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lunedì 12 marzo 2018

San Giovanni detto Klimaco o della Scala - Senza la Speranza non c'è Carità

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 11 febbraio 2009

Giovanni Climaco

Cari fratelli e sorelle,

dopo venti catechesi dedicate all’Apostolo Paolo, vorrei riprendere oggi la presentazione dei grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del tempo medioevale. E propongo la figura di Giovanni detto Climaco, traslitterazione latina del termine greco klímakos, che significa della scala (klímax). Si tratta del titolo della sua opera principale nella quale descrive la scalata della vita umana verso Dio. Egli nacque verso il 575. La sua vita si sviluppò dunque negli anni in cui Bisanzio, capitale dell’impero romano d’Oriente, conobbe la più grande crisi della sua storia. All’improvviso il quadro geografico dell’impero mutò e il torrente delle invasioni barbariche fece crollare tutte le sue strutture. Resse solo la struttura della Chiesa, che continuò in questi tempi difficili a svolgere la sua azione missionaria, umana e socio-culturale, specialmente attraverso la rete dei monasteri, in cui operavano grandi personalità religiose come quella, appunto, di Giovanni Climaco.

Tra le montagne del Sinai, ove Mosè incontrò Dio ed Elia ne udì la voce, Giovanni visse e raccontò le sue esperienze spirituali. Notizie su di lui sono conservate in una breve Vita (PG 88, 596-608), scritta dal monaco Daniele di Raito: a sedici anni Giovanni, divenuto monaco sul monte Sinai, vi si fece discepolo dell’abate Martirio, un "anziano", cioè un "sapiente". Verso i vent’anni, scelse di vivere da eremita in una grotta ai piedi del monte, in località di Tola, a otto chilometri dall’attuale monastero di Santa Caterina. 
Ma la solitudine non gli impedì di incontrare persone desiderose di avere una direzione spirituale, come anche di recarsi in visita ad alcuni monasteri presso Alessandria. Il suo ritiro eremitico, infatti, lungi dall’essere una fuga dal mondo e dalla realtà umana, sfociò in un amore ardente per gli altri (Vita 5) e per Dio (Vita 7). 

Dopo quarant’anni di vita eremitica vissuta nell’amore per Dio e per il prossimo, anni durante i quali pianse, pregò, lottò contro i demoni, fu nominato igumeno del grande monastero del monte Sinai e ritornò così alla vita cenobitica, in monastero. Ma alcuni anni prima della morte, nostalgico della vita eremitica, passò al fratello, monaco nello stesso monastero, la guida della comunità. Morì dopo il 650. La vita di Giovanni si sviluppa tra due montagne, il Sinai e il Tabor, e veramente si può dire che da lui si è irradiata la luce vista da Mosè sul Sinai e contemplata dai tre apostoli sul Tabor!

Divenne famoso, come ho già detto, per l’opera la Scala (klímax), qualificata in Occidente come Scala del Paradiso (PG 88,632-1164). Composta su insistente richiesta del vicino igumeno del monastero di Raito presso il Sinai, la Scala è un trattato completo di vita spirituale, in cui Giovanni descrive il cammino del monaco dalla rinuncia al mondo fino alla perfezione dell’amore. E’ un cammino che – secondo questo libro – si sviluppa attraverso trenta gradini, ognuno dei quali è collegato col successivo. 

Il cammino può essere sintetizzato in tre fasi successive: 
la prima si esprime nella rottura col mondo al fine di ritornare allo stato dell’infanzia evangelica. L’essenziale quindi non è la rottura, ma il collegamento con quanto Gesù ha detto, il ritornare cioè alla vera infanzia in senso spirituale, il diventare come i bambini. 
Giovanni commenta: "Un buon fondamento è quello formato da tre basi e da tre colonne: innocenza, digiuno e castità. Tutti i neonati in Cristo (cfr 1 Cor 3,1) comincino da queste cose, prendendo esempio da quelli che sono neonati fisicamente" (1,20; 636). Il distacco volontario dalle persone e dai luoghi cari permette all’anima di entrare in comunione più profonda con Dio. Questa rinuncia sfocia nell’obbedienza, che è via all’umiltà mediante le umiliazioni – che non mancheranno mai – da parte dei fratelli. Giovanni commenta: "Beato colui che ha mortificato la propria volontà fino alla fine e che ha affidato la cura della propria persona al suo maestro nel Signore: sarà infatti collocato alla destra del Crocifisso!" (4,37; 704).

