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giovedì 5 novembre 2020

I tormenti dell'inferno per i dannati



Dio rivela a Santa Caterina: I TORMENTI DELL’INFERNO PER I DANNATI


Dal: “Dialogo della Divina Provvidenza” di Santa Caterina da Siena

Lingua umana non basta, figlia mia, a narrare la pena di queste anime miserande. Se tre sono i principali vizi – cioè l’amore di sé onde nasce il secondo, ossia la considerazione di se stessi, dal quale procede il terzo, che è la superbia accompagnata da falsa giustizia e crudeltà, con gli altri iniqui e immondi peccati che conseguono a questi – così ti dico che nell’inferno vi sono quattro tormenti principali, ai quali conseguono tutti gli altri.

Il primo tormento consiste nel fatto che essi si vedono privati della mia visione; cosa che è di tanta sofferenza che, se fosse loro possibile, sceglierebbero piuttosto di vedermi, anche stando nel fuoco e tra i più crudi tormenti, piuttosto che esser privi d’ogni pena senza vedermi. 
Questa prima pena produce in loro la seconda, quella del verme della coscienza che sempre li rode, poiché per loro colpa si vedono privati di me e della conversazione con gli angeli, e per di più si vedono divenuti degni della conversazione con i demoni e della loro visione.

II vedere poi il diavolo, che è la
terza pena, moltiplica ogni loro sofferenza. Se infatti i santi sempre esultano nella mia visione ripensando con gaudio al frutto dei sacrifici che hanno sopportato per me con grandissimo amore e disprezzo di sé, il contrario è di questi sventurati, che nella visione dei demoni acuiscono il proprio tormento: nel vedere i demoni riconoscono se stessi, cioè capiscono che per propria colpa se ne son resi degni. In tal modo il tarlo della coscienza ancor più li rode e mai ha tregua il fuoco bruciante di questa consapevolezza”. (cfr Isaia 66,24)
Pena ancor più grande deriva loro dal vedere la figura stessa del demonio, tanto orribile che non v’è cuore umano che possa figurarsela. Se ben ricordi, infatti, saprai che, avendoti Io mostrato il demonio nella sua forma, e per un piccolo spazio di tempo – quasi un punto! – tu, dopo esser tornata in te, hai scelto, piuttosto, di camminare lungo una strada lastricata di fuoco, durasse pure sino al giorno del giudizio, disposta a calpestare il fuoco coi tuoi piedi, piuttosto che vederlo ancora.         Ma quantunque tu l’abbia visto, ancora non sai quanto egli sia orribile, perché, per divina giustizia, egli si mostra ancor più repellente all’anima che si è privata di me, e in modo più o meno grave a seconda della gravità delle colpe commesse.

E
il quarto tormento è il fuoco. È un fuoco che brucia ma non consuma l’anima; questa non si può consumare, non essendo cosa materiale che il fuoco possa ridurre a niente, dal momento che è incorporea. Ma Io per divina giustizia ho permesso che il fuoco la bruci tormentosamente, la tormenti e non la consumi, e la tormenti e bruci con grandissime sofferenze, in modi diversi a seconda della gravità dei peccati, chi più chi meno, secondo il peso delle colpe.

      Da questi quattro tormenti derivano tutti gli altri, con freddo e caldo e strider di denti. Ecco in che modo miserabile hanno ricevuta la morte eterna, dopo i rimproveri loro rivolti in vita per il falso giudizio e per l’ingiustizia, non essendosi corretti in occasione di questa prima accusa, come ho detto, né della seconda, cioè in punto di morte quando non vollero sperare, né dolendosi dell’offesa fatta a me ma affliggendosi soltanto per la propria pena.

martedì 26 gennaio 2016

Viaggio alla città del fuoco

Viaggio alla città del fuoco
La solita Guida si avvicina al suo letto e gli intìma: 'Alzati e vieni con me.' Lo condusse in una pianura vastissima e arida, un vero deserto senza un filo d’acqua. Fu un viaggio lungo e triste, anche se la strada per cui si inoltrarono era bella, larga, spaziosa e ben selciata.

