domenica 26 novembre 2017

SAN LEONARDO DA PORTO MAURIZIO

SAN LEONARDO DA PORTO MAURIZIO FRANCESCANO 
ARALDO DELLA VIA CRUCIS 

 Il 20 Dicembre 1676, Paolo Girolamo Casanova, nasceva a Porto Maurizio, oggi Imperia, in Liguria, da Domenico e Anna Maria Benza. Piccolo, di appena tre anni, perdette la madre e il padre lo affidò al nonno paterno, il quale lo educò in modo esemplare. Quando aveva tredici anni, fu mandato a Roma, da un prozio, e fatto studiare al Collegio Romano dei Gesuiti. 

 Affascinato, attratto e conquistato dalla vita che conducevano i frati francescani del convento di San Bonaventura, manifestò il proposito di farsi figlio di San Francesco. Lo zio, che nei confronti del ragazzo aveva altri progetti, si oppose e, contrariato, lo cacciò di casa. 

Provvidenzialmente, veniva accolto da un altro congiunto, Leonardo Buzetti, del quale per gratitudine, il giorno della sua vestizione, che avvenne il 23 Novembre 1697, volle assumere il nome da religioso: frate Leonardo da Porto Maurizio. Aveva meno di 21 anni. Cinque anni dopo, il 23 Settembre 1702, venne consacrato sacerdote. 

 Desiderava, padre Leonardo, fare il missionario ed andare in Cina, ma avendo contratto la Tbc, per tale motivo dovette restare in Italia e fu destinato a Napoli. 

Da allora, quantunque malato, si diede alla predicazione, girando per gran parte d’Italia, specialmente in Toscana, per poi, dopo anni, ritornare a Roma. La gente accorreva per ascoltare le sue prediche che egli iniziò ad accompagnare con il pio esercizio della Via Crucis, del quale divenne il maggiore propagatore. 

Eresse, sparse per le contrade, centinaia di edicolette e icone con le 14 stazioni, raffiguranti le varie fasi della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. 
La Via Crucis divenne, da allora, pratica abituale dei fedeli, specialmente durante il periodo della Quaresima.
 Fra tutte, la più famosa rimase la Via Crucis di Roma, che ancora oggi si svolge, ogni anno, al Colosseo con la partecipazione del Sommo Pontefice. 

Sant’Alfonso dei Liguori definì padre Leonardo ”il più grande missionario del nostro secolo”. Nel 1744, papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini) che teneva in grande considerazione padre Leonardo, lo mandò in Corsica per risollevare quelle popolazioni che avevano molto trascurato la religione. 

Si prodigò, il nostro Santo, nell’isola corsa, malgrado venisse accolto con ostilità. Consigliava e proponeva, oltre alla pratica della Via Crucis, la devozione al Santissimo Nome di Gesù, ricalcando le orme di San Bernardino da Siena. Spesso, con la sua eloquenza, confutava la nascente setta dei Liberi Muratori, i massoni, che andavano diffondendo, tra il popolo, eresie e menzogne contro la Chiesa Cattolica. 

Perorava anche, con forza, coraggio e grande convinzione, da buon francescano, il dogma dell’Immacolata Concezione, affinchè la Santa Chiesa lo definisse, la qual cosa avvenne, con solenne proclamazione, cento anni dopo, nel 1854, per opera del Papa Pio IX (Mastai Ferretti). Predicava, istruiva, confessava, padre Leonardo, camminando scalzo, girando per le città e i paesi. Gli fu imposto, dallo stesso papa, di usare i sandali. 

