Il dipinto più bello del mondo
La presenza della Resurrezione risparmiò Sansepolcro dai bombardamenti nella Seconda Guerra Mondiale. Il motivo? Il visionario autore britannico Aldous Huxley l’aveva definita “la miglior pittura di sempre”. E il capitano Anthony Clarke, che aveva letto il testo, ordinò il cessate il fuoco. I sette aspetti per cui l’opera rappresenta un capolavoro che “salva” l’uomo anche nel 2019
Il dipinto più bello del mondo”. E’ il 1925. Parola di Aldous Huxley, scrittore maestro di George Orwell e autore dei classici distopici Brave New World e The Island. Huxley si riferisce alla Resurrezione che Piero della Francesca dipinse nel palazzo del Governo cittadino di Sansepolcro (oggi museo civico) a metà del Quattrocento. Pesante, eppure affascinante l’affermazione: perché pronunciata da uno scrittore visionario. Un precursore, capace, già un secolo fa, di porre dilemmi brutalmente attuali oggi: l’ingegneria genetica, il controllo delle masse, la radice del libero arbitrio. Ma quanto lontano arriva lo sguardo di Huxley? Potrebbe aver ragione anche sul primato del pittore biturgense?
L’arte di Piero della Francesca è stata relegata ai margini per secoli, soltanto nell’Ottocento – grazie all’interesse sviluppatosi Oltremanica – fu rivalutata. Come mai? Una chiave per interpretare il successo di Piero riscosso negli ultimi decenni è senz’altro attribuibile alla modernità della sua opera. Universale, senza tempo. Forse, in grado di spalancare strade del pensiero non ancora battute. Perché (anche) di filosofia discute Piero nei suoi dipinti.
A margine di questa speculazione, c’è poi un episodio: di quelli che paiono costruiti a tavolino, o almeno ingigantiti ad arte, per potenziare l’aura leggendaria attorno alla Resurrezione pierfrancescana. Perché se non possiamo sostenere con certezza quanto quest’opera sia stata cristianamente “salvifica” – ispirando nei secoli la rettitudine dei fedeli biturgensi o dei forestieri visitatori – da qualche tempo si hanno le prove di un salvataggio concreto, operato dalla bellezza di questo dipinto.
Era il 1944 e Sansepolcro si trovava a fare i conti con l’occupazione tedesca da un lato e i bombardamenti degli Alleati dall’altro. L’esercito britannico guidato dal capitano Anthony Clarke, improvvisamente, decise di risparmiare la città. Memore delle parole del saggio “Along the road: notes and esseys of a tourist” di Huxley del 1925, in cui lo scrittore magnificava la pittura di Piero raccontando del viaggio intrapreso da Arezzo a Sansepolcro, Clarke ordinò il “cessate il fuoco”, proprio per risparmiare il “dipinto più bello del mondo”. Pareva poco più di una favola, ma i diari di Clarke, recentemente ritrovati, avvalorano il racconto.
E se delle opere di Piero a Sansepolcro occorrerebbe scrivere a lungo, per ragioni di spazio mi concentrerò sulla Resurrezione (e il maestoso polittico della Misericordia mi perdoni).
Ma cosa può mai raccontare, a noi abitanti della Terra del 2019, un’opera vecchia di quasi sei secoli? Provo a dire, senza troppe pretese, dove risiede per me la grandezza del dipinto. In sette punti.
1 L’imitazione della realtà. Siamo alla metà del ‘400 quando Piero si mette all’opera: raggiunge una vetta mai toccata fino ad allora, procedendo in quell’ascesa avviata da Giotto che rivoluziona volumi, spazio e colore nella pittura. L’arte figurativa è sublime: le morbide pieghe dei tessuti; la placida luce proveniente dall’alto-sinistra (impercettibile faro puntato da un abile fotografo); il tenue alito di vento che muove il vessillo impugnato dal Cristo.
