martedì 13 marzo 2018

La tristezza È un abbattimento dell'anima

ALLELUIA (CHAENOMELES JAPONICA)
Rosacea di origine asiatica, presente da secoli nei giardini europei. La particolarità di questo arbusto, e il suo successo nei giardini, deriva dal fatto che i fiori sbocciano verso la fine dell’inverno, prima che comincino a vedersi le foglie: quindi si hanno fusti sottili e scuri, coperti solo da fiorellini, che sembrano talvolta quasi finti, per il contrasto che creano con la vegetazione spoglia. E' simbolo di gioia e tenerezza materna 

Capitolo 11 

La tristezza 

Il monaco affetto dalla tristezza (1) non conosce il piacere spirituale: la tristezza È un abbattimento dell'anima e si forma dai pensieri dell'ira. Il desiderio di vendetta, infatti, È proprio dell'ira, l'insuccesso della vendetta genera la tristezza; la tristezza È la bocca del leone e facilmente divora colui che si rattrista. 

La tristezza È un verme del cuore e mangia la madre che l'ha generato. Soffre la madre quando partorisce il figlio, ma, una volta sgravata, È libera dal dolore; la tristezza, invece, mentre È generata, provoca lunghe doglie e, sopravvivendo, dopo i travagli, non porta minori sofferenze. 

Il monaco triste non conosce la letizia spirituale, come colui che ha una forte febbre non avverte il sapore del miele. 

Il monaco triste non saprà muovere la mente verso la contemplazione né sgorga da lui una preghiera pura: la tristezza È un impedimento per ogni bene. 

Avere i piedi legati È un impedimento per la corsa, così la tristezza È un ostacolo per la contemplazione. 

Il prigioniero dei barbari È legato con catene e la tristezza lega colui che È prigioniero (2) delle passioni. 

In assenza di altre passioni la tristezza non ha forza come non ne ha un legame se manca chi lega. 

Colui che È avvinto dalla tristezza È vinto dalle passioni e come prova della sconfitta viene addotto il legame. 

Infatti la tristezza deriva dall'insuccesso del desiderio carnale (3) poiché il desiderio È congiunto a tutte le passioni. Chi vincerà il desiderio vincerà le passioni e il vincitore delle passioni non sarà sottomesso dalla tristezza. 

Il temperante non È rattristato dalla penuria di cibo, né il saggio quando raggiunge una folle dissolutezza, né il mansueto che tralascia la vendetta, né l'umile se È privato dell'onore degli uomini, né il generoso quando incorre in una perdita finanziaria: essi evitarono con forza, infatti, il desiderio di queste cose: come infatti colui che È ben corazzato respinge i colpi, così l'uomo privo di passioni non È ferito dalla tristezza. 


Capitolo 12 

Lo scudo È la sicurezza del soldato e le mura lo sono della città: più sicura di entrambi È per il monaco l'apatheia. 

E infatti spesso una freccia scagliata da un forte braccio trapassa lo scudo e la moltitudine dei nemici abbatte le mura mentre la tristezza non può prevalere sull'apatheia

Colui che domina le passioni signoreggerà sulla tristezza, mentre chi È vinto dal piacere non sfuggirà ai suoi legami(1). 

Colui che si rattrista facilmente e simula un'assenza di passioni È come l'ammalato che finge di essere sano; come la malattia si rivela dall'incarnato, la presenza di una passione È dimostrata dalla tristezza. 

Colui che ama il mondo sarà molto afflitto mentre coloro che disprezzano ciò che vi È in esso saranno allietati per sempre (2). 

L'avaro, ricevuto un danno, sarà atrocemente rattristato, mentre colui che disprezza le ricchezze sarà sempre indenne dalla tristezza (3). 

Chi brama la gloria, al sopraggiungere del disonore, sarà addolorato, mentre l'umile lo accoglierà come un compagno. 

La fornace purifica l'argento di bassa lega e la tristezza di fronte a Dio il cuore preda dell'errore; la continua fusione impoverisce il piombo e la tristezza per le cose del mondo sminuisce l'intelletto. 

La caligine indebolisce la forza degli occhi e la tristezza inebetisce la mente dedita alla contemplazione; 
la luce del sole non raggiunge gli abissi marini e la visione della luce non rischiara un cuore rattristato; 
dolce È per tutti gli uomini il sorgere del sole, ma anche di questo si dispiace l'anima triste; 
l'ittero toglie il senso del gusto come la tristezza che sottrae all'anima la capacità di percepire. 

