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giovedì 5 novembre 2020

I tormenti dell'inferno per i dannati



Dio rivela a Santa Caterina: I TORMENTI DELL’INFERNO PER I DANNATI


Dal: “Dialogo della Divina Provvidenza” di Santa Caterina da Siena

Lingua umana non basta, figlia mia, a narrare la pena di queste anime miserande. Se tre sono i principali vizi – cioè l’amore di sé onde nasce il secondo, ossia la considerazione di se stessi, dal quale procede il terzo, che è la superbia accompagnata da falsa giustizia e crudeltà, con gli altri iniqui e immondi peccati che conseguono a questi – così ti dico che nell’inferno vi sono quattro tormenti principali, ai quali conseguono tutti gli altri.

Il primo tormento consiste nel fatto che essi si vedono privati della mia visione; cosa che è di tanta sofferenza che, se fosse loro possibile, sceglierebbero piuttosto di vedermi, anche stando nel fuoco e tra i più crudi tormenti, piuttosto che esser privi d’ogni pena senza vedermi. 
Questa prima pena produce in loro la seconda, quella del verme della coscienza che sempre li rode, poiché per loro colpa si vedono privati di me e della conversazione con gli angeli, e per di più si vedono divenuti degni della conversazione con i demoni e della loro visione.

II vedere poi il diavolo, che è la
terza pena, moltiplica ogni loro sofferenza. Se infatti i santi sempre esultano nella mia visione ripensando con gaudio al frutto dei sacrifici che hanno sopportato per me con grandissimo amore e disprezzo di sé, il contrario è di questi sventurati, che nella visione dei demoni acuiscono il proprio tormento: nel vedere i demoni riconoscono se stessi, cioè capiscono che per propria colpa se ne son resi degni. In tal modo il tarlo della coscienza ancor più li rode e mai ha tregua il fuoco bruciante di questa consapevolezza”. (cfr Isaia 66,24)
Pena ancor più grande deriva loro dal vedere la figura stessa del demonio, tanto orribile che non v’è cuore umano che possa figurarsela. Se ben ricordi, infatti, saprai che, avendoti Io mostrato il demonio nella sua forma, e per un piccolo spazio di tempo – quasi un punto! – tu, dopo esser tornata in te, hai scelto, piuttosto, di camminare lungo una strada lastricata di fuoco, durasse pure sino al giorno del giudizio, disposta a calpestare il fuoco coi tuoi piedi, piuttosto che vederlo ancora.         Ma quantunque tu l’abbia visto, ancora non sai quanto egli sia orribile, perché, per divina giustizia, egli si mostra ancor più repellente all’anima che si è privata di me, e in modo più o meno grave a seconda della gravità delle colpe commesse.

E
il quarto tormento è il fuoco. È un fuoco che brucia ma non consuma l’anima; questa non si può consumare, non essendo cosa materiale che il fuoco possa ridurre a niente, dal momento che è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso che il fuoco la bruci tormentosamente, la tormenti e non la consumi, e la tormenti e bruci con grandissime sofferenze, in modi diversi a seconda della gravità dei peccati, chi più chi meno, secondo il peso delle colpe.

      Da questi quattro tormenti derivano tutti gli altri, con freddo e caldo e strider di denti. Ecco in che modo miserabile hanno ricevuta la morte eterna, dopo i rimproveri loro rivolti in vita per il falso giudizio e per l’ingiustizia, non essendosi corretti in occasione di questa prima accusa, come ho detto, né della seconda, cioè in punto di morte quando non vollero sperare, né dolendosi dell’offesa fatta a me ma affliggendosi soltanto per la propria pena.

giovedì 30 aprile 2020

S. CATERINA da Siena: una donna che ha avuto un ruolo eminente

DE  - EN  - ES  - FR  - HR  - IT  - PT ]

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 24 novembre 2010
 
[Video

Santa Caterina da Siena

Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi vorrei parlarvi di una donna che ha avuto un ruolo eminente nella storia della Chiesa. Si tratta di santa Caterina da Siena. Il secolo in cui visse - il quattordicesimo - fu un’epoca travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento. Caterina è una di queste e ancor oggi ella ci parla e ci sospinge a camminare con coraggio verso la santità per essere in modo sempre più pieno discepoli del Signore.

Nata a Siena, nel 1347, in una famiglia molto numerosa [Nasce a Siena nel rione di Fontebranda (oggi Nobile Contrada dell'Oca) il 25 marzo 1347: è la ventiquattresima figlia delle venticinque creature che Jacopo Benincasa, tintore, e Lapa di Puccio de’ Piacenti hanno messo al mondo. Giovanna è la sorella gemella, ma morirà neonata] , morì a Roma, nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di san Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate. Rimanendo in famiglia, confermò il voto di verginità fatto privatamente quando era ancora un’adolescente, si dedicò alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, soprattutto a beneficio degli ammalati.

Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia.

Caterina soffrì tanto, come molti Santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla. Le misero accanto un frate dotto ed umile, Raimondo da Capua, futuro Maestro Generale dell’Ordine. Divenuto suo confessore e anche suo “figlio spirituale”, scrisse una prima biografia completa della Santa. Fu canonizzata nel 1461.

La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII.

In una visione che mai più si cancellò dal cuore e dalla mente di Caterina, la Madonna la presentò a Gesù che le donò uno splendido anello, dicendole: “Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le tue nozze eterne” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 115, Siena 1998). 
Quell’anello rimase visibile solo a lei. In questo episodio straordinario cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina e di ogni autentica spiritualità: il cristocentrismo. Cristo è per lei come lo sposo, con cui vi è un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà; è il bene amato sopra ogni altro bene.
Questa unione profonda con il Signore è illustrata da un altro episodio della vita di questa insigne mistica: lo scambio del cuore. 

Secondo Raimondo da Capua, che trasmette le confidenze ricevute da Caterina, il Signore Gesù le apparve con in mano un cuore umano rosso splendente, le aprì il petto, ve lo introdusse e disse: “Carissima figliola, come l’altro giorno presi il tuo cuore che tu mi offrivi, ecco che ora ti do il mio, e d’ora innanzi starà al posto che occupava il tuo” (ibid.). Caterina ha vissuto veramente le parole di san Paolo, “… non vivo io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Come la santa senese, ogni credente sente il bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama. E noi tutti possiamo lasciarci trasformare il cuore ed imparare ad amare come Cristo, in una familiarità con Lui nutrita dalla preghiera, dalla meditazione sulla Parola di Dio e dai Sacramenti, soprattutto ricevendo frequentemente e con devozione la santa Comunione. 
Anche Caterina appartiene a quella schiera di santi eucaristici con cui ho voluto concludere la mia Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (cfr n. 94). Cari fratelli e sorelle, l’Eucaristia è uno straordinario dono di amore che Dio ci rinnova continuamente per nutrire il nostro cammino di fede, rinvigorire la nostra speranza, infiammare la nostra carità, per renderci sempre più simili a Lui.

Attorno ad una personalità così forte e autentica si andò costituendo una vera e propria famiglia spirituale. Si trattava di persone affascinate dall’autorevolezza morale di questa giovane donna di elevatissimo livello di vita, e talvolta impressionate anche dai fenomeni mistici cui assistevano, come le frequenti estasi. Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito.

Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. “Figlio vi dico e vi chiamo - scrive Caterina rivolgendosi ad uno dei suoi figli spirituali, il certosino Giovanni Sabatini -, in quanto io vi partorisco per continue orazioni e desiderio nel cospetto di Dio, così come una madre partorisce il figlio” (Epistolario, Lettera n. 141: A don Giovanni de’ Sabbatini). Al frate domenicano Bartolomeo de Dominici era solita indirizzarsi con queste parole: “Dilettissimo e carissimo fratello e figliolo in Cristo dolce Gesù”.

Un altro tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. Esse esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. 
Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 21: Ad uno il cui nome si tace).

Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363).

Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive Cristo come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio.

Cari fratelli e sorelle, impariamo da santa Caterina ad amare con coraggio, in modo intenso e sincero, Cristo e la Chiesa. Facciamo nostre perciò le parole di santa Caterina che leggiamo nel Dialogo della Divina Provvidenza, a conclusione del capitolo che parla di Cristo-ponte: “Per misericordia ci hai lavati nel Sangue, per misericordia volesti conversare con le creature. O Pazzo d’amore! Non ti bastò incarnarti, ma volesti anche morire! (...) O misericordia! Il cuore mi si affoga nel pensare a te: ché dovunque io mi volga a pensare, non trovo che misericordia” (cap. 30, pp. 79-80). Grazie.



