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giovedì 16 agosto 2018

San Gioacchino e Sant'Anna

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2. Gioacchino e Anna fanno voto al Signore 

Vedo un interno di casa. In essa è seduta ad un telaio una donna di età. Direi, nel vederla coi capelli un tempo certo neri, ora brizzolati, e nel volto non rugoso ma già pieno di quella serietà che viene con gli anni, che ella possa avere dai cinquanta ai cinquantacinque anni. Non più. 

Nell'indicare queste età femminili prendo per base il volto di mia madre, la cui effigie ho più che mai presente in questi giorni che mi ricordano i suoi ultimi giorni presso il mio letto... Dopodomani è un anno che non la vedo più... Mia mamma era molto fresca nel volto, sotto i capelli precocemente incanutiti. A cinquant'anni era bianca e nera come al termine della vita. Ma, tolta la maturità dello sguardo, nulla denunciava i suoi anni. Potrei perciò errare anche nel dare alle donne attempate un certo numero di anni. 

Questa che vedo tessere, in una stanza tutta chiara di luce, che penetra dalla porta spalancata su un vasto orto-giardino - un poderetto, direi, perché si prolunga a sali e scendi su un dolce altalenare di verde pendìo - è bella nei tratti decisamente ebrei. Occhio nero e profondo che, non so perché, mi ricorda quello del Battista. Ma questo, pur essendo fiero come di regina, è anche dolce. Come se sul suo balenare di aquila fosse steso un velo d'azzurro. Dolce e un poco appena mesto, come di chi pensa, e rimpiange, a cose perdute. La tinta del volto è bruna, ma non eccessivamente. La bocca, lievemente larga, è ben disegnata, e sta ferma in una mossa austera che non è però dura. Il naso è lungo e sottile, lievemente piovente in basso. Un naso aquilino che sta bene con quegli occhi. È robusta ma non grassa. Ben proporzionata e credo alta, a giudicare da come appare seduta. 

Mi pare stia tessendo una tenda o un tappeto. Le spole multicolori vanno rapide sulla trama che è marrone scuro, e il già fatto mostra un vago intreccio di greche e rosoni in cui verde, giallo, rosso e azzurro cupo si intersecano e fondono come in un mosaico. 

La donna veste di un abito semplicissimo e molto scuro. Un viola-rosso che pare copiato a certe viole del pensiero. 
Si alza sentendo bussare alla porta. È alta realmente. Apre. Una donna le chiede: «Anna, vuoi darmi la tua anfora? L'empirò per te». 

La donna ha con sé un frugolino di cinque anni che si attacca subito alla veste della nominata Anna, che lo carezza mentre va in un altro ambiente e ne torna con una bell'anfora di rame, che porge alla donna dicendo: «Sempre buona, tu, con la vecchia Anna. Dio te ne compensi in questo e nei figli che hai e avrai, te beata!». Anna sospira. 

La donna la guarda e non sa che dire per quel sospiro; per sviare la pena, che si comprende esiste, dice: «Ti lascio Alfeo, se non ti dà noia, così faccio più presto e ti empirò molte brocche e giarre». 4 

Alfeo è ben lieto di restare, e se ne spiega il motivo. Andata via la madre, Anna se lo prende in collo e lo porta nell'orto, lo alza sino ad una pergola d'uva bionda come il topazio e dice: «Mangia, mangia, che è buona» e se lo bacia sul visetto impiastricciato di succo d'uva, che il bambino sgrana avidamente. Poi ride di gusto, e pare subito più giovane per la bella dentatura che appare e per la giocondità che le copre il viso, cancellando gli anni, quando il bambino dice: «E ora che mi dai?» e la guarda con due occhioni sgranati di un grigio azzurro cupo. Ride e scherza chinandosi sui ginocchi e dicendo: «Che cosa mi dai se ti do... se ti do... indovina!». E il bambino, battendo le manine, tutto ridente: «Baci, baci ti do, Anna bella, Anna buona, Anna mamma!...» 