Ma colui che disprezza i piaceri del mondo non sarà turbato dai cattivi pensieri della tristezza. 

AMDG et DVM

“Il Cristianesimo è la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta

MIRACOLO A MILANO: UN LEADER POLITICO S’IMPEGNA A DIFENDERE LE NOSTRE RADICI CRISTIANE (E UN VESCOVO S’IMBUFALISCE A SENTIR PARLARE DEL VANGELO)

February 26, 2018

È il mondo alla rovescia. In Piazza Duomo, a Milano, nel corso degli anni si è visto di tutto: dalle bandiere rosse delle manifestazioni comuniste ai sit-in Lgbt con bandiere arcobaleno fino alle folle di musulmani a pregare Allah rivolti verso la Mecca.
Eppure a far insorgere a velocità supersonica un vescovo ambrosiano, sabato scorso, è stato Matteo Salvini “reo” di aver di aver evocato il Vangelo. In particolare le parole di Gesù, “gli ultimi saranno i primi”, riferendole agli italiani che oggi vengono trattati da stranieri in patria.
Nell’occasione Salvini – anticipando simbolicamente davanti alla sua gente il giuramento che dovrebbe fare come Capo del governo, nell’ipotesi di una vittoria elettorale – ha solennemente proclamato: “mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, ai 60 milioni di italiani, di servirvi con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da molti ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo”.
Immediatamente è insorto monsignor Mario Delpini intimando: “Nei comizi si parli di politica”.
Assistiamo così al singolare spettacolo di un vescovo di Milano che invece di criticare partiti e politici che avanzano programmi anticristiani, si scaglia contro un leader politico che afferma di voler difendere le radici cristiane dell’Italia e di far tesoro dell’insegnamento evangelico.
E’ proibito? Eppure per cinquant’anni la Chiesa ha sostenuto a spada tratta un partito che fin dal nome – Democrazia Cristiana– si richiamava alla fede, ai valori cattolici e alla dottrina sociale della Chiesa (con tanto di croce nel simbolo).
E – una volta finito quel partito – la Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, attraverso il card. Camillo Ruini, ha continuato a insegnare ai politici cattolici di non mettere la loro fede tra parentesi, e ha chiesto energicamente alla politica di difendere il patrimonio di valori cristiani e umanisti della nostra storia.
Ora, per bocca del vescovo di Milano, la Chiesa sembra affermare il contrario ovvero che i politici non devono richiamarsi alla religione, a un orizzonte ideale cristiano. Insomma dovrebbero dimenticare di essere cristiani.
In effetti i vescovi si dimenticano di annunciare il Vangelo e, finendo per somigliare alla Bonino, fanno solo comizi per l’emigrazione e per l’abbraccio con l’Islam.
Ma non possono esigere che pure noi e i politici ci dimentichiamo della nostra tradizione cattolica. Se essi non sanno più qual è il loro mestiere evitino di insegnare agli altri il loro. Il Vangelo è una cosa troppo seria e importante perché sia lasciata ai vescovi. E’ un patrimonio di valori e di identità per tutti, specie in Italia.
Anche per i laici. Infatti il laico Benedetto Croce, nel libro “Perché non possiamo non dirci cristiani”, scriveva:
“Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. […] E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni […] non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primatoperché l’impulso originario fu e perdura il suo”.
E un altro grande intellettuale laico, Federico Chabod, nella sua “Storia dell’idea d’Europa” scriveva:
“Non possiamo non essere cristiani, anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano.  Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli ‘anticlericali’ non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo”.
Salvini dunque si è richiamato al pilastro dell’identità italiana e della vera identità europea, un pilastro che oggi si vorrebbe abbattere in nome di un multiculturalismo devastante.
Ma il Vangelo che Salvini ha evocato è anche all’origine della laicità dello Stato prima sconosciuta (“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”). Cioè: il Vangelo è l’antidoto ai fondamentalismi religiosi e a quelli ideologici.
Il Vangelo fu la culla della libertà e della dignità della persona, quindi della democrazia. Non a caso negli Stati Uniti i presidenti usano fare il loro giuramento proprio sulla Bibbia ed evocano Dio in ogni discorso solenne (del resto c’è Dio pure nell’inno nazionale inglese, come pure nel nostro).
Citare la Costituzione insieme al Vangelo, come ha fatto Salvini, significa poi ricordare l’impronta cattolica presente nella Carta, mentre Renzi, in una infelice dichiarazione dopo la legge Cirinnà, aveva opposto la Costituzione al Vangelo.
Il contributo dei cattolici alla Carta trovò una perfetta sintesi con quello di liberali, socialisti e comunisti. E proprio quella Costituzione, brandita anni fa contro il centrodestra, rappresenta oggi la più formidabile bandiera per i sovranisti come Salvini e il centrodestra stesso.
Infatti proclama all’articolo 1 che “la sovranità” in Italia non spetta alla Commissione Europea, né alla Merkel o Macron, né alla Bce, né ai “mercati”. Ma spetta solo al “popolo italiano”.
E all’articolo 11 – come ha ben spiegato Giuseppe Palma – non consente cessioni di sovranità all’Europa, ma solo limitazioni riferite all’Onu per le diatribe internazionali sulla pace e la guerra.
Quindi Salvini ha scelto due simboli perfetti.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 26 febbraio 2018

