lunedì 2 gennaio 2023

Lettere di ALBINO LUCIANI. IN CHE RAZZA DI MONDO... Togliete Dio, cosa resta, cosa diventano gli uomini?

 IN CHE RAZZA DI MONDO...

A Gilbert K. Chesterton

Caro Chesterton,

sul video della televisione italiana è apparso nei passati mesi

padre Brown, imprevedibile prete-poliziotto, creatura tipicamente

tua. Peccato che non siano anche apparsi il professor Lucifero

e il monaco Michele. Li avrei visti volentieri, come tu li

hai descritti ne La sfera e la croce, viaggianti in aeroplano, seduti

l’uno di fronte all’altro, quaresima davanti a carnevale.

Quando l’aereo è sopra la cattedrale di Londra, il professore

scaglia una bestemmia all’indirizzo della croce.

«Sto pensando se questa bestemmia ti giovi – gli dice il monaco

–. Senti questa storia: io ho conosciuto un uomo come te;

anche lui odiava il crocifisso; lo bandì da casa sua, dal collo della

sua donna, perfino dai quadri; diceva che era brutto, simbolo

di barbarie, contrario alla gioia e alla vita. Diventò più furioso

ancora: un giorno s’arrampicò sul campanile di una chiesa, ne

strappò la croce e la scagliò dall’alto.


Andò a finire che questo odio si trasformò in delirio prima e

poi in furiosa pazzia. Una sera d’estate s’era fermato, fumando la

pipa, davanti ad una lunghissima palizzata; non brillava una luce,

non si muoveva una foglia, ma egli credette di vedere la lunga

palizzata tramutata in un esercito di croci, legate l’una all’altra

su per la collina, giù per la valle. Allora, roteando il bastone,

mosse contro la palizzata, come contro una schiera di nemici;

per quanto era lunga la strada, strappò, spezzò, sradicò tutti i

pali che incontrava. Odiava la croce e ogni palo era per lui una

croce. Arrivato a casa, continuò a veder croci dappertutto, pestò

i mobili, appiccò il fuoco e l’indomani lo trovarono cadavere nel

fiume».

A questo punto, il professore Lucifero guarda il vecchio monaco

mordendosi le labbra e dice: «Questa storia te la sei inventata!

». «Sì, risponde Michele, l’ho inventata adesso; ma essa

esprime bene quello che state facendo tu e i tuoi amici increduli.

Voi cominciate con lo spezzare la croce e finite col distruggere il

mondo abitabile».


La conclusione del monaco, che è poi la tua, caro Chesterton,

è giusta. Togliete Dio, cosa resta, cosa diventano gli uomini?

in che razza di mondo ci riduciamo a vivere? «Ma è il mondo

del progresso, senti dire, il mondo del benessere!». Sì, ma questo

famoso progresso non è tutto quel che si sperava: esso porta con

sé anche i missili, le armi batteriologiche e atomiche, l’attuale

processo di inquinamento, tutte cose che, se non si provvede in

tempo, minacciano di portare l’umanità intera a una catastrofe.

In altre parole il progresso con uomini che si amino, ritenendosi

fratelli e figli dell’unico Padre Dio, può essere una cosa

magnifica. Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio

un unico Padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo

processo morale, interiore e personale, esso – quel progresso –

sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell’uomo, fa di lui una

macchina posseduta da macchine, un numero maneggiatore di

numeri, «un barbaro in delirio – direbbe Papini – che invece

della clava può servirsi delle immense forze della natura e della

meccanica per soddisfare i suoi istinti predaci, distruttori ed orgiastici».


Lo so: molti pensano a rovescio di te e di me. Pensano che

la religione sia un sogno consolatore: l’avrebbero inventata gli

oppressi, immaginando un altro mondo inesistente, dove trovare

più tardi ciò che oggi rubano loro gli oppressori; l’avrebbero

organizzata, tutta a loro favore, gli oppressori, per tenere ancora

sotto i piedi gli oppressi e addormentare in essi quell’istinto di

classe, che, senza la religione, li spingerebbe alla lotta.

Inutile ricordare che proprio la religione cristiana ha favorito

il risveglio della coscienza proletaria, esaltando i poveri e annunciando

una giustizia futura. «Sì – rispondono – il cristianesimo

risveglia la coscienza dei poveri ma poi li paralizza, predicando

la pazienza e sostituendo alla lotta classista la fiducia in Dio e le

riforme graduali della società!».