La sera del 3 maggio 1868 Don Bosco ripigliò il racconto di quanto aveva visto nei sogni di quei giorni.
S’introdusse così: «Debbo raccontarvi un altro sogno che si può dire conseguenza dei precedenti. Questi sogni mi lasciarono affranto in modo da non poter più reggere. Vi ho detto di un rospo spaventevole che nella notte del 17 aprile minacciava di ingoiarmi e che, al suo scomparire, udii questa voce: “Perché non parli?”. Io mi volsi dalla parte donde era partita la voce e vidi a fianco del mio letto un personaggio distinto (la Guida).

— E che cosa devo dire? — gli chiesi.

— Ciò che hai visto e ti fu detto negli ultimi sogni e quel di più che ti sarà svelato la notte ventura».

Don Bosco continua dicendo che lo riempiva di terrore l’idea di dover vedere ancora altri spettacoli paurosi e che non si decise di andare a letto se non dopo la mezzanotte. Ed ecco che, appena addormentato, la solita Guida si avvicina al suo letto e gli intìma:

— Alzati e vieni con me.

Lo condusse in una pianura vastissima e arida, un vero deserto senza un filo d’acqua. Fu un viaggio lungo e triste, anche se la strada per cui si inoltrarono era bella, larga, spaziosa e ben selciata. La fiancheggiavano due magnifiche siepi verdi coperte di bellissimi fiori. A prima vista sembrava una strada pianeggiante, ma in realtà scendeva; e Don Bosco e la Guida camminavano con una rapidità tale che sembrava loro di volare.

«Dietro di noi — racconta Don Bosco — vidi tutti i giovani del l’Oratorio con moltissimi compagni da me mai veduti. Mentre avanzavano, vidi che or l’uno or l’altro cadevano ed erano immediatamente trascinati da una forza invisibile verso una paurosa disce sa, che s’intravedeva in lontananza. Domandai alla mia Guida:

— Che cosa è che fa cadere questi giovani?

— Avvicìnati un po’ di più.



Vidi allora che i giovani passavano fra molti lacci, alcuni stesi rasente a terra, altri sospesi in aria all’altezza del capo. Erano quasi invisibili, perciò molti giovani restavano presi a quei lacci: chi per la testa, chi per il collo, chi per le mani, chi per un braccio, chi per una gamba, chi per i fianchi. Non appena si stringeva il laccio, venivano all’istante trascinati giù.

Volli esaminarne uno e lo tirai verso di me; ma non potendo smuoverlo, decisi di seguire il filo fino al capo legato in qualche posto o tenuto da qualcuno. Giunsi così sulla soglia di una orribi le caverna e avendo ancora dato uno strattone al filo, vidi uscire un brutto e grande mostro che faceva ribrezzo. Con i suoi unghioni teneva l’estremità di una fune, alla quale erano legati tutti quei lacci.

Impressionato da quella visione, ritornai presso la mia Guida, la quale mi disse:

— Ora sai chi è che trascina i giovani nel precipizio.

— Oh, sì che lo so! È il demonio che tende quei lacci per far cadere i miei giovani nell’inferno.

Mi accorsi allora che ogni laccio portava una scritta: superbia, disubbidienza, invidia, impurità, furto, gola, accidia, ira, ecc. Notai pure che i lacci che facevano maggiori vittime erano quelli dell’impurità, della disubbidienza e della superbia. A quest’ultimo erano legati gli altri due.

Molti giovani sapevano però fortunatamente evitare la presa del laccio; altri poi se ne liberavano passando accanto a coltelli infissi nel terreno, che tagliavano o rompevano il laccio. Erano simbolo della Confessione, della preghiera e di altre virtù o devozioni. Due grandi spade rappresentavano la devozione a Gesù Sacramentato e a Maria Santissima».

A questo punto Don Bosco racconta che proseguì il cammino, sempre più aspro, per una via che scendeva sempre più ripida e scoscesa, sparsa di buche, di ciottoli e di macigni. Ed ecco comparire in fondo un edificio immenso e tenebroso. Sopra una porta altissima c’era una scritta spaventosa: «Qui non c’è redenzione». Erano giunti alle porte dell’inferno.

