mercoledì 11 giugno 2014

Ottava di Pentecoste con il Santo di Padova



DOMENICA DI PENTECOSTE (1)
Temi del sermone

– Epistola del santo giorno di Pentecoste, divisa in cinque parti.
– Anzitutto sermone sullo Spirito Santo e la proprietà del crisòlito: “Nelle ruote era lo spirito della vita”.
 Parte I: Sermone sulla solennità dello Spirito Santo: “Era ormai giunto il terzo giorno”.
– Le tre lingue: del serpente, di Eva e di Adamo; le quattro prerogative del fuoco e il loro significato.
– Parte II: L’infusione dello Spirito Santo, la risurre­zione dell’anima, le quattro parti del mondo e il loro significato: “Dai quattro venti vieni, o Spirito!”
– L’arca di Noè, i suoi cinque scomparti e il loro significato: “L’arca di Noè aveva cinque scomparti”.
– I cinque sensi del corpo, la loro disposizione, le loro proprietà e il loro significato: Il primo scomparto era quello dei rifiuti.
– Parte III: Le tre specie di suono e il loro significato: “Venne all’improvviso un suono dal cielo”.
– Sermone ai penitenti o ai religiosi: “Era ormai giunto il terzo giorno”.
– La caratteristica della terra e il suo significato: “Lo Spirito del Signore riempì l’uni­verso”.
– Parte IV: Sermone sulla confessione, sulla precisazione delle circostanze, sul fervore della soddisfazione, sulla proprietà e la disposizione della lingua e suo il significato: “E apparvero loro delle lingue come di fuoco, che si dividevano”.
– Parte V: L’invio dello Spirito Santo: “Mandò il fuoco dall’alto”, e “Il Signore fece passare lo spirito (il soffio) sopra la terra”.
– Sermone contro coloro che predicano molto, ma poco o nulla fanno: “Incominciarono a parlare in svariate lingue”.

esordio - lo spirito santo e la proprietà del crisòlito

1. “Mentre stavano per compiersi i giorni della Pentecoste, i discepoli si trovarono tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1).

Dice Ezechiele: “Nelle ruote v’era lo spirito della vita” (Ez 1,20). Gli apostoli furono ruote che giravano spedita­mente a portare in tutto il mondo il Figlio di Dio. Queste ruote, come aggiunge lo stesso profeta, “avevano l’aspetto della pietra di crisòlito” (Ez 10,9). La pietra di crisòlito (topazio) risplende come l’oro: il suo nome è composto appunto dai termini greci chrisòs, oro, e lìthos, pietra. Questa pietra sembra emanare da se stessa come delle scintille ardenti, e mette in fuga ogni specie di serpenti; essa raffigura gli apostoli i quali, splendenti dell’oro della grazia settiforme, emanavano da se stessi le scintil­le della predicazione che infiammavano gli ascoltatori, e con esse mettevano in fuga ogni specie di demoni. Queste ruote, come dice sempre Ezechiele, erano di grande dimensione ed altezza e di aspetto spaventoso (impressionante) (cf. Ez 1,18). E anche gli apostoli furono grandi nella perfezione della loro dottrina e del loro insegnamento, eccelsi per la sublimità delle promesse celesti, e terribili per le minacce e i castighi spaventosi che sarebbero seguiti.

Dice infatti il penitente, con le parole del Cantico dei Cantici: “L’anima mia mi conturbò a motivo delle quadrighe di Aminadab” (Ct 6,11). Aminadab s’interpreta “spontaneo” ed è figura di Gesù Cristo, il quale spontaneamente offrì se stesso sulla croce per noi; e le sue quadrighe furono gli apostoli, dei quali dice Abacuc: “E le tue quadrighe sono la salvezza” (Ab 3,8), vale a dire che per mezzo di esse dà la salvezza. La mia anima, dice appunto il penitente, fu tutta turbata a motivo della loro predicazione, turbamento che mi indusse alla penitenza. E quindi Abacuc: “Hai mandato sul mare i tuoi cavalli ad agitare le acque profonde; ho udito e fremettero le mie viscere” (Ab 3,15-16). Il Signore mandò nel mare, cioè nel mondo, i cavalli, cioè gli apostoli, i quali con la loro predicazione agitarono le acque profonde, sconvolsero cioè molti popoli e li convertirono alla penitenza. Io ho udito la loro predicazione, dice il penitente, e furono turbate le mie viscere, vale a dire la mia carnalità.

I. l’infusione della grazia dello spirito santo negli apostoli,
in forma di lingue di fuoco

2. In queste ruote v’era lo spirito della vita che tutto vivifica. Leggiamo infatti nell’epistola di oggi: “Mentre stavano per compiersi i giorni della Pentecoste, gli apostoli stavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo come di vento che si abbat­te gagliardo, e riempì tutta la casa nella quale si trovavano. Ed apparvero loro delle lingue sparse come di fuoco, che si posarono su ciascuno di loro. E tutti furono ripieni di Spirito Santo, e incominciarono a parlare diverse lingue come lo Spirito Santo dava loro di esprimersi” (At 2,1-4).

Pentecoste è parola greca che significa “cinquantesimo”, e l’antico popolo eletto festeggiava questo giorno, perché era stata data loro la Legge in mezzo al fuoco, proprio nel cinquantesimo giorno da quello dell’immolazione dell’agnello, per mezzo del quale i figli d’Israele erano usciti dall’Egitto. E nel Nuovo Testamento, nel cinquantesimo giorno dopo la Pasqua di Cristo, lo Spirito Santo discese sugli apostoli, apparendo nel fuoco. La Legge venne sul monte Sinai, lo Spirito sul monte Sion. La Legge fu data in un luogo alto del monte, lo Spirito nel cenacolo.

“Quando dunque stavano per compiersi i giorni della Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Nessuno era assente, prima di tutto perché il numero di dodici era completo e poi perché erano tutti un cuor solo e un’anima sola. “Erano nello stesso luogo”, cioè nel cenacolo, dov’erano saliti. Chi infatti desidera ricevere lo Spirito Santo, calpesta l’abitazione della carne, superandola con la contemplazione della mente. “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa nella quale si trovavano”. Non conosce indugi la grazia dello Spirito Santo, secondo il detto: “L’impeto del fiume rallegra la città di Dio” (Sal 45,5). Vnne con il rombo del tuono colui che veniva per istruire i suoi.

Troviamo anche nell’Esodo delle parole che lo conferma­no: “Ed ecco che giunto il terzo giorno, sul far del mattino, si sentirono rumoreggiare tuoni e si videro lampeggiare folgori, e nubi densissime coprivano il monte; e rimbombava un fortissimo suono di trom­ba: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore” (Es 19,16)

Il primo giorno fu quello dell’incarnazione di Cristo, il secondo quello della sua passione, il terzo quello della discesa dello Spirito Santo: quando venne “si sentirono rumoreggiare tuoni”, perché “all’improvviso venne dal cielo un rombo; si videro lampeggiare folgori”, simbolo dei miracoli operati dagli apostoli; “e nubi densissime”, vale a dire compunzione dei cuori e pentimento, “coprivano il monte”, cioè il popolo che si trovava a Gerusalemme; negli Atti degli Apostoli si legge infatti che “i pentiti di cuore dicevano a Pietro e agli altri apostoli: Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. “E il suono delle trombe”, cioè della predicazione degli apostoli, “rimbombava sempre più forte”. E Pietro disse: “Fate penitenza e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati: dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,37-38). “E tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore”, e quindi “furono battezzati, e in quel giorno si unirono a loro circa tremila persone” (At 2,41).

3. “Apparvero loro delle lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di essi”, perché per mezzo delle lingue del serpente, di Eva e di Adamo la morte entrò nel mondo (cf. Sap 2,24). La lingua del serpente inoculò il veleno in Eva, la lingua di Eva lo inoculò in Adamo e la lingua di Adamo tentò di ritorcerlo contro il Signore. La lingua è un membro freddo, è sempre immersa nell’umi­dità, e quindi è un male ribelle ed è piena di veleno mortale (cf. Gc 3,8), del quale nulla è più freddo. Lo Spirito Santo apparve perciò in forma di lingue di fuoco per opporre lingue a lingue, e fuoco a veleno mortale.