Saluti:
Chers amis, puisse sainte Catherine de Sienne nous apprendre ainsi la science la plus sublime: aimer avec courage intensément et sincèrement Jésus Christ et aimer l’Eglise! Je salue cordialement les pèlerins francophones: bon séjour à tous!
I extend a warm welcome to the Catholic and Greek Orthodox pilgrims from San Francisco, California. I also greet the Superiors of the Missionary Sisters of the Precious Blood meeting in Rome. Upon all the English-speaking visitors present at today’s Audience, especially the pilgrim groups from Japan and the United States of America, I invoke God’s abundant blessings.
Ganz herzlich grüße ich die Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. Vertrauen wir uns Gottes guter Hand an, denn er hört nicht auf, seinem Volk Heilige zu schenken, die die Menschen zur Umkehr und zu geistlicher Erneuerung führen. Der Herr segne euch alle und schenke euch einen schönen, fruchtbaren Aufenthalt in Rom.
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los venidos de Chile, España, México, República Dominicana y otros países latinoamericanos. Siguiendo el ejemplo y la enseñanza de Santa Catalina de Siena, os invito a todos a amar a Cristo y a la Iglesia con un amor cada vez más intenso y sincero. Muchas gracias.
Amados peregrinos vindos do Brasil e de outros países de língua portuguesa, sede bem-vindos! Santa Catarina de Sena ensina que a ciência mais sublime consiste em amar Jesus Cristo e a sua Igreja. Segui o exemplo desta santa, amando Jesus com coragem e sinceridade, para assim alcançardes a paz e a alegria que vêm de Deus. Ide em paz!
Saluto in lingua polacca:
Witam serdecznie Polaków, a szczególnie delegację Rady Miasta Kielce wraz z duszpasterzami. Bracia i Siostry! Od świętej Katarzyny ze Sieny, mistyczki, doktora Kościoła, patronki Europy uczmy się szczerze kochać Chrystusa i Kościół. W różnych sytuacjach życia umiejmy z odwagą dawać świadectwo naszej wiary, broniąc w zdecydowany sposób ewangelicznych wartości. Wam tu obecnym i waszym bliskim z serca błogosławię.
Traduzione italiana:
Saluto cordialmente i Polacchi e in modo particolare la delegazione del Consiglio Comunale della Città di Kielce con alcuni parroci. Fratelli e Sorelle! Da Santa Caterina da Siena, mistica, dottore della Chiesa e Compatrona d’Europa impariamo ad amare sinceramente Cristo e la Chiesa. Nei diversi momenti della nostra vita sappiamo con coraggio dare testimonianza della nostra fede, difendendo in modo decisivo i valori evangelici. A voi qui presenti e ai vostri cari imparto di cuore una speciale benedizione.
Saluto in lingua ungherese:
Szeretettel köszöntöm a magyar híveket, elsősorban azokat, akik Tornáról és Szabadkáról érkeztek. Vasárnap az adventi időszakot kezdjük meg. Kívánom, hogy Máriához hasonló lelkülettel készítsétek az Úr útját ebben az adventben, hogy általatok Krisztus ma is megjelenhessen a társadalom minden területén.
Erre adom apostoli áldásomat.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!
Traduzione italiana:
Saluto con affetto i pellegrini di lingua ungherese, specialmente i membri dei gruppi venuti da Turna nad Bodvou e Subotica. Domenica iniziamo il periodo di Avvento. Vi auguro in questo Avvento di prepararvi alla venuta del Signore con il cuore simile a quello di Maria, così che tramite voi il Cristo possa venire anche oggi nella società.
Per ciò vi imparto la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!
Saluto in lingua slovena:
Lepo pozdravljam vse, ki ste prišli k praznovanju petdesete obletnice Papeškega slovenskega zavoda v Rimu. Skupaj z vami, dragi prijatelji, se veselim obilnih sadov, ki jih je Bog po tej ustanovi podelil Cerkvi na Slovenskem in drugod. Vse, ki danes tvorite skupnost »Slovenika«, spodbujam, da si dosledno prizadevate za rast v modrosti in v sleherni kreposti, da boste resnično sol zemlje in luč sveta. Slovenija in ves svet potrebujeta modrih, pogumnih in zvestih pričevalcev za Kristusa! Ob tej slovesni priložnosti vam prav rad podelim apostolski blagoslov!
Traduzione italiana:
Rivolgo il mio caro saluto a quanti sono convenuti per celebrare il 50° Anniversario del Pontificio Collegio Sloveno in Urbe. Insieme a voi, cari amici, gioisco per i copiosi doni che Iddio ha elargito, attraverso quest’Istituzione, alla Chiesa in Slovenia ed altrove. Tutti voi, che oggi formate la comunità dello “Slovenicum”, esorto all’impegno costante per la crescita nella sapienza e in ogni virtù, affinché siate davvero il sale della terra e la luce del mondo. La Slovenia e tutto il mondo hanno bisogno di testimoni di Cristo saggi, coraggiosi e fedeli! In questa felice ricorrenza giubilare volentieri vi imparto l’Apostolica Benedizione!
Saluto in lingua croata:
Radosno pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, a osobito vjernike iz župa Uskrsnuća Kristova i Svetog Ivana Evanđeliste iz Zagreba! Neka vam hodočašće na grobove apostola pomogne da, osnaženi u vjeri, učvršćeni u nadi i usavršeni u ljubavi, svjedočite Isusa Krista u svojoj domovini. Hvaljen Isus i Marija!
Traduzione italiana:
Saluto con gioia tutti i pellegrini Croati, in modo particolare i fedeli provenienti dalle parrocchie della Risurrezione di Cristo e di San Giovanni Evangelista di Zagreb. Il pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli vi aiuti a testimoniare Gesù Cristo nella vostra patria, fortificati nella fede, rafforzati nella speranza e perfezionati nell’amore. Siano lodati Gesù e Maria!
Saluto in lingua ceca:
Srdečně vítám a zdravím poutníky z České republiky, zejména z farnosti svatého Petra a Pavla v Říčanech.
Rád vám všem žehnám! Chvála Kristu!
Traduzione italiana:
Un cordiale benvenuto e saluti ai pellegrini provenienti dalla Repubblica Ceca, in particolare dalla Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, di Říčany.
Volentieri vi benedico tutti. Sia lodato Gesù Cristo!
* * *
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al convegno promosso dal Movimento Apostolico e li esorto a proseguire nel cammino della santità personale, punto di partenza di ogni evangelizzazione. Saluto i fedeli di Troina ed auspico che, sull’esempio del patrono S. Silvestro ciascuno possa aderire sempre più generosamente a Cristo e al suo Vangelo. Saluto i rappresentanti della Città di Cervia, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Giuseppe Verucchi, e li ringrazio per il tradizionale omaggio di un prodotto tipico della loro terra.
Rivolgo, infine, il mio cordiale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi, ricordando Sant'Andrea Dung-Lac e compagni, martiri vietnamiti, invito voi, cari giovani, ad essere intrepidi nel testimoniare i valori cristiani, rimanendo sempre fedeli al Signore; esorto voi, cari ammalati, a saper accogliere con sereno abbandono quanto il Signore dona in ogni situazione della vita; auguro a voi, cari sposi novelli, di formare una famiglia veramente cristiana, attingendo la forza necessaria per realizzare tale progetto dalla Parola di Dio e dall'Eucaristia.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


AMDG et DVM

martedì 29 ottobre 2019

E se tu ti abbasserai nella valle dell’umiltà, conoscerai me in te.


Risultato immagini per caterina da siena: divina provvidenza,pdf

Ti ho mostrato, carissima figliola, come la colpa non si possa scontare degnamente in questa vita con veruna pena, che si subisca puramente come pena. Si ha invece punizione sufficiente quando la pena viene sopportata col desiderio, con l’amore e con la contrizione del cuore, non per virtù della pena, ma del desiderio dell’anima, allo stesso modo che il desiderio ed ogni altra virtù traggono valore e vita soprannaturale da Cristo crocifisso, mio Figliuolo unigenito, in quanto che l’anima ha tratto da lui l’amore e con virtù segue le sue vestigia.

Solo in questo modo le pene hanno valore e non per altro; così soddisfano alla colpa col dolce ed unitivo amore acquistato nella dolce cognizione della mia bontà, insieme ad amarezza e contrizione di cuore, le quali scaturiscono dal conoscere se stessi e le proprie colpe. Tale cognizione genera odio e dispiacere, sia del peccato come della propria sensualità, onde l’uomo si reputa degno delle pene e indegno del frutto della redenzione.

Cosicché, mi diceva la dolce Verità, tu vedi come per la contrizione del cuore, unita all’amore della vera pazienza e alla vera umiltà, i peccatori, reputandosi degni della pena e indegni del frutto, sopportano con umiltà e pazienza; così si ha la riparazione necessaria.
Tu mi chiedi pene in espiazione delle offese, che mi sono fatte dalle mie creature, e domandi di conoscere ed amare me, che sono somma Verità. La via per giungere a conoscere e gustare perfettamente me, vita eterna, è che tu non esca mai dal vero conoscimento di tè stessa; e se tu ti abbasserai nella valle dell’umiltà, conoscerai me in te. Da questa conoscenza trarrai quanto ti è necessario.

Nessuna virtù può avere in sé vita, se non dalla carità; l’umiltà poi è balia e nutrice della carità. Nella conoscenza di te stessa ti umilierai, vedendo che tu non esisti per virtù tua, ma il tuo essere viene da me, che vi ho amati prima che veniste all’esistenza, e che volendovi di nuovo creare alla grazia, per l’amore ineffabile che vi ho portato, vi ho lavato e creato un’altra volta nel sangue dell’Unigenito mio Figliuolo, sparso con tanto fuoco d’amore.

Questo sangue fa conoscere la verità a colui che s’è levata  la nuvola dell’amor proprio col conoscere se stesso, poiché in altro modo non la conoscerebbe. Allora l’anima si accenderà nel conoscimento di me con un amore ineffabile, per il quale sta in continua pena, che non è tale da affliggere o disseccare l’anima, che anzi la impingua; ma avendo conosciuto la mia verità, la sua colpa, l’ingratitudine e cecità del suo prossimo,  prova pena intollerabile, e si duole appunto perché mi ama; perché se ella non mi amasse, non si dorrebbe.

Subito poi che tu e gli altri miei servi avrete conosciuto nel modo suddetto la mia verità, vi converrà sopportare fino alla morte molte tribolazioni, ingiurie e rimproveri, in parole e a fatti, per gloria e lode del mio nome; e così tu pure porterai e patirai pene.

Tu dunque e gli altri miei servi sopportate con vera pazienza, con dolore della colpa e con amore della virtù, per gloria e lode del mio nome. Così facendo, io rimetterò le colpe tue e degli altri miei servi, in maniera tale che le vostre pene saranno sufficienti per virtù della carità, a ottenere la soddisfazione ed il merito, in voi e negli altri. In voi riceverete il frutto di vita, saranno distrutte le macchie delle vostre ignoranze , ed Io non mi ricorderò più che voi mi offendeste. Agli altri darò il perdono a cagione della vostra carità ed affetto, nella misura dovuta alle loro disposizioni. 


[SANTA CATERINA DA SIENA, Il dialogo della Divina provvidenza, cap. IV, Ed. Cantagalli, Siena, 2001, pp. 32-34]
http://www.intratext.com/IXT/ITA3117/_P28.HTM
AMDG et DVM

lunedì 29 aprile 2019

Quattro tormenti

S. Caterina da Siena

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Inferno

I Novissimi - Paradiso - Purgatorio

Santa Caterina ebbe frequenti estasi. Durante la preghiera aveva continui colloqui familiari con Gesù Cristo suo Sposo che la proiettava sulle alte vette della spiritualità.

I Quattro Tormenti

L'opera "Dialogo della divina provvidenza" è appunto il frutto di queste estasi, opera dettata a dei discepoli che scrivevano alla sua presenza.
Il Pontefice Paolo VI la dichiarò "Dottore della Chiesa".

<<Lingua umana non basta, figlia mia, a narrare la pena di queste anime miserande. Se tre sono i principali vizi - cioè l'amore di sé onde nasce il secondo, ossia la considerazione di se stessi, dal quale procede il terzo, che è la superbia accompagnata da falsa giustizia e crudeltà, con gli altri iniqui e immondi peccati che conseguono a questi - così ti dico che nell'inferno vi sono quattro tormenti principali, ai quali conseguono tutti gli altri.

Il primo tormento consiste nel fatto che essi si vedono privati della mia visione; cosa che è di tanta sofferenza che, se fosse loro possibile, sceglierebbero piuttosto di vedermi, anche stando nel fuoco e tra i più crudi tormenti, piuttosto che esser privi d'ogni pena senza vedermi. 
Questa prima pena produce in loro la seconda, quella del verme della coscienza che sempre li rode, poiché per loro colpa si vedono privati di me e della conversazione con gli angeli, e per di più si vedono divenuti degni della conversazione con i demoni e della loro visione.

