domenica 14 febbraio 2021

1. Divinità della confessione. — 2. Antichità della confessione. — 3. Necessità della confessione. — 4. Facilità della confessione. — 5. Eccellenza e vantaggi della confessione

CONFESSIONE (1)

1. Divinità della confessione. — 2. Antichità della confessione. — 3. Necessità della confessione. — 4. Facilità della confessione. — 5. Eccellenza e vantaggi della confessione: 1° Testimonianza degli empi; 2° Rammarico dei protestanti per aver abolita la confessione; 3° Gl'indifferenti rendono omaggio alla confessione; 4° Vantaggi sociali e morali della confessione.

1. Divinità della confessione. — Il giorno della sua risurrezione, Gesù Cristo comparve in mezzo a’ suoi discepoli e, detto per due volte: La pace sia con voi, soggiunse: Come il Padre ha mandato me, così io mando voi; quindi soffiò sopra di loro e soggiunse: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti (Ioann. XX, 21-23).
S. Matteo (XVI, 19) riferisce che Gesù Cristo così parlò a S. Pietro: «Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e qualunque cosa legherai su la terra, sarà, legata in cielo e tutto ciò che scioglierai in terra, sarà sciolto nei cieli ».
Ora chi non vede, che per rimettere e ritenere i peccati, per legare o sciogliere le coscienze, è necessario che si conoscano le mancanze commesse, le colpe di cui sono ree? E come conoscerle senza la confessione?... Le parole formali di Gesù Cristo stabiliscono nel modo più chiaro, assoluto e perentorio la confessione: essa dunque è divina...
Anche S. Paolo scrivendo ai Corinti usa queste espressioni significantissime: «Gesù Cristo ha confidato a noi il ministero della riconciliazione; ha posto nella nostra bocca la parola della riconciliazione » (II Cor. V, 18-19).
Se la confessione non fosse d’istituzione divina, nessuno certamente si confesserebbe... L’uso della confessione prova la divinità della sua origine. La confessione è un dogma cattolico fondato sopra parole precise di Gesù Cristo: è la credenza di tutta la Chiesa, di tutti i secoli, di tutti i Padri, di tutti i concili, di tutti i teologi, di tutti i santi...
Voltaire medesimo asseriva essere la confessione un ordinamento divino; che non ebbe origine se non dalla misericordia infinita del suo autore. L’obbligo di pentirsi data dal giorno in cui l’uomo divenne colpevole: ora, perché si veda il pentimento è necessario che si confessino le colpe.

2. Antichità della confessione. — Adamo fu il primo penitente; egli si confessò quando disse: Ho mangiato del frutto vietato (Gen. III, 12). Eva si confessò dicendo: Il serpente mi ha ingannata (Ib. 13). Si confessò Caino, benché invano, perché si confessò da disperato, quando disse: «La mia iniquità è troppo enorme, perché io possa sperarne perdono » (Gen. IV, 13). Percossi dalla peste, gli Ebrei nel deserto confessano i loro peccati... Faraone anch’esso confessa i suoi delitti, sebbene non  se ne penta... Davide denunzia la sua colpa al profeta Natan. Il figliuol prodigo si umilia ai piedi del padre e gli dice: « Padre, io ho peccato contro il cielo e in vostra presenza » (Luc. XV, 18). Il Centurione, la Samaritana, la Maddalena, si confessano a Gesù Cristo. Pietro esclama: « Allontanati da me, o Signore, perché sono un peccatore» (Luc. V, 8). Il buon ladrone fa su la croce una pubblica confessione (Luc. XXIII, 41).
S’incontrano nella sacra Scrittura esempi di confessione sia pubblica, sia privata. Negli Atti Apostolici, per esempio, leggiamo che un grande numero di fedeli andavano ai piedi degli Apostoli a confessare i loro peccati (Act. XIX, 18). Qui si tratta di una confessione fatta a uomini, di una confessione che ha per scopo di ottenere il perdono dei peccati. Ora non è questa la confessione sacramentale?