— Guarda! — gli gridò a un tratto la Guida afferrandolo per un braccio.

«Tremante — afferma il Santo —, volsi gli occhi in su e vidi a gran distanza uno che scendeva precipitosamente. Di mano in mano che scendeva, riuscivo a distinguerne la fisionomia; era uno dei miei giovani. I capelli scarmigliati, parte ritti sul capo, parte svolazzanti indietro; le braccia tese in avanti, come per proteggersi nella caduta. Voleva fermarsi e non poteva. Io volevo correre ad aiutarlo, a porgergli una mano salvatrice, ma la Guida non me lo permise:

— Credi — mi disse — di poter fermare uno che fugge dall’ira di Dio?

Intanto quel giovane, guardando indietro con occhi folli di terrore, andò a sbattere contro la porta di bronzo, che si spalancò. Dietro di essa se ne aprirono contemporaneamente, con un lungo boato assordante, due, dieci, cento, mille altre, spinte dall’urto del giovane, trasportato come da un turbine invisibile, irresistibile, velocissimo. Tutte quelle porte di bronzo per un istante rimasero aperte, e io vidi in fondo, lontanissimo, come una bocca di fornace, e da quella voragine, mentre il giovane sprofondava, sollevarsi globi di fuoco. Le porte tornarono a chiudersi con la stessa rapidità con la quale si erano aperte. Ed ecco precipitare altri tre giovani delle nostre case, che rotolavano rapidissimi come tre macigni, uno dietro l’altro. Avevano le braccia aperte e urlavano per lo spavento. Giunsero in fondo e andarono a sbattere contro la prima porta che si aperse, e dietro di essa le altre mille.

Molti altri caddero. Un poveretto venne spinto a urtoni da un perfido compagno. Io li chiamavo affannosamente, ma essi non mi udivano. — Ecco una causa principale di tante dannazioni! — esclamò la mia Guida —. I compagni, i libri cattivi, le abitudini perverse.

Vedendone cadere tanti, esclamai con accento disperato:

— Ma dunque è inutile che noi lavoriamo nei nostri collegi, se tanti giovani fanno questa fine!

La Guida rispose:

— Questo è il loro stato attuale e se morissero verrebbero senz’altro qui».

In quel momento Don Bosco vide precipitare un altro gruppo di giovani e quelle porte restarono aperte per un istante. — Vieni dentro anche tu — gli disse la Guida —; imparerai tante cose.

Entrarono in quello stretto e orribile corridoio e giunsero a un tetro e brutto sportello sul quale era scritto: «Ibuni impii in ignem aeternum» (gli empi andranno al fuoco eterno).



La Guida prese per mano Don Bosco, aperse lo sportello e lo introdusse. «Lo spettacolo che mi si offerse — racconta Don Bosco — mi gettò in preda a un terrore indescrivibile. Una specie di immensa caverna andava perdendosi in anfrattuosità incavate nelle viscere dei monti, tutte piene di fuoco, non già come noi lo vediamo sulla terra con le fiamme guizzanti, ma tale che tutto là dentro era arroventato e bianco per il grande calore. Mura, volta, pavimento, ferro, pietre, legno, carbone, tutto era bianco e smagliante. Certo quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore; e non inceneriva nulla, non consumava nulla. Mi mancano le parole per descrivervi quella spelonca in tutta la sua spaventosa realtà.

Mentre guardavo atterrito, ecco da un varco venire a tutta furia un giovane che, mandando un urlo acutissimo, precipita nel mezzo, si fa bianco come tutta la caverna, e resta immobile, mentre risuona ancora per un istante l’eco della sua voce morente. Pieno di orrore guardai quel giovane e mi parve uno dell’Oratorio, uno dei miei figliuoli.

— Ma costui non è uno dei miei giovani, non è il tale? — chiesi alla Guida.

— Purtroppo sì — mi rispose.