E considera che il fuoco ha quattro proprietà: brucia, purifica, riscalda e illumina. Allo stesso modo lo Spirito Santo brucia i peccati, purifica i cuori, elimina il torpore del freddo e illumina, ossia rende chiare le cose che si ignorano. Il fuoco è anche incorporeo e invisibile per sua natura, ma quando investe qualche oggetto assume varie colorazioni a seconda dei materiali nei quali brucia. Così lo Spirito Santo non può essere veduto se non per mezzo delle creature nelle quali opera.

Osserva ancora che la dispersione [confusione] delle lingue avvenne nella torre di Babele (cf. Gn 11,8-9), per il fatto che la superbia disunisce e disperde, mentre l’u­mil­­tà riunisce. Nella superbia c’è la dispersione, nell’umiltà c’è la concordia. Ecco che si compie così la promessa del Signore: Non vi lascerò orfani, ma vi manderò lo Spirito Paràclito (cf. Gv 14,18.26), il quale fu il loro avvocato e parlò a tutti in loro favore. Colui che veniva per la Parola portò le lingue. Tra lingua e parola c’è una parentela: non possono essere divise una dall’altra; così la Parola (il Verbo) del Padre, cioè il Figlio, e lo Spirito Santo sono inseparabi­li, anzi hanno un’unica natura.

“E tutti furono pieni di Spirito Santo e incominciarono a parlare diverse lingue, come lo Spirito Santo dava loro di esprimersi”. Ecco il segno della pienezza: il vaso pieno trabocca, il fuoco non può essere occultato. Parlavano tutte le lingue, oppure parlavano la propria lingua, l’ebraica, e tutti li capivano come se parlassero la lingua di tutti. Lo Spirito Santo, “distribuendo i suoi doni a ciascuno come vuole” (1Cor 12,11), infonde la sua grazia dove vuole, come vuole, quando vuole, in chi vuole e nella misura che vuole. Si degni di infonderla anche in noi, colui che in questo giorno infuse la grazia negli apostoli per mezzo delle lingue di fuoco. A lui sia sempre lode e gloria nei secoli eterni. Amen.

II. l’infusione dello spirito santo e la risurrezione dell’anima

4. “Quando si compirono i giorni della Pentecoste, i discepoli erano tutti riuniti nello stesso luogo”. Dice il profeta Ezechiele: “Vieni, o Spirito, dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano” (Ez 37,9). I quattro venti sono le quattro parti del mondo: l’oriente, l’occi­dente, il settentrione e il mezzogiorno. Nell’oriente è indicata l’incarna­zione di Cristo, nell’oc­­cidente la sua passione, nel settentrione la sua tentazione, e nel mezzogiorno l’invio dello Spirito Santo. Oppure anche: nell’oriente è indicato il ricordo del nostro miserevole ingresso nel mondo, nell’occidente il pensiero della nostra dolorosa dipartita, nel settentrione la considerazione della nostra infelice condizione, e nel mezzogiorno il riconoscimento dei nostri peccati.

Da questi quattro venti viene lo Spirito Santo e soffia, con lo spirare della sua grazia, sopra gli uccisi dalla spada della colpa, affinché rivivano con la vita della penitenza. Leggiamo infatti negli Atti degli Apostoli che “mentre Pietro stava ancora parlando, lo Spirito Santo scese su tutti quelli che ascoltavano le sue parole”(At 10,44). E per questo si legge oggi: “Quando si compirono i giorni…”, ecc. Nel brano degli Atti che si legge oggi nella messa, si devono sottolineare quattro fatti. Primo, il compimento dei cinquanta giorni: “Quando si compirono i giorni della Pentecoste”; secondo, l’infusione dello Spirito Santo: “All’improvviso venne un rombo dal cielo”; terzo, l’apparizione dello Spirito in forma delle lingue di fuoco: “Apparvero loro delle lingue di fuoco divise”; quarto, gli apostoli che parlano tutte le lingue: “Tutti furono pieni di Spirito Santo, e parlavano…”, ecc.

“Quando si compirono i giorni della Pentecoste”. Pentecoste è un termine greco che significa “cinquantesimo”. Cinque volte dieci fanno cinquanta. Cinque sono i sensi del corpo, dieci i precetti del decalogo. Se i cinque sensi del nostro corpo saranno perfetti nell’adempimento dei dieci precetti del decalogo, allora senza dubbio si compirà in noi il sacratissimo giorno della Pentecoste, nel quale viene dato lo Spirito Santo. In riferimento a questo cinquantesimo giorno, leggiamo nella Genesi che l’arca di Noè misurava cinquanta cubiti di larghezza (cf. Gn 6,15).

Ma prima dobbiamo considerare che la stessa arca aveva cinque scomparti; il primo era lo scomparto dei rifiuti, il secondo quello dei viveri, il terzo quello delle bestie feroci, il quarto degli animali domestici, il quinto riservato agli uomini e agli uccelli. Noè è figura del giusto (cf. Gn 6,9), la cui arca è il proprio corpo, che giustamente è detto arca. Arca deve il suo nome al fatto che tiene lontani (lat. arcet) i ladri. Così il corpo del giusto deve chiudere fuori di sé ogni vizio che tenta di rubargli le virtù. I cinque scomparti di quest’arca sono i cinque sensi, cioè il gusto, l’odorato, il tatto, l’udito e la vista.

5. Il primo scomparto è quello dei rifiuti, lo sterquilinio. Ed è figura della lingua della nostra bocca, per mezzo della quale dobbiamo buttar fuori nella confessione tutto lo sterco dei nostri peccati. Questa è la porta dello ster­quilinio, della quale è detto nel secondo libro di Esdra che “Melchia, figlio di Recab, costruì la porta dello ster­quilinio, e vi pose i battenti, le serrature e le sbarre” (2Esd 3,14)1. Lo sterquilinio, luogo pieno di sterco, è così chiamato perché è imbrattato e insudiciato di sterco. La coscienza del peccatore, graveolente e ammorbata dallo sterco del diavolo, deve purificarsi per la porta della confessione. Questa porta la costruisce Malchia, figlio di Recab. Malchia s’inter­preta “coro per il Signore”, e Recab “che sale”. Malchia è figura del penitente che con il timpano e il coro, cioè con la mortificazione della carne e l’accordo della carità, deve far risuonare un inno al Signore. Egli è figlio di Gesù Cristo, che sale alla destra del Padre. Questo Malchia deve applicare alla sua lingua i battenti (in lat. valvae, da velare, occultare), che sono come delle porte interiori, che si chiudono dall’interno, perché tutti i suoi beni vengano chiusi dentro, tenendo scritto sulla fronte della coscienza quel versetto di Isaia: “Il mio segreto è per me, il mio segreto è per me”(Is 24,16); e deve applicare le serrature per trattenere con le serrature dell’amore e del timore di Dio gli impulsi dell’animo che vogliono irrorompere all’esterno; deve applicare anche le sbarre, per proporre cose utili a tempo e a luogo e mai parlare di cose cattive.

6. Il secondo scomparto è quello dei viveri, e raffigura l’olfatto delle narici. Le narici sono chiamate in lat. nares, perché attraverso di esse passa l’aria (lat. nares,aër) ossia il respiro. Le narici hanno tre compiti: lasciar passare il respiro, captare gli odori, far uscire lo spurgo del cervello. È un disturbo, un difetto il non respirare con le narici, che è il modo giusto, stabilito dalla natura. Si respira con la bocca solo per necessità ed è cosa molto sgradevole, perché è contro la natura. E anche lo sternuto segue la via delle narici, quando aumenta l’aria nel cervello ed prorompe all’improvviso. 

