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martedì 28 novembre 2017

"SONO L'ARALDO DEL GRAN RE!"


LA SCOPERTA DELLA 
FORMA DI VITA DEL VANGELO 

Francesco, vestito con un mantello povero di un giardiniere del vescovo, lasciò la città di Assisi con grande gioia. Egli si riteneva adesso un ioculator/giocoliere Domini, un giullare del Signore. Le vecchie canzoni d’amore che conosceva in francese gli ritornavano alla mente, e camminava cantando e saltando con gioia, applicando le parole all’amore di Dio e alla sua novella sposa, Madonna Povertà. Di questo amore che Francesco ebbe per la povertà, tanto che entra con lei in una relazione amorosa e cortese, abbiamo un esempio bellissimo nella allegoria intitolata Il Sacro Commercio di San Francesco con Madonna Povertà.Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese. Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia. L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro: “Sono l’araldo del gran Re; vi interessa questo?” Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo: “Stattene lì, zotico araldo di Dio!” Ma egli, rivoltandosi di qua e di là, scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti, balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose” (1C 16).
Era l’atteggiamento dell’uomo nuovo, Francesco. Per tutta la vita non aveva vergogna di essere ritenuto un pazzo, per amore del suo Signore. Ai frati dotti che, molto più tardi, volevano convincerlo di abbracciare la Regola di S. Agostino, o quella di S. Benedetto o di S. Bernardo, Francesco risponde con tono severo e convinto: “Il Signore mi ha detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un ‘novello pazzo’: e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!” [CA] 18).

Dopo un giorno di cammino, alla sera arriva ad un monastero, la Badia Benedettina di San Verecondo, oggi Vallingegno, sulla strada che da Assisi porta a Gubbio. Lì Francesco trova la prima ospitalità da povero presso i Benedittini, che in altre occasioni dovevano mostrarsi molto cortesi e gentili con lui. Ma non questa volta, e forse non a torto, considerando che Francesco appariva veramente un accattone che girava per le strade. Tuttavia, qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama di Francesco, il priore di quel monastero, pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e per i suoi confratelli (1C 16).

Ecco il racconto della prima visita di Francesco ad un monastero di Benedettini: Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane parecchi giorni a far da sguattero di cucina. Per vestirsi ha un semplice camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po’ di brodo; ma non trovando pietà e neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno, ma per necessità, e si porta nella città di Gubbio. Qui da un vecchio amico riceve in dono una povera tonaca (1C 16). A Gubbio Francesco conosceva un ricco amico, Federico Spadalunga, e chiede a lui accoglienza. Federico non solo offre un riparo a Francesco ma anche dei vestiti poveri, che certamente Francesco insiste di avere, rifiutando vestiti più soffici che il suo amico avrebbe voluto dargli. La casa di Federico Spadalunga si trovava nel posto dove oggi sorge la chiesa di San Francesco a Gubbio. 

Anche a Gubbio, Francesco venne in contatto con i lebbrosi. Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi, e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulenti, come egli stesso dice nel suo Testamento: “Quando ero ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia” (1C 17). Il soggiorno a Gubbio non durò a lungo, e Francesco ritornò ad Assisi.

Sapeva che aveva ancora un debito da pagare, questa volta a Cristo. Doveva cominciare a riparare la chiesa di San Damiano. L’invito del crocifisso, infatti, era stato urgente. Da oblato penitente, Francesco diventa adesso un eremita penitente, che si dedica a restaurare la chiesetta di San Damiano con le proprie mani, e senza soldi.