Anna, sentendosi dire: «Anna mamma», ha un vero grido di affetto gioioso e si stringe contro il piccolino, dicendo: «O gioia! Caro! Caro! Caro!». Ad ogni «caro» un bacio scende sulle gotine rosee. E poi vanno ad una scansia, e da un piatto scendono focaccine di miele. «Le ho fatte per te, bellezza della povera Anna, per te che mi vuoi bene... Ma, dimmi, quanto mi vuoi bene?». E il bambino, pensando alla cosa che più l'ha colpito, dice: «Come al Tempio del Signore». Anna lo bacia ancora sugli occhietti vispi, sulla boccuccia rossa, e il bambino le si strofina contro come un gattino. 

La madre va e viene con la brocca colma e ride senza dire nulla. Li lascia alle loro espansioni. Entra dall'orto un uomo anziano, un poco più basso di Anna, con una testa di folti capelli tutti bianchi. Un viso chiaro, dalla barba tagliata in quadrato, con due occhi azzurri come turchesi fra ciglia di un castano chiaro quasi biondo. È vestito di un marrone scuro. Anna non lo vede perché volge le spalle all'uscio, e lui le viene alle spalle dicendo: «E a me nulla?». 

Anna si volge e dice: «O Gioacchino! Hai finito il tuo lavoro?». Contemporaneamente il piccolo Alfeo gli corre ai ginocchi dicendo: «Anche a te, anche a te», e quando il vecchiotto si curva e lo bacia, il bambino gli si avvinghia al collo spettinandogli la barba con le manine e coi baci. 

Anche Gioacchino ha il suo dono: leva da dietro alla schiena la mano sinistra e offre una mela così bella che pare di ceramica, e dice ridendo al bambino che tende le manine avidamente: «Aspetta che te la faccio a pezzi. Così non puoi. È più grossa di te», e con un coltelluccio che ha alla cintola, un coltello da potatore, ne fa fette e fettine, e pare imbocchi un uccellino nidiace tanta è la cura con cui mette i bocconi nella bocchina aperta, che sgrana e sgrana. 

«Ma guarda che occhi, Gioacchino! Non sembrano due pezzettini del mar di Galilea quando il vento della sera spinge un velo di nube sul cielo?». Anna parla tenendo appoggiata una mano sulla spalla del marito e appoggiandovisi lievemente anche lei, una mossa che rivela un profondo amore di sposa, un amore intatto dopo i molti anni di coniugio. 

E Gioacchino la guarda con amore e annuisce dicendo: «Bellissimi! E quei ricciolini? Non hanno il colore delle biade che il sole ha seccato? Guarda: e dentro c'è misto oro e rame». «Ah! se avessimo avuto un bambino lo avrei voluto così, con questi occhi e questi capelli...». Anna si è chinata, inginocchiata anzi, e bacia con un sospirone i due occhioni azzurro-grigi. 

Gioacchino sospira anche lui. Ma la vuol consolare. Le pone la mano sui capelli cresputi e canuti e le dice: «Ancora occorre sperare. Tutto può Dio. Finché si è vivi, il miracolo può avvenire, specie quando lo si ama e ci si ama». Gioacchino calca molto sulle ultime parole. 

Ma Anna tace, avvilita, e sta a capo chino per non mostrare due lacrime che scendono e che vede solo il piccolo Alfeo, il quale, stupito e addolorato che la sua grande amica pianga come fa lui qualche volta, alza la manina e asciuga quel pianto. Non piangere, Anna! Siamo felici lo stesso. Io, almeno, lo sono perché ho te». «Anche io per te. Ma non ti ho dato un figlio... Penso aver spiaciuto al Signore, poiché mi ha inaridito le viscere... ». 

«O moglie mia! In che vuoi avergli spiaciuto tu, santa? Senti. Andiamo ancora una volta al Tempio. Per questo. Non solo per i Tabernacoli. Facciamo lunga preghiera... Forse ti avverrà come a Sara... (Genesi 17, 15-21; 18, 10-15; 21, 1-3) come ad Anna di Elcana (1 Samuele 1; 2, 1-10). Molto attesero e si credevano riprovate perché sterili. Invece per loro, nei cieli di Dio, si maturava un figlio santo. Sorridi, mia sposa. Il tuo pianto mi è più dolore che l'esser senza prole... Porteremo Alfeo con noi. Lo faremo pregare, lui che è innocente... e Dio prenderà la sua e nostra preghiera insieme e ci esaudirà». 