La seconda fase del cammino è costituita dal combattimento spirituale contro le passioni. Ogni gradino della scala è collegato con una passione principale, che viene definita e diagnosticata, con l’indicazione della terapia e con la proposta della virtù corrispondente. L’insieme di questi gradini costituisce senza dubbio il più importante trattato di strategia spirituale che possediamo. 
La lotta contro le passioni, però, si riveste di positività – non rimane una cosa negativa – grazie all’immagine del "fuoco" dello Spirito Santo: "Tutti coloro che intraprendono questa bella lotta (cfr 1 Tm 6,12), dura e ardua, [...], sappiano che sono venuti a gettarsi in un fuoco, se veramente desiderano che il fuoco immateriale abiti in loro" (1,18; 636). Il fuoco dello Spirito santo che è fuoco dell’amore e della verità. Solo la forza dello Spirito Santo assicura la vittoria. Ma secondo Giovanni Climaco è importante prendere coscienza che le passioni non sono cattive in sé; lo diventano per l’uso cattivo che ne fa la libertà dell’uomo. Se purificate, le passioni schiudono all’uomo la via verso Dio con energie unificate dall’ascesi e dalla grazia e, "se esse hanno ricevuto dal Creatore un ordine e un inizio..., il limite della virtù è senza fine" (26/2,37; 1068).

L’ultima fase del cammino è la perfezione cristiana, che si sviluppa negli ultimi sette gradini della Scala. Questi sono gli stadi più alti della vita spirituale, sperimentabili dagli "esicasti", i solitari, quelli che sono arrivati alla quiete e alla pace interiore; ma sono stadi accessibili anche ai cenobiti più ferventi. Dei primi tre - semplicità, umiltà e discernimento - Giovanni, in linea coi Padri del deserto, ritiene più importante l’ultimo, cioè la capacità di discernere. Ogni comportamento è da sottoporsi al discernimento; tutto infatti dipende dalle motivazioni profonde, che bisogna vagliare. Qui si entra nel vivo della persona e si tratta di risvegliare nell’eremita, nel cristiano, la sensibilità spirituale e il "senso del cuore", doni di Dio: "Come guida e regola in ogni cosa, dopo Dio, dobbiamo seguire la nostra coscienza" (26/1,5;1013). In questo modo si raggiunge la quiete dell’anima, l’esichía, grazie alla quale l’anima può affacciarsi sull’abisso dei misteri divini.

Lo stato di quiete, di pace interiore, prepara l’esicasta alla preghiera, che in Giovanni è duplice: la "preghiera corporea" e la "preghiera del cuore". La prima è propria di chi deve farsi aiutare da atteggiamenti del corpo: tendere le mani, emettere gemiti, percuotersi il petto, ecc. (15,26; 900); la seconda è spontanea, perché è effetto del risveglio della sensibilità spirituale, dono di Dio a chi è dedito alla preghiera corporea. In Giovanni essa prende il nome di "preghiera di Gesù" (Iesoû euché), ed è costituita dall’invocazione del solo nome di Gesù, un’invocazione continua come il respiro: "La memoria di Gesù faccia tutt’uno con il tuo respiro, e allora conoscerai l’utilità dell’esichía", della pace interiore (27/2,26; 1112). Alla fine la preghiera diventa molto semplice, semplicemente la parola "Gesù" divenuta una cosa sola con il nostro respiro.

L’ultimo gradino della scala (30), soffuso della "sobria ebbrezza dello Spirito", è dedicato alla suprema "trinità delle virtù": la fede, la speranza e soprattutto la carità. Della carità, Giovanni parla anche come éros (amore umano), figura dell’unione matrimoniale dell’anima con Dio. Ed egli sceglie ancora l’immagine del fuoco per esprimere l’ardore, la luce, la purificazione dell’amore per Dio. La forza dell’amore umano può essere riorientata a Dio, come sull’olivastro può venire innestato un olivo buono (cfr Rm 11,24) (15,66; 893). 
Giovanni è convinto che un’intensa esperienza di questo éros faccia avanzare l’anima assai più che la dura lotta contro le passioni, perché grande è la sua potenza. Prevale dunque la positività nel nostro cammino. 

Ma la carità è vista anche in stretto rapporto con la speranza: "La forza della carità è la speranza: grazie ad essa attendiamo la ricompensa della carità... La speranza è la porta della carità... L‘assenza della speranza annienta la carità: ad essa sono legate le nostre fatiche, da essa sono sostenuti i nostri travagli, e grazie ad essa siamo circondati dalla misericordia di Dio" (30,16; 1157). La conclusione della Scala contiene la sintesi dell’opera con parole che l’autore fa proferire da Dio stesso: "Questa scala t’insegni la disposizione spirituale delle virtù. Io sto sulla cima di questa scala, come disse quel mio grande iniziato (San Paolo): Ora rimangono dunque queste tre cose: fede, speranza e carità, ma di tutte più grande è la carità (1 Cor 13,13)!" (30,18; 1160).