Nelle narici, come abbiamo già detto altre volte, sono simboleggiate la discrezione e la prudenza: per mezzo di queste due virtù, come attraverso le narici, aspiriamo lo spirito della contemplazione e della perfetta carità, captiamo il profumo del buon esempio e purifichiamo i pensieri cattivi. E come il respiro sano e utile si fa attraverso le narici, così per mezzo della discrezione e della prudenza si aspira, si attira lo spirito dell’amore divino che poi si emette e si diffonde per la consolazione e l’edificazione del prossimo. E come il respiro per la bocca si fa solo per necessità ed è sgradevole, così anche la confessione della bocca si fa per necessità. Dal momento che hai peccato, è necessario che tu ti confessi: se non vuoi confessarti sei destinato alla dannazione. 

Ed è sgradevole perché rimuove, rimescola lo sterquilinio, e del suo fetore si legge nel vangelo: “Padrone, il fico làscialo ancora per que­st’anno finché io gli scavi attorno e vi metta il letame” (Lc 13,8). Il fico raffigura l’anima, lo scavo la contrizione, il letame è la confessione dei peccati, la quale fa fruttificare l’anima, prima sterile. E quando il vento della superbia o della vanagloria aumenta nel cervello, ossia nella mente, per mezzo della discrezione e della prudenza viene immediatamente lanciato fuori.

7. Il terzo scomparto è quello delle bestie feroci, e raffigura il tatto delle mani, con le quali dobbiamo impugnare il flagello e flagellarci senza misericordia per i pensieri disordinati, per le parole sconvenienti, per le opere cattive, perché tanti siano i nostri sacrifici di espiazione quanti sono stati i piaceri dei quali ci siamo dilettati.

E osserva che come nelle mani ci sono dieci dita, così dieci sono le specie di flagellazione, cioè di mortifica­zione: la rinuncia alla propria volontà, l’astinenza dal cibo e dalla bevanda, la rigorosità del silenzio, le veglie di preghiera durante la notte, l’effu­sione delle lacrime, il dedicare un congruo tempo alla lettura, il lavoro materiale, la generosa partecipazione alle necessità del prossimo, il vestire dimessamente, il disprezzo di sé. Con queste dieci dita dobbiamo afferrare il flagello e colpirci senza pietà, senza misericordia, quasi con ferocia, perché nel giorno del castigo che spezzerà le ossa, possiamo trovare misericordia.

8. Il quarto scomparto è quello degli animali domestici e raffigura l’udito. Considera che l’orecchio è composto di cartilagine e di carne. Nell’orecchio interno c’è un meato tortuoso, che assomiglia ad un anello, e va a finire in un osso, simile per forma e configurazione all’orecchio esterno. A quell’osso arriva ogni rumore e ogni suono, e da esso viene trasmesso al cervello. E dal cervello esce una vena che va fino all’orecchio destro e un’altra vena che va all’orecchio sinistro. E tutti gli animali che hanno le orecchie, hanno la possibilità di muoverle, eccettuato l’uomo. La cartilagine ha l’apparenza del­l’os­so, ma non ne ha né la durezza né la resistenza. La carne (lat. caro) è così chiamata perché è cara, amata. 

Nella cartilagine e nella carne, delle quali è composto l’orecchio, sono indicate le virtù della mansuetudine e dell’umiltà, delle quali nulla è più caro a Dio e agli uomini. L’udito di ogni uomo dev’essere fornito di queste due virtù per rispondere con mansuetudine e umiltà ad ogni affronto, molestia o ingiuria verbale. E questo lo insegna la natura stessa, la quale nell’orecchio interno non ha aperto un meato diritto ma tortuoso, perché quando senti ciò che non ti piace, non colpisca subito l’animo, ma le parole e i discorsi passino quasi a stento per una via resa difficile da una certa qual tortuosità, di modo che, perduta per via la loro virulenza, arrivino alla fine senza forza e così ti pungano, ti offendano poco o nulla.

E le due vene che escono dal cervello, una delle quali arriva all’orecchio destro e l’altra al sinistro, simboleg­giano la temperanza e l’obbedienza. Nella destra viene indicata la prosperità e nella sinistra l’avversità. Quando senti cose favorevoli e ciò che ti piace, è necessaria la temperanza; quando invece ti dispiace ciò che ti viene ordinato e senti cose sgradite, allora hai più bisogno dell’obbedienza, perché è più fruttuosa.

E tutti gli animali che hanno orecchie possono muoverle, eccetto l’uomo. È veramente degno di essere chiamato uomo, colui che non può muovere le orecchie, che cioè non si lascia muovere dalla stabilità della sua mente per causa del vento delle parole. Invece l’uomo che ha le orecchie che gli prudono, che crede ad ogni parola, e presta volentieri e avidamente l’orecchio all’adulazione, non è degno di essere chiamato uomo, ma animale bruto.

9. Il quinto scomparto è quello riservato agli uomini e agli uccelli, ed è figura della vista degli occhi, con i quali dobbiamo guardare con misericordia i poveri e coloro che sono nell’indigenza, e considerare attentamente le cose celesti, perché, come dice l’A­po­­­stolo, “le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate e comprese per mezzo delle cose create” (Rm 1,20). Ecco che adesso sei bene informato sui i cinque scomparti dell’arca di Noè, vale a dire sui cinque sensi del corpo del giusto.

E osserva ancora che l’arca di Noè fu costruita sul modello del corpo umano: aveva infatti una lunghezza di trecento cubiti, una larghezza di cinquanta e un’altezza di trenta (cf. Gn 6,15). Nel corpo umano l’altezza è sei volte la sua circonferenza e dieci volte il suo diametro. L’altezza si misura dalla pianta dei piedi alla sommità della testa; la circon­ferenza si misura all’altezza del torace, e il diametro dal dorso al ventre. Quindi, se i cinque sensi sono perfetti nell’osservanza dei dieci precetti del decalogo, allora l’arca di Noè si allargherà fino a cinquanta cubiti e così si compirà il cinquantesimo giorno, e il giusto alla fine della sua vita avrà raggiunto la perfezione. Leggiamo infatti nel libro della Sapienza: “Giunto in breve alla perfezione, compì le opere di una lunga vita: la sua anima fu gradita al Signore” (Sap 4,13-14). A ragione dunque è detto: “Essendosi compiuti i giorni della Pentecoste, i discepoli erano tutti radunati nello stesso luogo”.

I discepoli del giusto sono i sentimenti della ragione e i puri pensieri della mente. E questi sono tutti veramente nello stesso luogo quando si compie il giorno della Pentecoste, quando cioè i cinque sensi raggiungono la perfezione. Fa’ attenzione alle due parole: “tutti insieme” e “nello stesso luogo”.

“Tutti insieme”, cioè ugualmente e insieme. Sono tutti insieme quei pensieri della mente che, sotto l’uguale regola della ragione, si radunano con ordine e procedono con discrezione, in modo che nella mente un pensiero non sembri superiore all’altro, né l’altro inferiore al primo; se questo avvenisse, la disuguaglianza stessa sarebbe causa della rovina di tutto l’edificio delle virtù. Dice l’Apostolo: Tutte le cose si facciano con ordine (cf. 1Cor 14,40), per poter dire a questo: “Va’”, e quello vada; e ad un altro: “Vieni”, e quello venga; e al servo, cioè al corpo: “Fa’ questo”, e il servo, il corpo, lo faccia (cf. Mt 8,9)

Siano dunque i discepoli tutti ugualmente insieme, affinché i pensieri della mente riuniti tutti insieme come una schiera di soldati, siano in grado di combattere validamente contro le potestà dell’aria (cf. Ef 6,12). E siano anche “nello stesso luogo”, non divisi e separati, perché la mente divisa non ottiene nulla. Dice infatti l’Ecclesia­stico: “La tua attività non abbracci molte cose” (Eccli 11,10); e di nuovo: “Guai al peccatore che cammina per due strade” (Eccli 2,14). E Gregorio: “Il fiume che si dirama in tanti rivoli, si dissecca nel suo alveo”. E Bernardo: “L’animo occupato in tante faccende, necessariamente è tormentato da tante preoccupazioni”.
Se dunque, prima di tutto, i giorni della Pentecoste saranno compiuti, anche i discepoli, tutti insieme ugualmente nello stesso luogo, saranno pronti ad accogliere la grazia dello Spirito Santo: si degni di infonderla anche in noi, colui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

