lunedì 15 marzo 2021

Notizie della 'Vita del Fratello laico Gerardo Maiella del SS. Redentore....


 
I MIRACOLI COMPIUTI DA SAN GERARDO MAIELLA A LACEDONIA

San Gerardo Maiella nacque a Muro Lucano, in provincia di Potenza, il 6 aprile del 1726, da
Domenico e da Benedetta Galella.
Il padre, sarto, riusciva a mantenere decorosamente tutta la famiglia, formata da sei persone: il
padre, la madre, tre figlie ed infine Gerardo.

Già da piccolo mostrava i segni della sua santità attraverso il suo comportamento in chiesa ed in
casa. In un angolo del’unico vano che serviva da abitazione, aveva costruito il so altarino con
l’immagine di San Michele Arcangelo e di altri Santi, presso il quale trascorreva lungo tempo in
preghiera. Aveva circa sei anni quando la famiglia venne a trovarsi in ristrettezze finanziarie, per
cui scarseggiava il cibo. Risale a quel periodo l’amicizia stretta fra Gerardo e il Bambinello della
chiesa di Capodigiano, che distava qualche chilometro dal paese. Qui si recava il piccolo Gerardo
ogni mattina da solo. Gesù bambino scendeva dalle braccia della madonna, giocava con Gerardo ed
infine gli offriva un bel panino bianco, che egli portava a sua madre. Interrogato sulla provenienza
di quel pane, rispondeva che glie lo aveva donato il figlio di “quella bella Signora”.

All’età di dodici anni rimase orfano di padre e si vide costretto a fare l’apprendista presso la sartoria
Pannuto per imparare lo stesso mestiere del genitore.
Nel 1740 ricevette la Cresima dal Vescovo di Lacedonia, Mosignor Claudio Albini, per fare visita
ai parenti. Invitato da quest’ultimo ad andare al suo servizio, accettò e nel 1741 venne presso il
seminario di Lacedonia, dove si trattenne fino alla morte del Vescovo, avvenuta nel 1744.
Ritornato a Muro, lavorò da sarto in qualità di apprendista presso la sartoria Mennona e l’anno dopo
si mise a lavorare per proprio conto.

Nel 1749, dopo molti tentativi falliti, a causa del suo fisico fragile che gli impediva di essere
accettato negli ordini religiosi, riuscì finalmente ad entrare nella Congregazione dei Redentoristi e
fu assegnato al convento di Deliceto.
Verso la fine di novembre del 1752 tornò a Lacedonia per la questua del grano e del vino e vi si
trattenne, dimorando in casa Cappucci, per qualche mese.
Nel febbraio del 1753, durante un viaggio da Melfi a Lacedonia, avendo smarrito la strada per via di
una furiosa tempesta, vi si fece condurre dal demonio apparsogli per spaventarlo. Nell’autunno del
1753 venne di nuovo a Lacedonia, chiamato dal Vescovo e dall’Arciprete, durante una epidemia
che aveva colpito la città.
Nel 1754 Gerardo fu oggetto della calunnia di Nerea Caggiano, la quale ritrattò dopo qualche mese.
All’alba del 16 ottobre del 1755 morì a Materdomini: le campane suonate a lutto rimandarono un
suono festoso.

IL MIRACOLO DELLA CHIAVE CADUTA NEL POZZO A LACEDONIA.
Il bordo del Pozzo del Miracolo – Museo diocesano San Gerardo Maiella
Alfonso Amarante, nel suo pregevole testo dal titolo “Gerardo Maiella - Strada Facendo”, a
proposito di Lacedonia si esprime in questi termini:
«Lacedonia è stata, ed è forse, la città più legata e cara a Gerardo, nella buona e nella cattiva
sorte. Sua residenza per quattro anni (1740 – 1744), l’ha frequentata, poi, spesso, a più riprese, per
diversi mesi...».

Nei fatti non si può che concordare con l’ottimo studioso, anche perché la storia della “santità” di
Gerardo trova proprio tra queste strade antiche, che si snodano nel centro storico tra case ormai
silenti perché abbandonate, taluni momenti fondamentali del suo farsi. A Lacedonia, infatti, San
Gerardo operò uno dei suoi più celebri miracoli, ancor più eclatante perché egli all’epoca era
giovanissimo e non era affatto tenuto in odore di santità, ma considerato per antonomasia portatore
quanto meno di dabbenaggine, per usare un vocabolo non troppo corrosivo. È tradizione che egli, in
altri termini, non fosse troppo acuto quanto ad intelletto e pertanto si dice che la gente comune non
perdesse occasione per prenderlo in giro, senza che però egli se ne avesse a male. E tuttavia il senno
del poi dimostra che veniva scambiata una visione delle cose troppo più alta rispetto alla media per
semplicità. E comunque, parafrasando il noto aforisma di Ennio Flaiano che recita «Il peggio che
possa capitare ad un genio è di essere compreso», dirò che non capita mai che un santo compreso
immediatamente, perché vede di solito oltre il banale sentire comune.