A questo punto, s’impone un’ultima domanda: la Scala, opera scritta da un monaco eremita vissuto millequattrocento anni fa, può ancora dire qualcosa a noi oggi? L’itinerario esistenziale di un uomo che è vissuto sempre sulla montagna del Sinai in un tempo tanto lontano può essere di qualche attualità per noi? 
In un primo momento sembrerebbe che la risposta debba essere "no", perché Giovanni Climaco è troppo lontano da noi. Ma se osserviamo un po’ più da vicino, vediamo che quella vita monastica è solo un grande simbolo della vita battesimale, della vita da cristiano. Mostra, per così dire, in caratteri grandi ciò che noi scriviamo giorno per giorno in caratteri piccoli. Si tratta di un simbolo profetico che rivela che cosa sia la vita del battezzato, in comunione con Cristo, con la sua morte e risurrezione. 

E’ per me particolarmente importante il fatto che il vertice della "scala", gli ultimi gradini siano nello stesso tempo le virtù fondamentali, iniziali, più semplici: la fede, la speranza e la carità. Non sono virtù accessibili solo a eroi morali, ma sono dono di Dio a tutti i battezzati: in esse cresce anche la nostra vita. 
L’inizio è anche la fine, il punto di partenza è anche il punto di arrivo: tutto il cammino va verso una sempre più radicale realizzazione di fede, speranza e carità. In queste virtù tutta la scalata è presente. Fondamentale è la fede, perché tale virtù implica che io rinunci alla mia arroganza, al mio pensiero; alla pretesa di giudicare da solo, senza affidarmi ad altri. 

E’ necessario questo cammino verso l’umiltà, verso l’infanzia spirituale: occorre superare l’atteggiamento di arroganza che fa dire: Io so meglio, in questo mio tempo del ventunesimo secolo, di quanto potessero sapere quelli di allora. Occorre invece affidarsi solo alla Sacra Scrittura, alla Parola del Signore, affacciarsi con umiltà all’orizzonte della fede, per entrare così nella vastità enorme del mondo universale, del mondo di Dio. In questo modo cresce la nostra anima, cresce la sensibilità del cuore verso Dio. 

Giustamente dice Giovanni Climaco che solo la speranza ci rende capaci di vivere la carità. La speranza nella quale trascendiamo le cose di ogni giorno, non aspettiamo il successo nei nostri giorni terreni, ma aspettiamo alla fine la rivelazione di Dio stesso. Solo in questa estensione della nostra anima, in questa autotrascendenza, la vita nostra diventa grande e possiamo sopportare le fatiche e le delusioni di ogni giorno, possiamo essere buoni con gli altri senza aspettarci ricompensa. Solo se c’è Dio, questa speranza grande alla quale tendo, posso ogni giorno fare i piccoli passi della mia vita e così imparare la carità. 
Nella carità si nasconde il mistero della preghiera, della conoscenza personale di Gesù: una preghiera semplice, che tende soltanto a toccare il cuore del divino Maestro. E così si apre il proprio cuore, si impara da Lui la stessa sua bontà, il suo amore. Usiamo dunque di questa "scalata" della fede, della speranza e della carità; arriveremo così alla vera vita.

AMDG et DVM

martedì 29 aprile 2014

San Giovanni Climaco e La scala del paradiso, VII secolo. Del sonno e dell’orazione e della salmodia delle congregazioni.


GRADO XIX


Del sonno e dell’orazione e 
della salmodia delle congregazioni.


Il sonno è una parte del sentimento dell’anima e radunamento e ricoglimento delle virtudi sue, ed è una imagine di morte ed oziosità delle sensora. 

Essendo una cosa il sonno, ae molti principii e molte cagioni come la concupiscenzia, e in prima la sua cagione e principio è la natura comunemente; dopo sono le speciali cagioni di molto dormire: in alcuni a cagione dalla complessione corporale, in alcuni dalli cibi, in alcuni dalle demonia, in alcuni dal molto e smisurato digiuno, per lo quale essendo la carne estenuata ed infermata, si vuole ristorare per lo sonno. Siccome il molto bere si toglie per l’uso contrario, così il molto dormire; però dal principio del rinunziamento della vita mondana ci conviene di combattere contra il sonno, però ch’è forte cosa e dura di sanare una lunga e mala usanza. 

Poniamoci a mente, e troveremo che come sonando la tromba spirituale, cioè la campana all’ore, gli frati si ragunano visibilmente, così s’adunano le demonia invisibilmente contr’a loro, ed alcuni stanno al letto a combattere che non si lievino, e poi che ne siamo levati, ci sforzano che ci richiniamo ancora sopra lo letto. «Giacete, dicono, ancora infine che siano compiuti gli inni, che si dicono nel principio dell’ufficio, e poi intrerrete nella chiesa.»