Molti pensano anche che Dio e la religione, incanalando

speranze e sforzi verso un paradiso futuro e lontano, alienino

l’uomo, lo distolgano dall’impegnarsi per un paradiso vicino, da

realizzare qui in terra.

Inutile ricordar loro che, secondo il recente Concilio, un

cristiano, proprio perché cristiano, deve sentirsi più che mai impegnato

nel favorire un progresso, che è bene per tutti e una promozione

sociale, che sia di tutti. Resta, dicono, che voi pensate al

progresso per un mondo transitorio, in attesa di un paradiso definitivo,

che non verrà. Noi, il paradiso lo vogliamo qui, sbocco

di tutte le nostre lotte. Di esso già intravediamo il sorgere, mentre

il vostro Dio dai teologi della secolarizzazione viene chiamato

«morto». Noi siamo con Heine, che scrisse: «Senti la campanella?

In ginocchio! Portano gli ultimi sacramenti a Dio che muore!».

Caro Chesterton, tu e io ci mettiamo bensì in ginocchio,

ma davanti a un Dio più attuale che mai. Lui solo, infatti, può

dare una risposta soddisfacente a questi tre problemi, che sono

per tutti i più importanti: «Chi sono io? Donde vengo? Dove

vado?».

Quanto al paradiso, che si godrà sulla terra e sulla terra soltanto,

e in un futuro prossimo a conclusione delle famose «lotte»,

vorrei fosse sentito uno che è più bravo di me e – senza offuscare

i tuoi meriti – anche di te: Dostoevskij.

Tu ricordi il dostoevskijano Ivan Karamazov. È un ateo, pur

amico del diavolo. Ebbene, egli protesta, con tutta la sua veemenza

di ateo, contro un paradiso ottenuto mercé gli sforzi, le

fatiche, i patimenti, il martirio di innumerevoli generazioni. I

nostri posteri felici grazie all’infelicità dei loro antecessori! Questi

antecessori che «lottano» senza ricevere il loro acconto di gioia,

senza, spesso, neppure il conforto d’intravedere il paradiso

uscito dall’inferno che attraversano! Sterminate moltitudini di

piagati, di sacrificati che sono, semplicemente, il terriccio che

serve a far crescere i futuri alberi della vita! È impossibile!, dice

Ivan, sarebbe un’ingiustizia spietata e mostruosa.

E ha ragione.


Il senso di giustizia che è in ogni uomo, di qualunque fede,

esige che il bene fatto, il male sofferto siano premiati, che la

fame di vita in tutti insita sia soddisfatta. Dove e come, se non

in un’altra vita? E da chi se non da Dio? E da quale Dio, se non

da quello, di cui Francesco di Sales scriveva: «Non temete punto

Dio, che non vuole farvi male, ma amatelo molto, perché vi vuol

fare molto bene»?

Quello che molti combattono non è il vero Dio, ma la falsa

idea che di Dio si sono fatta: un Dio che protegga i ricchi, che

solo chieda e pretenda, che sia invidioso del nostro avanzamento

nel benessere, che dall’alto spii continuamente i nostri peccati

per procurarsi il piacere di castigarli!


Caro Chesterton, tu lo sai, Dio non è così: ma giusto e buono 

insieme; padre anche dei figli prodighi, che vuole non meschini

e miseri, ma grandi, liberi, creatori del proprio destino. Il

nostro Dio è talmente poco rivale dell’uomo che l’ha voluto suo

amico, chiamandolo a partecipare alla propria natura divina e

alla propria eterna felicità. E non è vero che Egli pretenda da noi

esageratamente: si contenta invece di poco, perché sa bene che

non abbiamo molto.

Caro Chesterton, io sono convinto con te: questo Dio si farà

conoscere e amare sempre più, da tutti, compresi coloro che oggi

lo respingono non perché siano cattivi (sono forse più buoni di

noi due!), ma perché lo guardano da un punto di vista sbagliato!

Essi continuano a non credere in Lui? E lui risponde: «Sono ben

io che credo in voi!».

Albino Luciani

Giugno 1971


AMDG et DVM

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