E dunque Gerardo era stato assunto in qualità di servitore dal Vescovo Albini, Episcopo della
diocesi di Lacedonia, essendo suo conterraneo. L’iconografia tradizionale ci mostra l’alto prelato
nelle vesti di uomo collerico e per nulla incline alla dolcezza, anzi piuttosto rude nei modi e 
addirittura manesco. Probabilmente tale tradizione amplifica le caratteristiche negative di tal pastore
d’anime per fare in modo che le virtù di pazienza e di spirito di sacrificio, che pure Gerardo
possedeva a profusione, rifulgano ancora di più nel confronto. Nei fatti, però, quella era un’epoca
nella quale l’educazione dei giovani passava attraverso la frusta e non è escluso che anche la
pedagogia dell’Albini si basasse sul celebre detto popolare “mazz’ e panell’ fann’ li figl’ bell’”
(bastone e pane rendono i figli belli).

Accadde dunque un giorno che, uscito il Vescovo, Gerardo chiuse la porta degli appartamenti
episcopali e si recò ad attingere acqua al sottostante pozzo. Poggiata la chiave sull’antica pietra
circolare che ne costituisce il bordo (oggi ancora visibile), questa gli cadde accidentalmente in
acqua poggiandosi sul fondo. Non fu certamente il timore della punizione a preoccupare Gerardo,
anche perché egli ricercava la penitenza in tutti i modi, e quando non la trovava in azioni altui se la
infliggeva da solo. Fu invece il pensiero che avrebbe dato un dispiacere al suo Vescovo ad intristirlo
oltremodo, al che fece la sola cosa che gli venne in mente in quel momento: decise come sempre di
affidarsi a Gesù. Corse nell’attigua cattedrale1
e staccata la statuetta di un bambinello dalle braccia
della statua di Sant’Antonio, la cinse alla vita con una corda e la calò nel pozzo pronunziando due
semplici parole: “Pensaci Tu”. Tra la meraviglia degli astanti, soprattutto delle numerose donne che
attendevano il loro turno per attingere acqua al pozzo, che all’epoca si trovava nella pubblica via e
non era ancora stato chiuso da mura, tirata su la statuetta, si vide che questa recava tra le mani la
chiave perduta.

Come già detto Gerardo all’epoca era giovanissimo e non era fatto oggetto di eccessiva stima.
Come è immaginabile, la percezione sociale sulla sua figura mutò in un batter d’occhi non appena,
come il vento, si sparse notizia dell’evento prodigioso, che le comari presenti divulgarono in un
battibaleno.
Il Pozzo è ancora là, al suo posto, se pure inglobato nei locali dell’Episcopio, che ospitano il museo
dedicato proprio al nome di San Gerardo Maiella, e sorprende non poco che esso non goda ancora
delle visite che merita, anche se, ad onor del vero, negli ultimi tempi esse si vanno facendo più
frequenti.


GLI ALTRI MIRACOLI OPERATI DA SAN GERARDO A LACEDONIA.
La storia di San Gerardo Maiella non è certamente qualcosa di inedito e nulla, rispetto alla marea di
scrittori che ne hanno fatto argomento di narrazione, è possibile aggiungere. Gli archetipi
gnoseologici risalgono più o meno all’epoca stessa nella quale visse San Gerardo, giacché i suoi
primi biografi, e di conseguenza quelli più attendibili, furono i suoi confratelli coevi, a cominciare
dal Padre Gaspare Caione, primo in assoluto, seguito Padre Antonio Maria Tannoia e Padre
Giuseppe Landi.
A tali fonti si sono rifatti in prima istanza tutti gli autori seguenti, naturalmente quelli successivi alla
beatificazione di San Gerardo avvenuta soltanto nel 1893 da parte di Leone XIII ed alla sua
definitiva consacrazione agli altari, datata al 1904 ad opera di Pio X, i quali hanno anche potuto
attingere notizie anche agli atti del lungo processo di canonizzazione e che pertanto risultano essere
oltremodo esaustivi. Ciò che varia, dall’uno all’altro degli agiografi, sono lo stile di scrittura ed il
focus narrativo puntato su determinati elementi biografici in dipendenza degli interessi particolari
coltivati da ciascuno. Ad esempio, non sono stati in pochi a soffermarsi soprattutto sul soggiorno di

1
La cattedrale è quella attuale.
San Gerardo nel convento di Materdomini, ove morì, per quanto egli vi sia vissuto per un tempo
molto breve rispetto a quello in cui dimorò in altri luoghi operando prodigi straordinari. Ancora
oggi, se a scrivere fosse qualcuno legato a Muro Lucano, porrebbe giustamente l’accento su quanto
il Santo, da bambino, fece nel suo paese di nascita. Ed ecco dunque che lo scrivente, impegnato a
redigere una storia di Lacedonia, non può che attenersi a tale regola prendendo in considerazione
soltanto i miracoli che egli ebbe a compiere in loco e, tra di essi, quelli più eclatanti.