 Alcuni altri, stando noi in orazione, ci sommergono nel sonno; alcuni altri disordinatamente fuori dell’usanza con dolori ci tormentano il corpo; alcuni altri ci ammoniscono che nel santo tempo e luogo d’orazione facciamo li parlamenti; alcuni altri sottraggono la mente nelle laide e sozze cogitazioni; alcuni altri ci confortano, che come deboli ed attenuati ci appoggiamo alle pareti, ed alcuni altri ci assaliscono ed assedianci cogli molti aprimenti di bocca e cogli molti prostendimenti; e sono alcuni di loro, che si studiano di trarci e di conducerci a riso con alcuni ricordamenti nel tempo dell’orazione, acciò che per quello riso provochiamo Iddio ad indegnazione contra di noi. 

Alcuni altri nel dire gli salmi ci sforzano di farci affrettare per negligenza; alcuni altri ci ammoniscono che noi gli diciamo molto morosamente per amore e per piacimento di vana delettazione, ed è alcuna fiata che si pongono alla bocca per farla stare chiusa, e perchè ci sia malagevole ad aprirla. Ma quegli che sta dinanzi a Dio in orazione ed in sentimento di cuore, come una colonna ferma si truova immobile, non essendo ingannato di niuna delle predette cose. 

Quegli che è verace obediente, stando in orazione, spesse fiate tutto diventa allegro e luminoso, però ch’egli era innanzi come buono combattitore infocato e riscaldato per legitima amministrazione dell’opere della santa obedienzia. Ad ogni persona d’ogni stato è possibile d’orare colla moltitudine, e a molti è convenevole d’orare con uno solo, il quale sia d’uno animo con lui; ma l’orazione singolare sanza sollazzo di compagnia, questa è di pochi. Cantando l’ufficio e li salmi colla moltitudine, non potrai orare immaterialmente (1).


Non si conviene a neuno, stando in orazione, tenere in mano opera da lavorare, però che questo è prevaricazione; ancora è destruzione dell’orazione, secondo che l’angelo di Dio amaestroe il grande Antonio.

 Secondo che ‘l camino disamina e prova l’oro, così lo stato dell’orazione dimostra la carità che ae il monaco a Dio, e la sollicitudine che à verso la salute dell’anima sua.




Nota:

1. Cioè spiritualmente e mentalmente, però ch’è mestiere d’accordarsi con gli altri; ma all’operazione della mente v’è aggiunta la contemplazione degl’inni cantati dopo la finita stanzia e verso del salmo, meditando fissamente ed intellettualmente nel verso, che morosamente dice il prossimo.

NB.
*Papa Benedetto XVI parla di san Giovanni Climaco QUI

*http://www.sannicolao.it/Percorsi_culturali/Storia_Chiesa/BenedettoXVI-I_grandi_scrittori_medievali_della_Chiesa.pdf

AMDG et BVM

lunedì 5 novembre 2012

"Scala del Paradiso" di san Giovanni Climaco


Il santo della scala: Giovanni Climaco



In marzo, le chiese cattoliche e ortodosse ricordano insieme San Giovanni Climaco (Ιωάννης της Κλίμακος).
Il suo soprannome è venuto dall'opera che l'ha reso celebre, uno dei capolavori dell'ascetica monastica: "La scala del Paradiso" (Κλίμαξ). San Giovanni Climaco, contemporaneo di Maometto, propone i trenta gradini che portano dalla terra fino al cielo, arrampicandosi sulla scala posta e sorretta da Cristo stesso, che per primo l'ha percorsa. 

Le icone che "fotografano" la scala giovannea mostrano la lotta spirituale: i monaci ascendono pericolosamente, senza reti di protezione, esortati dai santi, aiutati dagli angeli, ma insidiati dai demoni, che cercano di farli cadere per attirarli nel profondo dell'inferno. 

La visione "agonistica" della vita spirituale è qualcosa da recuperare nel nostro tempo, dove ormai domina uno psicologismo che rischia di rinchiudere in se stessi e nei propri limiti, problemi, inconsistenze, fermando all'analisi e spesso deresponsabilizzando ("sono fatto così!...).

Sul valore del testo di San Giovanni "della scala" i cristiani d'Oriente e Occidente sono sempre stati d'accordo, diffondendo enormemente questo libro, attraverso traduzioni in tutte le lingue antiche della cristianità. Nella tradizione Bizantina, la quarta domenica di Quaresima è dedicata alla commemorazione del Climaco, visto come un incoraggiante maestro sulla via dei propositi quaresimali e dei sacrifici connessi con la purificazione prepasquale per tutti i fedeli.
Vi propongo i link all'opera completa di Giovanni Climaco, secondo la traduzione italiana del 1874 del sacerdote Antonio Ceruti (1830-1918), archivista e viceprefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano. 
Potete così vedere, gradino per gradino, tutto il percorso ascensionale dell'anima proposto dal grande padre degli asceti. La lingua usata è alquanto ottocentesca, ma comunque ben comprensibile anche oggi.