 Nel 1751, dopo aver predicato a Lucca e Bologna, rientra a Roma nel convento di San Bonaventura. Stanco, affranto, debole e febbricitante, la sera del 25 Novembre si mette a letto, malato. E’ la fine. Riceve i Santi Sacramenti. 
Prima della mezzanotte muore, confortato da un affettuoso messaggio del papa. Aveva 75 anni. Benedetto XIV, apprendendo la notizia, disse : “Abbiamo perduto assai, ma abbiamo guadagnato un protettore in cielo”, ed aggiunse anche “di quest’uomo si possono fare volumi”. Nel 1796, frate Leonardo da Porto Maurizio viene beatificato : nel 1867, da Papa Pio IX, venne canonizzato. Festa liturgica 26 Novembre. Gianni Mangano
AMDG et BVM

sabato 25 novembre 2017

La più tragica delle domande:

PERCHE’ OGGI NESSUNO SA PIU’ LOTTARE?
[Alcune considerazioni su...]

SU, NON E’ IL RUGBY IN ARGENTINA, 1978. DOBBIAMO SOLO DARCI DA FARE.
 
Claudio Fava, qualcuno lo ricorderà perché non è molto tempo, portò in giro uno spettacolo sulla storia della squadra di rugby argentina Club La Plata nell’anno 1978, in piena dittatura di destra. Una dittatura finanziata da Kissinger e dal Pentagono et al., coi suoi 30.000 desaparecidos torturati a morte o trucidati.
La squadra La Plata era composta di ragazzini, alcuni avevano 17 anni… roba che oggi li abbatti col Borotalco, ma quelli di allora non erano così. Erano ribelli, di sinistra, per la democrazia. Trovarono il primo compagno di squadra un giorno, in una discarica, con le mani legate dal filo spinato e un buco in testa. Alla domenica, c’era la partita, il La Plata si presenta e mentre l’arbitro fischia l’inizio loro rimangono immobili per 1 minuto, in segno di lutto.
Il secondo giocatore lo trovano torturato e ucciso poco dopo. Alla partita successiva, fischio, ma loro immobili per 2 minuti. La settimana dopo i morti rapiti e trucidati sono 3. Tre minuti d’immobilità al fischio. 
Ne è sopravvissuto solo uno di loro, alla caduta del regime, su diciotto.
Di cosa devi essere fatto, a 17, a 21, a 24 anni per avere un coraggio così? Perché poi non si trattava solo di morire, che già terrorizza, ma di morire dopo 8 ore di dita spezzate con le pinze e scariche ai genitali. Ma loro no, un minuto fermi in campo, due, nove, dodici. Li ammazzarono tutti, meno uno.
Oggi è il 24 novembre 2017, possiamo giocare in campo e protestare, lottare, per quello che vogliamo. La sera a casa a cena. Ma praticamente nessuno, su milioni di adulti abili, vuole oggi pagare il prezzo di una condanna pecuniaria, o di un tiepido ‘affidamento in prova’ quando va male, per una lotta. E anche fosse un anno di carcere per salvare la vita nostra e quella dei nostri figli? Allora? Mica è una partita di rugby in argentina 1978…
Ma praticamente nessuno lo fa più, neppure se la UE gli sfila il portafogli o il futuro dei bambini, e neppure quando lo farà, molto peggio, Google. Tutti fermi, tantissimi “io farei, ma sai, tengo famiglia”, e Social furenti, ah, quelli certo. Non lamentiamoci per favore. Esiste la decenza ancora? No, chiedo.

Sono cose che ho già scritto, portando esempi simili. Ma dobbiamo rifarci, tutti, la più tragica delle domande:
PERCHE’ OGGI NESSUNO SA PIU’ LOTTARE?
La risposta sta nella pianificazione fatta dalla Camera di Commercio USA nel 1972 e dalla Commissione Trilaterale nel 1975, documentata autorevolmente nel mio saggio Il Più Grande Crimine (2011). Capirono negli anni ‘60 che la gente sapeva lottare e che quando lo faceva, era invincibile. Andavamo disabilitati.
E glielo abbiamo permesso, noi, NOI, non i Rothschild. Milioni di noi che... io farei, ma sai, tengo famiglia”. 
Club La Plata.