II. 3, 1 GUARIGIONI MIRACOLOSE.
Lunghissimo sarebbe l’elenco, se mai dovessimo metterlo nero su bianco, di coloro i quali furono
guariti a Lacedonia per l’intercessione di Frate Gerardo già quando egli era ancora in vita. La fama
di tali suoi carismi era talmente diffusa, essendo riconosciuta anche dal clero, che nel 1754,
scatenatasi a Lacedonia una grave epidemia che stava mietendo innumerevoli vittime, il Vescovo
del luogo Niccolò Amato, accogliendo una richiesta esplicita dell’Arciprete Domenico Cappucci,
pregò il Superiore del convento di Deliceto, Padre Carmine Fiocchi, di inviare Gerardo ad offrire
sollievo e conforto spirituale agli ammalati. Nei fatti speravano entrambi che le sue preghiere
avrebbero prodotto guarigioni miracolose e che avrebbe arrestato il flagello epidemico, come poi
effettivamente avvenne.
Fu accolto dalla popolazione, memore dei prodigi che egli aveva già compiuto in città fin dai tempi
nei quali vi abitava da ragazzo, con manifestazioni di giubilo, «come angelo disceso dal cielo»,
secondo l’espressione usata dalla maggioranza dei suoi agiografi, quasi che con il suo semplice
arrivo il morbo fosse già stato sconfitto.
Tra i primi a trarre giovamento dall’azione taumaturgica di San Gerardo fu l’Arcidiacono Antonio
Saponiero, che si ritrovava in fin di vita: bastò un tocco ed una preghiera perché egli fosse restituito
immediatamente ad una salute perfetta.
Non trascorse molto tempo, peraltro, che l’epidemia stessa ebbe a dissolversi completamente,
accanto ai timori del popolo.
In altra occasione Frate Gerardo si trovava a Lacedonia per farvi la questua. Venuto a sapere che
una giovane donna, Lella Cocchia, era stata colpita da demenza, ragion per la quale proferiva una
gran quantità di parole oscene, mosso a compassione si fece accompagnare a casa della sventurata e
le restituì l’intelletto con un solo segno di croce. Subito la fanciulla prese a cantare le lodi del
Signore e della Beatissima Vergine, né mai più, come attestato negli atti per la beatificazione, ebbe
a pronunziare alcuna sconcezza.
Di altri simili eventi non si vuole fare cenno in queste pagine per non appesantirle troppo, essendo
esse largamente risapute.


II. 3, 2 UN FENOMENO DI ESTASI MISTICA E CONTEMPORANEA LEVITAZIONE.
A molti Santi è accaduto, quando cadevano in stato di estasi, di sconfiggere la forza di gravità e di
volteggiare in aria. A tale fenomeno non era estraneo certamente Gerardo, che ne veniva colto senza
che neppure se ne accorgesse. Ospite un giorno in Casa Cappucci2
, fu condotto dal padrone di casa,
Costantino, ad ammirare alcuni quadri di argomento religioso, tra i quali quello raffigurante la
Vergine Maria. Immediatamente gli affiorò alle labbra una esclamazione che egli non trattenne:

2
Attuale Casa Pandiscia, che si trova di fronte al municipio e vicino alla cattedrale, naturalmente a
lacedonia.
«Quanto è bella! Mirate quanto è bella!». Quindi cadde in estasi e a vista di tutti si librò dal
pavimento fino a raggiungere l’altezza della tela, baciandola devotamente. I testimoni di tale scena,
che erano quasi tutti sacerdoti, ne rimasero impressionati fortemente ed altrettanto commossi.

II. 3, 3 UN FENOMENO DI BILOCAZIONE.

Anche la bilocazione apparteneva all’esistenza giornaliera di San Gerardo e in una occasione esso
ebbe a palesarsi anche a Lacedonia. Un uomo che lavorava al servizio della famiglia Di Gregorio,
nella cui casa San Gerardo si era fermato spesso, si ammalò in maniera molto grave e, mentre
giaceva a letto in preda a lancinanti dolori, corse con il pensiero proprio a Gerardo, esclamando: «O
fratello mio, Gerardo mio, dove sei? Perché non vieni ad aiutarmi?» Improvvisamente vide accanto
a sé la figura esile del fraticello redentorista il quale gli rispose: «Tu mi hai chiamato ed io sono
venuto ad aiutarti. Hai tu fede in Dio? Abbila e sarai guarito!» Lo segnò con la croce sulla fronte e
disparve. All’istante svanirono tutti i dolori e egli, che aveva ripreso le sue energie, si levò dal
giaciglio per ringraziarlo. Ma non lo trovò e, per giunta, in casa non c’era nessuno che lo avesse
visto arrivare o ripartire. In quegli stessi frangenti, infatti, si trovava impegnato in altre faccende nel
convento di Deliceto.