INDICE della "Scala del Paradiso" di san Giovanni Climaco

Prologo
Come questo libro fu translato di Greco in latino
Incomincia la vita di santo Joanni abate del Monte Sinai, detto Scolastico, lo quale scrisse queste Tavole spirituali, cioè la Santa Scala; la quale scrisse compendiosamente Daniello, umile monaco del monasterio di Raytu
Comincia la pistola dell’abate Jovanni, duca dei monaci di Raytu, mandata all’ammirabile abate Joanni del monte Sinai, cognominato Iscolastico, utilemente per questa scrittura nominato Climaco
Comincia la pistola risponsiva di Jovanni Scolastico, abbate del monte Sinai, detto Climaco, a detto Joanni abate e duca de’ monaci di Raytu
Qui comincia il prolago di questo libro
Comincia la Tavola de’ Capitoli in numero XXX
L’altro prolago di questo libro
Grado I. Il primo capitolo del libro di santo Jovanni Climaco, e lo primo grado della Santa Scala si è della fuga del mondo, e dello rinunziamento delle cose terrene
Grado II. Di non avere affetto a niuna cosa viziosamente
Grado III. Della vera peregrinazione
Delli sogni che adivengono a coloro, che sono introdutti (Continuazione del Grado III)
Grado IV. Della beata e sempre da memorare santa obedienzia
Grado V. Della sollicita e veramente e manifestamente efficace penitenzia, la quale è figurata in San Piero
Grado VI. Della memoria della morte
Grado VII. Del pianto che letifica l’anima
Grado VIII. Della inirascibilità, cioè del non adirarsi, la quale è grave cosa a trovarla ed a possederla
Grado IX. Della Memoria della malizia, vero rancore
Grado X. Della Detrazione
Grado XI. Del molto parlare
Grado XII. Del mentire
Grado XIII. Dell’Accidia
Grado XIV. Della famosissima regina gola
Grado XV. Della incorruttibile e bene olente castità per sudori e fatiche acquistata
Grado XVI. Dell’avarizia, ed insieme con essa della povertade
Grado XVII. Della povertà

Grado XVIII. Della insensibilità, cioè della mortificazione dell’anima e morte della mente, innanzi che vegna la morte del corpo
Grado XIX. Del sonno e dell’orazione e della salmodia delle congregazioni
Grado XX. Della vigilia corporale, e come per essa viene la grazia nell’anima, ed in qual modo si conviene cercare di quella
Grado XXI. Della paura feminile e fanciullesca
Grado XXII. Della vanagloria colle molte forme e colle molte faccie
Grado XXIII. Della superbia acefala, cioè senza capo
Delle inesplicabili cogitazioni della superbia (Continuazione del Grado XXIII)
Grado XXIV. Della mititade ovvero mansuetudine e simplicità, e della innocenzia acquistata per l’aiutorio della grazia divina col proprio studio ed industria; e con essa insieme della malignità
Grado XXV. Della altissima umilità, ch’è perdizione delli vizii, secondo che se ne può sentire e vedere
Grado XXVI. Della discrezione, cioè discernimento delle cogitazioni e delle vizia e delle virtudi
Della bene discreta discrezione (Continuazione del Grado XXVI)
Ancora del grado ventesimo sesto
Grado XXVII. Della quiete dell’anima e del Corpo
Della differenza che è infra li quieti (Continuazione del Grado XXVII)
Grado XXVIII. Della santa e beata orazione, madre delle virtudi, e della intellettuale e sensibile assistenzia che è in essa
Grado XXIX. Del cielo terreno, impassibilità e perfezione seguitativa di Dio, e resurrezione dell’anima innanzi alla comune resurrezione
Grado XXX. Della congiunzione della Santa Trinitade, cioè fede speranza e carità


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GRADO XVIII



Della insensibilità, cioè della mortificazione dell’anima e morte della mente, innanzi che vegna la morte del corpo.

La insensibilità sì nello corpora sì nelli spiriti è uno mortificamento del sentimento, lo quale mortificamento rimane nelle corpora per molta lunga infermità, e nelli spiriti procede da molta lunga negligenzia. La privazione del dolore è una negligenzia qualificata, cioè compresa coll’anima, ed è una intenzione e deliberazione consopita, addormentata e ritardata in ben fare, la quale procede e nasce dall’audacia e dalla presunzione della misericordia di Dio; 

ed è uno prendimento di prontezza spirituale, per la quale entra poi la prontezza della carne, cioè li cadimenti carnali, ed è uno forte laccio e legame, del quale tardi l’anima si scioglie, ed è una stoltizia ed ignoranzia e mollezza di compunzione, ed è una intrata di disperazione, ed è madre di dimenticamento e discordamento della propia salute, e figliuola d’esso discordamento, però che da quello discordamento della salute dell’anima procede la durizia del cuore, ed è uno discacciamento di timore. 

