Stanno facendo il giro del web le dichiarazioni di Mons. Georg Gänswein, l’ultimo segretario particolare di Benedetto XVI, rese note questa mattina, circa la reazione di Benedetto XVI al Motu Proprio Traditionis Custodes, con cui il suo successore ha cercato di vanificare la grande liberalizzazione della liturgia tradizionale realizzata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (ved. anche qui).
Le parole di Mons. Gänswein sono così eclatanti e dirompenti, che quasi ci sentiamo in colpa a dare loro il pur dovuto e necessario risalto in questi momenti di lutto. Ma, nello stesso tempo, ci sembra doveroso rendere giustizia già in queste prime ore alla memoria di Benedetto XVI, e riconoscere la sofferenza che Egli ha dovuto affrontare di fronte al sistematico tentativo di smantellare gli atti più importanti e fecondi del suo difficile pontificato. Tentativo che, come dimostra la grande manifestazione di affetto e devozione che gli viene tributata proprio in queste ore, la Provvidenza non ha permesso andasse a buon fine.
Tornando a Mons. Gänswein, egli ha parlato di Traditionis Custodes nell’intervista rilasciata – probabilmente prima della scomparsa di Benedetto XVI – a Guido Horst, Editore Capo di German Catholic weekly Die Tagespost, che è stata diffusa oggi, e il cui video è reperibile qui (con sottotitoli in inglese).
Il brano che ci interessa si trova circa al minuto 23’; ve ne proponiamo qui di seguito la nostra (artigianale) traduzione:
Guido Horst: La revoca da parte di Papa Benedetto delle restrizioni alla celebrazione della forma straordinaria del rito romano secondo il messale del 1962 non è durata come intendeva: come Papa emerito, ha assistito alla promulgazione del Motu Proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco. È rimasto deluso?
Mons. Gänswein: lo ha colpito in modo molto forte. Credo che abbia spezzato il cuore di Papa Benedetto leggere il nuovo Motu Proprio, perché la sua intenzione era quella di far trovare la pace interiore, la pace liturgica, a coloro che avevano semplicemente trovato una casa nella vecchia Messa, per allontanarli da Lefebvre. E se si pensa per quanti secoli l’antica Messa è stata fonte di vita spirituale e di nutrimento per molte persone, tra cui molti santi, è impossibile immaginare che non abbia più nulla da offrire. E non dimentichiamo che molti giovani che sono nati dopo il Vaticano II e che non capiscono bene tutto il dramma del Concilio – che questi giovani, pur conoscendo la nuova Messa, hanno comunque trovato una casa spirituale, un tesoro spirituale anche nella vecchia Messa. Portar via questo tesoro alle persone… beh, non posso dire di sentirmi a mio agio con questo.
Si tratta di una dichiarazione totalmente attendibile, non solo per l’autorevolezza e la certezza della fonte, ma anche perché conferma – aggiungendovi il triste riferimento a Traditionis Custodes – ciò che già si sapeva sin dal 2016, dalla nota risposta a Peter Seewald in Ultime conversazioni (Milano, Garzanti, 2016, spec. pagg. 189-190):
Peter Seewald: La riabilitazione dell’antica messa viene spesso interpretata come una concessione alla Fraternità sacerdotale san Pio X.
Benedetto XVI: Questo è assolutamente falso! Per me era importante che la Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato. Che ciò che prima era sacro non divenisse da un momento all’altro una cosa sbagliata. Il rito si deve evolvere. Per questo è stata annunciata la riforma. Ma l’identità non deve spezzarsi. La Fraternità sacerdotale san Pio X si fonda sulla sensazione che la Chiesa abbia rinnegato se stessa. Questo non deve succedere. Il mio intento, tuttavia, come ho detto, non era di natura tattica: m’importava la cosa in sé. Naturalmente conta anche che il papa, nel momento in cui vede profilarsi uno scisma, è tenuto a fare il possibile per impedirlo, compreso il tentativo di ricondurre queste persone all’unità della Chiesa.
Si coglie bene, così, anche il riferimento al lefebvrismo: la preoccupazione che una giusta esigenza – garantire che la Chiesa non abbia mai a rinnegare se stessa – non venga soddisfatta allontanandosi in qualche modo dalla Chiesa stessa, dove, come Benedetto XVI insegnò in un’altra occasione, nessuno è di troppo. E ciò si realizza facendo in modo che l’identità non abbia a rompersi, che quanto prima era sacro non divenga da un momento all’altro una cosa sbagliata: un obiettivo che è importante in se, anche a prescindere dal pur ineludibile dovere di un Papa di fare quanto gli è possibile per impedire un potenziale scisma.
Alla luce di tutto ciò, è agevole comprendere come il carattere intrinsecamente divisivo e rotturista di Traditionis Custodes e, soprattutto, il suo portato ideologicamente antitradizionale, abbiano davvero spezzato il cuore di Benedetto XVI. E si spezza anche il nostro, considerando con quale e quanta amarezza Egli avrà vissuto le ultime stagioni della sua vita terrena, pur sapendo e volendo offrire efficacemente le sue sofferenze perché la Chiesa possa uscire presto, trionfante, dalla crisi che la attanaglia. Anche per queste ragioni ciò che abbiamo appreso oggi da Mons. Gänswein accresce ulteriormente la nostra gratitudine per il Papa emerito.
Enrico Roccagiachini
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