AMDG et BVM

L'importanza di raggiungere il monte, ch'è Cristo


Preghiamo
O Dio, che desti la legge a Mosè sulla vetta del monte Sinai, e nello stesso luogo per mezzo dei santi Angeli collocasti miracolosamente il corpo della tua beata Vergine e Martire Caterina; concedi, che, per i meriti e l'intercessione di lei, riusciamo a raggiungere il monte, ch'è Cristo:
Lui che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen
Lettura

Caterina, nobile vergine d'Alessandria, seppe congiungere fin dalla prima età lo studio delle arti liberali coll'ardore della fede. 

Vedendo poi come altri cristiani per ordine di Massimino erano trascinati al supplizio, si presentò allo stesso Massimino e gli provò con forza la necessità della fede di Cristo per essere salvi. 

Sorpreso per la sua cultura, il tiranno la fece trattenere e, radunati d'ogni parte gli uomini più sapienti, si sforzò di persuaderla a convertirsi al culto degli idoli. 

Ma avvenne il contrario. Infatti parecchi di quegli uomini, convinti dai sapientissimi ragionamenti di Caterina, abbracciarono la fede di Cristo e non dubitarono di morire per essa. 

Per cui Massimino tentò dapprima con blandizie, poi con tormenti di ridurre Caterina ad altri sentimenti; ma, non riuscendo a nulla, ordinò di decapitarla.
Nel Martirologio si leggeAd Alessandria santa Caterina, Vergine e Martire, la quale, messa in prigione per la confessione della fede cristiana sotto l'Imperatore Massimino, e poi lunghissimamente tormentata cogli scorpioni, finalmente decapitata compì il martirio. Il suo corpo, miracolosamente trasportato dagli Angeli sul monte Sinai, vi è religiosamente venerato dal numeroso concorso di Cristiani.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

“Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” Rispose: “Il padrone”.


 (Cont. del capitolo Nascita e giovinezza di Francesco

L’8 gennaio 1198 fu eletto Papa il cardinale Lotario dei Conti di Segni, che prese il nome di Innocenzo III
Fu Papa dal 1198 fino al 16 luglio 1216, ed è considerato il Papa più grande dell’alto medioevo. Se l’imperatore Federico II era considerato come uno stupor mundi, uno stupore del mondo, Innocenzo III non sarebbe stato di meno. 
La sua elezione veniva in un momento di grande importanza sia per la Chiesa che per il mondo civile. Innocenzo III era il Papa adatto per dare una nuova direzione alla Chiesa, che aveva urgente bisogno di una riforma dall’alto in basso. 

I problemi legati alla ignoranza del clero, erano complicati con il pullulare di molti movimenti di laici che volevano una riforma della Chiesa sul modello della vita di Cristo e gli apostoli. Movimenti di cui abbiamo parlato, come gli Umiliati in Lombardia, che Innocenzo III saggiamente prese sotto la tutela della Chiesa approvando il loro propositum vitae, o forma di vita. Ma c’erano altri movimenti pericolosi per la Chiesa, che si contaminavano con l’eresia, negando l’umanità di Cristo, e i sacramenti amministrati in modo particolare dal clero contaminato con la simonia e il concubinaggio. 

Catari, o Albigesi, e anche Valdesi, o Poveri di Lyon, vivevano in assoluta povertà sul modello evangelico di Cristo e gli apostoli, e predicavano in volgare conducendo una vita itinerante. Contro questi ultimi Innocenzo III aveva soltanto una soluzione, indire una crociata per la loro conversione, ed eventualmente, per la loro distruzione se rifiutassero di ritornare in seno alla Chiesa. 

Innocenzo III era anche un Papa forte dal punto di vista politico. Egli voleva rivendicare alla Chiesa tutte le terre che appartenevano al patrimonio di San Pietro, cioè tutte le terre dell’Italia centrale che componevano quello che sarebbe stato chiamato lo Stato Pontificio. Questi territori erano sempre sotto la minaccia dell’egemonia dell’imperatore, che pure aveva grandi territori, particolarmente nel sud Italia e in Sicilia. Assisi, in questo momento storico, faceva parte del ducato di Spoleto, che era un territorio imperiale, mentre altre parti dell’Umbria, specialmente Perugia, facevano parte dei territori papali.