lunedì 12 marzo 2018

‘Santo Padre, ma lei era tranquillo, era sereno?’

Vita Chiesa


Benedetto XVI: mons. Xuereb racconta rinuncia, «atto eroico per amore della Chiesa»

La rinuncia al ministero petrino di Papa Benedetto XVI è stato «un atto eroico» perché «pensava alla Chiesa, all’amore per la Chiesa che era molto più grande dell’amore per se stesso, per il suo ego». Lo afferma mons. Alfred Xuereb, che per 5 anni e mezzo è stato al fianco di Benedetto XVI come suo segretario personale, in un’intervista a Vatican News.
PercorsiBENEDETTO XVI
La sedia papale vuota (Foto Sir)


L’11 febbraio 2013, Benedetto XVI annunciò la decisione di rinunciare al ministero petrino. «Ricordo benissimo il 5 febbraio 2013 quando Papa Benedetto mi invita ad accomodarmi nel suo studio e mi annuncia la grande decisione della sua rinuncia», racconta mons. Xuereb. «A me, lì per lì, quasi veniva spontaneo di chiedergli: ‘Ma perché non ci pensa un po’?’. Ma poi – prosegue – mi sono trattenuto perché ero convinto che aveva pregato a lungo».

«Proprio in quel momento – rivela – mi è venuto alla mente un particolare. C’era un periodo abbastanza lungo, quando lui, in sacrestia, prima di iniziare a celebrare la messa nella cappella privata, rimaneva a lungo in preghiera; e nonostante i rintocchi dell’orologio che segnava l’ora dell’inizio della messa, lui ignorava questo e rimaneva raccolto davanti al Crocifisso che c’è nella sacrestia. Ero convinto, allora, che stesse pregando per qualcosa di molto importante. Quel 5 febbraio, quando io ascoltavo da Papa Benedetto la sua grande decisione, ho pensato: ‘Allora, molto probabilmente, pregava proprio per questo!’». Per mons. Xuereb, «ovviamente, un altro momento forte è stato l’annuncio pubblico durante il Concistoro dell’11 febbraio».
«Io – continua – piangevo tutto il tempo e anche durante il pranzo lui ha capito che ero molto emozionato e gli ho detto: ‘Santo Padre, ma lei era tranquillo, era sereno?’. E lui dice un deciso ‘sì’, perché il suo travaglio lo aveva già fatto. Lui era sereno proprio perché era sicuro di aver vagliato bene la cosa e che era nella pace, nella volontà di Dio». Secondo Xuereb, con la rinuncia Benedetto XVI «non ha badato a quello che persone o ambienti potevano dire sul suo conto, che magari non aveva il coraggio di andare avanti. Lui sempre è rimasto sereno, una volta che ha capito che Dio gli ha chiesto di fare questo atto di governo, amando più la Chiesa che se stesso».
Fonte: Sir

OGNUNO RISPONDERA' DELLA SUE COLPE

La Francia è cristiana. Essa è e resterà
la Figlia primogenita della Chiesa

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23 marzo 2005

GESÙ: Io ti chiamo questa mattina. Ciò che ti dirò sarà trascritto nel libretto che scrivete nel Mio Nome.

Molti paesi sono su una china disastrosa. In generale, tutti si trovano in una triste posizione. Al Giudizio delle Nazioni, ognuna risponderà delle sue colpe, per il male che esse hanno fatto e per il bene che non hanno fatto.