«Si. Facciamo voto al Signore. Suo sarà il nato. Purché ce lo conceda... Oh! sentirmi chiamare " mamma "!». E Alfeo, spettatore stupito e innocente: «Io ti ci chiamo!». «Sì, gioia cara... ma ce l'hai la mamma tu, e io... io non ho bambino...» 
La visione cessa qui. 
*
Comprendo che si è iniziato il ciclo della nascita di Maria. E ne sono molto contenta, perché lo desideravo tanto. Penso e sarà contento anche lei (Il direttore spirituale della scrittrice, il padre Romualdo M. Migliorini dell’ordine dei Servi di Maria a cui Maria Valtorta si rivolge spesso. A volte viene assecondato un suo 5 desiderio, come nei Cap 44 e 45, o gli viene dedicato un episodio, come nel Cap 58, o gli viene diretto un insegnamento, come nel Vol 3 Cap 180 e in Vol 4 Cap 234, o gli viene fatta una confidenza, come nel Vol 3 Cap 185 e 212. Porta la comunione alla scrittrice, vedi Vol 2 Cap 108. Tutto il brano che segue fino alla fine del capitolo si trova scritto come annotazione all’inizio del quaderno autografo, sulla facciata interna del riquadro; ma lo abbiamo collocato qui, perché è evidente che si riferisce al contenuto del presente capitolo). 

Prima che io iniziassi a scrivere, ho sentito la Mamma dirmi: «Figlia, scrivi dunque di me. Ogni tua pena verrà consolata». E, mentre diceva questo, mi posava la mano sul capo in una carezza soave. Poi è venuta la visione. Ma sul principio, ossia finché non sentii chiamare la cinquantenne a nome, non compresi d'esser di fronte alla madre della Mamma e per ciò alla grazia della sua nascita. 


AMDG et DVM

martedì 26 luglio 2016

SANT'ANNA







Anna d'Aronnesposa di Gioacchino, madre di Maria Vergine 1.002 - 1.005 - 1.009.


SANTI AUGURI A 
TUTTE LE ANNE

venerdì 24 giugno 2016

GIOACCHINO della stirpe di Davide


Gioacchino della stirpe di Davidesposo di Anna d'Aronne e padre di Maria Santissima. 

Con Anna viveva a Nazaret 1.002 - 1.004 - 1.009

Usava, finché lo potè fare, dare ai poveri la metà dei suoi raccolti serbando per sé l'altra metà 6.410

venerdì 25 settembre 2015

La donna scelta per essere la madre della Santa Madre



DAGLI  SCRITTI  della Beata  ANNA   CATERINA   EMMERIK



"......
Anna, seduta sotto l'albero, s'immerse in una preghiera pregò Dio, 
che se anche l'avesse condannata alla sterilità, 
almeno le facesse ritrovare Gioacchino. 
Mentre pregava in questo modo, scese dalla sommità dell'albero 
un Angelo di Dio che le apparve improvvisamente 
e le annunciò che l'Onnipotente avrebbe esaudito tutte le sue suppliche 
e le avrebbe dato tutto quanto abbisognava. 

Infine la esortò a recarsi al tempio con due ancelle 
e a portarvi un sacrificio di due colombe. 
Le annunciò che avrebbe incontrato Gioacchino sotto la "porta d'oro", 
poiché anch'egli era stato avvertito che era entrato nella grazia del Signore. 
Poi le disse che presto avrebbe saputo il nome della figlia 
che era prossima per volontà celeste. 
Subito dopo l'Angelo scomparve. 