Dopo questo arrivarono altri, e il loro numero aumentava sempre più, e tutti mandavano lo stesso grido e diventavano immobili, arroventati, come coloro che li avevano preceduti.

Cresceva in me lo spavento e chiesi alla mia Guida:

— Ma costoro non lo sanno che vengono qui?

— Oh, sì che lo sanno di andare al fuoco eterno; furono avvisati mille volte, ma cadono qui, e volontariamente, per il peccato che non vollero abbandonare. Essi disprezzarono e respinsero la misericordia di Dio, che li chiamava incessantemente a pentimento.

— Quale deve essere la disperazione di questi disgraziati che non hanno più speranza di uscirne! — esclamai.

Allora la Guida mi ordinò:

— Ora bisogna che vada anche tu in mezzo a quella regione di fuoco che hai visto!

— No, no! — risposi esterefatto —. Per andare all’inferno bisogna prima andare al giudizio di Dio, e io non fui ancora giudicato. Dunque non voglio andare all’inferno!

— Dimmi — osservò la Guida —: ti pare meglio andare all’inferno e liberare i tuoi giovani, oppure startene fuori e lasciarli tra tanti strazi?

Sbalordito a questa proposta, risposi:

— Oh, i miei giovani io li amo molto e li voglio tutti salvi. Ma non potremmo fare in modo da non andare là dentro, né io né gli altri?

— Eh — mi rispose la Guida —, sei ancora in tempo, e lo sono essi pure, purché tu faccia tutto quello che puoi.

Il mio cuore si allargò e dissi subito:

— Poco importa il lavorare, purché io possa liberare da quei tormenti questi miei cari figliuoli.

— Dunque vieni dentro — proseguì la Guida.

Mi prese per mano per introdurmi nella caverna. Mi trovai subito in una grande sala con porte di cristallo. Su queste pendevano larghi veli, i quali coprivano altrettanti vani comunicanti con la caverna. La Guida mi indicò uno di quei veli sul quale era scritto: “Sesto Comandamento”, ed esclamò:

— La trasgressione di questo: ecco la causa della rovina eterna di tanti giovani.

— Ma non si sono confessati?

— Si sono confessati, ma le colpe contro la purezza le hanno confessate male o le hanno taciute affatto. Vi sono di quelli che ne hanno commesso una nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna a confessarla; altri non ebbero il dolore e il proponimento. Anzi taluni, invece di far l’esame, studiavano il modo di ingannare il confessore. E ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio ti ha condotto qui? Alzò il velo e io vidi un gruppo di giovani dell’Oratorio che conoscevo, condannati per quella colpa. Fra essi ce n’erano di quelli che ora tengono buona condotta.

— Che cosa devo dir loro per aiutarli a salvarsi?

— Predica dappertutto contro l’impurità.

Vedemmo allo stesso modo altri giovani condannati per altri peccati. Poi la Guida mi fece uscire da quella sala. Attraversato in un attimo quel lungo corridoio d’entrata, prima di lasciare la soglia dell’ultima porta di bronzo, si volse di nuovo a me ed esclamò:

— Adesso che hai veduto i tormenti degli altri, bisogna che anche tu provi un poco l’inferno. Prova a toccare questa muraglia. Io non ne avevo il coraggio e volevo allontanarmi, ma egli mi trattenne dicendo:

— Eppure bisogna che tu provi!

Mi afferrò risolutamente il braccio e mi trasse vicino al muro continuando a dire:

— Una volta sola toccala, almeno per poter capire che cosa sarà dell’ultima muraglia, se così terribile è la prima. Vedi questo muro? È il millesimo prima di giungere dov’è il vero fuoco dell’inferno. Sono mille i muri che lo circondano. Ogni muro è di mille misure di spessore e distano l’uno dall’altro mille miglia; è distante quindi un milione di miglia dal vero fuoco dell’inferno, e per ciò è un minimo principio dell’inferno stesso.

Ciò detto, afferrò la mia mano, l’aperse per forza e me la fece battere sulla pietra di quest’ultimo millesimo muro. In quell’istante sentii un bruciore così intenso e doloroso che, balzando indietro e mandando un fortissimo grido, mi svegliai.