Il vedere poi il diavolo, che è la terza pena, moltiplica ogni loro sofferenza. Se infatti i santi sempre esultano nella mia visione ripensando con gaudio al frutto dei sacrifici che hanno sopportato per me con grandissimo amore e disprezzo di sé, il contrario è di questi sventurati, che nella visione dei demoni acuiscono il proprio tormento: nel vedere i demoni riconoscono se stessi, cioè capiscono che per propria colpa se ne son resi degni. In tal modo il tarlo della coscienza ancor più li rode e mai ha tregua il fuoco bruciante di questa consapevolezza". (cfr Isaia 66,24)

Pena ancor più grande deriva loro dal vedere la figura stessa del demonio, tanto orribile che non v'è cuore umano che possa figurarsela. Se ben ricordi, infatti, saprai che, avendoti Io mostrato il demonio nella sua forma, e per un piccolo spazio di tempo - quasi un punto! - tu, dopo esser tornata in te, hai scelto, piuttosto, di camminare lungo una strada lastricata di fuoco, durasse pure sino al giorno del giudizio, disposta a calpestare il fuoco coi tuoi piedi, piuttosto che vederlo ancora. 

Ma quantunque tu l'abbia visto, ancora non sai quanto egli sia orribile, perché, per divina giustizia, egli si mostra ancor più repellente all'anima che si è privata di me, e in modo più o meno grave a seconda della gravità delle colpe commesse.

E il quarto tormento è il fuoco. È un fuoco che brucia ma non consuma l'anima; questa non si può consumare, non essendo cosa materiale che il fuoco possa ridurre a niente, dal momento che è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso che il fuoco la bruci tormentosamente, la tormenti e non la consumi, e la tormenti e bruci con grandissime sofferenze, in modi diversi a seconda della gravità dei peccati, chi più chi meno, secondo il peso delle colpe.

Da questi quattro tormenti derivano tutti gli altri, con freddo e caldo e strider di denti. Ecco in che modo miserabile hanno ricevuta la morte eterna, dopo i rimproveri loro rivolti in vita per il falso giudizio e per l'ingiustizia, non essendosi corretti in occasione di questa prima accusa, come ho detto, né della seconda, cioè in punto di morte quando non vollero sperare, né dolendosi dell'offesa fatta a me ma affliggendosi soltanto per la propria pena.>

Tratto da: "Dialogo della divina provvidenza"
di Santa Caterina da Siena.
 

lunedì 30 aprile 2018

Santa Caterina da Siena, Vergine e Dottore della Santa Chiesa



Non aspettate 'l tempo, perocché 'l tempo non aspetta voi. 
Santa Caterina 


 Orazione
alla SS. Trinità nell'invocazione dello Spirito Santo

"Spirito Santo, vieni nel mio cuore
e con la tua potenza
trailo a te, Dio,
e dammi carità con timore.
Guardami, Cristo,
da ogni mal pensiero,
riscaldami e rinfiammami
del tuo dolcissimo amore
si' che ogni pena
mi sembri leggera.
Santo mio Padre
e dolce mio Signore,
sii tu mio aiuto
in tutto il mio operare.
Cristo, amore. Cristo amore!

martedì 17 aprile 2018

LA SUPERBIA... è un tumore


Capitolo 17 
La superbia 

La superbia (1) È un tumore dell'anima pieno di sangue. Se matura scoppierà, emanando un orribile fetore. Il bagliore del lampo annuncia il fragore del tuono e la presenza della vanagloria annuncia (2) la superbia. 

L'anima del superbo raggiunge grandi altezze e da lì cade nell'abisso. Si ammala di superbia l'apostata di Dio ascrivendo alle proprie capacità le cose ben riuscite (3). 

Come colui che sale su una tela di ragno precipita, così cade colui che si appoggia alle proprie capacità. 

Un'abbondanza di frutti piega i rami dell'albero e un'abbondanza di virtù umilia la mente dell'uomo. 

Il frutto marcio È inutile al contadino e la virtù del superbo non È accetta a Dio. 

Il palo sostiene il ramo carico di frutti e il timore di Dio l'anima virtuosa. 

Come il peso dei frutti spezza il ramo così la superbia abbatte l'anima virtuosa. 

Non consegnare la tua anima alla superbia e non avrai terribili fantasie. 

L'anima del superbo È abbandonata da Dio e diviene oggetto di gioia maligna per i demoni. 
Di notte egli si immagina branchi di belve che l'assalgono e di giorno È sconvolto da pensieri di viltà. 

Quando dorme facilmente sussulta e quando veglia lo spaventa l'ombra di un uccello (4). 

Lo stormire delle fronde atterrisce il superbo e il suono dell'acqua spezza la sua anima. 

Colui che infatti poco prima si È opposto a Dio respingendo il suo soccorso, viene poi spaventato da volgari fantasmi. 

Capitolo 18 

La superbia precipitò l'arcangelo dal cielo (1) e come un fulmine lo fece piombare sulla terra.

 L'umiltà invece conduce l'uomo verso il cielo e lo prepara a far parte del coro degli angeli. Di che ti inorgoglisci, o uomo, quando per natura sei melma e putredine (2), e perché ti sollevi sopra le nuvole? Guarda alla tua natura poiché sei terra e cenere e fra un po' tornerai alla polvere (3), ora superbo e tra poco verme. 

A che pro sollevi il capo che tra non molto marcirà? Grande È l'uomo soccorso da Dio; una volta abbandonato egli riconobbe la debolezza della natura. 
Nulla possiedi che tu non abbia ricevuto da Dio. Perché dunque ti scoraggi per ciò che appartiene ad altri come se fosse tuo? 

Perché ti vanti di quel che viene dalla grazia di Dio come se fosse una tua personale proprietà? Riconosci colui che dona e non ti inorgoglire tanto: sei creatura di Dio, non disprezzare perciò il creatore. 
Dio ti soccorre, non respingere il beneficatore (4). 
Sei giunto alla sommità della tua condizione (5), ma lui ti ha guidato; hai agito rettamente secondo virtù ed egli ti ha condotto. 
Glorifica chi ti ha innalzato per rimanere al sicuro nelle altezze; riconosci colui che ha le tue stesse origini perché la sostanza È la medesima e non rifiutare per iattanza questa parentela. 

Capitolo 19 

Umile e moderato È colui che riconosce questa parentela; ma il demiurgo (1) plasmò sia lui sia il superbo. 
Non disprezzare l'umile: infatti egli È più al sicuro di te: cammina sulla terra e non precipita; ma colui che sale più in alto, se cade, si sfracellerà. 

Il monaco superbo È come un albero senza radici e non sopporta l'impeto del vento. 
Una mente senza boria (2) È come una cittadella ben munita e chi vi abita sarà imprendibile. 

Un soffio di vento solleva la festuca e l'insulto porta il superbo alla follia (3). 

Una bolla scoppiata svanisce e la memoria del superbo perisce. 

La parola dell'umile addolcisce l'anima, mentre quella del superbo È ripiena di millanteria. 

Dio si piega alla preghiera dell'umile, È invece esasperato dalla supplica del superbo. 

L'umiltà È la corona della casa e tiene al sicuro chi vi entra. 
Quando salirai al sommo delle virtù allora avrai molto bisogno di sicurezza. Colui infatti che cade sul pavimento rapidamente si rialza, ma chi precipita da grandi altezze, rischia la morte (4). 

La pietra preziosa si addice al bracciale d'oro e l'umiltà umana risplende di molte virtù.

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AMDG et DVM

sabato 23 settembre 2017

LA SCUOLA DEI SANTI cioè dei FIGLI DI DIO, è giudiziosa. Non ha...


PREGIUDIZI GROSSOLANI

Intorno al peccato veniale abbiamo pregiudizi grossolani, che riescono di grande danno al nostro profitto spirituale. 

Persuasi che sia cosa da nulla, lo commettiamo ogni giorno e direi quasi ogni ora, senza pensare alla malizia che racchiude in sé, alle tristi conseguenze che lascia ed ai castighi che ci accumula sul capo dall'Eterna Giustizia.

«E' una colpa veniale, diciamo se non con le parole almeno coi fatti; è un'imperfezione che si lava con acqua santa, con un segno di croce o con una giaculatoria; e non dobbiamo essere tanto scrupolosi. Non v'è neppur l'obbligo di confessarcene, perchè non toglie la grazia di Dio. Se avessi a guardarmi dalle bugie, dal ridere a spalle altrui, dalle piccole golosità, non la finirei più. Dovrei stare continuamente su me stesso, condurre una vita mesta; ed avrei timore di cadere in scrupoli e rompermi il capo ». Ma non così ragionavano i Santi. 
Contemplando le cose alla luce divina, essi nutrivano un orrore estremo al peccato veniale e gli mossero guerra a morte, pronti a subire qualunque pena, piuttosto ché commetterlo.

Udite il concerto armonioso, che s'innalza dalle loro vite e che rende splendido omaggio alla Giustizia ed alla Bontà divina, mentre fa uno strano contrasto con la nostra vergognosa condotta.

« Amo meglio, esclama Sant'Edmondo, gettarmi in un rogo ardente, anziché commettere avvertitamente qualsiasi peccato contro il mio Dio». 

Santa Caterina da Genova getta uno sguardo sull'azzurra immensità dell'oceano, pensa al mare di fuoco che sommerge i dannati nell'inferno, come i pesci nell'acqua; e da qui, com'è proprio delle anime amanti che vedono dovunque un segno dell'oggetto amato, risale a Dio, mare di bontà, e medita sui benefizi fatti all'uomo e sulla malizia del peccato. Allora, fuori di sé per dolore, esclama: « O mio Dio, per fuggire un peccato anche lieve, io mi getterei, se fosse necessario, in un abisso di fiamme e vi resterei per tutta l'eternità, piuttosto che commetterlo per uscirne.

La serafica vergine di Siena, Santa Caterina, uscita da un'estasi in cui aveva contemplata la bellezza di un'anima in grazia di Dio e la miseria di quella che è macchiata di peccato, scriveva: « Se l'anima, di sua natura immortale, potesse morire, basterebbe ad ucciderla la vista di un peccato veniale che ne scolorisse la bellezza! ».

Sant'Ignazio di Loiola insegnava spesso ai suoi discepoli: 
« Chi è geloso della purità della sua coscienza deve confondersi alla presenza di Dio per i peccati più lievi, considerando che, Colui contro cui sono commessi è infinito nelle sue perfezioni; la qual cosa li aggrava di una malizia infinita ».

Ammaestrato da questi santi princìpi sant'Alfonso Rodriguez fece risuonare le mura del convento, di cui era portinaio, con quest'ammirabile ed eroica preghiera, che trova eco fedele in tutti i cuori veramente divorati dallo zelo per la gloria di Dio: « Prima soffrire, o Signore, tutte le pene dell'inferno, che commettere un sol peccato veniale! ».

Nella storia della Chiesa si trovano spesso anime generose che sacrificarono la vita temporale, anziché salvarla con una bugia o con un peccato veniale. E' ben noto il fatto di quel Santo che, ricercato a morte dall'imperatore, ricoverò in sua casa i soldati che andavano in cerca di lui, li trattò con ogni squisitezza, offrendo loro cibo e ricovero per la notte. Arrivato il mattino, gli domandarono se avesse notizia di un cristiano, che non viveva secondo le leggi dell'impero ed era perciò stato condannato a morte. Ed egli confessò semplicemente che era lui stesso; e si offerse pronto ad accompagnarli alla corte. Ma quei soldati, pieni di gratitudine per le cure ricevute, gli proposero la fuga, assicurandolo che avrebbero riferito di non averlo trovato. Il Santo rifiutò recisamente per non farli cadere in una menzogna; ed andò coraggiosamente incontro al martirio.