Adesso si doveva chiedere l’aiuto ai cittadini di Assisi. Così iniziò la prima grande sfida di Francesco davanti ai suoi concittadini. Di ritorno alla chiesa di San Damiano, tutto felice e fervente, si confezionò un abito da eremita e confortò il prete di quella chiesa con le stesse parole d’incoraggiamento rivolte a lui dal vescovo. Indi, rientrando in città, incominciò ad attraversare piazze e strade, elevando lodi al Signore con l’anima inebriata. Come finiva le lodi, si dava da fare per ottenere le pietre necessarie al restauro della chiesa. Diceva: “Chi mi dà una pietra, avrà una ricompensa; chi due pietre, due ricompense; chi tre, altrettante ricompense!” Molti si facevano gioco di lui, persuasi che gli avesse dato di volta il cervello; altri invece erano impietositi fino alle lacrime, vedendo quel giovane passato così rapidamente da una vita di piaceri e di capricci a una esistenza trasfigurata dall'ebrezza dell’amore divino ... Quanto abbia tribolato in quei restauri, sarebbe lungo e difficile raccontarlo. Abituato a ogni delicatezza nella casa paterna, eccolo ora portare pietre sulle spalle, soffrendo molti sacrifici per servire Dio (L3C 21).
I Tre Compagni ci riferiscono che il povero prete di San Damiano cercava di procurare del cibo buono e delicato per Francesco, vedendolo lavorare con tanto slancio, e sapendo che lui proveniva da una famiglia dabbene. Ma questo non era sempre possibile al povero don Pietro, e Francesco si accorse subito che il sacerdote si stava dando da fare oltre i suoi limiti per procurargli il vitto. Si ricordò che Cristo era povero, e disse a sé stesso: “Come il mendicante va di porta in porta con la scodella in mano e, spinto dalla necessità, vi raccoglie avanzi di cibi diversi, così devi cominciare a fare anche tu, per amore di Cristo che, nato nella povertà, visse poverissimo nel mondo, restò nudo e povero sul patibolo e venne sepolto in una tomba non sua”. Prese dunque una scodella, entrò in città e cominciò ad accattare di uscio in uscio, mettendo insieme gli avanzi di alimenti diversi. Stupivano molti, ricordando come dinanzi era vissuto da signore e vedendolo ora cambiato fino a questo punto. Quando volle mangiare quell’intruglio, la prima reazione fu la nausea; una volta, nonché mangiare quella incresciosa poltiglia, non avrebbe nemmeno resistito a guardarla. Ma seppe vincere la ripugnanza e cominciò a mangiare; gli sembrò di provarci più gusto che non ad assaporare una squisitezza ... Ringraziò il Signore che aveva mutato l’amarezza in dolcezza (L3C 22).
Quando andava in città a chiedere l’elemosina per la chiesa di San Damiano e anche per chiedere qualcosa da mangiare, doveva per forza incontrare suo padre. Assisi, al tempo di Francesco, era più piccola di quanto è adesso, e nelle viuzze e vicoli stretti le voci correvano. Appena si vide Francesco salire in città per mendicare, i più malintenzionati avrebbero avvisato Pietro di Bernardone, più che altro, per umiliarlo. Suo padre, a vederlo caduto in uno stato così miserabile, era in preda a cupo dolore. Lo aveva amato ardentemente; ma adesso, per l’umiliazione e il dispiacere che provava vedendolo così cadaverico per le privazioni e il freddo, lo copriva di maledizioni ogni volta che lo incontrava. L’uomo di Dio, ferito dalle maledizioni paterne, scelse come padre un poverello disprezzato e gli disse: “Vieni con me, e ti darò parte delle mie elemosine. Quando vedrai mio padre maledirmi, io ti dirò: Benedicimi, o padre! E tu farai su di me il segno della croce e mi benedirai al suo posto”. Mentre il povero lo benediceva così, l’uomo di Dio diceva a suo padre: “Non credi che il Signore possa darmi un padre che, contro le tue maledizioni, mi copra di benedizioni?”

Un mattino d’inverno, mentre pregava coperto di miseri indumenti, il suo fratello carnale (si chiamava Angelo), passandogli vicino, osservò con ironia rivolgendosi a un concittadino: “Di’ a Francesco che ti venda almeno un soldo del suo sudore!” L’uomo di Dio, sentite le parole beffarde, fu preso da gioia sovrumana e rispose in francese: “Venderò questo sudore, e molto caro, al mio Signore” (L3C 23).
       Il crocifisso di San Damiano aveva una lampada che ardeva giorno e notte. La prima volta che Francesco si era accorto della povertà di quella chiesa, aveva offerto al sacerdote i soldi per comprare l’olio, ma adesso sapeva che doveva mendicare l’olio per la lampada del crocifisso. Un giorno stava in città a mendicare l’olio, e capitato nei pressi d’una casa, vi scorse degli uomini riuniti a giocare. Vergognandosi di chiedere l’elemosina davanti a loro (erano tutti i suoi amici di prima), tornò sui suoi passi. Pensandoci su, si rimproverò di aver peccato di viltà. Corse là dove si giocava e confessò alla presenza di tutti che, per rispetto umano, si era vergognato di chiedere la carità. Poi entrò in quella casa e, parlando francese, domandò per amore di Dio l’olio necessario per le lampade della chiesa (L3C 24).

