se ladro? Non esisterebbe più il dovere di conversione, ciò a voler dire che non ci sarebbe l’obbligo di abbandonare il peccato perché, anche se pecchi, Dio ti ama ugualmente e sei salvo a prescindere dalle tue scelte.

https://lanuovabq.it/it/omosessualita-i-focolarini-confondono-peccato-e-peccatore

vedi anche: https://www.radioromalibera.org/larci-e-avvenire-quando-a-vespasiano-risponde-orazio/

AMDG et D.V. MARIAE

domenica 28 maggio 2023

Le giovani generazioni sono così attratte dalla liturgia tradizionale ....

 

  • CONTROTENDENZA

Parigi-Chartres: il rito antico spopola tra i giovani

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Malgrado le restrizioni, le giovani generazioni sono così attratte dalla liturgia tradizionale che lo "storico" pellegrinaggio francese deve chiudere le iscrizioni: i posti non bastano. Tra loro anche molti partecipanti alla GMG. I numeri e l'età media parlano da soli: la Tradizione non è indietrismo, è il futuro.

Compie quarant’anni il Pellegrinaggio della gioventù francese Parigi-Chartres, organizzato dall’Associazione Notre-Dame de Chrétienté. E quest’anno, per la prima volta, gli organizzatori hanno dovuto comunicare a malincuore di non poter accettare più ulteriori iscrizioni. Overbooking. Resta solo ancora qualche posto per la fascia 13-17 anni, ma la realtà, scrivono gli organizzatori, è impietosa: «la dimensione dei bivacchi, il numero di tende che vi si possono installare, la lunghezza della colonna in movimento, che supererebbe le 2 ore, ritardando troppo l'arrivo degli ultimi pellegrini».

Una colonna di 16.000 giovani pellegrini e quattro treni prenotati per il ritorno a Parigi: è partito così, oggi, lo storico pellegrinaggio nato senza troppi clamori nel 1983, come pellegrinaggio del Centre Henri Charlier, segno della Francia cattolica e dall’animo monastico, che voleva reagire alla decristianizzazione e all’impietosa secolarizzazione. Già due anni dopo i pellegrini potevano entrare nella cattedrale di Chartres per celebrarvi la Messa conclusiva. Con la crisi delle ordinazioni episcopali da parte di Mons. Marcel Lefebvre, le porte della cattedrale resteranno chiuse fino al 1989, quando Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei afflicta, riconoscerà un posto nella Chiesa a tutte le realtà, piene di giovani famiglie, legate al rito romano antico.

Da quando la Messa nel rito antico ha conosciuto nuove restrizioni, i partecipanti al pellegrinaggio sono aumentati a dismisura. Effetto Traditionis Custodes? Forse. In ogni caso dovrebbe essere l’ “effetto Gamaliele” a far riflettere le autorità ecclesiastiche e farle ritornare sui propri passi; per non ritrovarsi a combattere contro Dio. Tanto più che un sondaggio realizzato dal quotidiano La Croix (vedi qui  e qui) tra  30 mila giovani francesi che parteciperanno alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, rivela che quasi il 40% di loro apprezza la Messa in rito antico; altrettanti ritengono di non esserne attratti, ma non sono contrari, mentre  appena un 12% pare aver interiorizzato la stigmatizzazione dell’indietrismo, ritenendo che il Rito antico costituisca un inutile ritorno al passato. Questo è per chi non ha occhi che per i numeri; ma se qualcuno volesse rendersi conto della realtà, il che non guasterebbe, basterebbe parlare con questi giovani. Come ha fatto Matthieu Lasserre per il quotidiano francese di ispirazione cattolica.

Jeanne è una mamma di 28 anni, e non proviene da una famiglia tradizionalista; eppure, ama la Messa nel Rito romano antico, perché avverte «questa sensazione di essere là per Cristo. Dimentico chi è il sacerdote, la cui personalità passa in secondo piano, e sono rivolta verso l’essenziale». Un bell’aiuto per sostenere la lotta di papa Francesco al clericalismo. Ma c’è anche altro ad attrarre alla Messa antica, come spiega Élodie: « Prego con il messale della mia bis-bis nonna. Ho l’impressione d’inserirmi nel prolungamento delle radici della Chiesa e di tutti i grandi santi che hanno pregato con queste stesse parole».