Anna si sentì riempita di grazia, e colma di gioia, 
ringraziò Dio onnipotente e misericordioso. 
La pia donna rientrò subito nelle sue stanze in uno stato di felicità estatica. 
Vidi che, dopo essersi svestita, 
si avvolse dalla testa ai piedi in un lenzuolo molto ampio. 
Quindi si mise a letto, pregò e si sdraiò sul fianco destro. 
Dormì alcune ore, improvvisamente un Angelo luminoso scese su di lei, 
mentre tutta la stanza fu avvolta da una luce potente. 
Vidi che l'Angelo stese su di lei la mano 
e scrisse sulle grandi pareti luminose il nome "Maria" . 
( che significa “Amata da Dio” )

Poi la santa presenza scomparve nella luce. 
Anna era rimasta come rapita in un sogno estatico. 
Ripresa conoscenza si sedette sul letto e pregò fervidamente; 
poi ricadde in un sonno profondo. 
A mezzanotte, come per una chiamata interiore, Anna si svegliò 
e vide con immensa gioia del cuore, lo scritto alla parete. 
Erano come grandi lettere rosse, dorate e luminose; 
Anna le contemplò fino all'alba, quando disparvero con il fascio luminoso. 
La santa Donna era divenuta bellissima e sembrava ringiovanita, 
la visita dell' Angelo e il nome di sua figlia 
l'avevano rigenerata nelle più intime profondità del cuore.

Vidi che Anna era divenuta un vaso per contenere la volontà di Dio, 

la donna scelta per essere la madre della Santa Madre 
era stata trasformata in un tabernacolo vivente e miracoloso 
per accogliere e custodire degnamente una tale santità."


mercoledì 15 luglio 2015

La divina bontà



Nelle lezioni che seguono l'angelo tratta della concezione della Vergine e della sua nascita, e dell'amore ch'ebbe Dio per lei, anche quando era nel seno di sua madre.  Mercoledì - Lezione Prima (Capitolo 10) 

Assoluzione: La vergine madre della sapienza rischiari l'oscura nostra insipienza. Amen. 

Prima della legge data da Mosè, gli uomini vivevano per lungo tempo ignorando come dovessero regolare sé e le loro azioni nella vita. Quindi, quelli che ardevano d'amor di Dio ordinavano sé e i loro costumi nel modo che ritenevano grato a Dio; gli altri, invece, che non avevano tale amor di Dio, senza alcun timore di lui, facevano quanto loro piaceva. La divina bontà, dunque, commiserando quest'ignoranza, stabilì per mezzo del suo servo Mosè la legge con la quale regolarsi in tutto secondo la divina volontà. Questa legge insegnava, finalmente, come dovessero amarsi Dio e il prossimo, e come il consorzio di vita tra l'uomo e la donna dovesse regolarsi dal diritto divino ed onesto, perché da tal connubio nascessero figli che Dio voleva chiamare suo popolo. 

E in verità Dio amava tanto questo connubio, che stabilì di prendere da esso l'onestissima genitrice della sua umanità. Per cui, come l'aquila, volando in sublime altezza, osservati parecchi boschi, scorge da lontano un albero tanto solidamente radicato da non poter essere sradicato dagl'impeti del vento, di cima tanto alta da non potervi salire alcuno, e in positura tale da sembrar impossibile che vi cadesse sopra qualche cosa, e tale albero sceglie, dopo un più attento esame, per costruirvi il nido in cui riposare, così Dio, che è paragonato a quest'aquila, avendo davanti a sé tutte le realtà future e presenti ben chiare e manifeste, mentre osservava tutti i connubi giusti ed onesti che dovevano esistere dalla creazione del primo uomo fino all'ultimo, non ne trovò uno simile, per onestà e amor di Dio, a quello di Gioacchino ed Anna. E perciò gli piacque che da questo santo connubio fosse onestissimamente generato il corpo della madre sua, adombrato nel nido, nel quale egli si degnasse di riposarsi con ogni consolazione. 

Con ragione, infatti, si paragonano a decorosi alberi i devoti connubi, la cui radice è l'unione di due cuori che si congiungono per la sola ragione che ne provenga onore e gloria allo stesso Dio. E con ragione pure si paragona a rami fruttiferi la volontà degli stessi coniugi, quando in tutta la loro attività sono così ligi al timor di Dio, da amarsi onestamente l'un l'altro solo in vista della procreazione della prole, a gloria di Dio e secondo il suo comandamento. L'insidiatore non può raggiungere, con le sue forze ed arti, la sublimità di tali connubi, quando la loro gioia non è in altro che nel rendere onore e gloria a Dio, e quando non li affligge altra tribolazione che l'offesa e il disonore di Dio. Si sentono poi al sicuro solo quando l'affluenza degli onori o delle ricchezze del mondo non vale ad irretire i loro animi nell'amor proprio o nella superbia. Quindi, siccome Dio previde che tale sarebbe stato il connubio tra Gioacchino ed Anna, perciò decise di trarre da esso il suo domicilio, cioè il corpo della madre sua. 


