martedì 24 settembre 2013

SANTI AGOSTINO, DOMENICO, FRANCESCO


GRANDEZZA 
DEI SANTI AGOSTINO, DOMENICO, FRANCESCO


Memore del grande pontefice Agostino, per il quale Geltrude aveva, fin dalla prima infanzia, nutrito grande divozione, ringraziò fervorosamente Dio per tutti i benefici che aveva a lui accordati. Il glorioso Pontefice le apparve a fianco di S. Bernardo, nello splendore di un'identica gloria, giacchè non gli è inferiore nè per la sublimità della vita, nè per la soavissima abbondanza della dottrina. 

Agostino stava davanti al trono della divina Maestà, adorno dell'incomparabile bellezza della gloria celeste; e, come S. Bernardo, mandava dal suo cuore fino alla profondità del Cuore divino, dardi infiammati, simbolo dell'ardente eloquenza con la quale aveva eccitati gli uomini al divino amore. Dalla, sua bocca scaturivano raggi brillanti come quelli del sole che si spandevano nella vasta regione del cielo, per simboleggiare l'opulenza della sacra dottrina, che l'eminente Dottore aveva distribuito a tutta la Chiesa. Al di sopra di queî raggi, si curvavano archi di luce meravigliosa, la cui prospettiva avrebbe affascinato qualsiasi sguardo. 

Mentre Geltrude era in ammirazione davanti a quel luminoso edificio, S. Bernardo le disse che i raggi degli insegnamenti di S. Agostino rifulgevano con speciale incanto, perchè l'incomparabile Dottore aveva sempre cercato, con parole e scritti, di diffondere gli splendori della fede cattolica. Dopo lunghi; traviamenti nelle vie tortuose dell'errore, Dio l'aveva richiamato misericordiosamente dalle tenebre dell'ignoranza alla luce delle supreme verità; desiderava pertanto, procurare la gloria del Signore, chiudendo agli uomini le vie dell'errore e dell'ignoranza, per mostrar loro la stella della fede che guida a salvezza eterna.

Geltrude allora chiese a S. Bernardo: « Nei vostri scritti non avevate forse, Padre Santo, la stessa intenzione? ». Egli rispose: « In tutti i miei atti, parole, scritti non ebbi altro fine che l'amor di Dio. Ma questo grande Dottore era spinto a lavorare per la salvezza delle anime, non solo dall'amore divino, ma anche per le disgrazie della sua personale esperienza».

Il Signore attrasse poi nel suo divin Cuore tutti i frutti di fede, di consolazione, di scienza, di luce, d'amore che le parole di Agostino avevano prodotto negli abitanti del cielo e della terra, per rimandarli in seguito nel cuore del Santo, dopo d'aver loro conferito pregio ineffabile nel contatto col suo divin Cuore. Quella dolce effusione, avendo colmata l'anima del Santo Dottore e penetratala fin nelle più intime fibre di gioie celesti, inondò anche il suo cuore, e lo fece vibrare quasi lira melodiosa. 

Come il cuore di S. Bernardo aveva prodotto i suoni dolcissimi dell'innocenza e dell'amore, quello di S. Agostino fece echeggiare le gradite modulazioni di una generosa penitenza e di un'ardente carità. Sarebbe stato difficile dire quale delle due armonie offrisse maggior incanto all'anima degli uditori estasiati! S. Bernardo disse poi a Geltrude
«Queste sono le modulazioni di cui è scritto: ''Omnis illa Deo sacrata et diletta civitas plena modulamine in laude (Inno alla festa della Dedicazione: non è però citato parola per parola, ma solo nel significato generico). Tutta questa sacra città cara a Dio, è piena di modulazione e di lodi". Infatti i cori dei Santi cantano armoniosamente le lodi di Dio, secondo la varietà delle loro, virtù.