III. sermone ai religiosi sulla penitenza

10. “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa nella quale si trovavano” (At 2,2). Suono è tutto ciò che è sensibile all’udito. Ci sono tre specie di suono: quello prodotto dalla voce per mezzo della gola; quello prodotto dal soffio come nella tromba, e quello prodotto dalla percussione come nella lira. Il “rombo di vento impetuoso” è figura della contrizione del cuore, che il penitente avverte come un suono con l’orecchio del cuore. Dice infatti il Signore: “Il vento (lo Spirito) soffia dove vuole”, perché è in suo potere scegliere il cuore da illuminare, “e senti la sua voce, ma non sai di dove viene e dove vada” (Gv 3,8)

La voce dello Spirito Santo è la compunzione che parla al cuore del peccatore, e anche se la senti non sai di dove venga, cioè per quale via sia entrata nel suo cuore e in che modo ritorni, perché la sua essenza è invisibile. E considera anche che questo suono si produce in tre modi: con la voce della predicazione, con il soffio della partecipazione fraterna, con la percussione della paterna correzione. Da queste tre azioni nasce di solito nel cuore del peccatore il suono della compunzione. Giustamente quindi è detto: “All’improvviso venne dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte veemente”.

Su questo abbiamo una concordanza nelle parole dell’Esodo: “Era giunto il terzo giorno, e splendeva il mattino” (Es 19,16), come abbiamo visto più sopra. Il primo giorno simboleggia il riconoscimento del proprio peccato; il secondo giorno l’orrore e l’odio contro il peccato; il terzo giorno la contrizione del cuore nei confronti del peccato. E quando si arriva alla contrizione e risplende il mattino della grazia, allora si incominciano a sentire “i tuoni” dei gemiti, dei sospiri e dell’accusa di sé; inco­minciano a “balenare le folgori” della confessione; e “la nube compatta”, cioè l’oscurità della penitenza, arriva a “coprire il monte”, cioè il penitente, che è come un monte che si innalza dalla valle dell’impurità e della miseria. E “lo squillare della tromba”, cioè della vita santa e della buona riputazione, “risuona sempre più forte”, perché dove ha abbondato il peccato, sovrabbondi anche la grazia (cf. Rm 5,20).

E così si spaventa tutto il “popolo” dei demoni, che sono “negli accampamenti”, sono cioè sempre pronti all’at­tacco; ma se essi vedono tutti questi cambiamenti, non hanno più il coraggio di iniziare la battaglia. Leggiamo infatti in Giobbe: “Nessuno gli diceva più una parola, perché vedevano che il dolore era molto grande” (Gb 2,13). Infatti quando gli spiriti del male vedono che il rombo del vento impetuoso riempie tutta la casa, cioè la coscienza del penitente, nella quale egli dimora, cioè si umilia ripensando ai suoi anni nell’amarezza della sua anima (cf. Is 38,15), gli spiriti del male non osano avanzare oltre, né osano proferire parole di suggestione. E fa’ attenzione che dice “vee­mente” (impetuoso), che elimina cioè l’eterno “Vae”, guai (lat. vae adimens), e che trasporta in alto la mente (lat. vehens mentem). E così la contrizione del cuore elimina l’eterno guai e solleva in alto lo spirito.

11. Nell’introito della messa di oggi si legge: “Lo Spirito del Signore riempì l’orbe terracqueo; e questo, che tutto contiene, ha la conoscenza della voce” (Sap 1,7).

L’orbe è così chiamato dalla rotondità del cerchio. La terra è oscura, fredda e immonda. L’orbe è il cuore del peccatore, che si aggira all’intorno come una ruota, si volge ora ad oriente ora ad occidente, percorrendo il mondo, che è oscuro per la superbia, freddo per l’avarizia e immondo per la lussuria. Ma lo Spirito del Signore riempie l’orbe terracqueo quando infonde la grazia della compunzione nel cuore del peccatore e così lo libera dall’eterno guai.

“E questo, che tutto contiene, ha la conoscenza della voce”. “E questo”, cioè l’uo­mo, animale ragionevole, che comprende in sé tutti i quattro elementi, dei quali sono costituite tutte le cose, “ha la conoscenza della voce” perché capisce quando lo Spirito gli parla. Dice Bernardo: “Lo Spirito Santo ci parla ogni volta che noi pensiamo cose buone”. E il Profeta: “Ascolterò che cosa mi dice Dio, il Signore” (Sal 84,9), e così eleva in alto la mente. Infatti il Filosofo, descrivendo lo spirito, dice: “Lo spirito è il veicolo delle virtù: per mezzo suo le virtù vanno a esegui­re le loro opere” (Seneca).

Preghiamo dunque il Figlio di Dio che infonda in noi lo spirito di contrizione, che ci liberi dall’eterno guai, ed elevi alle cose celesti la nostra mente. Ce le conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen.

IV. la proclamazione della lode e la confessione del peccato

12. “E apparvero loro delle lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono sopra ciascuno di loro” (At 2,3). Fa’ attenzione a questi tre particolari: le lingue, la precisazione che si dividevano, e che erano come di fuoco. Nelle lingue è indicata la confessione, nel fatto che si dividevano è indicata la precisazione delle circostanze del peccato; nel fuoco è indicato il fervore della confessione e della soddisfazione, cioè dell’ese­cuzione del­l’o­pe­ra penitenziale imposta dal confessore.

Considera che la lingua è l’organo del senso del gusto, e la sua sensibilità sta principalmente nell’estremità. La parte dove la lingua si allarga ha una sensibilità minore. La lingua, con la sua sensibilità, sente tutto ciò che è comune a tutti i corpi: il caldo e il freddo, la durezza e la cedevolezza (delicatezza). E questo lo fa con tutte le sue parti. E la lingua, per sua natura, è destinata a gustare le cose umide, bagnate, e a parlare.

La lingua dell’uomo è perfettamente sciolta e snodata, flessibile e larga, adatta a due funzioni: il gusto e la parola. La lingua flessibile e larga è adatta a parlare bene, perché si distende e si contrae, si flette e si gira nella bocca in tutti i sensi: se la lingua è agile e larga si è in grado di parlare molto bene. E questo risulta ancora più evidente se si osservano quelli che hanno la lingua impedita, cioè i balbuzienti o gli scilinguati. Alcuni poi hanno nella lingua anche un altro impedimento: e questo si avvera solo con alcune consonanti quando la lingua è stretta, contratta e non bene distesa; giacché il piccolo sta nel grande, ma non il grande nel piccolo. Ed è per questo che gli uccelli che hanno la lingua larga sono in grado di pronunciare alcune sillabe e parole, molto più degli uccelli che hanno la lingua stretta.

Nella lingua, come si è detto, è indicata la confessio­ne, nella quale si deve rivelare tutto quello che è comune a tutto il corpo, cioè i peccati che si commettono con tutto il proprio essere: nell’infuocato calore della superbia, nel freddo della malizia e della pigrizia, nella durezza dell’avarizia, nella mollezza della lascivia e della lussuria. E come la lingua è destinata dalla natura a gustare e a parlare, così duplice è la confessione della lingua: la confessione (la proclamazione) della lode, e la confes­sione del peccato.

La confessione (il canto) della lode si ha nell’Ufficio divino e nelle salmodie; se compiamo queste opere con devozione, gustiamo certamente la grazia della compunzione e la dolcezza della contemplazione. Dice infatti Gregorio: “Con la voce della salmodia, se è accompagnata dall’attenzione del cuore, al cuore stesso viene preparata la via per giungere a Dio onnipotente, perché sveli alla mente attenta i misteri della profezia e le infonda la grazia della compunzione. Sta scritto: “Il sacrificio della lode mi onorerà” (Sal 49,23). Infatti mentre per mezzo della salmodia si esprime la compunzione, si apre nel nostro cuore una via per la quale, alla fine, si arriva a Gesù”.