Nel I secolo della Chiesa S. Clemente, successore di S. Pietro, scriveva a quei di Corinto, che coloro ai quali importava la salute dell’anima propria non si vergognassero di confessare i propri peccali al preside dell’assemblea, per ottenerne il perdono; e soggiungeva che S. Pietro comandava di svelare ai preti perfino i cattivi pensieri. Convertiamoci, esclamava, finché siamo su la terra, perché nell’eternità non ci sarà più dato né di confessarci, né di fare penitenza (Epist. II Cor.).
Nel II secolo, Tertulliano riprendeva coloro che, più curanti del loro onore che della loro salute, rifuggivano dal manifestare le loro colpe; e li paragonava a coloro che, colpiti da qualche malattia sequela, non la manifestano al medico e si lasciano perciò morire. Quindi conchiudeva: È dunque meglio dannarvi nascondendo i vostri peccati, che salvarvi confessandoli? (De Poenit.).
Il celebre Origene, nel secolo III, scriveva: Se noi ci pentiamo dei nostri peccati e li confessiamo non solamente a Dio, ma anche a chi può guarire le piaghe fatteci dai peccati, questi ci saranno rimessi (Homil. II in Psalm. XXXVII).
Nel IV secolo, S. Atanasio così si esprime: Come l’uomo battezzato è illuminato dallo Spirito Santo, così chi confessa i suoi peccati, per mezzo della penitenza ne ottiene la remissione dal prete (Solecta Ss. Patrum). E nel medesimo secolo S. Basilio scrive: È assolutamente necessario scoprire i propri peccati a coloro che hanno ricevuto la dispensazione dei misteri di Dio.
Nel V secolo, sappiamo di S. Ambrogio e di S. Paolino che, quando un penitente si prostrava ai loro piedi per confessarsi, piangevano in modo da far piangere anche il peccatore. S. Agostino così predicava: Nessuno dica: Io fo penitenza segretamente innanzi a Dio, e basta che Colui che mi deve perdonare conosca la penitenza ch’io faccio in fondo al mio cuore. Se così fosse, inutilmente avrebbe detto Gesù Cristo : Quello che voi scioglierete su la terra, sarà sciolto in cielo; inutilmente avrebbe dato alla Chiesa le chiavi del paradiso. Adunque non basta confessarsi a Dio, bisogna confessarsi a quelli che hanno da lui ricevuto il potere di sciogliere e legare (Serm. II in Psalm. c. I).
Non si è mai udito, afferma S. Giovanni Climaco nel VI secolo,, che i peccati confessati al tribunale della penitenza sieno stati propalati; così ha Dio disposto, affinché i peccatori non siano distolti dal confessarsi, e privati dell'unica speranza di salute che loro rimanga, (Vit. Patr.).
Per i seguenti secoli VII, VIII, IX, X, tante sono e così certe le prove dell’esistenza della confessione auricolare, che ci dispensiamo dal recarne i documenti, restringendoci a ricordare che neùll’XI Sant'Anselmo diceva: Scoprite fedelmente, per mezzo di un’umile confessione, al sacerdote tutte le macchie della lebbra che vi deforma l’interno e ne sarete purificati (Homil. in decem. lepr.). E nel XII S. Bernardo cosi parlava: Che giova manifestare una parte dei propri peccati e tacere l’altra? Non è forse tutto aperto agli occhi di Dio? Come! voi osate celare qualche cosa a colui che fa le veci di Dio in cosi grande sacramento! (Opusc. in 7° grad. Confess.).
Insomma in tutti i tempi, da Gesù Cristo fino a noi, l’esistenza della confessione auricolare è attestata in modo innegabile...
La confessione sacramentale e auricolare fu e sarà sempre in vigore, perché di origine divina; la confessione pubblica, al contrario, non essendo che d’istituzione ecclesiastica, non ha più luogo, essendo cessate le cause per cui era stata introdotta.