Nella festa del glorioso S. Agostino, mentre al Vespro si recitava il Responsorio 
«Vulneraverat charitas Christi», l'illustre Pontefice apparve in piedi, raggiante di gloria, tenendo in mano il cuore, quel suo santissimo cuore tante volte ferito col dardo della carità divina.
Egli parve aprirlo ed offrirlo a lode di Dio, come magnifica rosa che doveva rallegrarlo coi suo profumo, allietando in pari tempo tutta la Corte celeste. Geltrude salutò con divozione il venerabile Padre, pregando per tutti quelli che le si erano raccomandati, e anche per le anime che nutrivano particolare affetto verso il grande Pontefice. Agostino, a sua volta, supplicò il Signore, perché i cuori che desideravano, per i suoi meriti, d'infiammarsi d'amore di Dio, potessero dilatarsi e diffondere un delizioso profumo davanti alla divina Maestà a lode e. gloria della risplendentissima, adorabile Trinità. 

Mentr'ella recitava divotamente il Mattutino, desiderò sapere quale ricompensa riceverebbe S. Agostino per la disposizione che manifesta nelle Confessioni quando dice che, durante la vita mortale, non poteva saziarsi di gustare la dolcezza incomparabile che provava, considerardo la magnificenza del piano divino nell'opera della salvezza degli uomini. 

Il venerabìle Padre le apparve bentosto, in una gloria meravigliosa, secondo la parola d'Isaia: « Laetitia sempiterna super capita eorum - Una gioia sempiterna coronerà il suo capo» (Isaia XXXV, 10). 
Infatti un globo stupenda roteava velocemente sul suo capo, offrendo a ogni istante, un'alternativa di colori che procurava al beato Padre delizie spirituali ineffabili, le quali ne allietavano i sensi corporei. 

Gli occhi erano affascinati dallo splendore delle stelle che si staccavano da quel globo nelle rapide evoluzioni, e tale vista lo ricompensava delle considerazioni con le quali, in terra, aveva cercato in Dio ogni suo bene; le orecchie erano rallegrate dall'armonia che si sprigionava dai movimenti del globo, e tale godimento era la degna rimunerazione per avere costantemente orientato verso Dio la sua sublime intelligenza. Per avere poi disprezzate le gioie del mondo e cercato Dio solo, egli aspirava un'aria balsamica, ricca di soavi fragranze; la sua bocca gustava squisitissimo miele, per avere offerto al Signore gradito soggiorno nel suo cuore. Sappiamo infatti dalla parola del Saggio, che Dio trova la sua delizia nel cuore dell'uomo.

Il globo, al quale abbiamo accennato, stillava sul santo Pontefice dolce rugiada che lo penetrava di soavità celeste, ricompensandolo delle immani fatiche sopportate per la gloria di Dio e il bene della Chiesa con la santità della parola, degli scritti, degli esempi.

La Corte celeste gioiva per le delizie dell'incomparabile Pontefice, e il gaudio da essa provato era tale, che sarebbe stato sufficiente per rendere felici tutti gli uomini.

Il Signore disse in seguito a Geltrude: «Guarda come il mio diletto splende in un candore più scintillante della neve, per la dolce umiltà ed ardente carità!». La Santa rispose meravigliata: «O mio Gesù, come puoi affermare che questo Santo abbia una purezza più splendente della neve? Egli è degno di venerazione per la santa sua vita, ma è pur vero che rimase a lungo nell'eresia e contrasse molta macchie di peccato». Rispose il dolce Maestro: «Ho permesso che rimanesse a lungo nell'errore, appunto per dare risalto alle vie misteriose della Provvidenza, e alla paziente misericordia con cui l'ho atteso a conversione. Volli così manifestare la mia bontà infinita, e la tenerezza gratuita di cui ha sentito il decisivo influsso».


Dopo queste ineffabili parole, Geltrude considerò più attentamente la bellezza luminosa del grande Dottore. I suoi abiti erano trasparenti come il cristallo, ed attraverso a vari colori, si vedevano rifulgere purezza, umiltà, amore.