13. Nella confessione del peccato dobbiamo parlare, cioè confessare apertamente, totalmente e senza veli i nostri peccati. E questo ce lo insegna la natura stessa, perché la lingua dell’uomo è appunto agile, molle e larga. Così la confes­sione del peccato deve es­sere totale, con la manifestazione e la precisazione di tutte le circostanze; deve essere cedevole, molle, vale a dire bagnata dalle lacrime; deve essere larga nella riparazione di tutte le offese arrecate, nella restituzione di tutto il mal tolto e nella serietà del fermo proposito di non più ricadere in peccato. La confessione di una simile lingua fa sì che l’anima si innalzi fino a Dio per mezzo della contemplazione, si ripieghi poi in se stessa per mezzo dell’umiltà, si aggiri tutt’all’in­torno per mezzo della compassione verso il prossimo. Sventurati e stolti, invece, quei peccatori, che sono balbuzienti e hanno la lingua stretta e impedita, perché quando si confessano, balbettano e si confessano in modo incompleto. Giustamente quindi è detto: “E apparvero loro delle lingue come di fuoco, che si dividevano”.

Le lingue della confessione devono essere “divise”, sparse, perché, nella confessione, il peccatore deve avere il cuore e la lingua divisi in tante parti: il cuore per dolersi in molti modi per il molti peccati commessi; la lingua per precisare distintamente tutte le circostanze dei peccati commessi.

Su questo argomento troverai una trattazione più appro­fondita nel sermone della prima domenica di Quaresima: “Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto” (Mt 4,1).

E osserva che come il fuoco riscalda le cose fredde, rende tenere quelle dure, rende solide quelle molli, abbassa e incenerisce quelle alte, e se uno lo vuole tenere acceso lo conserva sotto la cenere, così l’ardore della confessione e della soddisfazione riscalda con il fuoco dell’amore coloro che sono freddi, intenerisce con la compunzione i cuori induriti, rinsalda con la fermezza di un santo proposito i molli, cioè i lussurio­si, umilia quelli che sono alti, cioè superbi e li incene­risce con il ricordo della loro fragilità e della loro iniquità: e sotto tale cenere, questo fuoco può essere conservato in continuazione.

Io vi scongiuro, fratelli carissimi, che questo fuoco si posi, e rimanga sempre su ciascuno di voi; che le vostre lingue siano divise nella confessione dei peccati e delle loro circostanze; affinché confessandovi integralmente, in modo completo e senza veli, possiate esser degni di proclamare il nome del Signore, insieme con gli angeli, nella celeste Gerusalemme. Ce lo conceda colui il cui fuoco è in Sion e la cui fornace è in Gerusalemme (cf. Is 31,9), e che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

V. i frutti della grazia dello Spirito Santo

14. “E tutti furono pieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare in lingue diverse, come lo Spirito Santo dava loro di esprimersi” (At 2,4). Vengono riempiti dallo Spirito Santo, il solo che è in grado di riempire l’anima, la quale non può essere riempita neppure da tutto l’universo. Non possono ricevere un altro spirito, perché i vasi quando sono pieni, non possono contenere più di quello che hanno. Infatti alla beata Maria fu detto: “Ave, piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne” (Lc 1,28).

Fa’ attenzione che tra le due espressioni: “piena di grazia” e “benedetta tu fra le donne”, è detto: “il Signore è con te”, perché è il Signore stesso che conserva all’in­terno la pienezza della grazia e opera all’esterno la benedizione della fecondità, cioè delle opere sante. Giustamente anche, dopo “piena di grazia”, è detto “il Signore è con te”, perché senza Dio nulla possiamo fare o avere, e senza di lui neppure conservare ciò che abbiamo avuto. Perciò dopo la grazia è necessario che il Signore sia con noi e custodisca e conservi ciò che egli solo ha dato. Mentre egli ci previene dandoci la sua grazia, noi, nel conservarla, diventiamo suoi cooperatori: egli non veglia su di noi, se insieme con lui non vegliamo anche noi. E sembra che il Signore esiga questa nostra vigilante cooperazione, quando dice agli apostoli: “Non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate per non cadere in tentazione” (Mt 26,40-41). Giustamente quindi è detto: “E tutti furono pieni di Spirito Santo”.

Dice in proposito il Signore nel vangelo di oggi: “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Il Padre ha mandato il Consolatore nel nome del Figlio, cioè a gloria del Figlio, per manifestare la gloria del Figlio. “Egli – dice – “vi insegnerà” perché sappiate; “vi ricorderà”, cioè vi esorterà, perché vogliate; la grazia dello Spirito Santo dà il sapere e il volere. Si canta infatti oggi nella messa: “Vieni, Spirito Santo, e riempi i cuori dei tuoi fedeli”, perché abbiano il sapere, “e accendi in essi il fuoco del tuo amore”, perché abbiano la volontà di eseguire ciò che hanno saputo (cf. Sequenza della Messa di Pentecoste). Si canta anche: “Mandi il tuo Spirito e sono creati” con la tua sapienza, e rinnovi la faccia della terra con la tua volontà di amore (cf. Sal 103,30).

Concorda, con queste parole, ciò che leggia­mo nelle Lamentazioni di Geremia: “Dal­l’alto egli ha fatto scendere un fuoco nelle mie ossa e mi ha istruito” (Lam 1,13). È la chiesa che dice: Il Padre “dall’alto”, cioè dal Figlio, ha fatto scendere “il fuoco”, cioè lo Spirito Santo, “nelle mie ossa”, cioè sugli apostoli, e per mezzo di essi “mi ha istruita” perché io sappia e voglia.

15. “Tutti furono pieni di Spirito Santo”. Troviamo una concordanza nelle parole della Genesi: “Il Signore fece passare un vento”, lo Spirito Santo, “sopra la terra, e le acque diminuirono. Le sorgenti dell’abisso e le cateratte del cielo furono chiuse, e furono trattenute le piogge dal cielo” (Gn 8,1-2). Fa’ attenzione a queste quattro entità: le acque, le sorgenti, le cateratte e le piogge.

Nelle acque sono raffigurate le ricchezze, nelle sorgenti dell’abisso i pensieri dell’ani­mo, nelle cateratte del cielo gli occhi, nelle piogge l’abbondanza delle parole. Quando dunque il Signore fa passare lo Spirito Santo sopra la terra, vale a dire nella mente del peccatore, allora le acque delle ricchezze diminuiscono, perché vengono erogate ai poveri. Di queste acque è detto nella Genesi: “Chiamò la grande massa della acque mare” (Gn 1,10). L’accumulo delle ric­chezze non è altro che amarezza, tribolazione e dolore. Dice infatti Abacuc: “Guai a colui che accumula ciò che non è suo. Fino a quando si caricherà di denso fango?” (Ab 2,6). Il fango accumulato in casa manda fetore; invece sparpagliato sulla terra, la rende feconda. Così le ricchezze, se si accumulano, e se soprattutto non sono proprie ma hanno provenienza furtiva, emanano fetore di peccato e di morte. Se invece vengono distribuite ai poveri e restituite ai loro proprietari, rendono feconda la terra della mente e la fanno fruttificare.

Un abisso è il cuore dell’uomo. Di esso dice Geremia: “Malvagio è il cuore del­l’uo­mo e insondabile; chi lo conoscerà?” (Ger 17,9). Le sorgenti di questo abisso sono i pensieri; le sorgenti vengono chiuse quando viene infusa la grazia dello Spirito Santo. E su questo concorda ciò che leggiamo nel secondo libro dei Paralipomeni: “Ezechia radunò una grande moltitudine di popolo e ostruirono tutte le sorgenti e il torrente che attraversava il territorio, dicendo: Perché non vengano i re degli Assiri e trovino acque in abbondanza” (2 Par 32,4). Ezechia è figura del giusto, il quale deve radunare una grande moltitudine di buoni pensieri e chiudere le sorgenti dei pensieri iniqui e perversi e il torrente delle concupi­scenze, perché i demoni, trovando grande abbondanza di acque, non distruggano con esse la città dell’anima.