Così ragionano e così operano i Santi. Chi ha ragione, il mondo o questi eroi, seguaci delle massime del Vangelo? Noi che valutiamo le cose alla luce del tempo, od essi che le considerano alla luce infallibile dell'eternità? Noi, che con lo sguardo miope vediamo solo la terra coi suoi beni miserabili, o essi che con la pupilla dell'aquila contemplavano il mondo avvenire e le gioie immortali del Cielo?

AMDG et BVM

domenica 30 aprile 2017

UN GIOIELLO DI DISCORSO DIMENTICATO. E' GRANDE!

Santa Caterina Patrona d'Italia. Insieme a San Francesco di Assisi.

Discorso di Pio XII

Il 29 Aprile 1380 si concludeva la vita terrena di santa Caterina da Siena. Ecco come Pio XII ci presenta la Patrona della nostra Italia che festeggiamo oggi, nel Discorso sui Patroni d'Italia a Santa Maria sopra Minerva, 5 maggio 1940. Santa Caterina, intercedi per noi!

Ammirevole spettacolo e al tutto degno della universale paternità apostolica, Venerabili Fratelli e diletti Figli, fu più volte, in secoli dal nostro lontani, il vedere in questo insigne tempio di Santa Maria sopra Minerva i Successori di Pietro, Nostri Antecessori, venuti con solenne corteo a celebrare i divini misteri nella dolce festività della Santissima Annunziata, e onorare con mano amorevole la pubblica distribuzione alle fanciulle di doti claustrali e nuziali, estimatori, com’erano, della verginità sacra a Dio e della onesta maternità familiare, vegliante, insieme con gli angeli celesti, sulle candide culle, nidi di angeli umani. A tale lieta storica ricordanza l’animo Nostro esulta in mezzo al Nostro amato popolo che Ci circonda devoto; e nella visione del passato, se pur bello di altra luce, contempliamo rinnovato e ripresentato, in festa di duplice e novissima aureola, lo splendore di questo altare, sotto cui dormono le venerate spoglie di una vergine eroica, sposa di Cristo, paladina della Chiesa, madre del popolo, angelo di pace all’italica famiglia. Al Nostro sguardo accanto a lei leva la fronte un poverello, vestito di saio e cinto di una corda, dall’aspetto serafico, dalle mani e dai piedi segnati di cicatrici, dall’occhio che contempla il cielo, i monti e le valli, il valico dei fiumi e dei mari, e nel suo amore e nel suo saluto abbraccia l’agnello e il lupo, gl’infelici e i felici, i concittadini e gli estranei. Sono questi, o Italia, i tuoi alti Patroni al cospetto di Dio, il quale pure ti ebbe privilegiata fra tutte le sponde del Mediterraneo e degli oceani, stabilendo in te, attraverso le mirabili vicende di un popolo prode, ignaro del consiglio e della mano divina, la sede e l’impero pacifico del Pastore universale delle anime redente dal sangue di Cristo. Caterina e Francesco, sotto il beatificante ciglio di Dio, guardano Roma e le regioni italiche, perché l’amore, che nutrirono quaggiù vivendo e operando, non si spegne nel cielo, ma si rinfiamma nell’imperituro amore di Dio.

Estratto dal Dialogo della Divina Provvidenza di santa Caterina da Siena


I TRE SCALONI 

O inestimabile e dolcissima carità, chi non s’accenderà a tanto amore? Qual cuore potrà reggere, senza venire meno? Tu, Abisso di Carità, pare che sii pazzo delle tue creature, come se Tu non potessi vivere senza di loro, mentre Tu sei il Dio nostro, che non hai bisogno di noi. Dal nostro bene a Te non si accresce grandezza, poiché Tu sei immutabile; dal nostro male a Te non viene danno, perché Tu sei somma ed eterna bontà. Chi ti muove a fare tanta misericordia? L’amore; non il debito o il bisogno che Tu abbia di noi,m poiché noi siamo rei e malvagi debitori. Se io vedo bene, o Somma ed Eterna Verità, io sono il ladro e [Tu sei l’impiccato per me, perché vedo] il Verbo tuo Figliuolo confitto e inchiodato in croce; e di Lui mi hai fatto ponte, come hai manifestato a me, miserabile tua serva. Per la qual cosa il cuore scoppia e non può scoppiare, per la fame e il desiderio che ha concepito in Te. – DIALOGO 25. 

Terminando questa preghiera, Caterina chiede al Padre eterno che le mostri chi passa da questo ponte e Questi le risponde descrivendole dapprima il ponte stesso, per farla ancora di più innamorare e farle prendere a cuore la salvezza delle anime: – 
Ti ho detto che esso si estende dal cielo alla terra, appunto per l’unione che Io ho fatta nella natura umana, che avevo formato dal fango della terra. Questo ponte, che è l’Unigenito mio Figliuolo, ha in sé tre scaloni, dei quali due furono fabbricati sul legno della santissima croce; il terzo, quando sentì la grande amarezza nel bere fiele e aceto. In questi tre scaloni conoscerai i tre stati dell’anima, che ti spiegherò di sotto. Il primo scalone sono i piedi, che significano l’affetto; perché come i piedi portano il corpo, così l’affetto porta l’anima. I piedi confitti ti sono scala affinché tu possa giungere al costato, il quale ti manifesta il segreto del cuore. salita sui piedi dell’amore, l’anima comincia a gustare l’affetto del cuore, ponendo l’occhio dell’intelletto nel cuore aperto del mio Figlio, dove trova consumato e ineffabile amore. Dico consumato, poiché Egli non vi ama per propria utilità, non potendo voi fare utilità alcuna a Lui, che è una cosa sola con Me. allora l’anima, vedendosi tanto amata, si empie d’amore. Salito il secondo, giunge al terzo, cioè, alla bocca, dove trova pace dopo quella grande guerra, che prima aveva avuto con Me, per le sue colpe. Al primo scalone si spoglia del vizio, levando i piedi dall’affetto della terra; al secondo si empie di amore e di virtù; al terzo gusta la pace. Così il ponte ha tre scaloni, affinché, salendo il primo e il secondo, possiate giungere all’ultimo, che è levato in alto, sicché l’acqua corrente non l’offende, poiché in Cristo non fu veleno di peccato – DIALOGO 26. 


Il Padre eterno spiega a Caterina perché ha voluto che il suo Figlio fosse elevato da terra sulla croce: 
Vedendo la mia bontà che voi non potevate in altro modo esser tratti a Me, Lo mandai sulla terra, perché fosse levato in alto sul legno della croce, facendone un’incudine, in cui si fabbricasse il nuovo figlio, che è il genere umano, col togliergli la morte e rivestirlo della vita della grazia. Perciò Cristo trasse in questo modo ogni cosa a sé, dimostrando l’amore ineffabile che aveva per voi, poiché il cuore dell’uomo è sempre tratto per amore. Non poteva mostrarvi maggior amore, che dando la vita per voi. A forza dunque l’uomo è tratto dall’amore,purché nella sua ignoranza non faccia resistenza a lasciarsi tirare. Giustamente dunque disse Cristo, che quando fosse levato in alto, avrebbe attirato ogni cosa a Sé; e questa è la verità. – DIALOGO 26.

Gesù attrae tutto a sé sotto due aspetti: 
L’uno significa che, quando il cuore dell’uomo è tratto per affetto d’amore, viene tratto insieme con tutte le potenze dell’anima, cioè la memoria, l’intelletto e la volontà. Accordate e riunite nel mio nome queste tre potenze, tutte le altre operazioni, che egli fa, materiali e mentali, sono tratte in modo piacevole, e unite a Me per affetto d’amore, perché l’uomo s’è levato in alto, seguendo l’Amore crocifisso. Sicché disse bene la mia Verità: «Se Io sarò sollevato in alto, trarrò ogni cosa a me»; cioè se il cuore con le potenze dell’anima sarà tratto in alto, saranno tratte tutte le sue operazioni. L’altro modo si spiega con il fatto che ogni cosa è creata in servizio dell’uomo. Infatti le cose sono state fatte, perché servano e sovvengano alle necessità delle creature; non quasi che sia fatta per loro la creatura che è dotata di ragione. Essa anzi è fatta per Me: per servirMi con tutto il cuore e con tutto l’affetto suo. Comprendi allora che, se viene tratto l’uomo, viene tratta ogni cosa, poiché ogni altra cosa 2 è fatta per lui. Bisognò dunque che il ponte fosse levato in alto e avesse le scalinate, affinché si potesse salire con più agevolezza. – DIALOGO 26. 

Questo ponte poi è murato con pietre che sarebbero le virtù umane. Prima della passione di Gesù Cristo queste virtù non erano murate, cioè non garantivano saldezza: 
Questo ponte ha pietre murate, affinché venendo la pioggia, chi vi cammina non abbia impedimento sai quali pietre sono queste? Sono le pietre delle vere e reali virtù. Queste pietre non erano murate prima della passione di mio Figlio, e gli uomini erano così tanto impediti che nessuno poteva giungere al suo termine, anche se fossero andati per la via delle virtù. Non era ancora disserrato il cielo con la chiave del Sangue, e la pioggia della giustizia non li lasciava passare. Ma dopo che le pietre furono fatte e fabbricate sopra il Corpo del verbo, il dolce mio Figliuolo, Egli le murò, e per murarle intrise la calcina nel suo Sangue; e cioè il suo Sangue è intriso con la calcina della Divinità, e con la forza e il fuoco della carità. Con la mia potenza sono murate sopra di Lui le pietre delle virtù, poiché non vi è virtù che non sia provata in Lui, da Lui hanno vita tutte le virtù. Nessuno può avere virtù, che dia vita di grazia, se non da Lui, cioè seguendo le sue orme e la sua dottrina. Egli ha murato le virtù e le ha piantate come pietre vive; le ha murate con il suo Sangue, affinché ogni fedele possa camminare speditamente e senza il timor servile della pioggia della giustizia divina, perché è ricoperto con la misericordia. – DIALOGO 27 

La bottega e la porta che stanno sul ponte – Sicché tu vedi che il ponte è murato, ed è ricoperto con la misericordia, e sopra vi è la bottega, che è il giardino della santa Chiesa, la quale tiene e amministra il Pane della vita, e dà da bere il Sangue, affinché le mie creature viandanti e pellegrine, stancandosi, non vengano meno nella via. […]passato il ponte si giunge alla porta, la quale porta è il ponte stesso, cioè Cristo, per la quale tutti vi conviene entrare. – DIALOGO 27. 