2 La potenza del Cristo. Immaginiamo di avere una macchina del tempo e di approdare nel palazzo del governo di Sansepolcro nel 1564, anno in cui l’opera era di certo ultimata. Pensiamo alle immagini delle crocifissioni medievali di cui erano piene le piccole chiese di campagna come le grandi cattedrali cittadine. E adesso osserviamo lo stupore di un umile biturgense che per la prima volta si imbatte in quel dipinto maestoso. Non c’è buio, non c’è cupezza: ma solo luce e colore. C’è un grande Cristo atleta: un piede fuori dal sepolcro, il forte braccio vessillifero e l’addome scolpito. Solare, sereno: la sofferenza è già vinta, il tormento è alle spalle. Che messaggio di rottura: il corpo umano è bellissimo. Non va umiliato, né punito, né rinnegato per ottenere la salvezza eterna.
3 L’umanesimo rinascimentale. Fu l’aretino Francesco Petrarca l’ispiratore dell’umanesimo che diede il via, in Europa, al recupero dei testi classici, greci e romani. Filosofia, letteratura, teatro. Ma l’omaggio di Piero ai grandi del passato avviene attraverso l’arte a lui congeniale: la pittura. Se il Cristo è dipinto a mo’ di scultura, quasi un dio greco, i riferimenti ai classici sono espliciti nell’architettura di cornice. Le colonne scanalate con capitello corinzio, il basamento, l’architrave. Una sorta di romano arco trionfale, che celebra la più grande delle vittorie: quella sulla morte.
4 Proporzioni e geometria. Piero dà vita a una composizione armonica, matematicamente studiata. Gli elementi sono in calibrato equilibrio, né assenza, né eccesso. La scena ha una cornice reale, i suoi quattro bordi. E’ inserita in una cornice dipinta, l’architettura classica. Ma la figura chiave, quella del Cristo, è iscritta entro un’ulteriore cornice, quella definita in basso dalla linea orizzontale del sarcofago e inquadrata verticalmente dai due alberi più grandi del fondale. La testa di Gesù è il vertice di un triangolo che scivola sulle sue spalle, che relega i soldati dormienti a basamento. Tridimensionalmente possiamo vedere una piramide, ovvero un tetraedro (o tetragono), un solido indeformabile. Tetragono è, metaforicamente, un uomo solido, resistente, impassibile. Come quel Cristo.
5 La Natura che muta. E’ inverno alla sinistra di Cristo (alberi spogli, rinsecchiti), è estate alla destra (chiome folte e verdi). Una lettura alla occidentale, da sinistra verso destra, potrebbe suggerire una narrazione, quindi una scansione temporale: Morte a sinistra (il prima) → intervento di Gesù nel mezzo (Resurrezione) → Vita a destra (il dopo). La figura divina è il mezzo per vincere la morte. Un racconto nascosto, che ribadisce – una volta ancora – il tema evangelico chiave: la Pasqua e la sconfitta della morte.
6 Il sonno dell’umanità. I quattro soldati si trovano sotto il Cristo, nella classica opposizione alto/sacro vs. basso/profano. Tutte le figure umane dormono. Ma non tutte allo stesso modo. I soldati che dovrebbero far la guardia al sepolcro non vedono niente, perché non possono: ma un barlume di speranza c’è. Sono disposti a cerchio. Il primo soldato, in primo piano a sinistra, ha il volto completamente coperto, il secondo, in primo piano a destra, lascia intravedere parte del suo volto. Il terzo, in secondo piano a destra, lascia vedere metà della faccia. L’ultimo, che completa l’ellisse, in secondo piano a sinistra, ha il volto aperto e illuminato, toccato dall’asta di Cristo. Sembra il più vicino a destarsi. I volti paiono imitare una fase lunare, dal novilunio alla luna piena. Il soldato più luminoso, col volto interamente scoperto e più vicino all’asta di Cristo, potrebbe avere le fattezze del pittore.