Mi trovai seduto sul letto, e sembrandomi che la mia mano mi bruciasse, la stropicciavo con l’altra per far passare quella sensazione. Fattosi giorno, osservai che la mano era realmente gonfia e in seguito la pelle della palma della mano si staccò e si cambiò».



Don Bosco concluse: «Notate che io non vi ho detto queste cose in tutto il loro orrore, nel modo come le vidi e come mi fecero impressione, per non spaventarvi troppo. Per più notti in appresso non ho più potuto addormentarmi a causa dello spavento pro vato». C’è chi, per non urtare la sensibilità moderna, fa del Vangelo un ‘antologia dolciastra, scegliendo i passi da cui risulta la bontà infinita di Dio ed eliminando quelli che parlano della sua giustizia, pure infinita. Ma « Cristo ieri, oggi e nei secoli». E Gesù non ha fatto così; la Madonna a Fatima non ha fatto così; Don Bosco non ha fatto così. Lo Spirito Santo presenta i «Novissimi» come efficace antidoto contro il peccato: «Ricorda le tue ultime realtà (morte, giudizio, inferno, paradiso), e non peccherai in eterno » (Siracide 7,36).
(Don Bosco) Sogni Don Bosco autore: san Giovanni Bosco

sabato 29 novembre 2014

Domenica 30 Novembre 2014, I Domenica di Avvento - Anno B: << State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. ..>>



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 30 Novembre 2014, I Domenica di Avvento - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 13,33-37.
« State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».

Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "l'Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 596 pagina 421.

[questo testo è lo stesso che quello di domenica scorsa]

(...) 46State nel Signore e nella sua verità. Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: “È nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta. Perché il Figlio dell’uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti angeli, e giudicherà. Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile. 

E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta - parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti - si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno. E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta. E comanderà ai suoi angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti. 

47Dal fico imparate la similitudine: quando vedete che il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che vicina è l’estate. Così anche, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Cristo sta per venire. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non mi volle, prima che tutto ciò avvenga. La mia parola non cade. Ciò che dico sarà. Il cuore e il pensiero degli uomini possono mutare, ma non muta la mia parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi al giorno e all’ora precisa, nessuno li conosce, neppure gli angeli del Signore, ma soltanto il Padre li conosce. 

48Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo. Nei giorni precedenti al diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del segno sino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa. Anche così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli angeli separanti il buon seme dal loglio, e non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo. Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore. 

Ripensate a questo: se il capo di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa. Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga improvviso quando siete impreparati. Perché, ricordate, tutti avete a morire. Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell’uomo. 49Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza? Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all’improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore. In verità vi dico che gli dirà: “Vieni, servo buono e fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni”. 

Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e nell’interno suo era cattivo come all’esterno era ipocrita, e partito il padrone dirà in cuor suo: “Il padrone tarderà a tornare! Diamoci al bel tempo”, e comincerà a battere e malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubbriaconi, che avverrà? Che il padrone tornerà all’improvviso, quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà. 

E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo: “Poi mi pentirò”. In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non volle per Salvatore. 50Tutti là accolti davanti al Figlio dell’uomo. Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tantotempo. E gli spiriti nei corpi. Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito, quello che l’animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell’uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi angeli. 

Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra. 

E dirà con dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l’amore del loro cuore: “Venite, o benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall’origine del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto”. E i giusti gli chiederanno: “Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?”. E il Re dei re dirà loro: “In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me”. 

E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l’ira di Dio: “Via di qua! Via da Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che una legge: il piacere del vostro io”. 
Ed essi gli diranno: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra”. 

Ed Egli risponderà loro: “È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non eravate quando Io ero sulla Terra. Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perché non avete fatto ad essi ciò che forse avreste fatto a Me? Perché non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell’uomo. Non sapete che nei miei fratelli Io sono, e dove è uno di essi che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini? Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d’Amore”. 

E costoro andranno all’eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna. 

Queste le cose future... 