O Anna, madre degna di ogni venerazione, qual tesoro prezioso portasti nel tuo seno, quando in esso riposò Maria, che doveva divenire madre di Dio! Veramente deve credersi senza esitazione che Dio stesso, appena fu concepita e formata in seno ad Anna la materia da cui doveva esser formata Maria, l'amò più di tutti gli altri corpi umani generati o da generarsi nel mondo intero da uomo e donna. Perciò la venerabile Anna può veramente chiamarsi cassaforte di Dio, perché custodiva nel suo seno il tesoro a lui più caro di ogni altra cosa. Oh, com'era sempre vicino a questo tesoro il cuore di Dio! Oh, come rivolgeva con amore e gioia gli sguardi della sua maestà a questo tesoro, colui che poi nel suo Vangelo disse: « Dov'è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore »! E perciò è veramente credibile che gli angeli esultassero non poco per questo tesoro, vedendo che tanto lo amava il loro Creatore, ch'essi amavano più di se stessi. E per questo sarebbe molto conveniente e giusto che fosse avuto in grande venerazione da tutti il giorno in cui fu concepita e condensata in seno ad Anna la materia dalla quale doveva essere formato il corpo benedetto della madre di Dio, dato che lo stesso Dio e gli angeli la circondavano di tanto amore

(Dal Sermone Angelico di santa Brigida)
AVE MARIA!

venerdì 26 luglio 2013

Il mio tempo.


26 luglio 1976. San Gioacchino e Sant'Anna.

Il mio tempo.

«Il mio tempo, figli prediletti, non si misura a giorni. Il mio tempo è scandito solo dal battito del mio Cuore di Mamma. Ogni battito di questo Cuore segna un nuovo giorno di salvezza e di misericordia per voi, miei poveri figli.
Per questo vi invito a vivere solo di fiducia.



Il vostro tempo deve essere misurato dalla fiducia nell'amore misericordioso del Padre e nell'azione della vostra Mamma del Cielo.
Di questa fiducia sono vissuti i miei genitori Anna e Gioacchino, che oggi la Chiesa ricorda e che vi propone come esempio.
Di questa fiducia sono vissuti tutti i Santi, tutti gli amici di Dio. Di questa sola fiducia si è servito sempre l'Onnipotente per realizzare in ogni epoca il Suo disegno.

Spesso Io ha realizzato anche contro l'attesa di tutti, nel momento in cui nessuno avrebbe creduto. Così avvenne nel grande disegno che Dio compì attraverso queste sue due umili e povere creature, che Egli chiamò per preparare la nascita della vostra Mamma celeste.
Vostra Mamma fu chiamata a sperare contro la stessa apparenza delle cose, per affidarsi solo alla fiducia completa nella Parola di Dio. Diventò così la Madre del Verbo e vi donò suo Figlio Gesù.
Ora vi ho annunciato il trionfo del mio Cuore Immacolato e la necessaria e dolorosa purificazione che lo deve precedere.
Vi ho anche detto che questo è il tempo della purificazione e che questi sono gli anni del mio trionfo. Ma non cercate il momento scrutando il futuro e contando anni, mesi e giorni. 
Così verreste presi dall'ansia e dal turbamento e sciupereste veramente il vostro tempo, che è tanto prezioso.
Non così, figli miei prediletti, va misurato il mio tempo, ma solo dalla vostra fiducia in Me, che vi preparo ad essere strumenti da Me scelti e formati per realizzare in questo tempo il trionfo del mio Cuore Immacolato».
MIA CARA MAMMA, SALVAMI!