Quando Gesù Cristo venne su la terra, dice l’autore delle Recherches, ecc., trovò già in uso la confessione; ed imponendo a’ suoi discepoli l’obbligo di confessarsi, non fece già una legge nuova, ma confermò e perfezionò una legge antica (Matth. V, 17). A quel modo che innalzò il rito del matrimonio alla dignità di sacramento, così ad una simile dignità elevò il rito della confessione e le assegnò grazie speciali col farne una parte essenziale del sacramento della penitenza. Ciò spiega come il precetto della confessione non sollevò mormorii né tra i Giudei né tra i Gentili; vi erano assuefatti, la riguardarono come cosa naturale; una tradizione continua ed universale ne mostrava la necessità indispensabile.

3. Necessità della confessione. — I peccati saranno perdonati a coloro a cui voi li perdonerete, disse Gesù Cristo a’ suoi apostoli (Ioann. XX, 23). Per conseguenza, chi vuole ottenere il perdono dei propri peccati, deve confessarsi; Gesù Cristo non promette né la sua grazia, né il cielo se non a questo prezzo... Quello che voi scioglierete su la terra sarà sciolto nel cielo... Non v’è altro mezzo per slegare che la confessione, perché a questo filo Gesù Cristo ha attaccato la libertà dell’anima; è dunque necessaria. E necessaria per umiliarsi, per rigettare da sé il peccato, per espiarlo...
Ai sacerdoti, secondo S. Paolo, Dio affidò il ministero della riconciliazione; a loro dunque deve rivolgersi chi vuole riconciliarsi con Dio.
Se noi confessiamo i nostri peccati, dice l’Apostolo Giovanni, Iddio, fedele e giusto com’è, ce li perdonerà (I Ioann. I, 9). Se noi confessiamo i nostri peccati; bisogna dunque confessarsi.
L'apostolo non dice: — se pregate, se digiunate, — ma — se confessate le vostre colpe, Dio vi perdonerà; in conseguenza, alla confessione solamente, Iddio connette la remissione dei peccati... (P salvi. XCIX, 4). Entrate nella porta che mena a Dio per la confessione, dice il Salmista. S. Agostino commenta queste parole dicendo che nessuno può arrivare alla porta della misericordia divina per altra via che quella della confessione dei propri peccati. Ed altrove il medesimo Dottore dice: Dio ha creato il giusto; l’uomo ha prodotto il peccatore. Distruggete, o peccatori, quello che avete fatto voi, affinché Dio salvi quello che ha fatto lui. Bisogna che detestiate in voi l’opera vostra, affinché amiate in voi l’opera di Dio. Quando comincerete a detestare quello che avete fatto, il bene nascerà in voi per la confessione dei vostri peccati: il principio delle buone opere sta nella confessione delle cattive (Tract. XII in Ioann.).
« Dopo il battesimo, dice S. Bernardo, non v’è più per l’uomo altro rimedio, che il ricorrere alla confessione ».
Per soggiogare Betulia, Oloferne ordinò che fossero tagliati tutti i canali che conducevano l’acqua nella città (Iudith VII, 6). Bella figura per esprimere come, tolta la confessione, solo canale per cui viene dal cielo all’uomo l’acqua della grazia e del perdono, l’anima rimane in potestà del demonio, e non v’è più per lei né grazia, né perdono, né salvezza, né paradiso...
Gesù Cristo ha detto alla sua Chiesa: Andate, ammaestrate le nazioni tutte quante; chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me e chi non obbedisce alla Chiesa, sia tenuto in conto di pagano ed idolatra, perché io stesso sarò con voi sino alla consumazione dei secoli (Matth. XXVIII, 19-20 - Luc. X, 16 - Matth. XVIII, 17). Da queste parole risulta che la Chiesa, sacra sposa di Gesù Grido, ha ricevuto dal suo divino sposo tutti i poteri che veste egli medesimo e per conseguenza la potestà di fare leggi. Ora ecco una legge che essa intima di osservare sotto pena di colpa mortale: Confesserai tutti i peccati dimeno una volta l'anno.
Il concilio di Trento afferma che, «tanto è necessario il sacramento della penitenza a quelli che sono caduti in peccato dopo il battesimo, quanto è necessario il battesimo a quelli che non l’hanno ancora ricevuto »; e pronunzia anatema contro chiunque «neghi che la confessione sacramentale è necessaria alla salute, di diritto divino ». La confessione è dunque necessaria, e chi non obbedisce a questo precetto, disprezza la Chiesa, egli è anatema.