Lo storico del cattolicesimo, Paul Airiau, spiega così il successo della Messa in latino tra le giovani generazioni: «L'interesse del rito tridentino è quello di offrire un pacchetto completo che appare efficace. È una coerenza musicale e rituale, con la garanzia di una stabilità delle forme, qualunque sia il luogo. E funziona, perché questo set è spiegato in connessione con una certa visione della Chiesa e del mondo. C'è una dimensione molto strutturante con una formazione politica, spirituale, teologica e filosofica e una dimensione assoluta specifica della gioventù».

Stabilità, coerenza, visione, assoluto: antidoti formidabili alla fluttuante e liquida “cultura” del relativismo; nella quale evidentemente questi giovani non si trovano a loro agio. E cercano altro: altro, non un prolungamento del mondo verniciato di spiritualità. Aspetti che lo stesso Airiau riconosce come attrattivi anche nei confronti di quei giovani che avevano abbandonato la pratica della fede. Pur con giusta prudenza, ma è un fatto che le comunità legate al rito antico risultano molto aperte verso “quelli di fuori”: «è una dinamica che non è nuova, ma che è stata sottostimata. Ormai esiste un’ibridazione tra la gioventù tradi e quella non tradi».

Altro dato di grande interesse è il fatto che questi giovani non si fanno troppi problemi a frequentare  sia il rito antico che quello riformato. Questa «fluidità liturgica» che si registra, non è tuttavia indifferentismo, perché questi giovani tendono a conservare alcuni elementi del rito antico, che hanno imparato ad apprezzare. Come quello di ricevere la Comunione in ginocchio e sulla lingua. L’intento del Summorum Pontificum, cassato dal Papa, rivive nei giovani?

Non solo sensibilità liturgica. I giovani che andranno alla prossima GMG si dimostrano in controtendenza rispetto alle generazioni che li hanno preceduti ed appaiono decisamente più “conservatori”. Un termine che in realtà è ideologizzato, e che non è in grado di «rendere conto delle molteplici dimensioni della vita di fede», scrive Jerôme Chapuis. E militanti: «Questi giovani della GMG sono impegnati non solo nella Chiesa, ma anche nella società, spesso con i più poveri. Si allenano intellettualmente». Una realtà ben viva, decisamente diversa rispetto a quello che viene per lo più presentato come un mondo di nostalgici, un po’ ai margini della vita della Chiesa.

Anche il sociologo Yann Raison du Cleuziou deve ammettere che «sorprendentemente, il sondaggio mostra la forza del conservatorismo tra i giovani cattolici». La sorpresa è solo per chi ha dovuto attendere i risultati di un sondaggio per comprendere i tratti di una realtà che aveva già sotto gli occhi.

C’è un altro elemento di interesse, ad emergere: «Fatto nuovo, i giovani cattolici di destra hanno più esperienza militante di chi si dice di centro o di sinistra. Si permettono di condurre battaglie conservatrici, ad esempio facendo campagne su questioni di bioetica (35%) o di moralità sessuale (32%)», spiega ancora du Cleuziou. «Nella misura in cui il cambiamento sociale rimane molto apprezzato nella società, questo conservatorismo non li rende guardiani dell'ordine stabilito, ma paradossalmente dei contestatori».  Una realtà ben diversa da quella che il sociologo francese chiama di centro-sinistra ed ecologista, e che si autodefinisce come «la generazione papa Francesco», caratterizzata da un maggiore conformismo.

E tuttavia questo spirito di contestazione che caratterizza i giovani “di destra” non li porta all’anarchia, ma li attacca ancora di più all’istituzione: «tra le diverse risposte proposte, la rappresentazione della Chiesa che raccoglie consensi maggioritari è quella di una Chiesa che, nella società, deve essere un “faro che indica la strada nelle tenebre” (59%)». Questi giovani evidentemente concordano con l’idea che Gesù stesso aveva della sua Chiesa e dei suoi pastori. Ed è per questa ragione che «non appena entrano in gioco le posizioni più conformi al magistero, sono sempre le sensibilità maggioritarie di destra a sostenerle, mentre la sinistra mantiene una posizione più distaccata». Al contrario solo il 7% identifica la Chiesa come «ospedale da campo».