7 La salvifica bellezza. “La bellezza salverà il mondo”, fa dire Dostoevskij al principe dell’Idiota. Quella di Piero, durante il Secondo conflitto mondiale ha salvato almeno una città. Già, ma nel caso, quale attributo può rendere un dipinto il più bello del mondo? Il messaggio della Resurrezione cristiana, teologicamente centrato? La bellezza formale dell’opera? Il racconto di Piero sa tenere insieme gli opposti: l’inverno/morte e l’estate/vita, ad esempio. Un racconto unico, in cui la dimensione temporale è sospesa. O meglio, interamente compresa. Possiamo cogliere tutti gli elementi nello stesso sguardo: l’inverno che è stato a sinistra, la Pasqua (la Resurrezione di Cristo) che è il presente al centro, l’estate che verrà a destra. Per comprendere il racconto, Piero coinvolge anche noi spettatori: ci fa guardare il Cristo, poi ci fa allargare lo sguardo, successivamente ci fa concentrare sul piano umano, quello dei dormienti, e infine ci fa tornare al Cristo. E che succede in questo processo di successive focalizzazioni? Dopo aver colto il messaggio immediato della Resurrezione, indugiamo sui dettagli intorno. Ci accorgiamo degli elementi curvilinei (la natura del fondale, le figure umane), oltre quelli rettilinei (gli alberi, l’asta di Gesù, le architetture, il sarcofago). Poi torniamo a guardare il Cristo. E’ lui il ponte tra alto e basso, tra sinistra e destra, tra natura e cultura (architettura), tra umano e divino. Il suo volto è estremamente umano. Lo sguardo è frontale, verso l’osservatore. Le palpebre leggermente calate. Negli occhi ci sono pace e armonia, saggezza e coscienza. Quel Cristo è un ideale cui tendere, ma alla portata umana. Non è distante, non siderale. Tocca l’umanità con l’asta. E’ un modello da cui trarre ispirazione, non qualcosa di astratto. Il Cristo pierfrancescano è l’assenza di sofferenza, è bellezza e verità. E’ la vittoria sulla morte. Lancia un messaggio universale, perché la morte vinta, prima che ancora cristiana, è quella della paura. Chi vive nella sofferenza, nella preoccupazione, nell’affanno, nel timore, è già morto. Chi vive col cuore leggero è vivo. La strada che il Cristo traccia è quella da seguire, non ci sono (più) divinità vendicative da temere, non c’è minaccia di inferno che terrorizzi l’uomo. Il Medioevo è alle spalle, l’Umanesimo è la viva modernità. E il sentiero da battere è quello della comprensione del mondo, della verità, della bellezza. Non più spalle curve e occhi bassi. Ma petto in fuori e balzo atletico per uscire dall’oscurità (il sepolcro, il passato, la paura irrazionale). Lo sguardo del Cristo è immerso nel presente, nell’hic et nunc, passato e futuro stanno dietro e avanti all’uomo, a noi. Ma adesso non ci riguardano, come del resto ogni preoccupazione, ogni timore che trova origine – scioccamente – nel passato o nel futuro. Ma né il primo si cambia, né il secondo si prevede: ecco la consapevolezza, la forza tranquilla, vigile e razionale, del Cristo-Uomo che si trova al centro dell’architettura divina. A cui l’umanità (rappresentata dai soldati) deve tendere e che, con l’avvento del Rinascimento, si sta risvegliando. L’uomo nuovo ha appreso la grande lezione dei classici, sa che “in medio stat virtus”: così Cristo si presenta, né magro, né grasso, né sorridente, né disperato, umile eppure fiero. Conscio, retto, mai spaventato. Persegue la verità e per farlo sale sulle spalle dei giganti passati per osservare il mondo da un punto di vista nuovo e privilegiato: sa che deve conoscere se stesso (Socrate) e che deve elevarsi da sofferenze, passioni e desideri, come i seguaci dell’Epicureismo. In un altro tempo, in un altro luogo, un grande saggio trovò la verità nella profonda e sottile Via di Mezzo (ovvero, lontano dagli eccessi), era il Budda. Strade diverse, simili conclusioni. Ecco la straordinarietà universale del messaggio pierfrancescano.
Mattia Cialini
Giornalista, nativo precario. Pratico sport estremi: ho un mutuo.
Di bufala adoro solo le mozzarelle. Vivo di passioni, faccio mille cose e qualcuna addirittura mi riesce.
Mi manca il tempo che vorrei perdere tra nuvole di Habanos
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