Le cateratte del cielo sono le finestre. Le finestre sono così chiamate perché “portano luce” (luce in greco si dice phos), o anche perché attraverso di esse noi vediamo al di fuori. Disposti nella testa, come le due luci collocate da Dio nel firmamento (cf. Gn 1,14-19), abbiamo i due occhi, che sono come due finestre attraverso le quali siamo in grado di vedere: e vengono chiuse sulle vanità del mondo quando viene infusa nella mente la luce della grazia.

Le piogge (in lat. pluviae, che suona quasi come fluviae, fluenti), simboleggiano le parole che senza ostacoli e senza impedimenti vengono largamente profuse ovunque. Dice infatti Salomone: “Chi lascia scorrere le acque [chi parla troppo], suscita litigi e contese” (Pro 17,14). E quindi l’Ecclesiastico consiglia: “Non dare alle tue acque uno sfogo, neppure il più piccolo” (Eccli 25,34). Queste piogge vengono sospese quando, con la grazia dello Spirito Santo, la lingua si abitua a cantare le lodi al suo Creatore e a confessare i suoi peccati. Ben a ragione quindi è detto: “E tutti furono pieni di Spirito Santo”.

16. “E cominciarono a parlare lingue diverse, come lo Spirito Santo dava loro di esprimersi”. Chi è pieno di Spirito Santo parla diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze che possiamo dare a Cristo, come l’umiltà, la povertà, la pazienza e l’ob­be­­dienza: e parliamo queste lingue quando mostriamo agli altri queste virtù, praticate in noi stessi. Il parlare è vivo quando parlano le opere. Vi scongiuro: cessino le parole e parlino le opere. Siamo pieni di parole ma vuoti di opere, e perciò siamo maledetti dal Signore, perché egli ha maledetto il fico sul quale non trovò frutti, ma solo foglie (cf. Mt 21,19). Dice Gregorio: “È stabilita una legge per il predicatore: deve mettere in pratica ciò che predica. Inutilmente fa conoscere la legge colui che con le opere, con la sua vita, distrugge il suo insegnamento”. Invece gli apostoli “parlavano come lo Spirito Santo dava loro di esprimersi”, e non secondo le loro inclinazio­ni. Ci sono infatti alcuni che parlano secondo le loro inclinazioni, si appropriano delle parole altrui e le proclamano come proprie e le attribuiscono a se stessi.

Di costoro e di quelli che sono come loro, il Signore dice: “Eccomi contro i profeti, i quali si rubano gli uni gli altri le mie parole. Eccomi contro i profeti che dicono le loro parole e proclamano: Dice il Signore! Eccomi contro i profeti che fanno sogni menzogneri, che li raccontano e pervertono il mio popolo con le loro menzogne e con i loro falsi miracoli. Io non li ho inviati, né ho dato loro alcun incarico: essi non hanno giovato per nulla a questo popolo, dice il Signore” (Ger 23,30-32).

Parliamo dunque come lo Spirito Santo ci dà di parlare, chiedendogli umilmente e devotamente che ci infonda la sua grazia affinché compiamo i giorni della Pentecoste con la perfezione dei cinque sensi e nell’osservanza del decalogo; e perché siamo ripieni del gagliardo vento della contrizio­ne e veniamo infiammati delle lingue di fuoco della confes­sione. Così infiammati e illuminati meritiamo di vedere il Dio uno e trino tra gli splendori dei santi. Ce lo conceda colui che è Dio, uno e trino, ed è benedetto nei secoli dei secoli. E ogni spirito risponda: Amen. Alleluia.


Tornare al Sacrificio per salvare il Sacramento * (tornare al corretto rito della Messa, alla Messa della Tradizione).



Tornare al Sacrificio
per salvare il Sacramento


Editoriale di Radicati nella fede, foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la S. Messa tradizionale)
anno VII - GIUGNO 2014 n. 6

- impaginazione e neretti sono nostri -



Giugno è il mese del Corpus Domini. È il mese della grande festa dedicata tutta a Gesù eucaristico. Anche noi, come tutte le parrocchie, ci apprestiamo a celebrarla Domenica 22 Giugno, visto che in Italia il Giovedì della solennità non è più giorno festivo. Lo faremo soprattutto con la processione solenne dopo la Messa cantata, portando per le vie del paese l'Ostia Santa.

Dovrebbe essere questa la processione più importante dell’anno, perché in essa non si porta una statua venerata della Beata Vergine Maria o di un santo, non si porta una reliquia, ma Gesù stesso, vivo e vero nel SS. Sacramento; vivo e vero con il suo Corpo Sangue Anima e Divinità. Questa processione dovrebbe essere solennissima, colma di adorazione e di sacro rispetto per il Signore che passa.

Sicuramente molti sentiranno affiorare delle decise e malinconiche considerazioni: ormai nei nostri paesi non è più così, non si riesce a fare più il Corpus Domini di una volta; un tempo sì che tutte le strade erano addobbate, le pareti del percorso tutte coperte dai drappi più belli; e vi ricordate poi gli altari delle soste? Si faceva a gara per farli uno più bello dell’altro! E la gente come si inginocchiava...!

Sì, non è più così. Oggi, se va bene, quella del Corpus Domini è la processione del piccolo resto dei credenti che adorano ancora la SS. Eucarestia. Per la processione della Madonna forse c'è da sperare in qualche cristiano in più, ma per il Corpus Domini...!
Sono tutte considerazioni realiste, ma sbaglieremmo se ci fermassimo lamentosamente solo ad esse, senza andare più a fondo.

Perché si è perso lo spirito di adorazione? Perché l’animo di tantissimi battezzati non riconosce più il Signore che passa nell’Ostia Santa?

Molti tra i “conservatori” diranno che tutto è stato causato da alcuni fattori: dallo spostamento dei tabernacoli nelle chiese, che dagli altari sono stati relegati in qualche altro angolo; dal non fare più la genuflessione; dal ricevere la comunione in piedi e sulla mano; dalla riduzione se non scomparsa del digiuno eucaristico, ecc...
Tutto vero, ma non siamo ancora alla causa più profonda, quella vera.

Tutto ha inizio da una disastrosa riforma del rito della Messa, seguita al Concilio Vaticano II.

Con la scusa di tradurre nella lingua parlata la Messa, nel 1969 questa fu cambiata radicalmente, praticamente rifatta, epurata da tutti gli espliciti riferimenti al Sacrificio Propiziatorio, e questo per piacere ai Protestanti.
Di fatto la Messa si trasformava sempre più in una Santa Cena, fatta, praticamente, solo perché preti e fedeli si cibino alle “due mense”, della Parola e del Corpo di Cristo; in una parola, la Messa fatta per fare la Comunione.
Scomparve così nel vissuto del popolo cristiano il fatto centrale e determinante: il Sacrificio di Cristo in Croce. Per questo Gesù ha istituito l’Eucarestia, perché sia perpetuata la Sua offerta sulla Croce, quella offerta che sola cancella i peccati e placa la giustizia divina. Ogni giorno, nelle chiese del mondo, è necessario che sia offerto il Sacrificio di Cristo, perché il mondo si salvi dall’abisso.

Ma cosa c’entra tutto questo con la presenza di Gesù nell’Ostia, con l’adorazione, con il Corpus Domini? Semplice, se la Messa non è più intesa come l’oblazione di Cristo sull’altare della Croce, ma solo come pasto sacro, è messa in pericolo anche la presenza stessa di Cristo nell’Eucarestia.