51Ora andate. E non dividetevi fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni». 
«Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? Io sono tutto indolenzito dalle guazze. Non sarebbe meglio entrare ormai in qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e nelle notti, che sono fresche e umide...», si lamenta Giuda. 
«È l’ultima notte. Domani... sarà diverso». 
«Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le notti. Ma se è l’ultima...». 
«Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l’ultima notte da passare al campo dei Galilei tutti uniti. Domani prepareremo la Pasqua e consumeremo l’agnello, e poi andrò Io solo a pregare nel Getsemani. E voi potrete fare ciò che volete». 
«Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo voglia di lasciarti?», dice Pietro. 
«Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi vede. Vi tengo d’occhio. Al Tempio... nel giorno... nelle tende lassù...», dice l’Iscariota, lieto di denunciare. 
«Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi lasciate solo... Io ve ne prego...». 
«Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le nostre azioni sono note a Dio ed il suo occhio non si torce da esse con disgusto», dice lo Zelote. 
«Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre essere dannoso. State il più possibile uniti». Poi si volge a Matteo: «Tu, mio buon cronista, ripeterai a costoro la parabola delle dieci vergini savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei talenti ai suoi tre servi perché li facciano fruttare, e due ne guadagnano il doppio e l’infingardo lo sotterra. Ricordi?». 
«Sì, Signor mio, esattamente». 
«Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E anche quelli che le sanno avranno piacere a riascoltarle. Passate così in sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete desto il vostro spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che dissi. Addio. La pace sia con voi». Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso la città... Gli altri si avviano verso il campo galileo.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

domenica 24 agosto 2014

NOVISSIMI


 I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Novissimi

1. Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. 

2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. 
3. Come dobbiamo ricordare i novissimi.





1. GRANDE DISGRAZIA È DIMENTICARE I NOVISSIMI. - I novissimi, cioè gli ultimi fini, sono la morte, il giudizio, il paradiso, l'inferno, l'eternità. 

Dimenticare cose di tanta importanza, non prevederle, non prepararvisi, è la somma delle disgrazie che possa accadere ad un uomo. Infatti 

dimenticare la morte, vuol dire non pensare a prepararvisi, ed avventurarsi alla triste morte del peccatore: disgrazia irreparabile. 

Dimenticare il giudizio di Dio è un disprezzarlo; e allora sarà molto terribile questo giudizio. 

Dimenticare il cielo è grande sciagura, perché così facendo non si fa nulla per guadagnarlo, e si perde; e perduto il paradiso, tutto è perduto. 

Dimenticare l'inferno, è un andarvi incontro; e chi vi si incammina, facilmente vi precipita. 

Dimenticare l'eternità, è lo stesso che perdere il tempo e l'eternità; si può immaginare disgrazia più tremenda? Ciò non ostante, oh come è comune nel mondo la dimenticanza dei novissimi! Per ciò Gesù fulminò quello spaventevole anatema: «Guai al mondo»! (MATTH. XVIII, 7). 


A quanti si possono rivolgere quelle parole del Signore nel Deuteronomio: «Gente senza consiglio e senza prudenza, perché non aprire gli occhi e comprendere e provvedere ai loro novissimi?» (XXXII, 28-29). E quelle altre d'Isaia: «Tu non hai pensato a queste cose, e non ti sei ricordato dei tuoi novissimi» (XLVII, 7). 

Terribile imprudenza che ha conseguenze fatali è quella di dimenticare le cose future, di non considerare i novissimi per arrivarvi preparati. Che onta, che rabbia non sarà per i figli del mondo l'udirsi rinfacciare dai demoni nell'inferno: O sciagurati! voi sapevate che c'era un inferno, e potendolo schivare con poco costo, vi ci siete tuffati a capo fitto! Voi avete dimenticato i novissimi, e avete perduto tutto. 

Ci si parla dei nostri novissimi; noi li conosciamo, vi crediamo, e intanto operiamo come se non ci riguardassero affatto e non ne diventiamo migliori! O cecità fatale! O follia incredibile! O uomini stupidi e da compiangersi! Non pensare, non penetrare, non temere cose tanto gravi, non prepararvisi! 