Bisogna dunque passare per questa porta, cioè attraverso Gesù che ha detto di Sé: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me” (Gv 14,6): – Quelli che seguiranno questa via sono figli della verità, perché seguono la Verità, e si trovano uniti a me per mezzo della porta e della via, che è il mio Figliuolo, Verità eterna, Mare pacifico. Ma chi non tiene per questa via, tiene di sotto per il fiume che non è via fatta di pietre, ma di acqua. E poiché l’acqua non ha chi la trattenga, nessuno può andarvi senza annegare. Di tal fatta sono i piaceri e le condizioni del mondo. Se l’affetto non è posto sopra la pietra, ma è posto disordinatamente nelle creature, amandole e tenendole al di fuori di Me, esse divengono come l’acqua che continuamente corre. Corre l’uomo insieme ad esse: a lui pare che corrano le cose create, che egli ama, mentre è lui stesso che continuamente corre verso il termine della morte – DIALOGO 27. 

Le due vie, sia il ponte che il fiume, si fanno con fatica, ma sul ponte la fatica è dolce, sul fiume, amara: 
Queste sono le due vie, e per ciascuna si passa con fatica. Guarda, però, quanta sia l’ignoranza e cecità dell’uomo, che, mentre gli è stata fatta la via buona, vuole invece tenere per l’acqua. La via del ponte è di tanto diletto, per coloro che la percorrono, che ogni amarezza diventa dolce e ogni gran peso diventa loro leggero. Sebbene essi siano nelle tenebre del corpo, trovano la luce; sebbene mortali, trovano la vita immortale, gustando per affetto d’amore, col lume della fede, la Verità eterna. Questa promette di dare refrigerio a chi si affatica per me, che sono grato e riconoscente, e così giusto, che rendo con giustizia a ciascuno quello che si merita; onde ogni bene è remunerato e ogni colpa è punita. La tua lingua non sarebbe sufficiente a narrare, né l’orecchio a udire, né l’occhio a vedere il diletto che prova colui, il quale va per questa via, poiché egli gusta e partecipa di quel bene che gli è apparecchiato nella vita eterna. È dunque ben matto colui che schiva tanto bene, e preferisce di gustare in questa vita la caparra dell’inferno, tenendo per la via di sotto, dove va con molte fatiche, senza nessun refrigerio e senza nessun bene, poiché per il peccato, è privato di Me, che sono Sommo ed Eterno Bene. – DIALOGO 28. 

Salendo Gesù al Cielo con l’Ascensione, non cessò il ponte di essere presente sulla terra: – Dopo che il Figliuolo si levò in alto e tornò a Me, Padre, Io mandai il Maestro, cioè lo Spirito Santo, che venne con la potenza mia, con la sapienza del mio Figlio, e con la sua clemenza. Egli è una cosa sola con Me, Padre, e con il Figlio mio; fortificò la via della dottrina, lasciata dalla mia Verità nel mondo; e perciò, sebbene Cristo si partisse dalla terra con la presenza, pure non si partirono né la 3 dottrina né le virtù. Esse sono vere pietre fondate sopra questa dottrina, la quale è una via a voi fatta da questo dolce e glorioso ponte. – DIALOGO 29. 

Le garanzie di veridicità di questa via: La via della sua dottrina fu confermata dagli apostoli, palesata nel sangue dei martiri, illuminata con la luce dei dottori, manifestata dai confessori e messa in carta dagli evangelisti, i quali stanno tutti come testimoni a confessare la verità del corpo mistico della santa Chiesa. Essi sono come una lucerna posta su un candelabro, per mostrare la via della verità, che conduce a vita con luce perfetta. E come te la indicano? Con la prova; poiché l’hanno provata in se stessi. Così ogni persona è da essi illuminata per conoscere la verità, purché non voglia togliersi il lume della ragione con il disordinato amor proprio. È dunque vero che la sua dottrina è vera, ed è rimasta come navicella, per trarre l’anima fuori dal mare tempestoso, e condurlo al porto di salvezza. Cosicché prima Io feci il ponte del mio Figliuolo, che nella sua vita conversò con gli uomini; e levato il ponte della sua presenza terrena, rimase il ponte e la via della dottrina, la quale è unita con la mia potenza, con la sapienza del Figlio e con la clemenza dello Spirito Santo. Questa potenza dà virtù di fortezza a chi segue la via; la sapienza gli dà lume per conoscere in essa via la verità, e lo Spirito Santo gli dà amore, che consuma e toglie ogni amor proprio sensitivo dell’anima, e solo le rimane l’amore delle virtù. Così, in tutte le maniere, o con la vita, o con la dottrina, «Egli è via, verità e vita» (cf Gv 14,6)– DIALOGO 29. 


Lasciando questo mondo per tornare al Padre, Gesù promise che sarebbe tornato: 
Disse che tornerebbe, ed egli tornò, perché lo Spirito Santo non venne solo, ma venne con la potenza di Me, Padre, con la sapienza del Figliuolo e con la clemenza dello Spirito Santo. Vedi dunque che torna, non con la presenza terrena, ma con la virtù, fortificando la strada della dottrina. Essa non può venire meno né essere tolta a colui che la vuole seguire, perché è ferma e stabile, e procede da me che non muto. Dovete dunque seguire virilmente la via, senza alcuna nuvola, ma con il lume della fede, che vi è data per principale vestimento nel santo Battesimo – DIALOGO 29. 

Riepilogo di quanto esposto: 
–Ora t’ho mostrato appieno e spiegato il ponte e la sua dottrina, la quale è una cosa sola con il ponte; ed ho mostrato all’ignorante chi sia colui che gli manifesta come questa via sia la verità, e dove stiano coloro che la insegnano. Dissi che sono gli apostoli, gli evangelisti, i martiri, i confessori e i santi dottori, posti come lucerne nella santa Chiesa. Ti ho pure mostrato come Cristo nel venire a me tornò a voi: non presenzialmente, ma con la virtù, cioè con la venuta dello Spirito Santo sopra i discepoli. Presenzialmente non tornerà che all’ultimo giorno del giudizio, quando verrà con la mia maestà e potenza divina a giudicare il mondo, per rendere bene ai buoni, rimunerando insieme l’anima e il corpo delle loro fatiche, e per rendere pure male di pena eterna a coloro, che sono vissuti iniquamente nel mondo. – DIALOGO 30. 

Il Padre eterno quindi rinnova il suo invito alla preghiera per i peccatori, al quale Caterina risponde con questa lode alla misericordia divina: 

– O eterna misericordia, che veli i difetti delle tue creature, non mi meraviglio che di coloro che escono dal peccato mortale, tornando a Te, Tu dica: «Io non mi ricorderò che tu mi abbia offeso» (cf Ez 18,21- 22). Misericordia ineffabile, non mi meraviglio che, a coloro che abbandonano il peccato, Tu dica, riferendoti a chi Ti perseguita: «Io voglio che preghiate per loro affinché Io usi misericordia». Noi fummo creati nella tua misericordia; e nella tua misericordia fummo ricreati nel sangue del tuo Figlio. La tua misericordia ci conserva. La tua misericordia portò tuo Figlio a sostenere sulla croce la terribile lotta nella quale era in gioco la morte del nostro peccato, e la morte della colpa tolse la vita corporale all’Agnello immacolato. Ma chi fu il vinto? La morte. Chi la causa prima? La tua misericordia. La misericordia tua dona la vita, essa dà il lume grazie alla cui luce possiamo riconoscere la tua clemenza verso ogni creatura, giusta o peccatrice che sia. Sin dall’alto dei cieli la tua misericordia risplende, poiché è visibile nei tuoi santi. E se mi volgo alla terra, vedo ovunque il suo sovrabbondare. Persino nell’inferno riluce poiché i dannati non ricevono tutta la pena che si meritano. Con la tua misericordia mitighi la giustizia; per essa ci hai lavati nel Sangue; per misericordia hai voluto abbassarti sino a vivere con le tue creature. Oh, Tu pazzo d’amore! Non ti bastò vestire la nostra carne: hai voluto anche morire. Non ti basò la morte. Sei anche disceso agli inferi per trarvi i santi padri e per compiere la tua verità donando loro la tua misericordia. E poiché la tua bontà promette il bene a 4 coloro che Ti servono nella verità, ecco che scendesti limbo1 per togliere dalla pena chi, avendoTi servito, doveva cogliere il frutto delle sue fatiche. Ma vedo che la tua misericordia Ti costrinse a donare anche più generosamente, allorché hai lasciato Te stesso quale cibo affinché noi deboli ne avessimo conforto, e gli ignoranti smemorati non perdessero del tutto il ricordo dei tuoi benefici. Tutto questo Tu doni ogni giorno agli uomini, facendoti presente nel sacramento dell’altare, nel corpo mistico della santa Chiesa. E tutto ciò è frutto della tua misericordia. O misericordia! Il cuore s’annega nel pensiero di Te, ché ovunque mi volga io altro non vedo che misericordia. O eterno Padre, perdona la mia ignoranza, se ho presunto parlare al Tuo cospetto, ma l’amore della tua misericordia vorrà scusarmi agli occhi della Tua benevolenza. – DIALOGO 30. 

Utilità delle tentazioni in questa vita terrena: 
Il demonio è dalla mia giustizia fatto giustiziere, per tormentare le anime che miserabilmente mi hanno offeso. Ho posto gli spiriti maligni in questa vita a tentare e molestare le mie creature, non perché siano vinte, ma perché esse vincano con la prova della loro virtù, e ricevano da Me la gloria della vittoria. Nessuno deve temere per qualsivoglia battaglia o tentazione di demonio che gli venga, perché Io ho fatto forti i miei fedeli, e ho dato loro la fortezza della volontà, fortificandola nel Sangue del mio Figlio. Questa volontà non ve la possono mutare né demonio né creatura alcuna, perché ella è vostra, e data da Me col libero arbitrio. Voi dunque con il libero arbitrio potete tenerla o lasciarla, come vi piace. Essa è l’arma che ponete nelle mani del demonio; è un coltello col quale direttamente vi percuote e vi uccide. Ma se l’uomo non dà questo coltello della sua volontà nelle mani del demonio, cioè se egli non consente alle sue tentazioni e molestie, giammai sarà ferito dalla colpa del peccato, per qualsivoglia tentazione che gli accada. Anzi lo fortificherà nell’aprirgli l’occhio dell’intelletto a vedere la mai carità, la quale permette che siate tentati solo per farvi venire a virtù, e per prova di virtù. A virtù non si viene se non per mezzo della conoscenza di se stessi e di Me. tale conoscenza si acquista più perfettamente nel tempo della tentazione, perché allora l’uomo conosce l’inconsistenza del suo essere, poiché non può levarsi le pene e le molestie che vorrebbe fuggire, e conosce ancora Me nella sua volontà, che è fortificata dalla mia bontà e non consente a quei brutti pensieri. Vede ancora, per quanto gli concede la mai carità, che il demonio è debole e per sé non può nulla, se non quanto Io gli permetto per amore e non per odio, affinché vinciate e non siate vinti, veniate alla conoscenza perfetta di Me e di voi, e la vostra virtù sia provata, poiché essa non si prova che con il suo contrario. Vedi bene come i demoni sono miei ministri nel tormentare i dannati nell’inferno, e nel tentare in questa vita, per esercitare e provare la virtù dell’anima. Non è intenzione del demonio di farvi provare nella virtù, perché egli non ha la carità, ma per privarvi della virtù; questo però non può farlo, se voi non volete. Or vedi quanta sia la stoltezza dell’uomo che si fa debole dove Io l’ho fatto forte, e da se stesso si mette nelle mani dei demoni. – DIALOGO 43. 