 L’imperatore Enrico VI, figlio di Federico I Hohenstaufen (Barbarossa), aveva sposato la principessa normanna Costanza d’Altavilla, del regno della Sicilia. Nel 1196 egli aveva lasciato suo figlio, Federico Ruggero, alla cura di un suo amico e confidente, il conte Conrad von Ürslingen di Lützelhardt, che risiedeva nella Rocca sopra Assisi. Quando Innocenzo III fu incoronato Papa, l’imperatore voleva fare un gesto di generosità per non indurre il Papa subito alla guerra, siccome il Papa rivendicava per sé il ducato di Spoleto. Allora l’imperatore mandò Conrad a Spoleto per consegnare ai legati papali il ducato che egli rivendicava. 
Era il 1198. I cittadini di Assisi, particolarmente i minores, vedevano in questo momento l’occasione opportuna per ribellarsi contro il predominio imperiale. Salivano alla Rocca e la distrussero. Poi cercavano di cacciare via i nobili feudatari che erano tutti alleati dell’imperatore. 

Tra queste famiglie c’era la famiglia di Chiara di Favarone di Offreduccio, che aveva il suo palazzo accanto alla chiesa cattedrale di San Rufino.
Chiara era nata nel 1193 da una madre di profondo senso spirituale, chiamata Ortolana, e da un padre che proveniva da una delle famiglie di cavalieri guerrieri e nobili di Assisi. Nel 1198 la famiglia di Chiara dovette fuggire da Assisi e, come tante altri nobili, trovare rifugio presso la città vicina di Perugia. 

La rivolta degli Assisani portò la città allo stato di guerra civile, anche perché i cittadini di Assisi non soltanto volevano liberarsi dal dominio imperiale, ma erano anche molto sospettosi del dominio papale, avendo in mente di istituire un Comune autonomo. 
Il loro sogno, tuttavia, doveva incontrare grosse difficoltà, perché i nobili cacciati in Perugia cercavano di ricuperare i loro antichi diritti di proprietà. Nel 1202 iniziarono i due anni in cui Francesco sperimentò la gloria, e la follia, della guerra. 

Le relazioni tra Assisi e Perugia peggioravano nel 1202, a tal punto che si combatteva tra le due città. La battaglia si svolse in un luogo chiamato Collestrada, o Ponte San Giovanni, vicino alla città di Perugia. La guerra durò per un lungo tempo, dal 1202 fino al 1209, finché si stabiliva una situazione di relativa pace tra i maiores, che guadagnavano i loro antichi diritti in Assisi, e i minores, che guadagnavano una certà importanza nel governo della città. 

Francesco partecipò con slancio nella battaglia di Collestrada, e poteva ben essere considerato come uno dei milites, o cavalieri, perché era attrezzato con tutta l’armatura necessaria per il combattimento. Purtroppo, la battaglia finì in un disastro per gli Assisani, e Francesco, con molti altri che scampavano dalla morte, fu preso vivo come un prigioniero, e lasciato a languire in una squallida prigione per un anno, quando probabilmente fu riscattato da suo padre. 
Tra Perugia e Assisi si erano riaccese le ostilità, durante le quali Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia. 
Essendo signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili. Una volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro. Uno dei compagni allora gli disse che era matto a fare l’allegrone in carcere. Francesco ribatte con voce vibrata: “Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo”. 
Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per questo, gli altri lo isolarono. Soltanto Francesco continuò a essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto. Dopo un anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme ai compagni di prigionia (L3C 4). 