Per esempio, sulla questione del ruolo delle donne nella Chiesa il 64% chiude definitivamente al diaconato e al sacerdozio femminile. E ben il 33% afferma che nella Chiesa si sentono più che riconosciute, mentre è la società civile, che non le tutela come madri di famiglia.

Chapeau all’onestà della redazione de La Croix. Questa è la realtà, questo è il futuro. Riusciranno prima o poi i nostri pastori a far pace con quello che lo Spirito opera nella Chiesa? Lo Spirito Santo, non lo spirito del Concilio.

 AMDG et D.V.MARIAE

Cari ragazzi e ragazze!






 



DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio "Meazza", San Siro
Sabato, 2 giugno 2012

[Video]

 

Cari ragazzi e ragazze!

E’ una grande gioia per me potervi incontrare durante la mia visita alla vostra Città. In questo famoso stadio di calcio, oggi i protagonisti siete voi! Saluto il vostro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Scola, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Grazie anche a Don Samuele Marelli. Saluto il vostro amico che, a nome di tutti voi, mi ha rivolto il benvenuto. Sono lieto di salutare i Vicari episcopali che, a nome dell’Arcivescovo, vi hanno amministrato o amministreranno la Cresima. Un grazie particolare alla Fondazione Oratori Milanesi che ha organizzato questo incontro, ai vostri sacerdoti, a tutti i catechisti, agli educatori, ai padrini e alle madrine, e a quanti nelle singole comunità parrocchiali si sono fatti vostri compagni di viaggio e vi hanno testimoniato la fede in Gesù morto e risorto, e vivo.

Voi, cari ragazzi, vi state preparando a ricevere il Sacramento della Cresima, oppure l’avete ricevuto da poco. So che avete compiuto un bel percorso formativo, chiamato quest’anno «Lo spettacolo dello Spirito»

Aiutati da questo itinerario, con diverse tappe, avete imparato a riconoscere le cose stupende che lo Spirito Santo ha fatto e fa nella vostra vita e in tutti coloro che dicono «sì» al Vangelo di Gesù Cristo. Avete scoperto il grande valore del Battesimo, il primo dei Sacramenti, la porta d’ingresso alla vita cristiana. Voi lo avete ricevuto grazie ai vostri genitori, che insieme ai padrini, a nome vostro hanno professato il Credo e si sono impegnati a educarvi nella fede. 

Questa è stata per voi – come anche per me, tanto tempo fa! – una grazia immensa. Da quel momento, rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, siete entrati a far parte della famiglia dei figli di Dio, siete diventati cristiani, membri della Chiesa.

Ora siete cresciuti, e potete voi stessi dire il vostro personale «sì» a Dio, un «sì» libero e consapevole. 

Il sacramento della Cresima conferma il Battesimo ed effonde su di voi con abbondanza lo Spirito Santo. Voi stessi ora, pieni di gratitudine, avete la possibilità di accogliere i suoi grandi doni che vi aiutano, nel cammino della vita, a diventare testimoni fedeli e coraggiosi di Gesù. 

I doni dello Spirito sono realtà stupende, che vi permettono di formarvi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della comunità. Ricordo brevemente questi doni, dei quali già ci parla il profeta Isaia e poi Gesù:

– il primo dono è la sapienza, che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva Gesù, «sale della terra»;

– poi il dono dell’intelletto, così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede;

– quindi il dono del consiglio, che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi;

– il dono della fortezza, per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio;

– viene poi il dono della scienza, non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all'Università, ma scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c’è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile;

– un altro dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell’amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c’è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto;

- il settimo e ultimo dono è il timore di Dio - abbiamo parlato prima della paura -; timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio.