Aggiunse allora Geltrude: « Mio Gesù, il dolcissimo San Bernardo che ti ha amato così teneramente, non ha forse anch'egli posto in te ogni sua gioia, come il fervente S. Agostino? Eppure, quando lo contemplai nella sua gloria, non mi parve così completa ». 

Rispose Gesù: Ho ricompensato generosamente Bernardo, mio eletto; ma la debolezza della tua mente non può capire, nella sua realtà, la gloria del più piccolo dei miei Santi, a maggior ragione non puoi cogliere l'ineffabile gaudio di Santi così grandi. Pure per soddisfare ai tuoi pii desideri, ti mostrerò i meriti di alcuno de' miei eletti. Questa vista ti farà crescere nell'amore e capirai meglio che: « Vi sono molte mansioni nella casa di mio Padre - In. Domo Patris met mansiones multae sunt » (Giov. XIV, 2). Ti sarà inoltre svelato perchè si dice a lode di ogni Santo « Non est inventus similis illi qui conservaret legem Excelsi - Non si è trovato chi, come lui, osservasse la legge dell'Altissimo » (Eccl. XLIV, 20) perchè non c'è nessun eletto che sia perfettamente simile ad un altro e non abbia qualche sua caratteristica».
« Se è così - riprese Geltrude - o Dio di verità, degnati rivelarmi, malgrado la mia miseria, qualche cosa che riguarda i meriti delle vergini che ho tanto amato, fino dalla prima età: l'amabile Agnese e la gloriosa Caterina ». (Tale favore le fu accordato come già fu detto al capitolo VIII e si dirà al capitolo LVII di questo stesso libro). 





La Santa, sempre smaniosa di cognizioni celesti, amò pure conoscere qualche cosa dei meriti di S. Domenico e S. Francesco, Fondatori illustri dei due Ordini religiosi che fecero rifiorire meravigliosamente la Chiesa di Dio. 

Quei venerabili Padri le apparvero raggianti di gloria stupenda, simile a quella di S. Benedetto, adorni di rose vaghissime, e portando in mano un brillante scettro d'onore. Essi assomigliavano al Santi Agostino e Bernardo, a motivo del loro zelo per la gloria di Dio, la salvezza delle anime e la pratica delle stesse virtù. 
Avevano tuttavia qualche differenza: S. Francesco brillava per la grande umiltà, S. Domenico. per i suoi ferventissimi desideri. Durante la S. Messa, mentre Geltrude s'inabissava in Dio, pensando a ciò che doveva cantare, fu rapita in spirito all'inizio della sequenza e trasportata davanti al trono della divina Maestà.


Allora tutti i Santi, per ricordare e celebrare le spirituali delizie che aveva gustate nella notte precedente, contemplando la gloria del grande Agostino e degli altri Santi di cui abbiamo parlato, le cantarono i sei primi versi della sequenza: « Interni festi gaudia nostra sonet harmonia - La nostra armonia fa prorompere le gioie della festa interiore ». (Vedi in appendice questa magnifica sequenza). Geltrude ad ogni accento, raccolse in cuore illustrazioni e delizie speciali. Dopo il sesto verso tutti i Santi tacquero e invitarono la Santa a cantare a sua volta i versi seguenti, per restituire loro la gioia ch'essi le avevano procurata. Seguendo la sua abitudine, ella, sul divino liuto del Cuore di Gesù, cantò a lode dell'intera Corte celeste « Beata illa patria - Quella felice patria» e i cinque versi che seguono. Ascoltandola i beati comprensori vennero colmati di gioie ineffabili.


In seguito Gesù, Sposo tenerissimo, accarezzandola dolcemente, le cantò questi due versi: « In hac valle miseriae - In questa valle di miserie » e "Quo mundi post exilia -  dopo l'esilio del mondo »: Nello stesso tempo, come un eccellente Maestro, o per meglio dire, come amorosissimo Padre, insegnò alla diletta sua figliola in quale modo avrebbe potuto meritare le gioie eterne, applicandosi frequentemente quaggiù alle cose di Dio. 
I cori angelici vennero a presentare al grande pontefice Agostino i voti della Chiesa cantando «Harum laudum praeconia - Ciò che proclamano queste lodi, ecc. », e tutti i Santi si associarono, cantando i versetti che seguono, per glorificare Dio nel suo servo. 