Oggi, le popolazioni sono destabilizzate. La gioventù, e certi adulti, vengono trascinati in una violenza crudele che va amplificandosi, malgrado le misure prese per garantire l’ordine pubblico. Né le organizzazioni politiche, né le forze di polizia, possono più mantenere l’ordine e la pace. Non si obbedisce più alle leggi stabilite su ogni territorio nazionale.

Santa Giovanna d’Arco non è una leggenda, come alcuni credono. È una figlia purissima che Io scelsi per dimostrarvi l’Amore che ella aveva per il suo Dio e per la sua Patria, la Francia. Io le permisi di sentire la voce dei grandi Santi del Cielo, San Michele Protettore del suo Paese, Santa Caterina e Santa Margherita che divennero le sue consigliere per la Salvezza della Francia cristiana.

Le Nazioni portano tutte, in sé, una coscienza, un diritto di protezione verso i loro figli, il rispetto e il diritto d’asilo per gli altri: la loro conformità  risponde alle esigenze di una regola stabilita tra Dio e gli uomini che la conservano nel loro cuore.


Santa Clotilde era cristiana. Ella ebbe la gioia, per la Santa Grazia di Dio, di convertire il suo sposo pagano, Clodoveo, Re dei Franchi, che fu battezzato nel 496 da San Remigio, Vescovo di Reims. Dopo questo, il Re tramandò a tutto il suo popolo la possibilità di ricevere il primo Sacramento della Chiesa cristiana, il Battesimo. E a cominciare da quel giorno felice la Francia, per merito del suo Re, fu ed è cristiana.

La Francia, Nazione cristiana, è il modello della Chiesa di Cristo. Essa è chiamata Figlia primogenita della Chiesa. Il Sacramento che la Francia ricevette è sacro e definitivo. Ed essa è un modello che nessuno deve contestare.

GESÙ Cristo, vostro Signore e vostro Dio, vi chiede di comprendere bene questo: Io sono Figlio di Dio, e da parte del Mio padre putativo San Giuseppe, Io sono ugualmente Figlio dell’Uomo.

La Mia Nascita sulla Terra degli uomini mi ha fatto sposare la vostra condizione umana, eccetto il peccato. Io sono Divino e Umano. Sono venuto sulla Terra degli uomini per insegnarvi ad amare Dio, Mio Padre e vostro Padre. Amando Me, voi amate anche il Padre e tutti i vostri fratelli in Dio, perché Io vi amo e vi ho amati fino a morire per voi sulla Mia Santa Croce d’Amore.



Il Mio atto di nascita porta giustamente il nome del padre Mio, Giuseppe. Tramite lui, Io ugualmente sono partecipe della discendenza regale di Davide, secondo Re ebreo. Ma vi dico ancora una volta: sì, Io sono Re, ma il Mio Regno non è di questo mondo. E quando entrerete nel Regno del Padre che è in Cielo, sarete anche voi, come il Figlio di Dio, dei Re, e vi ricorderete che questo posto e questo rango vi sono stati acquistati dal Re dei reLui che ha sofferto e che è morto sulla Sua Croce d’Amore, e che è risuscitato il terzo giorno.

Io ho meritato per voi questo posto e questo rango.

Sta a voi guadagnarli amando al di sopra di tutto il vostro Dio e amando i vostri fratelli. Santa Giovanna d’Arco ha amato il suo paese, la Francia, come un figlio deve amare suo padre e sua madre. Ella amò il suo Dio obbedendoGli e rispettandoLo, al di là della sua stessa umanità. Come Lui, ella accettò la sua Croce e morì per la Gloria di Dio che ama la Francia cristiana.

Amate il Paese dove siete nati! Rispettate il Paese che vi accoglie, come il Paese della vostra nascita. Non disonoratelo mai, perché esso vi nutre come figli suoi, perché vi ha adottati. Difendetelo, come un figlio difende l’onore di sua madre. La Nazione scelta non deve custodire nel suo seno un traditore. Sappiate che, per fare una grande catena con tutti i Paesi del mondo, voi dovete già cominciare ad amare il vostro paese e rispettarlo per ciò che esso rappresenta. La Francia non deve più agire come una rinnegata.

Essa è cristiana ed è la Figlia primogenita della Chiesa.

Seguendo questa via, Io non la lascerò perire mai.