Il giudice della coscienza: 
In punto di morte, quanti durante la vita sono entrati sotto la signoria del demonio (senza esservi forzati però, perché non lo possono, ma volontariamente si sono messi nelle sue mani), appena giungono all’estremità della morte sotto questa perversa signoria, non aspettano altro giudizio, ma da se stessi sono giudici nella loro coscienza, e come disperati giungono all’eterna dannazione. Con l’odio stringono a sé l’inferno sull’estremo della morte, e prima ancora che l’abbaino, essi medesimi, coi loro demoni, si prendono in premio l’inferno. In modo simile i giusti, che vissero in carità e muoiono in dilezione, quando viene l’estremità della morte, se sono vissuti perfettamente in virtù, illuminati dal lume della fede, vedono, con l’occhio della fede e con perfetta speranza nel Sangue dell’Agnello, il bene che Io ho loro apparecchiato, e con le 

 1 Ci sono due significati del termine “limbo”. Il primo indica il luogo o lo stato di attesa dei giusti morti prima della venuta di Gesù Cristo. Questi giusti aspettavano nel limbo che si aprisse per loro la porta del Paradiso, questo è anche il senso del termine “inferi”, per cui noi affermiamo nel Credo che Gesù è ”sceso agli inferi”, cioè appena , morto, l’anima umana del Figlio di Dio unita alla divinità è scesa al limbo a liberare tutti coloro che aspettavano la redenzione. Questa accezione o significato del termine “limbo” è conforme al deposito della nostra fede cattolica. In un altro senso il termine “limbo” indica,  il luogo dove vanno le anime dei bambini morti e non battezzati. (E' bene consultare il Catechismo Chiesa Cattolica al n. 1261)

5 braccia dell’amore l’abbracciano, stringendo con strette d’amore Me, sommo ed eterno Bene. E così l’anima gusta vita eterna prima di aver lasciato il corpo mortale, cioè, prima di essere separata dal corpo. Gli altri che avessero passata la vita in uno stato di carità comune e non si trovassero in quella grande perfezione , quando giungono all’estremo, abbracciano la mia misericordia con quel medesimo lume della fede e della speranza che ebbero i perfetti. Ma essi hanno una carità imperfetta; perciò si stringono alla mia misericordia, ritenendola maggiore delle loro colpe. – DIALOGO 43. 

Come il demonio inganna gli uomini con parvenze di bontà: 

Ti ho detto che il demonio invita gli uomini all’acqua morta, cioè, a quella che egli ha per sé, accecandoli con le delizie e gli agi del mondo. Li piglia con l’amo del piacere, sotto colore di bene, non potendo prenderli in altro modo, perché essi non si lascerebbero prendere, se non trovassero qualche bene o diletto, dato che l’anima di sua natura appetisce sempre solo il bene. È vero che l’anima, accecata dall’amor proprio, non consoce né discerne quale sia il vero bene che possa dare utilità a se stessa e al corpo. Poiché il demonio, da quell’iniquo che è, vedendo l’uomo accecato dall’amor proprio sensitivo, gli propone diversi e vari peccati sotto colore di utilità o di bene, e a ciascuno li presenta secondo il suo stato e secondo quei vizi principali ai quali lo vede più disposto. Altro presenta al secolare, altro al religioso; altro ai prelati, altro ai signori; a ciascuno sempre secondo il suo stato particolare. Ti dico questo perché ora voglio parlarti di quelli che s’annegano giù per il fiume; essi non hanno altro rispetto che a se stessi, amandosi fino ad offendermi. Ti ho già parlato della loro fine; ma ora voglio mostrarti come si ingannano, poiché mentre vogliono fuggire le pene, cadono nelle medesime. Pare loro che a seguire Me, cioè a tenere la via del Verbo, Figlio mio, sia gran fatica; e perciò si ritraggono indietro, temendo le spine. Questo avviene perché sono accecati e non vedono né conoscono la verità. – DIALOGO 44. 


Come il demonio inganna gli uomini: 
Ti ho detto che il demonio invita gli uomini all’acqua morta, cioè a quella che egli ha per sé, accecandoli con le delizie e gli agi del mondo. Li pigli con l’amo del piacere, sotto colore di bene, non potendoli prendere in altro modo, perché essi non si lascerebbero prendere, se non vi trovassero qualche bene o diletto, dato che l’anima di sua natura appetisce sempre il bene. È vero che l’anima, accecata dall’amor proprio non conosce né discerne quale sia il vero bene che possa dare utilità a se stessa e al corpo. Poiché il demonio, da quell’iniquo che è, vedendo l’uomo accecato dall’amor proprio sensitivo, gli propone diversi e vari peccati sotto colore di utilità e di bene, e a ciascuno li presenta secondo il suo stato e secondo quei vizi principali, ai quali lo vede più disposto. Altro presenta al secolare, altro al religioso; altro ai prelati, altro ai signori; a ciascuno sempre secondo il suo stato particolare. Ti dico questo, perché ora voglio parlarti di quelli che s’annegano giù per il fiume; essi non hanno altro rispetto che a se stessi, amandosi fino ad offenderMi. Ti ho già parlato della loro fine; ma ora voglio mostrarti come essi si ingannano, perché, mentre vogliono fuggire le pene, cadono nelle medesime. Pare loro che a seguire Me, cioè a tenere la via del Verbo, Figlio mio, sia gran fatica; e perciò si ritraggono indietro, temendo le spine. Questo avviene perché sono accecati e non vedono né conoscono la verità, come ti mostrai nel principio della tua vita, quando tu Mi pregavi che Io facessi misericordia al mondo, togliendo i peccatori dalle tenebre del peccato mortale La forza della decisione: – La deliberazione della volontà [di scegliere il bene e fuggire il peccato], prima che sia fatta, è una spina che pare all’uomo di trovare nel seguire la via della verità. Sempre si combattono, la coscienza da un lato, dall’altro la sensualità. Ma appena la coscienza, con odio e dispiacimento di sé, delibera virilmente dicendo: Io voglio seguire Cristo crocifisso, rompe subito la spina e trova dolcezza inestimabile; e la trovano essi, chi più e chi meno, secondo la propria disposizione e sollecitudine. Ti dissi pure: Io sono il vostro Dio immutabile, né mi sottraggo a nessuna creatura che voglia venire a Me. Ho mostrato agli uomini la verità, facendoMi loro visibile, mentre io sono invisibile, ed ho mostrato loro che cosa sia amare una cosa senza di Me. Ma essi, accecati dalla nuvola dell’amore disordinato, non conoscono né me né se stessi. Vedi come sono nell’inganno; vogliono prima morire di fame che passare un po’ sulle spine! Non possono sfuggire né liberarsi dalla pena, perché nessuno passa in questa vita senza croce, tolti quelli che tengono per la via di sopra; non è che essi passano senza pena, ma la pena è loro refrigerio. E siccome per il peccato il mondo germinò spine e triboli, e si formò questo fiume e mare tempestoso, perciò vi diedi il ponte, affinché non anneghiate. – DIALOGO 44. 6 

Tutti devono passare attraverso tribolazioni e pene, ma chi ama Dio non soffre pena nel sopportarle: 
Nessuno che nasca in questa vita, passa senza fatica, o corporale o spirituale. I miei servi sopportano quella corporale, ma la loro mente è libera, cioè non sente il peso della fatica, perché hanno accordata la loro volontà con la mia; ora è la volontà quella che dà pena all’uomo. Pena di mente e di corpo portano quelli che ti ho detto che in questa vista gustano l’anticipo dell’inferno, come i miei servi gustano l’anticipo della vita eterna. Sai tu quale è il bene più singolare che hanno i beati? È di avere la loro volontà piena di quello che desiderano. Desiderano Me e desiderando Me, mi posseggono e mi gustano senza alcuna ribellione, poiché hanno lasciato la gravezza del corpo, il quale aveva una legge che faceva guerra allo spirito. Il corpo era un ostacolo, né essi potevano vedermi faccia a faccia, perché il corpo non lo permetteva. Ma dopo che l’anima ha lasciato il peso del corpo, la volontà è appagata, poiché desiderando di vederMi, ella mi vede; e in questa visione sta la beatitudine. Essa vedendo conosce; conoscendo, ama; e amando, gusta Me, Bene sommo ed eterno; gustando, sazia e riempie nella sua volontà quel desiderio che di vederMi e conoscerMi. Cosicché desiderando, Mi possiede; ed avendoMi, Mi desidera, ma, è lungi la pena dal desiderio e il fastidio dalla sazietà. In questa vita gustando i giusti la caparra della vita eterna, gustando quel medesimo Bene, dal quale ti ho detto che sono saziati. Come hanno questa caparra in vita? Nel riscontrare la mia bontà in se stessi, e nel conoscere la mia verità. L’intelletto, che è l’occhio dell’anima, ha una tale cognizione quando è illuminato da Me. Quest’occhio ha la pupilla della santissima fede, illuminata da una luce che fa discernere, conoscere e seguire la via e la dottrina della mia Verità, il Verbo incarnato. Senza questa pupilla della fede non vedrebbe che alla maniera di un uomo, che pur avendo l’organo dell’occhio, avesse la pupilla ricoperta da un panno. Pupilla dell’occhio dell’intelletto è la fede; se le viene posto dinanzi il panno dell’infedeltà, cavato dall’amor proprio, non vede; ha l’organo dell’occhio, ma non il lume, perché esso se l’è tolto. Comprendi dunque come essi, nel vedere, conoscano; conoscendo, amano; e amando, annegano e perdono la loro volontà. Perduta questa si vestono della mia, che non vuole altro che la vostra santificazione. Subito poi si danno a volgere indietro il capo dalla via di sotto, cominciano a salire il ponte e passano sopra le spine. E poiché hanno i piedi del loro affetto calzati con la mia volontà, non risentono male, in essi, infatti, è morta la volontà sensitiva che dà pena ed affligge la mente della creatura. Tolta la volontà, è tolta la pena, e così sopportano tutto con riverenza di Me, ascrivendosi a grazia d’essere tribolati per Me, non desiderando se non quello che voglio Io. Se Io do loro pena da parte dei demoni, permettendo molte tentazioni per portarli nelle virtù, essi resistono con la volontà, che hanno fortificata in Me, umiliandosi e reputandosi indegni della pace e quiete della mente, ma degni della pena. Così passano con allegrezza e conoscenza di se stessi, senza pena afflittiva. Se hanno tribolazione dagli uomini, infermità, povertà, mutamento di stato nel mondo, privazioni di figliuoli e d’altre creature che amano molto, spine tutte germinate dalla terra dopo il peccato, tutto sopportano col lume della ragione e della santa fede, tenendo l’occhio a Me, che sono Somma Bontà, né posso vedere altro che bene, e solo a scopo di bene concedo queste spine, per amore e non per odio. Conosciuto il mio amore, guardano a se stessi, e riconoscono i loro difetti, vedono con il lume della fede che il bene deve essere rimunerato e la colpa punita. Vedono che ogni piccola colpa meriterebbe pena infinita, perché è fatta contro di Me, che sono bene infinito; e si reputano a grazia che Io li voglia punire in questa vita, che dura un tempo finito. […]. È dunque vero che costoro gustano la vita eterna, ricevendo il pegno in questa vita; stando nell’acqua non s’ammollano; passando sulle spine, non si pungono, perché hanno conosciuto Me, Sommo Bene, e Lo hanno cercato là dove si trova, cioè nel Verbo, Unigenito mi o Figliuolo. – DIALOGO 45. 