 Quello uomo che non si duole del pericolo della sua anima, è uno filosofo stolto, per altrui savio e per sè sciocco, ed è uno sponitore di scrittura giudicato da sè medesimo, ed è un parlatore contrario a sè medesimo, amando di studiarsi di ben parlare, ed essendo cieco, si fa maestro di vedere; 


disputa ed insegna in qual modo si sana la piaga dell’anima altrui, e la piaga dell’anima sua non cessa di percuotere e di farla più grande;
parla contra li vizii, e non posa di fare quello che accresce li vizii;
biastemmia e desidera male di sè medesimo per lo male che à fatto, ed incontanente rifà quello medesimo male;
per la qual cosa s’adira contra sè medesimo, e non si vergogna delle parole che à dette.
Contra a sè chiama e dice: «Misero a me, mal faccio,» e prontamente fa peggio;
ôra contra ‘l vizio colla bocca, e per esso vizio combatte col corpo;
  
parla della morte saviamente, ed egli sta duro sanza paura, come s’egli fosse immortale.
Del partimento dell’anima parlando sospira, e dorme per negligenza, come fosse eternale;
dell’astinenzia parla ordinatamente, e per la gola combatte, e conturbasi se non à quello che gli diletta. 

Legge del giudicio quanto è terribile, e comincia a ridere; 


pensa nel leggere che parla della vanagloria, e nel pensiero di quella lezione si vanagloria, parendogli avere sottilmente parlato e pensato.


Della vigilia parlando, dimostra quanto è utile, ed incontanente sè medesimo sommerge nel sonno; l’orazione leva in alto lodandola, e da essa come dal flagello fugge. 

La obedienzia molto beatifica, ed egli è il primo che la rompe; loda coloro che non amano le cose viziosamente, ed egli per uno ago e per un vile panno prende rancore e combatte e non si vergogna. 

Essendo adirato, si rammarica, e di quella amaritudine che à presa, un’altra fiata s’adira, e aggiungendo difetto sopra difetto e cadimento sopra cadimento, non si sente;

mentre che è satollo, vuole fare penitenzia, ed andando un poco innanzi, si satolla ancora meglio. 

Del silenzio dice che è beato, e sì lo loda con molto parlare, ammaestra gli altri della mititade, ed in quella dottrina spesse fiate s’adira. 

Levando la mente in alto a pensare dello stato suo, dolendosi sospira, e rimutando il capo della mente da quello pensiero, un’altra fiata al vizio si rappressa. 

Vitupera e biasima il riso, e sorridendo ammaestra del pianto;

sè medesimo vitupera e biasima d’alcuna cosa per essere lodato d’umilità, e per vituperio vuole a sè onore acquistare;

raguarda in faccia viziosamente, e di castità e di continenzia grandemente parla. 

Loda li solitarii che stanno nella quiete, vivendo egli nel mondo, e non considera che confonde sè medesimo; 

glorifica quelli che sono misericordiosi, ed egli impropera e dice villania a’ poveri; 

sempre mai è accusatore di sè medesimo, e in sentimento di sè non vuole venire (non vo’ dire che non possa). 

Io vidi molti di questi cotali, che udendo parlare della morte e delli spaventosi giudicii, piangevano, e con lagrime negli occhi, con gran fretta andavano alla mensa, ed io di questa cosa mi feci grande maraviglia, pensando come questa morto, cioè la insensibilità, donna della vita de’ miseri, essendo forte fortificata dalla molta privazione del dolore, potee avere vittoria del pianto sanza diliberazione (1).

Secondo la mia piccola virtù e piccolo conoscimento abbo denudata e scoperta la pietra, cioè la durizia, e le fraude e gl’inganni e le piaghe di questa dura e smaniosa e pazza insensibilità. Insegnare più contra essa con parole, non me ne pate il cuore; ma qualunque è quegli, che per esperienzia con Dio abbia potenzia d’insegnare e dare medicine contra alle piaghe sue, non ci sia pigro nè tardo, però ch’io non mi vergogno di confessare la mia impotenzia, siccome uomo da essa fortemente legato, e le sue fraude ed industrie non pote’ da me medesimo comprendere; se non ch’io essa in alcuno luogo la presi, e per violenza la tenni e crucia’la col fragello del timore di Dio, e batte’la colla incessabile orazione, e queste cose predette mi feci confessare, onde questa tirannia malefica fu a me avviso che dicesse così: 

«Li miei confederati, vedendo li morti, ridono; stando in orazione, tutti sono di pietra duri ed ottenebrati; mentre che veggiono la sagrata mensa, cioè l’altare, ed essendo infra le cose sagre, sono irriverenti ed insensibili. 
Quando prendono il dono della Eucarestia del corpo di Cristo, tale affetto ci ànno, come se assaggiassono o gustassono un poco di pane vile. Io, disse ella, vedendo questi miei confederati essere compunti, faccione scherne. Io, disse questa insensibilità, dal padre mio che m’ingenerò, apparai d’uccidere tutti li beni, che nascono della fortezza e del desiderio dell’anima; io sono madre del riso, io sono nutricatrice del sonno, io sono amica della satollezza e della sazietà; io essendo ripresa, non mi dolgo; io m’accosto e congiungo colla infinita irreligiosità ed irriverenza.» 