La confessione, dice l’abate Gaume, fu e sarà sempre riguardata come l'unico mezzo per ottenere la remissione dei peccati; anzi è assurdo il supporre che ve ne sia un altro. Infatti, se vi fosse nella religione un altro mezzo per rientrare in grazia di Dio, se bastasse, per esempio, umiliarsi davanti a lui, digiunare, pregare, fare elemosina, confessare i propri falli nel cuore, che ne avverrebbe? Che nessuno si confesserebbe. E chi sarebbe sì stolto da andare a chiedere, supplicando ai piedi di un uomo, una grazia facile ad ottenersi senza di lui e malgrado di lui? Dei due mezzi gli uomini sceglieranno sempre quello che è più facile, e concilia al tempo stesso gli interessi della salute e dell'amor proprio. Che cosa diviene allora la confessione istituita da Gesù Cristo? Essa cade e resta nel mondo senza ossequio e senza effetto. Che cosa diviene il potere sublime da lui conferito a’ suoi ministri, di rimettere e ritenere i peccati? Non è evidente che questa, potestà così divina e sorprendente diventa un potere ridicolo e pienamente illusorio, perché essi non potrebbero mai esercitarlo? Quindi ne risulta che o vi è obbligo per tutti i peccatori di confessare le loro colpe ai sacerdoti, o Gesù Cristo si è burlato de’ suoi apostoli e de’ suoi sacerdoti dicendo loro: «Saranno rimessi i peccati a coloro a cui voi li rimetterete e saranno ritenuti a quelli a cui li riterrete ». Si sarebbe ancora burlato di loro quando disse: «Vi darò le chiavi del regno dei cieli». Che servirebbe loro avere le chiavi del paradiso, se si potesse entrarvi senza che ci fossero aperte per mezzo del loro ministero?
Voi vedete che se la confessione non fosse l’unico, l’indispensabile mezzo per ottenere il perdono dei peccati, le parole del figliuol di Dio sarebbero insignificanti, false e menzognere: bestemmia orribile, che tanto vale quanto negare la divinità medesima di Gesù Cristo. Chi vuole sottrarsi alla legge della confessione, deve calpestare non solamente l’autorità di Gesù Cristo e della Chiesa, ma ancora quella del senso comune, soffocare la voce della natura, la quale grida ad ogni colpevole: Non si dà perdono senza pentimento, né pentimento senza confessione della colpa (Gaume, Catéch, de persév., Part. II, lect. XXXIX).
In conclusione, il sacramento della penitenza è necessario di necessità di mezzo e di diritto divino, a tutti quelli che hanno perduto l’innocenza battesimale col commettere la colpa grave; è il solo, l’unico mezzo che Dio ha lasciato alla sua Chiesa per riconciliarli con lui.

4. Facilità della confessione. — Dolce è il mio giogo, leggero è il mio peso, disse il Salvatore: queste parole si verificano specialmente nella confessione, continua il citato autore Gaume. Poteva nostro Signore Gesù Cristo mostrarsi verso di noi più indulgente? Dopo un peccato mortale noi meritiamo l’inferno, cioè supplizi eterni, inauditi, senz’alleviamento. Egli poteva subordinare il nostro perdono alla condizione che più gli fosse piaciuta e, trattandosi di evitare l’inferno, nessuna condeizione sarebbe sembrata troppo dura. Ciò posto, non saremmo ingiusti se pretendessimo che, obbligandoci a confessare i nostri peccati al suo ministro, Dio abbia posto a troppo alto prezzo il proprio perdono? Giudichiamolo dalla seguente ipotesi: Un uomo del volgo venne ammesso alla corte di un potente principe. Nulla mancava alla sua felicità, onori, ricchezze, piaceri, tutto gli era concesso. Tanti benefizi avrebbero dovuto inspirargli un’affezione senza limiti, un attaccamento inviolabile per il suo signore, eppure non fu cosi. Trascinato da abbietta passione, l’ingrato