Da dove procede l’inganno dei peccatori e in che modo ricevono già ora la caparra della dannazione: 
Questo avviene perché hanno l’occhio dell’intelletto accecato dall’infedeltà, originata dall’amor proprio. Come ogni verità s’acquista con la luce della fede, così la bugia e l’inganno s’acquistano con l’infedeltà. Parlo dell’infedeltà di quelli che hanno ricevuto il santo Battesimo, nel quale fu messa la pupilla della fede dentro l’occhio dell’intelletto. Venuto il tempo della discrezione, se si esercitano nella virtù, recando frutto al loro prossimo. Come la donna fa il figliolo vivo e vivo lo dà allo sposo, così essi danno le virtù a Me, che sono sposo dell’anima. questi miserabili fanno il contrario. Viene il tempo della discrezione, per esercitare la luce della fede e partorire con la vita della grazia le virtù, essi invece le partoriscono morte. Sono morte, come sono morte tutte le loro operazioni essendo fatte in peccato mortale, mentre sono prive della luce della fede. Hanno ancora la forma del santo Battesimo, ma non il lume, perché ne sono privati dalla nuvola della colpa, commessa per l’amor proprio, la quale ha ricoperto la pupilla con cui vedevano [con il peccato mortale non si perde la fede, infusa nel s. 7 Battesimo, benché questa fede si dica e sia morta, perché priva della carità che è l’anima della vita soprannaturale]. A costoro che hanno la fede senza le opere, è detto che la loro fede è morta (Gc 2,26). Come il morto non vede, così l’occhio dell’intelletto, quando la pupilla è coperta come ti ho detto, non conosce la sua nullità, né i difetti che ha commessi, né la bontà mia dentro di sé, dalla quale ha ricevuto l’essere e tutte le grazie annesse. Non conoscendo Me, né se stesso, non odia la sua sensualità, anzi l’ama cercando di soddisfare il suo appetito; così partorisce i figli morti, cioè i molti peccati mortali. Non ama Me; e non amando Me, non ama quelli che Io amo, cioè il suo prossimo; né si diletta di praticare quello che Mi piace, cioè le vere e reali virtù. A Me piace di vedere queste virtù in voi, non per mia utilità, poiché voi non potete recare utilità alcuna a Me: «Io sono Colui che sono» (Es 3,14), nessuna cosa è fatta senza di Me, fuorché il peccato. esso non è che un nulla, ma prima l’anima di Me, che sono Sommo Bene, togliendo la grazia. Nondimeno non si deve tralasciare di operare il bene, con grazia o senza grazia, perché ogni bene è remunerato, come ogni colpa è punita. Il bene che si fa in grazia, senza peccato mortale, vale a vita eterna; quello che si fa in stato di peccato mortale non vale a vita eterna; tuttavia è remunerato in vari modi. Talvolta Io concedo a questi ultimi il tempo; oppure li metto nel cuore dei miei servi che mi offrono continue orazioni, affinché escano dalla colpa e dalle loro miserie. Altre volte non ricevono il dono di ulteriore tempo, aggiunto alla loro vita, né l’effetto delle orazioni, ma vengono ricompensati in cose temporali: allora succede loro come all’animale, che si ingrassa per menarlo al macello. […]Vedi dunque come si ingannano! Chi li ha ingannati? Loro stessi, perché si sono tolti il lume della fede viva, e vanno avanti come accecati, palpando e attaccandosi a quello che toccano. E siccome non vedono che con l’occhio cieco e hanno posto l’affetto nelle cose transitorie, perciò restano ingannati. – DIALOGO 46. 

Comandamenti e consigli evangelici: 
Ti dissi già che alcuni, con il coltello a due tagli, che sono l’odio del vizio e l’amore della virtù, tagliano per amor mio il veleno della loro sensualità, e con la luce della ragione tengono, posseggono e acquistano l’oro della virtù in queste stesse cose mondane, che volessero possedere. Ma chi vuole usare grande perfezione le spregia materialmente e spiritualmente. Questi tali osservano il consiglio, dato e lasciato dalla mia Verità, mentre coloro che posseggono dei beni, osservano i comandamenti; ma i consigli li osservano spiritualmente, non materialmente. Però, siccome i consigli sono collegati con i comandamenti, nessuno può osservare i comandamenti, senza osservare i consigli, almeno spiritualmente. E cioè, anche se possedesse le ricchezze del mondo, le possiede con umiltà, non con superbia, tenendole come cosa prestata, non come cosa sua, come esse sono date a voi in uso dalla mia bontà. […] Usandole così, l’uomo osserva il comandamento di amare Me sopra ogni cosa, e il prossimo come se stesso. Vive con il cuore spogliato; getta con il desiderio lungi da sé quelle ricchezze, cioè, non le ama né le tiene senza la mia volontà, anche se le possegga in realtà. Osserva il consiglio evangelico con il desiderio del cuore e ne taglia via il veleno dell’amore disordinato. Questi sono nella carità comune; ma coloro che osservano i comandamenti e i consigli in spirito e in pratica, sono nella carità perfetta. […] Io non sono accettatore delle creature né delle loro diverse condizioni, ma dei santi desideri. In ogni stato in cui la persona vuole vivere con buona e santa volontà, riesce gradita a Me. […] E veramente quelli che peccano non hanno scusa, perché Io ho condisceso alle loro passioni e debolezze per siffatto modo che, se vogliono stare nel mondo, possono possedere le ricchezze, tenere stato di signoria, conservare lo stato matrimoniale, nutrire e affaticarsi per i figliuoli. Possono dunque vivere in qualunque stato, purché in verità taglino via il veleno della propria sensualità, la quale è morte eterna. Chi potrà tenere le ricchezze a questo modo? Coloro che hanno mozzato il veleno con l’odio della propria sensualità e con l’amore della virtù. Avendo così mozzato il veleno della disordinata volontà, ed avendo disposta la volontà nell’amore e nel santo timore di Me, può la persona scegliere e tenere ogni stato che vuole, e ciascuno sarà in grado di meritare la vita eterna. […] Vedi dunque quanto si ingannano! Mentre potrebbero possedere e avere Me, fuggire la tristezza e aver letizia e consolazione, vogliono piuttosto il male sotto colore di bene, e si danno a pigliare l’oro con amore disordinato. Ma poiché sono accecati da molte infedeltà, non conoscono il veleno. Essi portano la croce del demonio e gustano la caparra dell’inferno. DIALOGO 47. 

Come i mondani non si possono saziare con ciò che posseggono: 

1. Ti ho detto che solo la volontà dà pena all’uomo; e poiché i miei servi sono privati della loro volontà e vestiti della mia, non sentono pena afflittiva, ma sono sazi, sentendo Me presente per grazia nelle 8 loro anime. Quelli che non hanno Me, non possono saziarsi, anche se possedessero il mondo; poiché le cose del mondo sono minori dell’uomo, essendo state fatte per l’uomo, ma non l’uomo per esse; e perciò egli non può esser saziato da esse. Io solo, lo posso saziare. Questi miserabili, posti in tanta cecità, sempre si affannano, mai si saziano, e desiderano quello che non possono avere, perché non lo domandano a Me, che li posso saziare. Vuoi che ti dica come essi stanno in pena? Tu sai che l’amore dà pena alla creatura quando ella perde quella cosa a cui si è congiunta con l’affetto. Essi con l’amore si sono conformati alla terra in modi diversi; perciò sono diventati terra. Vi è chi fa una tale conformità con la ricchezza, chi con lo stato, chi coi figlioli; chi perde Me per servire alle creature, chi fa del suo corpo un animale bruto e immondo; e così, in diversi stati, appetiscono e si pascono di terra. vorrebbero che questi beni fossero stabili, ma non lo sono, anzi passano come il vento, perché, o vengono loro meno per via della morte, oppure è mia disposizione, che siano privati di quello che amano. Privati che ne sono, sostengono pena intollerabile, e tanto dolore della perdita, quanto fu l’amore disordinato con cui li possedettero. Se li avessero tenuti come cosa prestata, e non come cosa loro, li avrebbero lasciati senza pena. Hanno pena, perché non hanno quello che desiderano, né il mondo può saziarli. Non essendo saziati, provano pena. […] Da tutte quante le cose, che i peccatori amano sensitivamente, traggono pena con molti timori disordinati. Hanno preso la croce del demonio, gustano la caparra dell’inferno in questa vita e vivono come infermi di tante malattie diverse, se non si correggono, e ricevono poi morte eterna. – DIALOGO 48. 

Il timore servile non è sufficiente a salvarsi, ma è di grande aiuto per passare all’amore di Dio: 