In quel frattempo il beato Agostino illuminava e rallegrava la Corte celeste coi raggi della sua gloria. Ai due ultimi versi:. « Cujus sequi vestigia - A seguire le sue tracce », il Signore, volendo esaudire la preghiera del santo Pontefice, alzò la mano tracciando un ampio segno di croce su tutti coloro che l'avevano onorato con devote lodi.


PURIFICAMI, SIGNORE!


Le parabole di Gesù
(015)
La purificazione del lebbroso (245.5)

Un uomo per molti vizi diviene lebbroso. La società degli uomini lo allontana dal suo consorzio e l'uomo, in una solitudine atroce, medita sul suo stato e sul suo peccato che in quello stato lo ha ridotto. Passano lunghi anni così e quando meno se lo aspetta il lebbroso guarisce.

Il Signore gli ha usato misericordia per le sue molte preghiere e lacrime. Che fa allora l'uomo? Può ritornarsene a casa sua perchè Dio gli ha usato misericordia? 


No. Deve mostrarsi al sacerdote, il quale, dopo averlo attentamente osservato per qualche tempo, lo fa purificare dopo un primo sacrificio di due passeri. 

E dopo non una, ma due lavature di vesti, il guarito torna dal sacerdote con gli agnelli senza macchia e l'agnella e la farina e l'olio prescritti. Il sacerdote lo conduce allora alla porta del tabernacolo. Ecco allora che l'uomo viene religiosamente riammesso nel popolo di Israele....



lunedì 23 settembre 2013

SPERANZA: grande virtù che ... sorregge la fede e la carità. ... La fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due.


«Avevo promesso di parlare della speranza ai miei discepoli. La parabola eccola: questo vecchio israelita.

Me lo dà il Padre dei Cieli il soggetto per insegnare a voi tutti la grande virtù che, come le braccia di un giogo, sorregge la fede e la carità.
Dolce giogo. Patibolo dell’umanità come il braccio traverso della croce, trono della salvezza come appoggio del serpente salutare alzato nel deserto. Patibolo dell’umanità. Ponte dell’anima per spiccare il volo nella Luce. Ed è messa in mezzo fra l’indispensabile fede e la perfettissima carità, perché senza la speranza non può esservi fede, e senza speranza muore la carità.


Fede presuppone speranza sicura. 
Come credere di giungere a Dio se non si spera nella sua bontà? Come
sorreggersi nella vita se non si spera in un’eternità? Come poter persistere nella giustizia se non ci anima la speranza che ogni nostra buona azione è da Dio vista e per darci di essa premio? 

Ugualmente, come fare vivere la carità se non c’è speranza in noi? La speranza precede la carità e la prepara. Perché un uomo ha bisogno di sperare per poter amare. I disperati non amano più. 

La scala è questa, fatta di scalini e di ringhiera: La fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due. 

L’uomo spera per credere, crede per amare.

Quest’uomo ha saputo sperare. È nato. Un bambino di Israele come tutti gli altri. È cresciuto con gli stessi ammaestramenti degli altri. È divenuto figlio della Legge come tutti gli altri. Si è fatto uomo, sposo, padre, vecchio, sempre sperando nelle promesse fatte ai patriarchi e ripetute dai profeti. 

Nella vecchiaia sono scese le ombre sulle sue pupille ma non nel suo cuore. In esso è rimasta accesa la speranza. Speranza di vedere Iddio. Vedere Iddio nell’altra vita. E, nella speranza di questa vista eterna, una, più intima e cara: “vedere il Messia”. 

E mi ha detto, non sapendo chi era il giovane che gli parlava: “Se abbandonerai la Legge sarai cieco in terra e in Cielo. Non vedrai Dio e non riconoscerai il Messia”. Ha detto da saggio.

