A proposito di latino: nei giorni del nostro colloquio non era ancora conosciuta la decisione
del Papa che (con lettera in data 3 ottobre 1984, a firma del Pro-Prefetto della Congregazione
per il culto divino) concedeva il discusso " indulto " a quei preti che volessero celebrare la
messa usando il messale romano, in latino appunto, del 1962. e, cioè, la possibilità di un
ritorno (seppure ben delimitato) alla liturgia pre-conciliare; purché, si dice nella lettera,
"consti con chiarezza, anche pubblicamente, che questi sacerdoti e i rispettivi fedeli in nessun
modo condividano le posizioni di coloro che mettono in dubbio la legittimità e l'esattezza
dottrinale del Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970"; e purché la
celebrazione secondo il vecchio rito "avvenga nelle chiese e negli oratori indicati dal vescovo,
non però nelle chiese parrocchiali, a meno che l'ordinario del luogo lo abbia concesso, in casi
straordinari". Malgrado questi limiti e le severe avvertenze ("in nessun modo la concessione
dell'indulto dovrà essere usata in modo da recare pregiudizio all'osservanza fedele della
riforma liturgica"), la decisione del Papa ha suscitato polemiche.
La perplessità è stata anche nostra, ma dobbiamo riferire quanto il card. Ratzinger ci aveva
detto a Bressanone: pur senza parlarci della misura - che era evidentemente già stata decisa e
della quale di certo era al corrente - ci aveva accennato a una possibilità del genere. Questo "
indulto per lui, non sarebbe stato da vedere in una linea di " restaurazione " ma, al contrario,
nel clima di quel " legittimo pluralismo" sul quale il Vaticano II e i suoi esegeti hanno tanto
insistito.
Infatti, precisando di parlare " a titolo personale ", il cardinale ci aveva detto: "Prima di
Trento, la Chiesa ammetteva nel suo seno una diversità di riti e di liturgie. I Padri tridentini
imposero a tutta la Chiesa la liturgia della città di Roma, salvaguardando, tra le liturgie
occidentali, solo quelle che avessero più di due secoli di vita. È il caso, ad esempio, del rito
ambrosiano della diocesi di Milano. Se potesse servire a nutrire la religiosità di qualche
credente, a rispettare la pietas di certi settori cattolici, sarei personalmente favorevole al
ritorno alla situazione antica, cioè a un certo pluralismo liturgico. Purché, naturalmente,
venisse riconfermato il carattere ordinario dei riti riformati e venisse indicato chiaramente
l'ambito e il modo di qualche caso straordinario di concessione della liturgia preconciliare".
Più che un auspicio il suo, visto che poco più di un mese dopo doveva realizzarsi.
Lui stesso, del resto, nel suo Das Fest des Glaubens aveva ricordato che "anche in campo
liturgico, dire cattolicità non significa dire uniformità", denunciando che, "invece, il
pluralismo postconciliare si è dimostrato stranamente uniformante, quasi coercitivo, non
consentendo più livelli diversi di espressione di fede pur all'interno dello stesso quadro
rituale".
Uno spazio per il Sacro
Per tornare al discorso generale: che rimprovera il Prefetto a certa liturgia d'oggi? (o, forse,
non proprio di oggi visto che, come osserva, "sembra stiano attenuandosi certi abusi degli
anni postconciliari: mi pare che ci sia in giro una nuova presa di coscienza, che alcuni stiano
accorgendosi di avere corso troppo e troppo in fretta". "Ma - aggiunge - questo nuovo
equilibrio è per ora di élite, riguarda alcune cerchie di specialisti mentre l'ondata messa in
moto proprio da costoro arriva adesso alla base. Così, può succedere che qualche prete,
qualche laico si entusiasmino in ritardo e giudichino d'avanguardia ciò che gli esperti
sostenevano ieri, mentre oggi questi specialisti si attestano su posizioni diverse, magari più
tradizionali").
Comunque sia, ciò che per Ratzinger va ritrovato in pieno è "il carattere predeterminato, non
arbitrario, " imperturbabile -, " impassibile " del culto liturgico". "Ci sono stati anni - ricorda -
in cui i fedeli, preparandosi ad assistere a un rito, alla messa stessa, si chiedevano in che
modo, in quel giorno, si sarebbe scatenata la " creatività " del celebrante...". Il che, ricorda,
contrastava oltretutto con il monito insolitamente severo, solenne del Concilio: "Che nessun
altro, assolutamente (al di fuori della Santa Sede e della gerarchia episcopale, n.d.r.); che
nessuno, anche se sacerdote, osi di sua iniziativa aggiungere, togliere o mutare alcunché in
materia liturgica" (Sacrosanctum Concilium n. 22).
Aggiunge: "La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di
attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma
di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro.
Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere "fatta" da tutta la comunità, per essere
davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il " successo " in termini di efficacia
spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico
che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti
insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la
Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è lo assolutamente Altro che,
attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a
noi".
Continua: "Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità:
anche per questo deve essere " predeterminata ", " imperturbabile ", perché attraverso il rito si
manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata " la vecchia
rigidità rubricistica ", accusata di togliere " creatività ", ha coinvolto anche la liturgia nel
vortice del " fai-da-te ", banalizzandola perché l'ha resa conforme alla nostra mediocre
misura".
C'è poi un altro ordine di problemi sul quale Ratzinger vuole richiamare l'attenzione: "Il
Concilio ci ha giustamente ricordato che liturgia significa anche actio, azione, e ha chiesto che
ai fedeli sia assicurata una actuosa participatio, una partecipazione attiva".
Mi sembra ottima cosa, dico.
"Certo - conferma -. è un concetto sacrosanto che però, nelle interpretazioni postconciliari, ha
subìto una restrizione fatale. Sorse cioè l'impressione che si avesse una " partecipazione attiva
" solo dove ci fosse un'attività esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture,
stringer di mani... Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella actuosa participatio anche il
silenzio, che permette una partecipazione davvero profonda, personale, concedendoci l'ascolto
interiore della Parola del Signore. Ora, di questo silenzio non è restata traccia in certi riti".
AMDG et BVM