....  https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2012/june/documents/hf_ben-xvi_spe_20120602_stadio-meazza.html

AMDG et D.V.MARIAE

venerdì 26 maggio 2023

Furono tutti pieni di Spirito Santo

 



Don Davide Banzato

Tacciano le parole e parlino le opere

Oggi commentiamo insieme il passo degli Atti degli Apostoli 2,2-4.6: “Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. […] Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua”. Quello che accadde a Gerusalemme è un miracolo unico perché gli apostoli, grazie allo Spirito Santo, parlano a popoli di varie nazionalità che li sentono parlare nella propria lingua.

Viene in mente Genesi 11 quando – a causa della costruzione della Torre di Babele - il Signore confuse la lingua e l’unità si era perduta perché ci si era voluti innalzare cercando di affermare il proprio ego. Nella Pentecoste viene ritrovata l’unità grazie allo Spirito Santo. Questo passo degli Atti degli Apostoli al capitolo viene commentato anche da Sant'Antonio di Padova nei suoi Sermoni: “Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato chi parla secondo lo Spirito e non secondo l'inclinazione del proprio animo”.

Per Antonio molto spesso parliamo secondo il nostro spirito, non buono, rubiamo le parole degli altri e le propaliamo come nostre. Oppure parliamo e basta e a parole non si convince nessuno. Ci sono tanti profeti menzogneri, millantatori, parolai. Chi parla col cuore, chi parla e ama ed è coerente tra ciò che dice e vive, tocca il cuore delle persone.

Parliamo quindi secondo lo Spirito Santo, secondo la lingua dell’Amore, con umiltà, e davvero si realizzerà ogni giorno una nuova Pentecoste, illuminando la vita di chiunque incontriamo.

Sant’Antonio aggiunge: “La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere”. Parlino dunque le opere grazie allo Spirito Santo. Purtroppo, siamo ricchi di parole e a volte sono parole vuote e quante volte ci capita di perdere tempo dietro al gossip, dietro ai social, ai commenti e a parole che feriscono inutilmente? E per questo Sant'Antonio, commentando questo brano, afferma: “Beato chi parla secondo lo Spirito e non secondo l'inclinazione del proprio animo”. Esiste un linguaggio che è quello del proprio animo, del proprio ego e che può portarci alla divisione, a non capirci, all'incomprensione, al non ascolto, pur essendo nell'epoca della comunicazione.

Invece esiste un linguaggio dello Spirito che ci porta come gli Apostoli a parlare e ad essere capiti, ascoltati e amati, perché quando ci sentiamo capiti ci sentiamo veramente amati. Forse allora potremmo dire che lo Spirito Santo, che è Amoreci può donare quell'unico linguaggio, quella lingua dell’Amore che è comprensibile al di là di ogni barriera culturale e geografica. Facciamo nostre le parole di Sant'Antonio: Tacciano le parole, parlino le opere! Questa lingua, che è proprio dell'amore dello Spirito Santo, non può essere autentica se non si incarna in opere concrete di carità e amore nella vita di tutti i giorni.

AMDG et D.V.MARIAE

domenica 21 maggio 2023

sabato 20 maggio 2023

Dottrina Sociale della Chiesa

 


Senza Dio non c’è Dottrina Sociale della Chiesa, la lezione di Benedetto XVI

Ratzinger ha confermato tre fondamenti imprescindibili della Dottrina sociale della Chiesa, senza i quali non ha senso parlare di impegno sociale dei cattolici. Essi riguardano: la “questione teologica”, il recupero della legge morale naturale, l’impossibilità della neutralità rispetto a Dio.
- DOSSIER: IN MORTE DI UN PAPA

Ci si può chiedere quale sia stato l’apporto di Benedetto XVI alla Dottrina sociale della Chiesa (DSC) e se dalle posizioni da lui espresse in proposito ci si debba allontanare o piuttosto attenersi ad esse e svilupparle. Benedetto si è occupato di molti temi particolari della vita sociale e politica, ha scritto anche una enciclica sociale, la Caritas in veritate (2009), ma il segno specifico del suo interesse per questo ambito della teologia consiste nell’averne confermato i fondamenti per renderla ancora viva. Questo nel quadro di una sua fondamentale preoccupazione, che segna tutto il suo pontificato e che egli espresse in modo particolarmente drammatico nella Lettera sui vescovi lefebvriani del 10 marzo 2009 e durante il viaggio in Portogallo del 13 maggio 2010: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio […]. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più».