Il periodo di restauro della chiesa di San Damiano era forse uno dei più belli per Francesco. Marcava gli inizi di una nuova avventura, in cui egli era sempre pieno di gioia, anche se soffriva una povertà intensa. Un fatto molto interessante che accadde proprio in questo periodo, e che viene riportato anche da Santa Chiara nel suo Testamento, racconta come Francesco abbia profetizzato l’inizio della vocazione delle Povere Dame che sarebbero vissuti proprio a San Damiano: C’erano anche altre persone ad aiutarlo nei restauri. Francesco, luminoso di gioia, diceva a voce alta in francese, ai vicini e a quanti transitavano di là: “Venite, aiutatemi in questi lavori! Sappiate che qui sorgerà un monastero di signore, e per la fama della loro santa vita, sarà glorificato in tutta la chiesa il nostro Padre celeste”. Era animato da spirito profetico, e preannunciò quello che sarebbe accaduto in realtà. Fu appunto nel sacro luogo di San Damiano che prese felicemente avvio, ad iniziativa di Francesco, a circa sei anni dalla sua conversione, l’Ordine glorioso e ammirabile delle povere donne e sacre vergini (L3C 24).

Così, Francesco trascorse il periodo dalla primavera o inizio dell’estate 1206 fino all’1208  restaurando la chiesa di San Damiano, vivendo da eremita e penitente insieme con il povero sacerdote che la ufficiava.
      Nello stesso periodo, tuttavia, Francesco restaurò altre due chiese abbandonate nella campagna fuori di Assisi, la chiesa di San Pietro della Spina, che sorgeva vicino a dei possedimenti terreni della sua famiglia, e la  chiesetta di Santa Maria degli Angeli, chiamata della Porziuncola, che si trovava in un bosco nella pianura sotto Assisi. In questa chiesetta Francesco fece un salto di qualità, quando il Signore gli rivelò che doveva vivere secondo la forma di vita degli apostoli. La cappellina di Santa Maria degli Angeli della Porziuncola era proprietà del monastero di San Benedetto al monte Subasio. Secondo gli studi dello storico Arnaldo Fortini, fu costruita prima del 1145. -Non sembra vera la notizia che fa risalire la costruzione della cappella ad un gruppo di pellegrini provenienti dalla Terra Santa, che avrebbero portato lì delle reliquie dalla tomba della Vergine nella Valle di Giosafat.- Il nome Porzuncle appare in un documento degli archivi della cattedrale, datato 1045. Perciò la chiesetta era già antica quando Francesco mise mano alla sua restaurazione. In questo luogo, che doveva occupare una posizione di rilievo assoluto nella nascita della fraternità dei Minori, Francesco venne in contatto con la apostolica vivendi forma, o la forma di vita degli apostoli, che doveva guidarlo nelle sue scelte future.
Il fatto accadde o il giorno 12 ottobre 1207, festa di San Luca, evangelista, oppure più probabilmente il giorno 24 febbraio 1208, festa di San Mattia, apostolo. In questi giorni veniva letto il brano del vangelo di Mt 10,7-10, riportato dalle Fonti.

Un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che era presente e ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo “non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza” subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore”. S’affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento; non sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda. Da quell’istante confeziona per sé una veste che riproduce l’immagine della croce, per tener lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi (Gal 5,24) e peccati, e talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela (1C 22).
          Da quel momento Francesco comprese che la sua chiamata era quella di vivere secondo il modello di vita di Cristo e gli apostoli, e cioè, uno stile di vita itinerante e povera, predicando il regno di Dio e la pace a tutti. Come egli stesso ebbe a confidare più tardi (nel suo Testamento, 23), aveva appreso da rivelazione divina questo saluto: “Il Signore ti dia pace!” Questo nuovo stile di vita non poteva rimanere nascosto agli occhi dei concittadini. Dopo due anni in cui Francesco viveva come eremita penitente alla chiesetta di San Damiano, come egli stesso dice nel Testamento: Il Signore mi dette dei fratelli. Comincia, così, a nascere e crescere la primitiva fraternità dei penitenti oriundi di Assisi, che diventerà l’Ordine dei Frati Minori.

AMDG et BVM

martedì 26 settembre 2017

San Francesco chiede silenzio agli uccelli e alle rondini


.... Quas
vir Dei omnibus audientibus allocutus est,
dicens : "Sorores meae hirundines, jam tem -
pus est ut loquar et ego, quia vos usque
modo satis dixistis. Audite verbum Dei, tenentes
silentium, donec sermo Dei compleatur".
At illae, tanquam intellectus capaces,
subito tacuerunt, nec fuerunt motae de loco,
donec fuit omnis praedicatio consummata.
Omnes igitur qui viderunt, stupore repleti,
glorificaverunt Deum. Istius miraculi fama
circumquaque diffusa, multos ad sancti reverentiam
et fidei devotionem accendit.