La pace a cui riferisce la Leggenda dei Tre Compagni fu conclusa tra le due città, ma soltanto per breve tempo. Assisi, di fatto, era molto più piccola della rivale e potente Perugia, ed era una follia andare contro questa avversaria. Francesco uscì dall’incubo di un anno di prigione malato e senza forze fisiche. Per un periodo assai lungo di tempo, che va dal 1203 fino alla fine del 1204, non poteva uscire da casa, e fu curato soltanto grazie alle cure amorose di sua madre. 

Ma neanche lo squallore e il terrore della prigione Perugina avevano diminuito in Francesco il sogno di diventare grande. Egli sognava di diventare un cavaliere, di andare in crociata e ritornare pieno di gloria alla sua città natale. L’occasione si presentò agli inizi del 1205. In quell’anno Gualtiero da Brienne, un famoso guerriero e conte di Lecce, lottava nelle Puglie per salvaguardare i diritti di Innocenzo III in quelle terre.Francesco decise di unirsi a lui e andare alla guerra nelle Puglie. 

Passarano degli anni. Un nobile assisano, desideroso di soldi e di gloria, prese le armi per andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco è preso a sua volta dalla sete di avventura. Così, per essere creato cavaliere da un certo conte Gentile, prepara un corredo di panni preziosi; poiché, se era meno ricco di quel concittadino, era però più largo di lui nello spendere (L3C 5). Prima di partire per questa spedizione con il conte Gentile, il cui nome può semplicemente essere un attributo (“un conte molto gentile”), Francesco ebbe il primo di una serie di sogni, che le fonti interpretano come visioni o rivelazioni del Signore.

Sarebbe una cosa molto interessante fare uno studio sui sogni di Francesco, specialmente quelli della sua giovinezza, perché ci possono dire tanto sul suo stato d’animo in questi anni. 
Francesco sognò di stare in uno splendido solenne palazzo, in cui spiccavano, appese alle pareti, armature da cavaliere, splendenti scudi e simili oggetti di guerra. Francesco, incantato, pieno di felicità e di stupore, domandò a chi appartenessero quelle armi fulgenti e quel palazzo meraviglioso. Gli fu risposto che tutto quell’apparato insieme al palazzo era proprietà sua e dei suoi cavalieri (L3C 5). 
Questo sogno era molto comprensibile, considerando lo stato d’animo di Francesco, pieno di gioia e di un senso di avventura per andare a conquistare la fama di un cavaliere, anzi, di un grande principe. Il sogno confermò il suo intento di partire al più presto possibile per la Puglia. Ma prima di partire fece un altro gesto di grande generosità e cortesia. Quel giorno infatti aveva donato a un cavaliere decaduto tutti gli indumenti, sgargianti e di gran prezzo, che si era appena fatto fare (L3C 6). 
Il Celano -2C 5- fa vedere come questo gesto di generosità cristiana da parte di Francesco era simile a quello che fece San Martino di Tours, donando metà del suo mantello al povero. 
Celano, di fatto, scrive la vita di San Francesco sulla falsariga delle vite dei santi più illustri, tra le quali la vita di San Martino scritta da Sulpicio Severo era popolare nel mondo cavalleresco di ancora: Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amore di Cristo, le proprie vesti ben curate, che indossava. È stato, forse, da meno il suo gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e la generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto, quello invece le dà alla fine, dopo aver rinunciato a tutto. 

Il gruppo di avventurieri partì da Assisi con pompa. Dopo un giorno di cavalcatura, arrivarono a Spoleto, dove passarono la notte. Francesco, tuttavia, non poteva dormire. Forse non si sentiva bene, o forse già sentiva la mancanza dei suoi cari. Tuttavia, preoccupato del suo viaggio, mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Francesco gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: “Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” Rispose: “Il padrone”. Quello riprese: “Perché dunque abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per il suddito?” Allora Francesco interrogò: “Signore, che vuoi che io faccia?” Concluse la voce: “Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare; poiché la visione che ti è apparsa devi interpretarla in tutt’altro senso” (L3C 6). Quella notte fu un nuovo inizio per Francesco. 