II. 3, 4 IN CASA DI GREGORIO TRAMUTA UNA BOTTE DI ACETO IN OTTIMO VINO.
Ritengo che per narrare il prodigio de quo le parole migliori sono quelle scritte negli atti del
processo tenuto per la beatificazione. Il passo recita, testualmente: «La madre delle monache Chiara
e Veronica Di Gregorio discorrendo un giorno col Servo di Dio di molte cose della casa, gli fece
intendere che aveva perduto una botte di vino che era convertito in forte aceto. Sorrise al racconto
Gerardo, e colei credendosi burlata lo invitò a scendere nella cantina per fargliela vedere. Vi
acconsentì il Servo di Dio, e come fu giunto presso la botte, muovendo la destra su quella, segnò
una croce. La buona signora, n’estrasse in un boccale circa una caraffa per fargli di fatto vedere che
il vino era aceto. Lo gustò Gerardo e disse che quello era ottimo vino e non aceto, e ciò dicendo la
invitava a gustarlo. Lo fece e restò attonita e meravigliata, osservando tutto il contrario di quello che
aveva sperimentato nei giorni precedenti con tutta la sua famiglia. Tutta Lacedonia fu informata di
questo nuovo prodigio del Servo di Dio».

II. 3, 5 LA SOTTOMISSIONE DEL DIAVOLO, COSTRETTO AD ACCOMPAGNARLO A LACEDONIA.
Mentre si trovava a Melfi gli fu ingiunto di partire, per quanto il clima non promettesse nulla di
buono. In omaggio alla “santa obbedienza”, alla quale mai egli si sarebbe sognato di derogare, non
ascoltò quanti lo sconsigliavano vivamente dal porsi in viaggio con quel tempo, ma salì in groppa
ad un ronzino e prese strada verso Lacedonia. Si scatenò quasi subito una vera tempesta, con tuoni,
lampi e violenti scrosci di acqua che lo colpivano violentemente: ma ciò non lo fece desistere dal
continuare, sia pure molto lentamente. E così giunse sulle sponde dell’Ofanto, che era in piena e in
quei frangenti stava rompendo gli argini essendo in procinto straripare. Tale situazione era molto
pericolosa e poteva costargli anche la vita, ma non per questo pensò di tornare indietro. Si fermò
tuttavia per comprendere in qual modo potesse guadare il fiume e quale strada gli convenisse
prendere, giacché entro poco tempo sarebbe calata la sera ed egli avrebbe corso il rischio concreto
di perdersi, considerato che già la pioggia e i nembi aveva fatto calare sulla terra una sorta di cappa
oscura. All’improvviso vide un’ombra che si materializzò in una figura umana ed 
contemporaneamente, mentre il cavalo sobbalzava, udì una voce cavernosa che pareva giungere
dagli abissi. Sghignazzando l’uomo, che aveva occhi come di brace, gli disse: «Ora non puoi più
nulla. Sei nelle mie mani!» ma San Gerardo, per nulla intimorito, replicò: «Ah, sei tu, bestia
d’inferno! Nel nome della Trinità ti ordino di prendere le briglie e guidarmi fino a Lacedonia!»
Digrignando violentemente i denti e quasi ruggendo alla stregua di belva domata, costretto da
volontà ben superiore alla sua, perché era quella del suo Creatore, il demone guidò tra boschi ed
impervi sentieri, nella tenebra, il santo fino all’ingresso di Lacedonia, ove sorge proprio la chiesa
dedicata alla Santissima Trinità3
. Indi, sempre nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
lo scacciò, recandosi che era notte piena presso la casa di Don Costantino Cappucci, il quale
sorpreso di vederlo in una notte di burrasca così intensa, ebbe a chiedergli, come è in uso
scherzosamente dire: «Ma chi ti ha accompagnato, il diavolo?»
Avrebbe senza dubbio taciuto se nulla gli fosse stato domandato, ma fatto segno di una domanda
diretta ed essendo aduso a dire in ogni occasione la verità, fu costretto a raccontare quanto aveva
vissuto al suo ospite, il quale, naturalmente, divulgò la storia, che si riseppe: altrimenti non sarebbe
mai stata conosciuta.

3 La chiesa della Santissima Trinità era stata costruita pochi decenni prima, ovvero agli inizi del 1700, dal Vescovo Giovan Battista La Morea.
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VITA MERAVIGLIOSA DI SAN GERARDO MAIELLA - pdf

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