Troppi sono ora in Israele che sono ciechi.

Non hanno più speranza perché l’ha uccisa in loro la ribellione alla Legge, che è sempre ribellione, anche se velata da paramenti sacri, se non è accettazione integrale della parola di Dio, dico di Dio, non delle soprastrutture che vi sono state messe dall’uomo e che per essere troppe, e tutte umane, vengono trascurate da quelli stessi che le hanno messe, e fatte macchinalmente, sforzatamente, stancamente, sterilmente, dagli altri.

Non hanno più speranza. Ma irrisione delle verità eterne. Non hanno perciò più fede e più carità. Il divino giogo da Dio dato all’uomo perché se ne facesse ubbidienza e merito, la celeste croce che Dio ha dato all’uomo a scongiuro contro i serpenti del Male perché se ne facesse salute, ha perduto il suo braccio traverso, quello che sorreggeva la fiamma candida e la fiamma rossa: la fede e la carità; e le tenebre sono scese nei cuori.


Il vecchio mi ha detto: “È grande sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto”. È vero. Io ve lo confermo. È peggio della cecità materiale, che ancora può essere guarita per dare ad un giusto la gioia di rivedere il sole, i prati, i frutti della terra, i volti dei figli e nipoti, e soprattutto ciò che era la speranza della sua speranza: “Vedere il Messia del Signore”. 

Io vorrei che fosse viva nell’animo di tutto Israele, e specie in quelli che sono i più istruiti nella Legge. Non basta essere stato nel Tempio o del Tempio, non basta sapere a memoria le parole del Libro. Occorre saperle fare vita della nostra vita mediante le tre virtù divine. Voi ne avete un esempio: dove esse sono vive tutto è facile, anche la sventura. Perché il giogo di Dio è sempre giogo leggero, che preme solo sulla carne ma non abbatte lo spirito.

Andate in pace, voi che restate in questa casa da buoni israeliti. Vai in pace, vecchio padre. Che Dio ti ami ne hai la certezza. Chiudi la tua giusta giornata deponendo la tua saggezza nel cuore dei pargoli del tuo sangue.

Non posso rimanere, ma la mia benedizione resta fra queste mura pingue di grazie come i grappoli di questa vigna».

E Gesù vorrebbe andarsene. Ma deve almeno fermarsi tanto da conoscere questa tribù di tutte le età, e di ricevere quanto gli vogliono dare fino a rendere le sacche da viaggio panciute come otri… Poi può riprendere il cammino per una scorciatoia fra le viti che gli indicano i vignaiuoli, che non lo lasciano altro che alla via maestra, già in vista di un paesello dove Gesù e i suoi potranno sostare per la notte.

Maria Valt., L'Evang. come mi è..., n.255

La tattica



Perché vi ho voluto qui.

«Quest'anno vi ho chiamato ancora e voi siete venuti da tutta Europa per passare questi giorni in un Cenacolo continuo con Me.

Come viene da voi consolato il mio Cuore, in questi tempi tanto tribolati e quanto da voi è glorificata la vostra Mamma Celeste! Io rifletto la mia luce nel vostro cuore e riverso la pienezza della grazia nelle vostre anime.

Sono sempre accanto a voi: mi associo alla vostra preghiera, accresco il vostro amore, rendo più forti i legami che vi uniscono, gioisco nel vedervi così piccoli e docili, pronti a comprendervi, ad aiutarvi, a camminare insieme sulla difficile strada della consacrazione che mi avete fatto.

Perché quest'anno vi ho voluto qui?

Per farvi capire che ormai dovete camminare insieme, uniti nell'amore, fino a diventare veramente una sola cosa. In questi giorni, nel Cenacolo del mio Cuore Immacolato, voglio rendervi tutti un cuore solo ed un'anima sola.


La tattica del mio Avversario è quella dell'odio e della divisione. Dove arriva, con la sua azione subdola e maligna, riesce a portare la rottura, l'incomprensione, l'antagonismo.