commise contro il proprio benefattore un enorme delitto che non fu conosciuto, è vero, dal pubblico, ma giunse tuttavia a notizia del principe con prove bastanti perché non vi restasse ombra di dubbio. Allora il re usando del diritto che avea di punirlo, pronunziò la condanna del colpevole. Pallido, tremante, con gli occhi a terra, lo sventurato viene, condotto al supplizio. Già l’esecutore tiene levata sul capo di lui la scure e l’ingrato è sul punto di scontare con la morte il proprio delitto. Ma ad un tratto echeggia un grido: Grazia! grazia! in nome del re!!! Vedete voi quest’uomo rinascere alla vita? egli osa appena erodere al proprio udito, il suo cuore si dilata per allegrezza. L’inviato del re arriva presso il colpevole e gli dice: « Il mio padrone è buono; egli ti concede il perdono, ma a condizione che tu confessi il tuo delitto ad uno de’ suoi ministri senza tacere la minima circostanza. E' questa la sola condizione che dalla sua generosità ti è imposta; scegli tra il supplizio e questo mezzo di salvezza». Ora il colpevole giubilando esclama: « Inviatemi questo ministro; io sono pronto a confessare tutto, non mi resta che il timore che il mio re possa ritrattarsi». Egli non ha ancora finito, ed ecco giungere un secondo inviato che gridando, grazia in nome del re! si avvicina al reo e gli dice: «Il mio signore è buono, non solo lascia in tua balìa la scelta del ministro a cui dichiarare il tuo misfatto, ma di più comanda al ministro da te scelto un assoluto silenzio su tutto quello che gli avrai confidato, sotto pena di venire in luogo tuo sul palco. Se tu accetti, il re mio padrone dimentica per sempre la tuo colpa, ti riammette nella sua grazia, ti restituisce ne’ tuoi onori e nelle tue dignità». Pensate voi i nuovi trasporti di gioia del paziente e le benedizioni che indirizza la folla al generoso monarca.
L'applicazione è facile. Ecco tutta la storia della confessione. Chi oserà chiamarla un giogo penoso?
Cercate quanto volete nei libri dei savi e nei costumi delle nazioni, non troverete nulla di così commovente, di così paterno, di cosi efficace a riformare i costumi, come la maniera con cui si opera al tribunale della penitenza la riconciliazione dell’uomo con Dio. Qui veramente, come dice il Profeta, « s’incontrano la misericordia e la verità, qui si abbracciano (come due sorelle da lungo tempo divise) la giustizia e la pace» (Psalm. LXXXIV, 11). Volete voi sapere quanto vi è di tenero in quel bacio di riconciliazione che il Creatore si degna, di dare alla sua creatura? Confrontate i tribunali umani col tribunale di Dio. Quando uno è accusato di qualche delitto, la giustizia lo fa ricercare dagli sgherri; questo sventurato non gode più un giorno lieto, non dorme sonno tranquillo. Egli è costretto a celarsi nelle foreste, tremando allo stormire di ogni foglia, finché umilmente viene arrestato e caricato di ferri. Tratto ignominiosamente di prigione in prigione, arriva al luogo dove si pronunzierà la sua, sentenza. Sul tribunale, innanzi a cui è chiamato a comparire, stanno scritte queste tremende parole: giustizia, castigo. Arriva il giorno del giudizio: in presenza al reo seggono giudici che hanno soltanto il potere di punire, non di perdonare; accanto vi sono testimoni ed accusatori,. sul suo capo si vede sospesa, se è dichiarato colpevole, una scure sanguinosa. Se sfugge alla morte, va incontro a pene infamanti, a catene che si logoreranno insieme con la vita, la separazione temporanea o perpetua da quanto egli ha di più caro al mondo. E tutto ciò lo renderà forse migliore? Oimè! no. — Tale è l’umana giustizia.