Io essendo isbigottito e pauroso delle parole di questa smaniata e furiosa, dimandai per volere sapere il nome del padre che la ingenerò, ed ella disse: 

«Io non abbo una sola genitura, però che la mia generazione è mescolata e varia e non stabile. Me fortifica la satollezza, me fece crescere lo lungo tempo; me ingenerò la maligna consuetudine, la quale chi ritiene, da me già mai libero non sarà. Persevera in molta vigilia; pensando lo giudicio eternale, forse per questo un poco allenteraggio. Cerca la cagione, per la quale in te sono nata, e contra essa combatti fortemente, però ch’io non aggio una medesima cagione in ogni persona. Ora spesse fiate nelle sepolture de’ morti, e la imagine loro continuamente dipigni nel core tuo, però che se questa imagine non ci sarà dipinta e scritta collo stile del digiuno e colla penna della vigilia, giammai non mi vincerai.»

Da questa lapidea insensibilità, la quale è mortificazione dell’anima e morte della mente innanzi alla morte corporale, ce ne liberi il nostro Signore Gesù Cristo per la sua passione; della quale chi è libero, possiede grado di virtù in santificazione di vita.

Nota:1. Lo pianto toglie lo dilettamento del mangiare, e fugge da’ dilettamenti del corpo come dal suo nimico; e questi insensibili colle lagrime negli occhi correvano a mangiare; però dice questo santo che si maraviglioe, come questa morte vinceva il pianto, togliendo la propietà e la potenzia del pianto.

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GRADO XVIII 

De insensibilidad, que la mortificación del alma y la muerte de la mente, antes de que venga la muerte del cuerpo.

El entumecimiento de la corporación sí sí paneles mortificamento espíritus es una de los sentimientos, la mortificamento que permanece en el corpus de la larga enfermedad que muchos, y los espíritus paneles proceder de una negligencia muy largo. La privación del dolor es una negligencia cualificado, que con el alma, y es una intención y deliberación consopita, dormir y demoró en hacer el bien, lo que deben hacer y fue creado por la audacia y la presunción de la misericordia de Dios, y es un aprendizaje de la preparación espiritual, para que luego entra en la preparación de la carne, que cadimenti carnal, y es un lazo fuerte y corbata, que más tarde se derrite el alma, y es una locura y la ignorancia y la debilidad de la compunción, y es un Mark-a la desesperación, y es la madre de dimenticamento y discordamento de su propia salud, y la hija de discordamento ella, sin embargo, que la salud del alma procede discordamento durizia del corazón, y es destierro del miedo. 

Ese hombre que se queja del peligro de su alma, es un filósofo sabio tonto, para otros y para sí mismo tonto, y es uno sponitore escrito juzgado por uno mismo, y es un orador en contra de sí mismo, amando a dedicarse también hablar y ser ciego, fue el maestro de vista disputa y enseña una herida sana el alma de los demás, y la difícil situación de su alma no deja de atacar y hacerlo más grande, habla en contra de los vicios, y no por hacer lo que aumenta los vicios; biastemmia y desear el mal de sí mismo por el mal que un hecho, y incontinente atrae el mal mismo, por lo que se enoja contra uno mismo, y no se avergüenza de las palabras que un dijo. 

Contra llama y dice a sí mismo: "Me pusieron, mal hacer eso", y rápidamente lo peor, y ahora contra "el vicio con la boca, y lucha vice para ello con el cuerpo sabiamente habla de la muerte, y él es duro, sin miedo, como si fuera inmortal. Mento de la conversación de los suspiros del alma, y duerme por negligencia, como Eternale; dell'astinenzia hablar bien, y lucha garganta, y si no conturbasi lo que ama. Derecho del juicio es terrible, y comienza a reír, pensar al leer que habla de la vanagloria, y la idea de que la lección es vanagloria, pensando que ha hablado sutilmente y el pensamiento. Eva habla, muestra lo útil e incontinente mismo se sumerge en el sueño, la oración alabando palanca hacia arriba, y se escapa de este flagelo. 

La obediencia muy beatífica, y él es el primero que se rompe, él alaba a los que no les gustan las cosas violentamente, y una aguja y una tela base tiene resentimiento y peleas y no se avergüenza. Estar enojado, lamenta, y la amargura que un socket, otro affair conversaciones se enfada, y añadiendo el defecto anteriormente y defecto cadimento cadimento anterior, no se oye, si bien se sacia, que quiere hacer penitencia, y yendo un poco más lejos , está saciado aún mejor. 