In civitate namque Parisiensi, scholaris
quidam indolis bonge cum sociis aliis studio
diligenter intentus, dum importuna garrulitate
cujusdam infestaretur hirundinis, dicere
coepit ad socios : Haec hirundo una de
illis est, quae virum Dei Franciscum praedicantem
aliquando, donec silentium eis imponeret,
molestabant. Et conversus ad hirundinem,
flducialiter ait : "In nomine servi Dei
Francisci praecipio tibi, ut ad me veniens
continuo conticescas". At illa, Francisci audito
nomine, quasi viri Dei disciplinis edocta,
et statim conticuit, et ipsius manibus tamquam
tutae custodiae se commisit. Stupefactus
scholaris, statim eam libertati restituit,
et ejus garritum amplius non audivit.

AMDG et BVM

sabato 10 giugno 2017

Baciandovi i piedi...

Dagli scritti di San Francesco: 


“Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l’amore di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto l’onore al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale tutte le cose che sono in cielo e in terra sono state pacificate e riconciliate a Dio onnipotente. 

Vi prego, più che lo facessi per me stesso, di supplicare umilmente ma con insistenza gli uomini di chiesa, perché onorino più di ogni altra cosa al mondo il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, il suo nome e le parole con le quali viene consacrato il suo corpo. Con devozione e discrezione lo amministrino agli altri. 

E quando il sacerdote lo consacra sull’altare, tutta la gente, in ginocchio, renda lode, gloria, onore al Signore Dio vivo e vero”... 

«Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all'ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte, che santificano il corpo. 
Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato dalla parola. 
Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali siamo stati creati e redenti "da morte a vita". 

Tutti coloro, poi, che amministrano così santi ministeri, considerino tra sé, soprattutto quelli che li amministrano senza discrezione, quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del corpo e del sangue del Signore nostro.... 
E da molti viene lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione..... 
Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l'abbiamo a nostra disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno? 

Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani? Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci; e ovunque troveremo il santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo collocato e lasciato in modo illecito, sia rimosso di là e posto e custodito in un luogo prezioso.


AMDG et BVM

domenica 30 aprile 2017

UN GIOIELLO DI DISCORSO DIMENTICATO. E' GRANDE!

Santa Caterina Patrona d'Italia. Insieme a San Francesco di Assisi.

Discorso di Pio XII

Il 29 Aprile 1380 si concludeva la vita terrena di santa Caterina da Siena. Ecco come Pio XII ci presenta la Patrona della nostra Italia che festeggiamo oggi, nel Discorso sui Patroni d'Italia a Santa Maria sopra Minerva, 5 maggio 1940. Santa Caterina, intercedi per noi!

Ammirevole spettacolo e al tutto degno della universale paternità apostolica, Venerabili Fratelli e diletti Figli, fu più volte, in secoli dal nostro lontani, il vedere in questo insigne tempio di Santa Maria sopra Minerva i Successori di Pietro, Nostri Antecessori, venuti con solenne corteo a celebrare i divini misteri nella dolce festività della Santissima Annunziata, e onorare con mano amorevole la pubblica distribuzione alle fanciulle di doti claustrali e nuziali, estimatori, com’erano, della verginità sacra a Dio e della onesta maternità familiare, vegliante, insieme con gli angeli celesti, sulle candide culle, nidi di angeli umani. A tale lieta storica ricordanza l’animo Nostro esulta in mezzo al Nostro amato popolo che Ci circonda devoto; e nella visione del passato, se pur bello di altra luce, contempliamo rinnovato e ripresentato, in festa di duplice e novissima aureola, lo splendore di questo altare, sotto cui dormono le venerate spoglie di una vergine eroica, sposa di Cristo, paladina della Chiesa, madre del popolo, angelo di pace all’italica famiglia. Al Nostro sguardo accanto a lei leva la fronte un poverello, vestito di saio e cinto di una corda, dall’aspetto serafico, dalle mani e dai piedi segnati di cicatrici, dall’occhio che contempla il cielo, i monti e le valli, il valico dei fiumi e dei mari, e nel suo amore e nel suo saluto abbraccia l’agnello e il lupo, gl’infelici e i felici, i concittadini e gli estranei. Sono questi, o Italia, i tuoi alti Patroni al cospetto di Dio, il quale pure ti ebbe privilegiata fra tutte le sponde del Mediterraneo e degli oceani, stabilendo in te, attraverso le mirabili vicende di un popolo prode, ignaro del consiglio e della mano divina, la sede e l’impero pacifico del Pastore universale delle anime redente dal sangue di Cristo. Caterina e Francesco, sotto il beatificante ciglio di Dio, guardano Roma e le regioni italiche, perché l’amore, che nutrirono quaggiù vivendo e operando, non si spegne nel cielo, ma si rinfiamma nell’imperituro amore di Dio.

mercoledì 26 aprile 2017

LO SPOSO DI MADONNA POVERTA'


San Francesco di Assisi
1181-1226

Biografia scritta senza troppe pretese da Paolo Bonacorsi

San Francesco di Assisi

San Francesco
Nasce, tra il Dicembre 1181 e il Settembre 1182 da Pietro Bernardone dei Moriconi, ricco mercante di stoffe, e dalla nobile Signora Pica Bourlemont, un figlio a cui viene dato inizialmente (dalla madre) il nome di Giovanni.