2. QUANTO È UTILE RICORDARSI DEI NOVISSIMI. - «In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non cadrai mai in peccato» (Eccli. VII, 40). La ragione è chiara, poiché il fine che uno si propone, diventa il principio e la regola di tutte le azioni; ora il fine di tutte le cose sta compreso essenzialmente nei fini ultimi, ossia nei novissimi. Tutte le persone operano per un fine; perché dunque non operare guardando ai fini ultimi?... 

Chi dice a se stesso, quando si sente tentato a offendere Dio: Al punto di morte, vorrò io aver commesso questo peccato? - tosto si mette su l'avviso e resiste. - Quando sarò innanzi al tribunale di Dio, quando il giudice divino mi peserà nella bilancia della sua giustizia, vorrò che il peso dei miei misfatti vinca quello delle mie virtù? Ebbene, schiverò il peccato e praticherò la virtù. Mi sta a cuore di passare dal tribunale di Dio al cielo? dunque mi studierò di guadagnarmi  questo cielo. 

Forse che mi garberà udirmi al giudizio quella terribile sentenza: Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno? Dio me ne scampi! Dunque mi applicherò a chiudermi l'inferno per sempre, schivando soprattutto il peccato mortale. Quando entrerò nell'eternità, vorrò io aver perduto il tempo? Certo che no: conviene dunque che non ne perda un istante; - queste sono le salutari considerazioni che fa colui il quale non dimentica i suoi novissimi. 

Dunque chi non vede ch'egli diventa quasi impeccabile, compiendosi in lui il detto dello Spirito Santo: - Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis? - Il fine dell'uomo che è la beatitudine eterna, lo porta alla fuga del peccato e alla pratica della virtù, come a mezzi coi quali si ottiene la beatitudine. 

Per ciò S. Agostino dice: «La considerazione di questa sentenza: - Ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno - è la distruzione dell'orgoglio, dell'invidia, della malignità, della lussuria, della vanità e della superbia, il fondamento della disciplina e dell'ordine, la perfezione della santità, la preparazione alla salute eterna. Se ti preme non andare perduto, guarda in questo specchio dei tuoi novissimi ciò che sei e ciò che sarai tu la cui concezione è macchia vergognosa, l'origine è fango, il termine è putredine. Davanti a questo specchio, cioè in faccia ai novissimi, che cosa diventano le delicate imbandigioni, i vini squisiti, le splendide calzature, il lusso del vestire, la mollezza della carne, la ghiottoneria, la crapula, l'ubriachezza, la magnificenza dei palazzi, l'estensione dei poderi, l'accumulamento delle ricchezze? (Specul. CI)». 

Prendiamo dunque il consiglio di S. Bernardo e nel cominciare un'azione qualunque diciamo a noi medesimi: Farei io questo, se dovessi morire in questo momento? (In Speculo monach.). 
Simile a quella di S. Bernardo è la regola di condotta suggerita da Siracide, per ordinare e santificare tutte le nostre azioni: «In ogni tua impresa scegli quello che vorresti aver fatto e scelto quando sarai in punto di morte». Fate tutte le vostre azioni come vorreste averle fatte il giorno in cui comparirete innanzi a tutto il mondo, per renderne conto al supremo tribunale di Dio. Non fate cosa di cui abbiate a pentirvi eternamente: schivate quello che vi farebbe piangere per tutta l'eternità, quello che vi toccherebbe pagare nell'eterno abisso dell'inferno. Studiatevi di fare benissimo e perfettissimamente ogni cosa, affinché abbiate da rallegrarvi di tutto ciò che pensate, dite, e fate; e ne riceviate una ricca mercede in cielo. Ora la memoria dei novissimi procura tutti questi vantaggi... 

Non dimenticate anche che sono prossimi i vostri novissimi...; che incerta è l'ultima ora... Chi non teme una cattiva morte come avrà paura del giudizio e dell'inferno? Ah! se gli uomini pensassero di frequente al giorno della loro morte, preserverebbero la loro anima da ogni cupidigia e malizia... O voi, che volete essere eternamente felici, pensate sempre a quella sentenza. - Parlando di Gerusalemme, Geremia dice che «ella si dimenticò del suo fine, per ciò sdrucciolò in un profondo abisso di miserie e di degradazione» (Lament. I, 9). Dunque, pensando agli ultimi fini non si cade, e chi è caduto, si rialza. 