Oggi la Chiesa si trova davanti a questa inedita urgenza: la ricostruzione dell’umano a partire dalla riproposta di Dio. Perché è “inedita” questa urgenza? Perché mai era capitato prima che la cultura umana si costruisse contro la religione e che la religione non potesse rivolgersi ad una natura umana capace di accoglierla. I primi cristiani sapevano di poter contare sull’esistenza della natura umana, che a loro modo anche i filosofi pagani avevano espresso e valorizzato. Oggi, mentre si spegne la fede sparisce anche l’umano dell’uomo.

Con queste motivazioni Benedetto ha indicato tre fondamenti imprescindibili sulla cui base si ergono, oggi come ieri, l’insegnamento sociale della Chiesa e l’impegno sociale dei cattolici. Chi dovesse rifiutarli non potrebbe più parlare di DSC, considerata un equivoco davanti al quale passare oltre.

Il primo fondamento sta nell’indicare che la “questione antropologica” in fondo altro non è che la “questione teologica”. Benedetto ha adoperato spesso la prima di queste due espressioni, sostenendo che la questione sociale è ormai diventata la questione dell’uomo. Ma sbaglierebbe chi si fermasse qui, annoverando questa affermazione nel contesto della “svolta antropologica” della teologia contemporanea. In verità, il vero e proprio carattere benedettiano di questo insegnamento sta nella seconda espressione: «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi esso sia» (CV n. 78). Nella Caritas in veritate egli constata una «coscienza ormai incapace di conoscere l’umano» (n. 75) e, quanto alla causa, afferma: «L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano» (n. 78). Riferimenti alla DSC che non abbiano come scopo primario riaprire un posto a Dio nel mondo sono insufficienti e devianti. Credo che Benedetto XVI volesse dire questo quando ci indicava la strada della “anamnesi”: l’incontro con Cristo mette in moto il ricordo e permette il recupero della dimensione naturale di cui ci si era scordati.

Il secondo fondamento è il pieno recupero della legge morale naturale, in una cultura che rifiuta il concetto stesso di natura. Egli ne parlava partendo dalla razionalità del creato e dalla constatazione che non siamo frutto del caso o del determinismo. La legge morale naturale, egli diceva, è come la lingua che esprime la realtà. La questione di fondo, a questo proposito, è se la visione della realtà come un tutto che ci parla sia recuperabile da parte della sola ragione naturale o no. Il venir meno della ragione metafisica ha certamente causato la secolarizzazione del cristianesimo in quanto l’accesso al trascendente è possibile concettualmente solo tramite la metafisica, però è vero anche il contrario, ossia che la secolarizzazione della fede ha permesso la rinuncia allo slancio della ragione metafisica. Siamo così di fronte ad una situazione nuova: dovrà essere la fede cristiana a porsi come obiettivo di rilanciare la ragione metafisica e l’unità del sapere. Spetta ai pensatori cristiani aprire questa strada ed è desolante constatare lo scarso impegno in questo senso dei centri accademici cattolici.

Il terzo fondamento consiste nell’affermare che quando le questioni mondane, che solitamente vengono affidate alla ragione, si staccano da Dio per conseguire la propria autonomia si pongono non già in un ambito di neutralità rispetto a Dio, ma di opposizione. Infatti, se la logica della costruzione non è in qualche modo riconducibile a Dio, pur nella sua legittima autonomia di metodi e linguaggio, essa di fatto espunge da sé la prospettiva di Dio e si costruisce come se Dio non fosse, che non è un modo neutro di costruirsi, ma un modo di costruirsi senza Dio. A Sidney, per la Giornata mondiale della Gioventù, il 17 luglio 2008, egli aveva detto: «Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” […]. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire».

La “questione teologica”, il recupero della legge morale naturale, l’impossibilità della neutralità rispetto a Dio sono fondamenti in grado di illuminare tutti i principi della DSC e salvarli dalle deformazioni oggi in atto.

di STEFANO FONTANA

AMDG et D.V.MARIAE