Ora ti dico che vi sono alcuni, i quali si sentono spronare dalle tribolazioni del mondo, che Io do affinché l’anima conosca, non solo che il suo fine non consiste in questa vita, ma che le cose di questo mondo sono imperfette e transitorie, e così desideri Me, vero suo fine, prendendo le cose sotto questo aspetto. Allora per mezzo di quella pena che già sentono, e di quella che si aspettano per via della colpa, cominciano a togliersi la nuvola del peccato. con questo timore servile cominciano ad uscire dal fiume, vomitando il veleno, che era stato loro gettato dallo scorpione sotto figura di ora che essi ricevettero senza discernimento. Ma appena lo conoscono, cominciano a levarselo, e ad indirizzarsi verso la riva, per attaccarsi al ponte. Ma non basta camminare col solo timore servile, perché lo spazzare la casa dal peccato mortale senza riempirla di virtù, fondate sull’amore e non solo sul timore, non è sufficiente a dare la vita eterna. L’uomo deve porre sul primo scalone del ponte ambedue i piedi, cioè, l’affetto e il desiderio, i quali sono i piedi che portano l’anima all’amore della mia Verità, della quale Io vi ho fatto un ponte per salvarvi. Questo è il primo scalone, sul quale io ti dissi che vi conveniva salire, quando ti spiegai come il mio Figlio avesse fatto del suo corpo una scala. È vero però che questo modo di sollevarsi dal peccato, per timore della pena, è comune in generale ai servi del mondo. Siccome le tribolazioni del mondo fanno qualche volta venire loro a tedio se stessi, perciò cominciano a sentire dispiacere. Se si esercitano in questo timore col lume della fede, passeranno poi all’amore delle virtù. Vi sono invece altri, i quali camminano con tanta tiepidezza, che spesse volte ritornano dentro il fiume; poiché arrivati alla riva, e giungendo i venti contrari, vengono percossi dalle onde del mare tempestoso di questa tenebrosa vita. se giunge il vento della prosperità, il tiepido volge indietro il capo alle delizie con diletto disordinato, poiché non è salito per sua negligenza sul primo scalone. E se viene il vento dell’avversità, si volge indietro per mancanza di pazienza, perché non ha in odio la sua colpa per l’offesa fatta a Me, ma per il timore della propria pena, che vede seguirne, col quale timore si era sollevato dal vomito. Ogni pratica di virtù vuole perseveranza, senza la quale non va ad effetto il desiderio di giungere al fine, per il quale egli cominciò a convertirsi; e così non lo raggiunge mai. Fa dunque bisogno la perseveranza, per adempiere quel desiderio. […] Qualche volta il demonio tenta di far venire la persona a confusione, dicendo: Questo bene che tu hai cominciato, non ti vale niente per i tuoi peccati e difetti. E questo lo fa per farla tornare indietro, e farle tralasciare quel poco di esercizio virtuoso che ha intrapreso. Altra volta lo tenta col diletto, cioè, con una speranza eccessiva della mia misericordia, dicendole: A che ti vuoi affaticare? Goditi questa vita, e nell’estremo della morte, rientrando in te, riceverai misericordia. In tal modo il demonio fa loro perdere il timore santo col quale avevano cominciato la loro conversione. […] L’anima non può fare che non si muti in qualche maniera; se non va avanti, torna indietro. Così questi tali, è necessari oche tornino indietro, perché non vanno avanti nella virtù, distaccandosi dalla imperfezione del timore della pena per giungere all’amore. DIALOGO 49. 

Tutto questo destò grande amarezza in Caterina che così disse allora al Padre Eterno: 9
 – O amore inestimabile, è grande l’inganno delle tue creature! Vorrei che quando ti piacesse, Tu mi spiegassi più distintamente i tre scaloni, figurati nel corpo dell’Unigenito tuo Figlio, e che modo debbano tenere i peccatori per uscire del tutto dal pelago e prendere la via della tua Verità; e infine chi siano quelli che salgono le scale. – DIALOGO 50. 

Risposta del Padre Eterno: 
Dilettissima figliuola mia, Io non sono dispregiatore del desiderio della creatura, ma anzi appago i santi desideri, per questo ti voglio chiarire e mostrare quel che tu mi domandi. […]. Tu sai che ogni male è fondato sull’amor proprio, e che questo amore è una nuvola che toglie il lume della ragione, nella quale sta riposto il lume della fede, né si perde l’uno senza che si perda l’altro. Io creai l’anima a mia immagine e somiglianza, dandole la memoria, l’intelletto e la volontà. L’intelletto è la parte più nobile dell’anima: esso è mosso e nutrito dall’affetto. La mano dell’amore, cioè l’affetto, empie la memoria del ricordo di Me e dei benefici che ha ricevuti. Il ricordo, poi, lo rende non negligente ma sollecito, non sconosciente ma grato, cosicché l’una potenza porge aiuto all’altra, e l’anima si nutre della vita della grazia. L’anima non può vivere senza amore, ma sempre vuole amare qualcosa, perché è fatta d’amore, avendola Io creata per amore. Perciò ti dissi che l’affetto muove l’intelletto, come se egli dicesse: Io voglio amare, perché il cibo di cui mi nutro è l’amore. E l’intelletto, sentendosi svegliare dall’affetto, si leva su, quasi per dire: Se tu vuoi amare, io ti darò ben quello che tu possa amare. E subito si leva in alto, considerando la dignità dell’anima e l’indegnità nella quale è venuta per colpa sua. Nella dignità dell’essere gusta l’inestimabile Mia bontà e la carità increata con la quale Io la creai; ma nel vedere la sua miseria, trova e gusta la mia misericordia, poiché per misericordia le ho prestato il tempo, e l’ho tratta via dalle tenebre. L’affetto si nutre nell’amore, aprendo la bocca del santo desiderio ,con la quale mangia odio e dispiacimento della sua sensualità, con unzione di vera umiltà e perfetta pazienza, che seppe trarre da quell’odio santo. Concepite le virtù, esse sono partorite perfettamente o imperfettamente secondo che l’anima si esercita nella perfezione, come ti dirò sotto. Al contrario, se l’affetto sensitivo si muove a voler amare cose sensibili, anche l’occhio dell’intelletto si muove verso di quelle, e si propone per oggetto soltanto cose transitorie, con amor proprio, con dispiacere delle virtù e con amore del vizio, da cui cava fuori superbia e impazienza. La memoria non si empie d’altro ceh di quello che le porge l’affetto. Un tale amore acceca l’occhio, che non vede né discerne che falsi chiarori. Per questo chiarore illusorio l’intelletto vede e l’affetto ama ogni cosa sotto l’apparenza di bene e di piacere. Se non avesse questo chiarore falso, non peccherebbe, perché l’uomo di sua natura non può desiderare altro che bene. Sicché il vizio, colorato col colore del proprio bene personale, nuoce all’anima; ma siccome l’occhio, per la sua cecità, non può discernere né conoscere la verità, perciò erra, cercano il bene e i diletti colà dove non sono. Ti ho già detto che i piaceri del mondo, senza di Me, sono tutti spine, piene di veleno; restano dunque ingannati l’intelletto nel suo vedere, la volontà nell’amare quello che non deve, la memoria nel ritenerselo impresso. L’intelletto fa come il ladro che invola la roba altrui; la memoria ritiene il ricordo continuo di quelle cose, che sono fuori di Me; e in questo modo l’anima si priva della mia grazia. Tanta è l’unione di queste tre potenze dell’anima, che Io non posso essere offeso dall’una, senza che tutte mi offendano, poiché l’una porge all’altra il bene o il male, secondo che piace al libero arbitrio. Il libero arbitrio è legato all’affetto; perciò lo muove come gli piace, e con lume di ragione, o senza. Voi avete ola ragione legata a Me, a meno che il libero arbitrio non ve ne tagli via col suo amore disordinato, avete ancora la legge perversa della carne, che sempre insorge contro lo spirito. Avete dunque in voi due parti: la sensualità e la ragione. La sensualità è serva, e perciò l’ho data perché serva all’anima, e con lo strumento del corpo voi possiate provare ed esercitare le virtù. L’anima è libera, essendo stata liberata dalle colpa nel Sangue del mio Figlio, e non può essere signoreggiata, se non vuole consentire, legata com’è al libero arbitrio, il quale coincide con la volontà, ed è una cosa sola con lei. Esso è legato in mezzo fra la sensualità e la ragione; a qualunque delle due si voglia voltare, lo può. È vero però che quando l’anima si reca a raccogliere con la mano del libero arbitrio le sue potenze nel mio nome, allora sono pure raccolte tutte le operazioni che fa la creatura, spirituali e temporali, il libero arbitrio si scioglie dalla sensualità e si lega con la ragione. Io allora mi riposo per grazia in mezzo a loro, come disse la mia Verità: «Quando saranno due o tre o più congregati nel nome mio, Io sarò in 10 mezzo a loro» (Mt 18,20). Ti ho già detto che nessuno può venire a Me, se non per mezzo di Lui. Perciò ne ho fatto un ponte con tre scaloni, i quali figurano così i tre stati dell’anima, come ti dirò più sotto. – DIALOGO 51. 


Necessità della perseveranza: 

Ti ho spiegata la figura dei tre scaloni in generale con le tre potenze dell’anima, le quali sono appunto come tre scaloni, che non si possono salire l’uno senza l’altro, se si vuol passare per la dottrina e per il ponte della mia Verità. Né può l’anima avere perseveranza, se non ha unite insieme queste tre potenze. Io ti parlai della perseveranza quando Mi domandasti quale modo dovessero tenere quei tali, per uscire dal fiume, e Mi chiedesti che ti spiegassi meglio i tre scaloni. Io ti dissi che senza la perseveranza nessuno può giungere al vero termine della sua vita. vi sono due termini; e ciascuno richiede perseveranza, cioè: il vizio e la virtù. Se vuoi giungere a vita, ti conviene perseverare nella virtù; ma chi vuol giungere a morte eterna, persevera nel vizio. Sicché con la perseveranza si viene a Me, che sono vita, o al demonio per gustare l’acqua morta. – D. 52. 

Spiegazione delle parole di Cristo: “Chi ha sete venga a Me e beva” (Gv 7,37). 
Voi tutti in generale e in particolare, siete invitati dalla mia Verità, quando Ella gridava nel tempio con desiderio ansioso: «Chi ha sete venga a Me e beva, perché Io sono fonte d’acqua viva» (Gv 7,37). Non disse: Vada al Padre e beva, ma: Venga a Me. Perché? Perché in Me, che sono il Padre, non può cadere pena, lo poteva invece nel mio Figliolo. Ora voi, finché siete pellegrini e viandanti in questa vita mortale, non potete andare senza pena, perché per il peccato la terra germinò spine. E perché mai disse: «Venga a Me e beva?». Perché seguendo la dottrina, o per la via dei comandamenti, insieme ai consigli evangelici praticati spiritualmente, oppure per quella dei comandamenti e dei consigli praticati effettivamente (cioè andando per la via della carità perfetta o per quella della carità comune), qualunque sia il modo col quale andiate a Lui seguendone la dottrina, voi troviate da bere. Allora trovate e gustate il frutto del Sangue, per l’unione che si fece in Cristo tra la natura divina e l’umana. Trovandovi in Lui, voi vi trovate in Me, che sono mare pacifico, poiché io sono una cosa sola con Lui e Lui con Me. così voi siete invitati alla fonte dell’acqua viva della grazia. Vi conviene tenere con perseveranza il cammino di Lui, che si è fatto vostro ponte, sicché nessuna spina, né vento contrario, né prosperità, né avversità, né altra pena, che poteste sostenere, vi debba far volgere indietro il capo. Dovete perseverare fino a che troviate Me, che vi do acqua viva, e ve la do per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo, che è l’Unigenito mio Figliuolo. Ma perché disse: «Io sono fonte d’acqua viva?». Perché Egli fu la fonte, la quale conteneva Me, che do acqua viva, unendosi in Lui la natura divina con l’umana. Perché disse poi: «Venga a me e beva?». Perché voi non potete passare senza pena; ora in Me non cadde pena, ma in Lui, sì. Perciò di Lui vi feci come un ponte, e nessuno può venire a Me se non per mezzo suo, come Egli stesso disse: «Nessuno può andare al Padre se non per Me» (Gv 14,16). Questa fu la verità, detta dalla mia Verità. Ora hai veduto che via vi conviene tenere, e con quale modo, cioè, con la perseveranza; altrimenti voi non berreste, perché la perseveranza è quella virtù che riceve gloria e corona di vittoria in Me, che sono vita eterna. – DIALOGO 53. 

J.M.J.
AVE MARIA PURISSIMA!