FRANCIA,

rialza la tua fronte e guarda il tuo Dio Salvatore! Ama e sarai amata. Perdona e sarai perdonata. I tuoi figli sono innanzitutto Miei figli. Vieni in loro aiuto, difendili da ogni pericolo! Ed essi ti ameranno come Giovanna d’Arco ti ha amata.


Ma ricordati, ricordatevi TUTTI che sono Io che farò l’Unità della Mia Santa Chiesa, come farò l’unità delle Nazioni. Solo l’Amore di Dio può unificare tutto nella Nuova Terra e nei Nuovi Cieli. Amen.
Siate pazienti! Io vi dono la Mia Pace. Dio è Amore.

San Giovanni detto Klimaco o della Scala - Senza la Speranza non c'è Carità

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 11 febbraio 2009

Giovanni Climaco

Cari fratelli e sorelle,

dopo venti catechesi dedicate all’Apostolo Paolo, vorrei riprendere oggi la presentazione dei grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del tempo medioevale. E propongo la figura di Giovanni detto Climaco, traslitterazione latina del termine greco klímakos, che significa della scala (klímax). Si tratta del titolo della sua opera principale nella quale descrive la scalata della vita umana verso Dio. Egli nacque verso il 575. La sua vita si sviluppò dunque negli anni in cui Bisanzio, capitale dell’impero romano d’Oriente, conobbe la più grande crisi della sua storia. All’improvviso il quadro geografico dell’impero mutò e il torrente delle invasioni barbariche fece crollare tutte le sue strutture. Resse solo la struttura della Chiesa, che continuò in questi tempi difficili a svolgere la sua azione missionaria, umana e socio-culturale, specialmente attraverso la rete dei monasteri, in cui operavano grandi personalità religiose come quella, appunto, di Giovanni Climaco.

Tra le montagne del Sinai, ove Mosè incontrò Dio ed Elia ne udì la voce, Giovanni visse e raccontò le sue esperienze spirituali. Notizie su di lui sono conservate in una breve Vita (PG 88, 596-608), scritta dal monaco Daniele di Raito: a sedici anni Giovanni, divenuto monaco sul monte Sinai, vi si fece discepolo dell’abate Martirio, un "anziano", cioè un "sapiente". Verso i vent’anni, scelse di vivere da eremita in una grotta ai piedi del monte, in località di Tola, a otto chilometri dall’attuale monastero di Santa Caterina. 
Ma la solitudine non gli impedì di incontrare persone desiderose di avere una direzione spirituale, come anche di recarsi in visita ad alcuni monasteri presso Alessandria. Il suo ritiro eremitico, infatti, lungi dall’essere una fuga dal mondo e dalla realtà umana, sfociò in un amore ardente per gli altri (Vita 5) e per Dio (Vita 7). 

Dopo quarant’anni di vita eremitica vissuta nell’amore per Dio e per il prossimo, anni durante i quali pianse, pregò, lottò contro i demoni, fu nominato igumeno del grande monastero del monte Sinai e ritornò così alla vita cenobitica, in monastero. Ma alcuni anni prima della morte, nostalgico della vita eremitica, passò al fratello, monaco nello stesso monastero, la guida della comunità. Morì dopo il 650. La vita di Giovanni si sviluppa tra due montagne, il Sinai e il Tabor, e veramente si può dire che da lui si è irradiata la luce vista da Mosè sul Sinai e contemplata dai tre apostoli sul Tabor!

Divenne famoso, come ho già detto, per l’opera la Scala (klímax), qualificata in Occidente come Scala del Paradiso (PG 88,632-1164). Composta su insistente richiesta del vicino igumeno del monastero di Raito presso il Sinai, la Scala è un trattato completo di vita spirituale, in cui Giovanni descrive il cammino del monaco dalla rinuncia al mondo fino alla perfezione dell’amore. E’ un cammino che – secondo questo libro – si sviluppa attraverso trenta gradini, ognuno dei quali è collegato col successivo. 