martedì 16 agosto 2011

I Santi Nonni di Gesù SS.mo



Ho la gioia di offrirvi pagine stupende della Storia della nostra Salvezza. C'è un sito semplicissimo: MariaValtorta.info che in PDF offre molti tesori a tutti i lettori di lingua italiana. Fin'ora pensavo esistesse solo in lingua spagnola. OGGI vi presento una riflessione di Gesù sullo sposo di  Sant'Anna madre della B.V. Maria



“GIOACCHINO AVEVA SPOSATO LA SAPIENZA DI DIO
CHIUSA NEL CUORE DELLA DONNA GIUSTA”*

Dice Gesù:


“I giusti sono sempre dei sapienti perché, essendo amici di Dio, vivono in sua
compagnia e sono da Lui istruiti; da Lui; Infinita Sapienza. I miei nonni erano giusti e
possedevano perciò la sapienza. Potevano dire con verità quanto dice il Libro, cantando
le lodi della Sapienza nel libro di essa: ‘Io l’ho amata e ricercata fin dalla giovinezza e
procurai di prenderla in sposa’.


Anna d’Aronne era la donna forte di cui parla l’Avo nostro. E Gioacchino, stirpe del
re Davide, non aveva cercato tanto avvenenza e ricchezza quanto virtù. Anna
possedeva una grande virtù. Tutte le virtù unite come mazzo fragrante di fiori per
diventare un’unica bellissima cosa che era: la Virtù. Una virtù reale, degna di stare
davanti al trono di Dio.


Gioacchino aveva dunque sposato due volte la sapienza ‘amandola più di ogni altra
donna’: la sapienza di Dio chiusa nel cuore della donna giusta.. Anna d’Aronne altro
non aveva cercato che di unire la sua vita a quella di un uomo retto, certa che nella
rettezza è la gioia delle famiglie. E ad esser l’emblema della ‘donna forte’ non le
mancava che la corona dei figli, gloria della donna sposata, giustificazione del coniugio,
di cui parla Salomone, come alla sua non mancavano che questi figli, fiori dell’albero
che ha fatto un sol uno con l’albero vicino e ne ottiene dovizia di nuovi frutti, in cui le
bontà si fondono in una, perché, per conto dello sposo, mai nessuna delusione le era
venuta.


Ella, ormai volgente a vecchiezza, moglie da più e più lustri a Gioacchino, era sempre
per lui ‘la sposa della sua giovinezza, la sua gioia, la cerva carissima, la graziosa
gazzella’, le cui carezze avevano sempre il fresco incanto della prima sera nuziale e
affascinavano dolcemente il suo amore, tenendolo fresco come fiore che una rugiada
irrora e ardente come fuoco che sempre una mano alimenta. Perciò, nella loro afflizione
di senza figli, l’un l’altro si dicevano ‘parole di consolazione nei pensieri e negli
affanni’. E su loro la Sapienza eterna, quando fu l’ora, dopo averli istruiti nella vita, li
illuminò con i sogni della notte, diana del poema di gloria che doveva da essi venire e
che era Maria Santissima, la Madre mia.


Se la loro umiltà non pensò a questo, il loro cuore però trepidò nella speranza al primo
squillo della promessa di Dio. Già è certezza nelle parole di Gioacchino: “Spera,
spera.... Vinceremo Dio col nostro fedele amore”.


Sognavano un figlio: ebbero la Madre di Dio. Le parole del libro della Sapienza
paiono scritte per loro: “Per lei acquisterò gloria davanti al popolo.... per essa otterrò
l’immortalità e lascerò eterna memoria di me a quelli che dopo me verranno”. Ma per
ottenere tutto questo, dovettero farsi re di una virtù verace e duratura che nessun evento
lese. Virtù di fede. Virtù di carità. Virtù di speranza. Virtù di castità.


La castità degli sposi! Essi l’ebbero, ché non occorre esser vergini per esser casti. E i
talami casti hanno a loro custodi gli angeli e da essi scendono figli buoni, che della virtù
dei genitori fanno norma della loro vita.


Ma ora dove sono? 
Ora non si vogliono figli, ma non si vuole però neppure la castità.
Onde Io dico che l’amore e il talamo sono profanati.”


* 4. Continuazione A, 3447-3450.
/http://www.mariavaltorta.info/
AMDG et BVM