Anche nella Chiesa opera sempre più per lacerarla nella sua interiore unità. Allora Io vi raduno da ogni parte per aiutarvi ad amarvi, ad unirvi, a crescere nella perfezione dell'amore.

Vi ho chiamati ancora quassù per farvi comprendere che ormai la vostra pubblica missione sta per compiersi nella vostra personale e preziosa immolazione.

Questo è l'Anno Santo [1983] della Redenzione compiuta da mio Figlio Gesù sulla Croce.

Anche per voi ormai il mio Cuore Immacolato da culla è diventato altare, su cui devo disporre ciascuno sulla croce che il Padre vi ha preparato per la salvezza del mondo.
Per questo, figli miei prediletti, disponetevi a vivere con fiducia e abbandono le ore sanguinose che ormai vi attendono, mentre vi rendo ogni giorno più conformi a Gesù Crocifisso.

Gli errori che si diffondono nella Chiesa e la offuscano nella fede sono la corona di spine; 
peccati che si commettono e non vengono più riparati sono i dolorosi flagelli; 
l'impurità che dilaga riduce il vostro corpo sacerdotale tutto a una piaga; 
l'odio del mondo, l'incomprensione, e persino l'emarginazione da cui siete circondati sono i chiodi che vi trafiggono; 
siete chiamati a salire con Me il Calvario, su cui venite immolati per la salvezza del mondo.

Vi ho ancora chiamati qui per ottenervi lo Spirito Santo, che dal Padre e dal Figlio vi è donato in sovrabbondanza, per la vostra incessante preghiera, unita alla mia materna intercessione.

Lui vi trasformerà in fiamme ardenti di zelo per la gloria di Dio ed in coraggiosi testimoni di Gesù, in questi tempi che sono diventati tanto cattivi.

Ormai la lotta tra la vostra Mamma Celeste e il suo Avversario è entrata nella fase decisiva.

La "Donna vestita di sole" combatte apertamente, con la sua schiera, contro la schiera agli ordini del Dragone rosso, al cui servizio si è posta la Bestia nera venuta dal mare.

Il Dragone rosso è l'ateismo marxista, che ha ormai conquistato il mondo intero ed ha portato l'umanità a costruire una nuova civiltà senza Dio.
Per questo il mondo è diventato un deserto arido e freddo, immerso nel gelo dell'odio e nella tenebra del peccato e dell'impurità.

La Bestia nera è la Massoneria, che si è infiltrata nella Chiesa e l'attacca, la ferisce, e cerca di demolirla con la sua tattica subdola.

Il suo spirito si diffonde ovunque come una nube tossica e porta alla paralisi della fede, spegne l'ardore apostolico, allontana sempre più da Gesù e dal suo Vangelo.

È giunto il tempo di combattere con coraggio, apostoli di questi ultimi tempi, agli ordini della vostra Celeste Condottiera:

- alla divisione Io voglio rispondere, per mezzo di voi, rafforzando la comunione e l'amore che vi unisce fino a rendervi una cosa sola;

- al dilagare del peccato e del male Io rispondo con la vostra sacerdotale immolazione e per questo vi aiuto a salire il Calvario e vi depongo sulla Croce su cui ciascuno deve essere immolato;

- all'attacco del Dragone rosso e della Bestia nera, Io rispondo chiamandovi tutti a combattere, perché Dio sia sempre più glorificato e la Chiesa venga guarita, nei suoi figli, dalle piaghe dell'infedeltà e dall'apostasia.

Pregate, amate, fate penitenza.

Camminate sulla strada dell'umiltà, della piccolezza, del disprezzo del mondo e di voi stessi, seguendo Gesù che vi ama e vi conduce. Presto la vittoria risplenderà ovunque.

Per mezzo del trionfo del mio Cuore Immacolato, verrà a voi il glorioso regno di Gesù che, nel suo Spirito di Amore, condurrà tutta la creazione alla glorificazione del Padre. Finalmente verrà rinnovata la faccia della terra.