Ben diversa si mostra la giustizia divina. Col punire su la terra, Dio non mai si spoglia del suo carattere di Padre. Quindi, allorché un uomo, cioè uno de’ suoi figli, l’oltraggia, gli mancia il rimorso. Questo araldo di Dio penetra nel cuore del peccatore, vi si stabilisce, lo punge e lo inquieta senza tregua. A poco a poco, il peccatore, stanco, si arresta, rientra in se stesso. Una voce più soave si fa udire: è la voce del pentimento. Teneri ricordi sopraggiungono misti al tristo pensiero dello stato presente. La vergogna, il timore s’impadroniscono dell’anima sua e preparano l’arrivo della speranza. Ad un tratto parole dolci come quelle di una madre, di una madre che geme, suonano al suo cuore: «Venite a me voi che siete nell’afflizione ed io vi consolerò ». E queste parole escono dalla bocca medesima del suo giudice. Egli non teme più, e quindi s’incammina, condotto dal rimorso, dal pentimento e dalla speranza verso la casa di Dio.
In faccia a lui vi è un tribunale sul quale la fede legge questa confortante iscrizione: Alla misericordia. Ivi nessuna pena infamante, non patibolo, non galera, non carcere. A questo tribunale siede un giudice che è più che un uomo, ma che non è già un angelo; egli stesso ha bisogno di misericordia. Egli, è il vicario della carità di Gesù Cristo, rivestito delle sue viscere di compassione. Non ha su le labbra che incoraggiamenti, benedizioni e preghiere e dagli occhi suoi coleranno ben presto lagrime sul peccatore pentito. Ivi non testimoni estranei, non accusatori prevenuti, il reo medesimo sarà l’accusatore e il testimonio. Si rimette la cosa nelle sue mani; se confessa il suo fallo, avrà non punizione, ma perdono (Gaume, op. cil., Lect. XL).
Legge dolce!... Dio non chiede che una confessione... Legge sublime! nessuna violenza, nessuna tortura: il penitente è di se medesimo accusatore, giudice, testimonio, esecutore... Legge misericordiosa! La giustizia umana non aspetta che una confessione per condannare; Dio, al contrario, non aspetta che una confessione per assolvere... Commovente pensiero! se avessi offeso un uomo, non avrei da sperarne perdono; e il mio Dio tanto da me vilipeso, mi rialza., mi abbraccia, mi colma di favori, mi apre il cielo e mi vi fa entrare; e tutte queste grazie incomparabili mi sono date a prezzo di una semplice confessione!...
« Nei tribunali umani, scrive il Crisostomo, la confusione ed il castigo tengono dietro alla confessione; ma nel tribunale della penitenza, che è il tribunale di Dio, dopo la confessione seguono la giustizia, il perdono, la ricompensa ».
Per vincere una lite, quanti ricorsi, quanti viaggi, quanti sudori, quante pene, quante cure!... e sovente si perde! Per ottenere il perdono dei propri peccati, per riamicarsi Dio, per pagargli i debiti stragrandi con lui contratti, non si richiede che una confessione! Se ci fosse un creditore il quale si contentasse che venisse confessato il debito contratto con lui, qual è debitore il quale osasse lagnarsene? Ora questa è la condotta ineffabile di Dio riguardo ai peccatori; e se ne lagneranno essi come di troppo duro ed esigente! Se ad un naufrago paresse troppo penoso mettersi su la tavola che sola può salvarlo, non lo giudicheremmo un pazzo? La confessione è una tavola di scampo dopo il naufragio...
La confessione è troppo penosa, si va dicendo: ma si badi che si ha da fare con un padre, un amico... Beneditemi, padre mio, perché ho peccato... La confessione è troppo penosa? ma si fa ad un povero peccatore il quale ha bisogno egli stesso d’indulgenza; come la negherebbe? Si confessano le proprie colpe ad un solo uomo e si è sicuri del segreto... A chi sembrerà penoso l’alleggerire la propria coscienza, il riconciliarsi con Dio, il riparare alle proprie perdite, il saldare i suoi debiti, il trovare la pace, il salire al cielo, l’ottenere tante ricchezze e tanti beni, a patto d'una semplice confessione!... Ah! non è qui la pena: essa è nella perdita della grazia, dell’anima, di Dio, dell’eternità. Ma basta confessare d’aver perduto tutto questo a cagione dei propri peccati, per rientrare al possesso di tutti questi inestimabili beni...

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