Un grande autore scriveva:


Ci sono due grandi realtà nella Messa, che sono il sacrificio e il sacramento. Queste due grandi realtà si realizzano nello stesso istante, nel momento in cui il prete pronuncia le parole della consacrazione del pane del vino. Quando ha terminato le parole della consacrazione del prezioso sangue, il sacrificio di Nostro Signore è realizzato e Nostro Signore è in quel momento pure presente, il sacramento di Nostro Signore è anch’esso lì. (...) Questa separazione mistica delle specie del pane e del vino realizza il sacrificio della Messa. Dunque, queste due realtà sono realizzate dalle parole della consacrazione. Non si può separarle. Ed è ciò che hanno fatto i protestanti; hanno voluto solamente il sacramento senza il sacrificio. Non hanno né uno né l‘altro, né il sacramento né il sacrificio. E questo è il pericolo delle Messe nuove. Non si parla più del sacrificio; sembra che si prescinda dal sacrificio. Non si parla più che dell’Eucarestia, si fa una «Eucarestia», come se non vi fosse che un pasto. Si rischia bene di non avervi più né l'uno né l’altro. È molto pericoloso. Nella misura che il sacrificio scompare il sacramento scompare anch’esso, perché ciò che è stato presentato nel sacramento, è la vittima. Se non c’è più il sacrificio, non c’è più vittima.


“Se non c’è più il Sacrificio, non c’è più la Vittima”: parole pesanti ma logicissime, secondo fede. Senza inoltrarci in delicatissime considerazioni sacramentarie, possiamo tranquillamente dire che almeno nel vissuto dei cristiani si è proprio provocato questo: l’offuscamento del carattere sacrificale della Messa ha fatto perdere la coscienza della presenza sostanziale di Cristo nel Sacramento.

A MESSA ANTICA corrisponde la sottolineatura e del Sacrificio propiziatorio e della presenza sostanziale di Cristo nell’Ostia Santa.

A MESSA NUOVA corrisponde la sottolineatura del banchetto eucaristico, della santa comunione e... guarda caso... la quasi scomparsa dello spirito di adorazione.

Non è proprio un caso: se non c’è più il Sacrificio, non c’è nemmeno più la Vittima, non c’è Gesù presente.

Ecco perché è sbagliato arginare il disastro liturgico con qualche semplice lavoro di “maquillage”, magari riportando i segni esterni dell’adorazione - incenso, candele, balaustre e inginocchiatoi... grandi adorazioni anche notturne... - senza preoccuparsi di tornare al corretto rito della Messa, alla Messa della Tradizione.

Sbaglia chi si ferma ai segni esterni, giocando con un sentimento vago della Tradizione, facendo leva sulla sola estetica che inganna. La questione è tornare alla chiarezza, tutta cattolica, del Sacrificio Propiziatorio espresso nella Messa, quella giusta.

Il tornare alla Messa giusta sanerà anche la processione del Corpus Domini, e sanerà prima ancora la vita dei cristiani, chiamati a partecipare al Sacrificio di Cristo con tutte le fibre del proprio essere.

Cuore Ammirabile di Maria: 18 - Il Cuore di Maria fu un Calvario



18 - Il Cuore di Maria fu un Calvario

Sul Calvario, il monte più importante della Palestina (e del mondo), venne 
piantata la croce di Gesù; essa però da molti anni era già piantata nel cuor di Maria.

Il Calvario fu irrorato dal sangue di Gesù; il cuore di Maria ne è stato penetrato in
anticipo più ancora dell'arida terra del Calvario. Troviamo sul Calvario, tutti 
gli strazi che hanno torturato Gesù. 
I flagelli, le spine, i chiodi del Salvatore hanno trafitto e spezzato il
Cuore della Madre sua: «Nullum ictum recipiebat Corpus Filii, cui non tristis echo 
responderet in Corde Matris».

«O Regina mia, dice S. Bonaventura, voi non siete solo presso la croce, 
siete sulla croce. Con Gesù soffrite, con Lui siete crocefissa. Egli soffre 
terribilmente nel corpo, voi nel cuore verginale, in cui tenete rinchiuse tutte le 
piaghe di Lui. Il vostro cuore verginale è trapassato dai chiodi, ferito dalle spine, 
dalla lancia e ricolmo d'obbrobri, d'ignominie, di maledizioni; sente 
la ripugnanza al fiele ed all'aceto come Lui. 
Perché volete essere immolata così per noi? 
Non è sufficiente la Passione del Salvatore a salvarci? È necessaria
anche la vostra? Anche voi dovete essere trasformata in dolore?».


Mentre il Figlio vive, Ella vive con Lui; 
quando muore in croce, Ella muore con Lui.
«In corpore Filius, in mente Genitrix erat crucifixa» (S. Lorenzo Giustiniani
«Furono crocifissi madre e figlio, questi nel corpo, quella nel cuore.

Il più grande miracolo compiuto da Gesù sul Calvario, secondo S. Agostino, 
fu la straordinaria carità usata a favore di quelli che lo crocifissero, 
pregando il Padre di perdonarli tutti. Nello stesso tempo Gesù era nel cuore 
di Maria comunicandole la sua carità riguardo ai miserabili. 
Gesù dice a suo Padre: «Padre, perdona loro, perché non sanno
quel che si fanno» e fa ripetere a Maria SS. le sue parole.



Sul Calvario Gesù ci donò sua madre: «Ecce Mater tua». 
Lei, che ha la stessa volontà di Gesù, si dona a noi con lo stesso generoso 
amore per farci da madre.
Tocca a noi risponderle: «Ecce Filius tuus» che vuole onorarvi, amarvi e imitarvi.
Custoditemi, o amabilissima madre, proteggetemi, beneditemi, tenetemi 
per mano come vostro figliolino, ancorché io sia tutt'altro che degno di questo nome.

L'autore della vita sul Calvario è in stato di morte 
nel Cuore dell'addolorata Madre.
Questo cuore meraviglioso è una tomba vivente e vivificante, 
poiché il suo SS. Cuore che ha cooperato all'Incarnazione, ha pure contribuito 
alla sua risurrezione, come vedremo.

Gesù è risuscitato nel sepolcro e nello stesso tempo ne è uscito. 
Gesù è risuscitato nel cuore di Maria, ma non ne è mai uscito e non ne uscirà in eterno.
Vogliamo poi che il nostro cuore abbia una qualche rassomiglianza con quello di
Maria? Piantiamovi in mezzo la croce di Gesù; 
meglio, preghiamo la SS. Vergine di piantarvela Lei, donandoci insieme 
un grande amore per la sofferenza; 
amore che ci faccia abbracciare volentieri le croci a noi destinate con spirito 
d'umiltà, di pazienza, di sommissione alla divina volontà e 
con quelle disposizioni con cui Gesù e Maria hanno
portato la loro croce dal peso immane.

martedì 10 giugno 2014

lunedì 9 giugno 2014

"Credo del popolo di Dio"

E' molto opportuno rileggere almeno mensilmente

"Credo del popolo di Dio"
Tra il 1967 e il 1968, papa Paolo VI dedicò un anno di celebrazioni agli apostoli Pietro e Paolo, in occasione del diciannovesimo centenario del loro martirio. Lo chiamò "Anno della Fede". E lo concluse in piazza San Pietro, il 30 giugno 1968, pronunciando una solenne professione di fede, il "Credo del popolo di Dio". Il testo di questo Credo ricalcò quello formulato al Concilio di Nicea, che si recita in ogni messa. Ma con importanti complementi e sviluppi.

Jacques Maritain e Paolo VI
Papa Paolo VI con il suo amico filosofo Jacques Maritain (autore della traccia del "Credo del popolo di Dio")


Il testo integrale del Credo del popolo di Dio pronunciato solennemente da Paolo VI il 30 giugno 1968, nella traduzione ufficiale in lingua italiana: 


"Νοi crediamo in un solo Dio..." 
Νοi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Creatore delle cose visibili, come questo mondo ove trascorre la nostra vita fuggevole, delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì angeli, e Creatore in ciascun uomo dell'anima spirituale e immortale.