Per questo prima di scendere da questo monte, ad uno ad uno vi guardo con materna tenerezza, vi riempio il cuore di grazie che più avanti capirete, e vi benedico nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».

Valdragone di San Marino, 29 giugno 1983. Festa dei Santi Pietro e Paolo. Esercizi
spirituali e Cenacolo coi Responsabili del M.S.M.


È stata la mia forza nella vita.


Le sette beatitudini 
contrapposte alle sette spade

 Nuovo dettato di Maria
Dice Maria SS.ma:

«La beatitudine dell’estasi natalizia è venuta meco come essenza di fiore chiusa nel vivo vaso del cuore per tutta la vita. Indescrivibile gioia. Umana e sovrumana. Perfetta.

Quando il venir di ogni sera mi martellava nel cuore il doloroso “memento”: “Un giorno meno di attesa, un giorno più di vicinanza al Calvario” e l’anima mia ne usciva ricoperta di pena come se un flutto di strazio l’avesse ricoperta, anticipata onda della marea che m’avrebbe inghiottita sul Golgota, io curvavo il mio spirito sul ricordo di quella beatitudine che era rimasto vivo nel cuore, così come uno si curva su una gola montana a riudire l’eco di un canto d’amore ed a vedere in lontananza la casa della sua gioia.

È stata la mia forza nella vita. E lo è stata soprattutto nell’ora della [1281] mia morte mistica ai piedi della Croce. Per non giungere a dire a Dio ‑ che ci puniva, io e il mio dolce Figlio, per i peccati di tutto un mondo ‑ che troppo atroce era il castigo e che la sua mano di Giustiziere era troppo severa, io, attraverso il velo del più amaro pianto che donna abbia versato, ho dovuto affissare quel ricordo luminoso, beatifico, santo, il quale si alzava in quell’ora come visione di conforto dall’interno del cuore per dirmi quanto Dio m’avesse amata, si alzava per venirmi incontro non attendendo, poiché era gioia santa, che io lo cercassi, perché tutto quanto è santo è infuso da amore e l’amore dà la sua vita anche alle cose che par che vita non hanno.

Maria, occorre fare così quando Dio ci colpisce.

Ricordare quando Dio ci ha dato la gioia, per poter dire anche fra lo strazio: “Grazie, mio Dio. Tu sei buono con me”.

Non rifiutare il conforto del ricordo di un passato dono di Dio che sorge per confortarci nell’ora in cui il dolore ci piega, come steli percossi da una bufera, verso la disperazione, per non disperare della bontà di Dio.

Procurare che le nostre gioie siano gioie di Dio, ossia non darci delle gioie umane, da noi volute e facilmente contrarie, come tutto quanto è frutto del nostro operare avulso da Dio, alla sua divina Legge e Volontà, ma attendere solo da Dio la gioia.

Serbare il ricordo di esse anche a gioia passata, perché il ricordo che sprona al bene ed a benedire Iddio è ricordo non condannabile ma anzi consigliato e benedetto.

Infondere della luce di quell’ora le tenebre dell’ora presente per farle sempre tanto luminose che ci bastino a vedere il santo Volto di Dio anche nella più buia notte.

Temperare l’amaro del calice di quella goduta dolcezza per poterne sopportare [1283] il sapore e giungere a berlo sino all’ultima stilla.

Sentire, poiché lo si è conservato come il più prezioso ricordo, la sensazione della carezza di Dio mentre le spine ci stringono la fronte.

Ecco le sette beatitudini contrapposte alle sette spade. Te le dono per mia lezione di Natale (metti questa data) e con te le dono a tutti i miei prediletti.
La mia carezza per benedizione a tutti.»

Tratto da: “I Quaderni del 1944: Quaderno nr 12. Ed. CEV 

[1280] 25 ‑ 12 ‑ 1943 Natale.

Cor mitissimum
ora pro nobis