Non sappiamo esattamente cosa ha sentito, o quali siano state le ragioni che lo hanno convinto a credere al suo sogno. Sta di fatto che, spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato. Non gl’importava più della spedizione in Puglia: solo bramava di conformarsi al volere divino (L3C 6). 

I Tre Compagni danno una motivazione teologica allo stato di animo di Francesco. Non sappiamo se, a questo momento della sua vita, Francesco era ancora conscio della voce interiore di Cristo che lo chiamava a conformarsi al volere divino. 
Ma c’è un’espressione che colpisce: ormai il suo cuore era cambiato. Francesco comincia un lungo e penoso processo di conversione profonda. I suoi sogni di gloria si cambiano prima in delusione al suo fallimento, poi in un senso di incertezza, e infine in una ricerca angosciata per scoprire la luce della volontà divina. 

Se avesse partecipato alla spedizione in Puglia sarebbe rimasto deluso. Gualtiero da Brienne morì nel giugno 1205, pochi mesi dopo che gli Assisani erano partiti per unirsi ai suoi soldati. 
Il periodo 1205-1208 segna quello che viene chiamato il periodo della conversione di Francesco. Qualcuno ha parlato di conversioni di Francesco, e forse a ragione, considerando che questi tre anni erano pieni di esperienze diverse che hanno aiutato Francesco a crescere e a maturare la sua vocazione evangelica. 

Erano gli anni che dovevano vedere Francesco svincolarsi dalla compagnia dei suoi amici, sperimentare la vita dei mendicanti, incontrare un lebbroso, sentire la voce di Cristo nel crocifisso di San Damiano, vivere da oblato in questa chiesetta, essere perseguitato dal padre fino ad apparire nudo davanti al vescovo Guido di Assisi, per diventare un uomo nuovo, per fare il salto nel buio da Francesco, figlio di Pietro di Bernardone, a frate Francesco, figlio del Padre che sta nei cieli.

Il futuro araldo di Cristo Re

AMDG et BVM

venerdì 24 novembre 2017

A 5 anni cadde in un pozzo. La Madonna ve lo estrasse

"O Dio, che rendesti il tuo santo Confessore e Dottore Giovanni, 
esimio amatore della Croce e dell'abnegazione perfetta di sé: 
concedi, che, persistendo continuamente nell'imitarlo, 
conseguiamo la gloria eterna. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen."
Lettura 


Giovanni della Croce nacque in Spagna a Fontiveros, da genitori molto religiosi. 

Fin da piccolo apparve evidente come sarebbe stato caro alla vergine Madre di Dio: infatti, a 5 anni, cadde in un pozzo, e si salvò perché la Madonna ve lo estrasse con le proprie mani. 

Da giovane si offrì come servo nell'ospedale dei poveri a Medina del Campo. Poi entrò nell'ordine dei Carmelitani e dovette sottomettersi all'obbedienza ed essere consacrato sacerdote. 

Osservò l'antica regola dell'Ordine. Per il suo amore di una regola monastica più severa, fu dato come collaboratore, per disegno di Dio, a santa Teresa, che lo stimava come una delle persone più buone e più nobili che la Chiesa di Dio avesse in quei tempi; così poté propagare tra i frati l'osservanza della regola primitiva. 

Poiché aveva tanto lavorato e sofferto per questa riforma, Cristo gli chiese quale premio desiderava per tanta fatica; egli rispose: Dómine, pati et contémni pro te: «Signore, patire ed essere disprezzato per amor tuo!». 

Scrisse opere di mistica, piene di sapienza celeste. 

Alla fine, dopo aver sopportato coraggiosamente una malattia molto dolorosa, morì a Ubeda, nel 1591, a 49 anni di età. 
Pio XI, su indicazione della Congregazione dei Riti, lo dichiarò dottore della Chiesa universale.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.


Dómine, pati et contémni pro te

AMDG et BVM