El silencio dice que es bendecido, y sí lo alaba con mucha charla, enseña a otros el mititade, y esa doctrina a menudo se enfada. El aumento de la mente para pensar en su estado, lamentando suspiros, y rimutando la cabeza de la mente de ese pensamiento, otro asunto habla con el vicio es rappressa. Vitupera y culpa arroz, enseña el llanto y la sonrisa; vitupera mismo y culpa a sí mismo por algo digno de alabanza de la humildad y auto-reproche quiere comprar honor; cualidades con la de ellos en la cara con saña, y la castidad y la continencia habla mucho . Alabado ellos que son solitarios en la tranquilidad, él vive en el mundo, y no considera que se confunde; glorifica a los que son misericordiosos, y dice que impropera y grosería de "pobres siempre jamás acusador de sí mismo, y el sentimiento de auto- no quiere venir (no vo 'no se puede decir eso). Vi a muchos de estos hombres, que oyeron hablar de la muerte y los modelos de miedo giudicii, llorando, y con lágrimas en los ojos, con mucha prisa fue a la cafetería, y de esta cosa que hice con gran sorpresa, pensando como esta muerto, que es la falta de sensibilidad , mujer de la vida de "miserable, ser fuerte fortificado por un montón de dolor privación, Potee tienen grito de victoria sin deliberación (1).


En mi virtud poco pequeña y suscriptores de descubrimiento de conocimientos desnudaron y la piedra, que es el durizia y fraude y engaños y las heridas de esta insensibilidad loco y duro y con ganas.Enseñar más contra él con palabras, no me pate el corazón, pero sea lo que sea lo que Dios tiene para experiencial con potencial para enseñar y dar medicamentos contra los males de la suya, no hay ni perezosa tarde, pero no hizo ningún vergüenza de confesar mi impotenzia, ya que fuertemente ligada al hombre, y su fraude y las industrias no podía "entender por mí mismo, si no en cualquier lugar que lo tomé, y la sostuvo por la violencia y con crucia'la fragello el temor de Dios, y la oración batte'la pegamento incessabile, y estas cosas de arriba me confieso, a esta tiranía del mal era para alertarme que dijo lo siguiente: 

"Mi confederados Li, al verlos muertos, risa, de pie en la oración, todo son de piedra dura y oscura, mientras que Sagrata veggiono la mesa, es decir, el altar, y está por debajo de los festivales cosas, son irrespetuosos e insensible. Cuando toman el don de la Eucaristía, el cuerpo de Cristo, este año nos amamos, como si assaggiassono gustassono o un poco de pan vil. Me dijo que vio a estos mis cómplices ser pinchado, scherne cara grande. Me dijo que esta falta de sensibilidad, de mi padre que m'ingenerò, apparai para matar a todos los bienes que nacen de la fortaleza y el deseo del alma que yo soy una madre de arroz, soy nutricatrice de sueño, soy un amigo de satollezza y la saciedad, ya que disparar, no me arrepiento, me acerco a ella y me congiungo irreligión cola infinita e irreverencia. "isbigottito y yo tener miedo de las palabras de este smaniata y furioso, dimandai quiere saber el nombre del padre que engendra, y ella dijo: "Yo no soy un suscriptor único parentesco, sin embargo, que mi generación es mixta y variada y estable no. 

Satollezza me conforta, me hizo crecer mucho, me engendró el mal hábito, que aquellos que creen que nunca he no ser libre. Persevera en mucho antes, pensando que el Eternale juicio, tal vez esto allenteraggio un poco. Encuentre la causa por la que habéis nacido en, y luchar con fuerza contra ella, pero no ay la misma razón que en cada persona. Ahora, muchas veces en los entierros de "muerto, e imagina que se dipigni en su núcleo, sin embargo, si la imagen no será pintado y escrito estilo del cuello rápido y con su pluma el día anterior, yo nunca ganan". 



De esta insensibilidad pedregoso, que es la mortificación del alma y la muerte de la mente antes de la muerte del cuerpo, prohíben a nuestro Señor Jesús Cristo por su pasión, que el que es libre, tiene grado de virtud en la santidad de la vida.

Nota: 

1. Llorando elimina la dilettamento de comer y huyendo de "cuerpo dilettamenti como su enemigo, y éstos insensible, con lágrimas en los ojos corrió a comer, pero él dice que este maraviglioe santo, como esta muerte ganó las lágrimas, la eliminación de las propiedades y el potencial de la planta.


Testo preso da: * Il santo della scala: Giovanni Climaco 


http://www.ortodossia.it/w/media/com_form2content/documents/c17/a2081/f255/climaco_scala.pdf



Santi angeli custodi 

preservateci 

da tutte le insidie del maligno.