«Noi cessiamo di peccare, dice S. Gregorio, quando temiamo i tormenti futuri (Moral.)». Ripetiamo anche noi col Salmista: «Ho pensato ai giorni antichi, ho meditato gli anni eterni» (Psalm. LXXVI, 5). 


3. COME DOBBIAMO RICORDARE I NOVISSIMI

Perché il ricordo dei novissimi abbia tutta l'efficacia che ne promette lo Spirito Santo, conviene in primo luogo che non si fermi soltanto sopra di uno, ma li abbracci tutti. 

Per qualcuno infatti il pensiero della morte, invece di essere incentivo al bene può essere uno stimolo al male: «La nostra vita sfumerà come nebbia» (Sap. II, 3), dissero gli empi ricordandosi della loro morte imminente; ma da questo pensiero conclusero: « Venite dunque e godiamo finché abbiamo tempo» (Ib. 6). 

Perciò non dice il Savio nel citato testo: memorare novissimum tuum, ma novissima tua; perché il pensiero della morte riesca proficuo, ricordiamoci che alla morte terrà dietro un duro giudizio (Hebr.. IX, 27); che al giudizio andrà annessa una sentenza o di eterna pena o di eterno premio (MATTH. XXV, 46). 

Dal ricordo dei novissimi trae pure un gran vantaggio la vita spirituale del cristiano, la quale consistendo nella pratica delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, trova nella meditazione dei novissimi un ottimo alimento. 

Infatti il ricordo della morte distrugge l'ambizione e la superbia, e così dà la prudenza. La memoria del giudizio, mettendoci dinanzi agli occhi quel giudice rigoroso, ci porta a usare giustizia e bontà col prossimo. Il ricordo dell'inferno reprime l'appetito dei piaceri illeciti e così avvalora la temperanza. La memoria del Paradiso diminuisce il timore dei patimenti di questa vita e così rinsalda la fortezza. 

Si richiede in secondo luogo, che questo ricordo sia fatto su la propria persona, come pare ci dica il Savio il quale non dice semplicemente: memorare novissima, ma vi aggiunge tua. Quanti vi sono, che ricordano i novissimi anche spesso, ora discorrendone nelle chiese, ora trattandone nei libri, ora disputandone su le cattedre, ora figurandoli o su marmi, o su bronzi o su tele? eppure non menano tutti una vita santa. Bisogna che chi ricorda i novissimi, pensi che proprio lui si troverà, e forse tra brevissimo tempo, al letto di morte... nella bara, al camposanto... Che proprio lui si presenterà al giudizio di Dio e a lui toccherà il castigo o il premio eterno. 

Conviene in terzo luogo che questo ricordo dei novissimi non sia cosa speculativa ma pratica, perciò lo Spirito Santo fa precedere al testo citato quelle parole: - in omnibus operibus tuis - in ogni tua azione. 
Se prima di ogni azione considerassimo i novissimi, non solo eviteremmo il peccato, ma troveremmo in quella considerazione la forza di praticare le più eroiche virtù. 

Sarebbe poi un errore il credere che il pensiero dei novissimi porti con sé la tristezza. Se lo Spirito Santo ci assicura che il ricordo frequente dei. novissimi basta a tenerci pura la coscienza: - In aeternum non peccabis - è cosa chiara che porta con sé la gioia del cuore che è la più grande di tutte le gioie. (Eccli. XXX, 16). E ne abbiamo infatti una conferma nel medesimo Ecclesiastico il quale dopo di aver detto in altro luogo: «Non abbandonarti alla tristezza, ma cacciala da te» (XXXVIII, 21), soggiunge subito - et memento novissimorum (Ib.). - e ricordati dei novissimi, quasi che il pensiero dei novissimi sia il più sicuro per tenere lontana dal cuore umano la tristezza.