Così percossa, attonita, la Terra al nunzio sta.
"Dal Blog : Messa in latino"
Cari lettori,
ci voleva un evento epocale, come la rinuncia di Benedetto al pontificato, per farmi tornare a scrivere sul nostro blog dopo lunga assenza. Perché ho amato, e amo, il nostro papa Benedetto, è la venerazione per lui che mi risprona ad una battaglia che è stata anche la sua. Scrivo 'venerazione', sì, perché son convinto ch'egli assurgerà agli onori degli altari, e certo non solo per via dell'opinabilissima tendenza moderna a santificare tutti i papi "a prescindere". Ritengo anzi che un giorno diverrà perfino dottore della Chiesa.
Pressoché tutto ammiro nel suo tratto e nella sua personalità: il garbo, la timidezza, la correttezza, l'onestà, il senso del dovere, le capacità di studioso, ma soprattutto l'intelligenza, la lucidità, l'indipendenza di giudizio e il buon senso: validi antidoti in un'epoca ecclesiale di vuoti slogan e di ideologia.
Vivo questa notizia con profondo rammarico e preoccupazione. Comprendo che il peso del governo della Chiesa sia insopportabile per spalle umane, specie nella fralezza senile; ma un Papa, giustamente, non dovrebbe essere sovra-umano? Non perché fornito di un 'fisico bestiale', ma perché divinamente assistito anche nell'estrema debolezza del corpo e, forse, perfino della mente. Papa Ratzinger lo sa (ecco le sue stesse parole: "bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando"), ma ritiene che a questa 'essenza spirituale' di testimonianza orante (e paziente) si debba accompagnare un certo vigore "in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato".
Questa affermazione mi turba. Nel nostro tempo di rapidi mutamenti e perturbato da gravi questioni per la vita - la sopravvivenza? - della fede, è il ruolo stesso del Papa che quindi muta. Fino a ieri, più simbolo che governante; più testimone, fino all'estrema agonia, che efficiente amministratore; più monarca che primo ministro; più padre che tutore. Ora, invece, un papa che, oltre ad avere una "messa di inaugurazione" (in luogo della ben più pregnante incoronazione) avrà pure una cerimonia di commiato in occasione delle dimissioni, come fosse un amministratore delegato che va in pensione o, peggio ancora, un arcivescovo di Canterbury in scadenza. Si tratta altresì di un ulteriore appiattimento (dopo la rinunzia alla tiara) del ruolo petrino su quello degli altri vescovi: non a caso nell'allocuzione di ieri il Papa ha usato l'espressione ingravescente aetate, la quale forma anche l'incipit del motu proprio di Paolo VI che impose il pensionamento ai vescovi.
Pensiamo anche a come questo precedente potrà giustificare pressioni sui futuri pontefici, non appena questi saranno percepiti come anziani o poco 'performanti' o non più telegenici.
Se qualcosa ci hanno insegnato questi ultimi decenni è che la Chiesa vive di simboli e nei simboli. Mutamenti in astratto comprensibili e in apparenza inessenziali, come abbandonare il latino, abolire il digiuno del venerdì, girare gli altari, hanno avuto un effetto sociologicamente ed antropologicamente devastante per i fedeli: la fede, già ontologicamente insidiata dal dubbio (giacché essa non è conoscenza diretta, ma solo sostanza di cose sperate, e argomento delle non parventi), vive di sicurezze trasmesse e perennemente riconquistate. Se la vita della Chiesa è un cantiere in perenne mutazione, come alimentare la vacillante fede? E che dire se il ruolo stesso di Pietro, consolidato in duemila anni che videro solo sporadiche e di solito traumatiche abdicazioni o deposizioni, si trasforma dastatus esistenziale a semplice 'incarico' con diritto al pensionamento?
Di qui la mia preoccupazione: la sacralità della Pietra su cui la Chiesa è fondata mi appare intaccata, allorché un dolce Cristo in terra, un Vicario di Cristo, un infallibile arbitro della fede e della morale, può tornare ad una normale quotidianità. Questa preoccupazione aumenta viepiù al pensiero che a Papa Benedetto questi rischi non sono certamente sfuggiti; sicché se si è deciso egualmente al 'gran rifiuto', gravi preoccupazioni a noi ignote devono averlo mosso; o quanto meno, una situazione interna ai Sacri Palazzi di completa deliquescenza, tale da costringerlo a gettare la spugna.
E sì, perché il gesto del Papa ha, purtroppo, l'insopprimibile apparenza di un'ammissione di impotenza e di fallimento, già solo per il fatto di sopravvenire dopo un periodo di straordinaria difficoltà nella conduzione della barca di Pietro e dopo un insieme di sfaceli che hanno trovato nel casoVatileaks l'ultimo esempio.
Questo retrogusto amaro di inefficienza non rischierà di rafforzare quel naturale effetto "pendolo", per cui i cardinali in conclave saranno portati a scegliere qualcuno che possa adottare una ben diversa linea del predecessore? L'effetto pendolo era stato determinante nell'elezione di Ratzinger, allorché la impietosa delibazione dello stato disgraziato della Chiesa ... aveva indotto i cardinali a votare qualcuno che aveva la lucidità e l'intelletto necessari per riconoscere i problemi e individuare (nel ritorno all'ortodossia, alla continuità e alla Tradizione) la soluzione.
E ora invece? Una generazione migliore di sacerdoti sta crescendo, e i corifei della 'primavera conciliare' sono sulla via della pensione, se non del redde rationem. Ma quest'abdicazione del Papa giunge comunque troppo presto: se avesse resistito ancora una manciata di anni, o in alcuni casi anche solo pochi mesi, non avremmo un conclave nel quale siederanno invece e voteranno presuli come Daneels e Mahoney (quest'ultimo, fresco di ostracismo da parte del suo successore a Los Angeles per malagestione), Lehmann e Kasper, Monterisi e Tettamanzi. Mentre un Moraglia (patriarca di Venezia), un Nichols (arcivescovo di Londra) o un Chaput (arcivescovo di Filadelfia) ne sono ancora fuori.
E' tempo dunque che lo Spirito Santo si prepari a fare il Suo lavoro in vista del conclave. E per noi, di pregare. Mitiga l'amarezza la gratitudine per Benedetto XVI, il rispetto della sua difficile scelta e, in fondo in fondo, l'intimo sentimento che la sua ponderata decisione possa essere stato il minore dei mali possibili.
Enrico
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