Il cammino può essere sintetizzato in tre fasi successive: 
la prima si esprime nella rottura col mondo al fine di ritornare allo stato dell’infanzia evangelica. L’essenziale quindi non è la rottura, ma il collegamento con quanto Gesù ha detto, il ritornare cioè alla vera infanzia in senso spirituale, il diventare come i bambini. 
Giovanni commenta: "Un buon fondamento è quello formato da tre basi e da tre colonne: innocenza, digiuno e castità. Tutti i neonati in Cristo (cfr 1 Cor 3,1) comincino da queste cose, prendendo esempio da quelli che sono neonati fisicamente" (1,20; 636). Il distacco volontario dalle persone e dai luoghi cari permette all’anima di entrare in comunione più profonda con Dio. Questa rinuncia sfocia nell’obbedienza, che è via all’umiltà mediante le umiliazioni – che non mancheranno mai – da parte dei fratelli. Giovanni commenta: "Beato colui che ha mortificato la propria volontà fino alla fine e che ha affidato la cura della propria persona al suo maestro nel Signore: sarà infatti collocato alla destra del Crocifisso!" (4,37; 704).

La seconda fase del cammino è costituita dal combattimento spirituale contro le passioni. Ogni gradino della scala è collegato con una passione principale, che viene definita e diagnosticata, con l’indicazione della terapia e con la proposta della virtù corrispondente. L’insieme di questi gradini costituisce senza dubbio il più importante trattato di strategia spirituale che possediamo. 
La lotta contro le passioni, però, si riveste di positività – non rimane una cosa negativa – grazie all’immagine del "fuoco" dello Spirito Santo: "Tutti coloro che intraprendono questa bella lotta (cfr 1 Tm 6,12), dura e ardua, [...], sappiano che sono venuti a gettarsi in un fuoco, se veramente desiderano che il fuoco immateriale abiti in loro" (1,18; 636). Il fuoco dello Spirito santo che è fuoco dell’amore e della verità. Solo la forza dello Spirito Santo assicura la vittoria. Ma secondo Giovanni Climaco è importante prendere coscienza che le passioni non sono cattive in sé; lo diventano per l’uso cattivo che ne fa la libertà dell’uomo. Se purificate, le passioni schiudono all’uomo la via verso Dio con energie unificate dall’ascesi e dalla grazia e, "se esse hanno ricevuto dal Creatore un ordine e un inizio..., il limite della virtù è senza fine" (26/2,37; 1068).

L’ultima fase del cammino è la perfezione cristiana, che si sviluppa negli ultimi sette gradini della Scala. Questi sono gli stadi più alti della vita spirituale, sperimentabili dagli "esicasti", i solitari, quelli che sono arrivati alla quiete e alla pace interiore; ma sono stadi accessibili anche ai cenobiti più ferventi. Dei primi tre - semplicità, umiltà e discernimento - Giovanni, in linea coi Padri del deserto, ritiene più importante l’ultimo, cioè la capacità di discernere. Ogni comportamento è da sottoporsi al discernimento; tutto infatti dipende dalle motivazioni profonde, che bisogna vagliare. Qui si entra nel vivo della persona e si tratta di risvegliare nell’eremita, nel cristiano, la sensibilità spirituale e il "senso del cuore", doni di Dio: "Come guida e regola in ogni cosa, dopo Dio, dobbiamo seguire la nostra coscienza" (26/1,5;1013). In questo modo si raggiunge la quiete dell’anima, l’esichía, grazie alla quale l’anima può affacciarsi sull’abisso dei misteri divini.

Lo stato di quiete, di pace interiore, prepara l’esicasta alla preghiera, che in Giovanni è duplice: la "preghiera corporea" e la "preghiera del cuore". La prima è propria di chi deve farsi aiutare da atteggiamenti del corpo: tendere le mani, emettere gemiti, percuotersi il petto, ecc. (15,26; 900); la seconda è spontanea, perché è effetto del risveglio della sensibilità spirituale, dono di Dio a chi è dedito alla preghiera corporea. In Giovanni essa prende il nome di "preghiera di Gesù" (Iesoû euché), ed è costituita dall’invocazione del solo nome di Gesù, un’invocazione continua come il respiro: "La memoria di Gesù faccia tutt’uno con il tuo respiro, e allora conoscerai l’utilità dell’esichía", della pace interiore (27/2,26; 1112). Alla fine la preghiera diventa molto semplice, semplicemente la parola "Gesù" divenuta una cosa sola con il nostro respiro.

L’ultimo gradino della scala (30), soffuso della "sobria ebbrezza dello Spirito", è dedicato alla suprema "trinità delle virtù": la fede, la speranza e soprattutto la carità. Della carità, Giovanni parla anche come éros (amore umano), figura dell’unione matrimoniale dell’anima con Dio. Ed egli sceglie ancora l’immagine del fuoco per esprimere l’ardore, la luce, la purificazione dell’amore per Dio. La forza dell’amore umano può essere riorientata a Dio, come sull’olivastro può venire innestato un olivo buono (cfr Rm 11,24) (15,66; 893). 
Giovanni è convinto che un’intensa esperienza di questo éros faccia avanzare l’anima assai più che la dura lotta contro le passioni, perché grande è la sua potenza. Prevale dunque la positività nel nostro cammino. 