Il padre, che al momento della nascita era in Francia per affari, quando ritornò ne cambiò il nome in Francesco e, con tale nome, fu ed è comunemente e generalmente conosciuto.


Dopo aver condotto fino ai 24 anni una vita dissoluta ed aver provato la carriera militare (tra le altre fu fatto prigioniero dai perugini), San Francesco riceve in sogno la chiamata del Signore.


Rinuncia pubblicamente nella piazza del Vescovado di Assisi agli averi paterni e si incammina con pochi seguaci verso una vita di preghiera e di obbedienza a "Sorella Povertà":


Gli inizi sono molto difficili in quanto le idee di San Francesco sulla povertà e sulla semplicità della vita non sono comprese ne dalla gente e ne dal clero.


E' questo il periodo del miracolo del lupo di Gubbio e della riparazione di San Damiano, di San Pietro alla Spina e della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli.


Le gesta di San Francesco (il Poeta) non passarono inosservate e le genti di Assisi cominciarono a cambiare l'opinione su questo stravagante giovane e così, dopo qualche tempo, Gli si affiancarono i primi seguaci.


Del primo seguace non ne è noto ne il nome e ne la fine.


Pertanto la storia ci indica come primo "discepolo" Bernardo da Quintavalle (un mercante) seguito da Pietro Cattani (un giurista) (+10 Marzo 1221).


In questo periodo San Francesco concepì (leggendoli dal Messale e dal Vangelo) i primi abbozzi di quella che poi sarebbe divenuta la regola Francescana: 


"Se vuoi essere perfetto va e vendi tutto quello che possiedi e donalo ai poveri, così avrai un tesoro in cielo

Non portare alcuna cosa per via, ne bastone, ne bisaccia, ne calzari, ne argento

Chi vuol venire dietro di Me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua"

Da Vita di San Francesco di Assisi - Lo Sposo di Madonna Povertà pag.44.

San Francesco riceve a La Verna le Stimmate

Le prime esperienze "conventuali" con i compagni San Francesco li ebbe nel Tugurio di Rivotorto.


E proprio nel Tugurio di Rivotorto che poco dopo arrivarono Egidio (un contadino) e successivamente Sabatino, Morico, Filippo Longo e prete Silvestro.


Seguirono poi Giovanni, Barbaro e Bernardo Vigilante ed infine Angelo Tancredi.


Erano arrivati ad essere in dodici e tutti i compagni vestivano come Francesco di un rozzo saio cinto da una corda.


Solo nel 1209 Papa Innocenzo III (dopo la predica ai porci!) approva la Regola dell'Ordine ed autorizza San Francesco a predicare tra le genti.


San Francesco inizia così a girare per il mondo arrivando fino a Dalmiata d'Egitto (1219-20 erano i tempi delle crociate) dal sultano Melek El Kamel.


Nel 1224 San Francesco riceve le stigmate un miracolo mai accaduto prima di allora se non al Figlio di Dio.


Sentendo vicina la morte San Francesco si fa riportare da Siena ad Assisi e più precisamente alla Porziuncola la piccola cappella (allora) ove morirà su un giaciglio sulla nuda terra il 4 ottobre 1226.


Fu Frate Elia, suo successore a capo dell'Ordine a annunciare al mondo la presenza sul corpo del Santo delle stigmate e la rivelazione di esse provocò nella chiesa gravi lacerazioni e scetticismi che dureranno anche nei secoli successivi.


Basti pensare che, quando San Francesco fu proclamato Santo (1228) da Papa Gregorio IX, la bolla di canonizzazione non ne citava la presenza.


Nel 1939 Papa Pio XII proclamò San Francesco il Patrono d'Italia. 



.... e per chi vuole approfondire può leggere:
San Francesco


e per chi, ancora non sazio, vuole documentarsi di più, ecco una piccola bibliografia veramente economica:

Anacleto Iacovelli
Vita di San Francesco di Assisi - Lo Sposo di Madonna Povertà

Samuele Duranti
Nacque al mondo un sole