Νοi crediamo che questo unico Dio è assolutamente uno nella sua essenza infinitamente santa come in tutte le sue perfezioni: nella sua onnipotenza, nella sua scienza infinita, nella sua provvidenza, nella sua volontà e nel suo amore. Egli è Colui che è, com'egli stesso ha rivelato a Mosè; e egli è Amore, come ci insegna l'Apostolo Giovanni: cosicché questi due nomi, Essere e Amore, esprimono ineffabilmente la stessa realtà divina di colui, che ha voluto darsi a conoscere a noi, e che abitando in una luce inaccessibile è in se stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata. Dio solo può darci la conoscenza giusta e piena di se stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo, alla cui eterna vita noi siamo chiamati per grazia di lui a partecipare, quaggiù nell'oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce perpetua, l'eterna vita. I mutui vincoli, che costituiscono eternamente le Tre Persone, le quali sono ciascuna l'unico e identico Essere divino, sono la beata vita intima di Dio tre volte santo, infinitamente al di là di tutto ciò che noi possiamo concepire secondo l'umana misura. Intanto rendiamo grazie alla bontà divina per il fatto che moltissimi credenti possono attestare con noi, davanti agli uomini, l'Unità di Dio, pur non conoscendo il mistero della Santissima Trinità.

Νοi dunque crediamo al Padre che genera eternamente il Figlio; al Figlio, Verbo di Dio, che è eternamente generato; allo Spirito Santo, Persona increata che procede dal Padre e dal Figlio come loro eterno Amore. In tal modo, nelle tre Persone divine, coeterne e coeguali, sovrabbondano e si consumano, nella sovraeccellenza e nella gloria proprie dell'Essere increato, la vita e la beatitudine di Dio perfettamente uno; e sempre deve essere venerata l'Unità nella Trinità e la Trinità nell'Unità.

Noi crediamo in nostro signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l'umanità, ed egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l'unità della persona.

Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri com'Egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo sangue redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Risurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all'Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all'ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto. E il suo Regno non avrà fine.

Noi crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dona la vita; che è adorato e glorificato col Padre e col Figlio. Egli ci ha parlato per mezzo dei Profeti, ci è stato inviato da Cristo dopo la sua Risurrezione e la sua Ascensione al Padre; egli illumina, vivifica, protegge e guida la Chiesa, ne purifica i membri, purché non si sottraggano alla sua grazia. La sua azione, che penetra nell'intimo dell'anima, rende l'uomo capace di rispondere all'invito di Gesù: Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste.




Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre Vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo, e che, a motivo di questa singolare elezione, essa, in considerazione dei meriti di suo Figlio, è stata redenta in modo più eminente, preservata da ogni macchia del peccato originale e colmata del dono della grazia più che tutte le altre creature.

Associata ai misteri della Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, la Vergine Santissima, l'Immacolata, al termine della sua vita terrena è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti; e noi crediamo che la Madre Santissima di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ufficio materno riguardo ai membri di Cristo, cooperando alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle anime dei redenti.

Νοi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all'inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l'uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Νοi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, non per imitazione, ma per propagazione, e che esso è proprio a ciascuno.

Νοi crediamo che Nostro Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che, secondo la parola dell'Apostolo, là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.

Noi crediamo in un solo battesimo, istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per la remissione dei peccati. Il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano dall'acqua e dallo Spirito santo alla vita divina in Gesù Cristo.

Νοi crediamo nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro. Essa è il Corpo mistico di Cristo, insieme società visibile, costituita di organi gerarchici, e comunità spirituale; essa è la Chiesa terrestre, Popolo di Dio pellegrinante quaggiù, e la Chiesa ricolma dei beni celesti; essa è il germe e la primizia del Regno di Dio, per mezzo del quale continuano, nella trama della storia umana, l'opera e i dolori della Redenzione, e che aspira al suo compimento perfetto al di là del tempo, nella gloria. Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i Sacramenti, che emanano dalla sua pienezza. E con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, che le dona vita e azione. Essa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l'irradiazione della Sua Santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui ha il potere di guarire i suoi figli con il Sangue di Cristo ed il dono dello Spirito Santo.

Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo Spirito, per mezzo di quell'Israele di cui custodisce con amore le sacre Scritture e venera i Patriarchi e i Profeti; fondata sugli Apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di Pastori nel Successore di Pietro e nei Vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità, che Dio ha manifestato in una maniera ancora velata per mezzo dei Profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù. Noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelata sia con un giudizio solenne, sia con il magistero ordinarlo e universale. Νοi crediamo nell'infallibilità, di cui fruisce il Successore di Pietro, quando insegna ex cathedra come Pastore e Dottore di tutti i fedeli, e di cui è dotato altresì il Collegio dei Vescovi, quando esercita con lui il magistero supremo.

Noi crediamo che la Chiesa, che Gesù ha fondato e per la quale ha pregato, è indefettibilmente una nella fede, nel culto e nel vincolo della comunione gerarchica. Nel seno di questa Chiesa, sia la ricca varietà dei riti liturgici, sia la legittima diversità dei patrimoni teologici e spirituali e delle discipline particolari lungi dal nuocere alla sua unità, la mettono in maggiore evidenza.

Riconoscendo poi, al di fuori dell'organismo della Chiesa di Cristo, l'esistenza di numerosi elementi di verità e di santificazione che le appartengono in proprio e tendono all'unità cattolica, e credendo all'azione dello Spirito Santo che nel cuore dei discepoli di Cristo suscita l'amore per tale unità, noi nutriamo speranza che i cristiani, i quali non sono ancora nella piena comunione con l'unica Chiesa, si riuniranno un giorno in un solo gregge con un solo Pastore.

Noi crediamo che la Chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo Mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo Corpo, che è la Chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e sotto l'influsso della sua grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch'essi, in un numero che Dio solo conosce, possono conseguire la salvezza.

Νοi crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell'Ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e di membri del suo Corpo Mistico, è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell'ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue che di lì a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale.

Pertanto Cristo non può essere presente in questo Sacramento se non mediante la conversione nel suo Corpo della realtà stessa del pane e mediante la conversione nel suo Sangue della realtà stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto le proprietà del pane e del vino percepite dai nostri sensi. Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione. Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad esser realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino, proprio come il Signore ha voluto, per donarsi a noi in nutri-mento e per associarci all'unità del suo Corpo Mistico.

L'unica ed indivisibile esistenza del Signore glorioso nel cielo non è moltiplicata, ma è resa presente dal sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la Messa. Dopo il sacrificio, tale esistenza rimane presente nel Santo Sacramento, che è, nel tabernacolo, il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese. Ed è per noi un dovere dolcissimo onorare e adorare nell'Ostia Santa, che vedono i nostri occhi, il Verbo incarnato, che essi non posso no vedere e che, senza lasciare il cielo, si è reso presente dinanzi a noi.

Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa; e che la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all'amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi non hanno quaggiù stabile dimora, essa li spinge anche a contribuire – ciascuno secondo la propria vocazione ed i propri mezzi – al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L'intensa sollecitudine della Chiesa, Sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro Salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l'ardore dell'attesa del suo Signore e del Regno eterno.

Noi crediamo nella vita eterna. Noi crediamo che le anime dl tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo, sia che debbano ancora esser purificate nel purgatorio, sia che dal momento in cui lasciano il proprio corpo siano accolte da Gesù in Paradiso, come egli fece per il Buon Ladrone, costituiscono il Popolo di Dio nell'aldilà della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi.

Νοi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite intorno a Gesù ed a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com'è e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi Angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi ed aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine.

Noi crediamo alla comunione tra tutti i Fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l'amore misericordioso di Dio e dei suoi Santi ascolta costantemente le nostre preghiere, secondo la parola di Gesù: Chiedete e riceverete. E con la fede e nella speranza, noi attendiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.

Sia benedetto Dio santo, santo, santo. Amen.

Pronunciato davanti alla Basilica di San Pietro, il 30 giugno dell'anno 1968, sesto del Nostro Pontificato.

PAOLO PP. VI