Ma la carità è vista anche in stretto rapporto con la speranza: "La forza della carità è la speranza: grazie ad essa attendiamo la ricompensa della carità... La speranza è la porta della carità... L‘assenza della speranza annienta la carità: ad essa sono legate le nostre fatiche, da essa sono sostenuti i nostri travagli, e grazie ad essa siamo circondati dalla misericordia di Dio" (30,16; 1157). La conclusione della Scala contiene la sintesi dell’opera con parole che l’autore fa proferire da Dio stesso: "Questa scala t’insegni la disposizione spirituale delle virtù. Io sto sulla cima di questa scala, come disse quel mio grande iniziato (San Paolo): Ora rimangono dunque queste tre cose: fede, speranza e carità, ma di tutte più grande è la carità (1 Cor 13,13)!" (30,18; 1160).

A questo punto, s’impone un’ultima domanda: la Scala, opera scritta da un monaco eremita vissuto millequattrocento anni fa, può ancora dire qualcosa a noi oggi? L’itinerario esistenziale di un uomo che è vissuto sempre sulla montagna del Sinai in un tempo tanto lontano può essere di qualche attualità per noi? 
In un primo momento sembrerebbe che la risposta debba essere "no", perché Giovanni Climaco è troppo lontano da noi. Ma se osserviamo un po’ più da vicino, vediamo che quella vita monastica è solo un grande simbolo della vita battesimale, della vita da cristiano. Mostra, per così dire, in caratteri grandi ciò che noi scriviamo giorno per giorno in caratteri piccoli. Si tratta di un simbolo profetico che rivela che cosa sia la vita del battezzato, in comunione con Cristo, con la sua morte e risurrezione. 

E’ per me particolarmente importante il fatto che il vertice della "scala", gli ultimi gradini siano nello stesso tempo le virtù fondamentali, iniziali, più semplici: la fede, la speranza e la carità. Non sono virtù accessibili solo a eroi morali, ma sono dono di Dio a tutti i battezzati: in esse cresce anche la nostra vita. 
L’inizio è anche la fine, il punto di partenza è anche il punto di arrivo: tutto il cammino va verso una sempre più radicale realizzazione di fede, speranza e carità. In queste virtù tutta la scalata è presente. Fondamentale è la fede, perché tale virtù implica che io rinunci alla mia arroganza, al mio pensiero; alla pretesa di giudicare da solo, senza affidarmi ad altri. 

E’ necessario questo cammino verso l’umiltà, verso l’infanzia spirituale: occorre superare l’atteggiamento di arroganza che fa dire: Io so meglio, in questo mio tempo del ventunesimo secolo, di quanto potessero sapere quelli di allora. Occorre invece affidarsi solo alla Sacra Scrittura, alla Parola del Signore, affacciarsi con umiltà all’orizzonte della fede, per entrare così nella vastità enorme del mondo universale, del mondo di Dio. In questo modo cresce la nostra anima, cresce la sensibilità del cuore verso Dio. 

Giustamente dice Giovanni Climaco che solo la speranza ci rende capaci di vivere la carità. La speranza nella quale trascendiamo le cose di ogni giorno, non aspettiamo il successo nei nostri giorni terreni, ma aspettiamo alla fine la rivelazione di Dio stesso. Solo in questa estensione della nostra anima, in questa autotrascendenza, la vita nostra diventa grande e possiamo sopportare le fatiche e le delusioni di ogni giorno, possiamo essere buoni con gli altri senza aspettarci ricompensa. Solo se c’è Dio, questa speranza grande alla quale tendo, posso ogni giorno fare i piccoli passi della mia vita e così imparare la carità. 
Nella carità si nasconde il mistero della preghiera, della conoscenza personale di Gesù: una preghiera semplice, che tende soltanto a toccare il cuore del divino Maestro. E così si apre il proprio cuore, si impara da Lui la stessa sua bontà, il suo amore. Usiamo dunque di questa "scalata" della fede, della speranza e della carità; arriveremo così alla vera vita.

AMDG et DVM