martedì 14 gennaio 2020

QUESTO in Italia

Depredati cuore e fegato al bambino scosso dalla madre


(Alfredo De Matteo) Le cronache di questi ultimi giorni dell’anno hanno riportato il caso del bambino di cinque mesi scosso violentemente dalla madre, una donna di 29 anni originaria del vicentino la quale, nel tentativo di calmare il pianto del piccolo, l’avrebbe cullato troppo forte provocandogli gravissimi danni cerebrali e neurologici. In seguito alla chiamata fatta al 118 dalla madre stessa, il bimbo è stato ricoverato all’ospedale di Padova e le sue condizioni sono sembrate subito molto gravi, anche se un’Angio TAC disposta dai medici della terapia intensiva aveva riscontrato la presenza di flusso sanguigno al cervello. Purtuttavia, in tutta fretta è stata chiamata una commissione medica formata da un neurologo, un’anestetista e un medico legale con il compito di valutare la eventuale morte cerebrale del bambino. Le cronache riferiscono che dopo un secondo e approfondito esame della commissione che aveva dichiarato la morte cerebrale del piccolo, sono state staccate le macchine che lo tenevano in vita e cuore e fegato sono stati espiantati.
Come di consueto, quando si tratta di morte cerebrale ed espianto di organi le informazioni veicolate dagli organi di informazione risultano poco chiare, frammentate e contraddittorie. Del resto, la morte cerebrale è un’invenzione medico legale che non solo non ha nulla di scientifico ma che contrasta finanche col buon senso, per cui è facile cadere in veri e propri cortocircuiti logici.
Ora, gli organi vitali non possono essere prelevati da un cadavere perché altrimenti risulterebbero inservibili. E’ dunque necessario che la persona a cui devono essere espiantati i preziosi organi sia ancora in vita e gli stessi risultino perfettamente irrorati e ossigenati. Per cui, non corrisponde a verità che al piccolo siano stati tolti i supporti che lo tenevano in vita (ma non era già morto? …) e che solo successivamente sia stato sottoposto all’operazione di espianto, ma semmai il contrario: il bambino è stato tenuto in vita fino all’operazione di espianto, dopodiché, giocoforza, è deceduto.
C’è da tenere presente che i test atti a stabilire la presunta morte cerebrale sono molto invasivi e comportano la sospensione delle cure. E’ pertanto probabile che la commissione si trovi ad accertare la presenza dei parametri clinici indicatori della morte cerebrale a causa della natura invasiva della stessa procedura d’accertamento e della sospensione delle cure necessarie a ridurre il danno cerebrale incorso al paziente. In altre parole, è proprio la procedura d’accertamento della morte cerebrale che può causare ulteriori danni neurologici al soggetto, danni che possono anche diventare irreversibili.
Eppure, i primi esami effettuati sul bambino indicavano la presenza di attività cerebrale. Dunque, perché tanta fretta nel chiamare la commissione deputata a dichiarare l’eventuale morte cerebrale del bambino? Non sarebbe stato più sensato insistere con le cure adeguate volte a ridurre il danno cerebrale, anziché sospenderle e sottoporre il piccolo a test diagnostici altamente invasivi e peggiorativi della sua condizione clinica?
Il contesto attuale riconosce scarso valore alla vita umana, in specie quella più innocente e indifesa, e al contempo tende ad attribuire alle scienze, in particolare a quelle mediche, la capacità di risolvere tutti i problemi dell’uomo. La pratica dei trapianti d’organi vitali si inserisce perfettamente in tale quadro culturale e finisce per togliere valore sia alla vita umana che alla vera scienza.
Ora la madre del piccolo di cinque mesi sarà indagata per omicidio colposo anziché per il reato di lesioni gravissime. Ma non è stata certo lei a porre fine alla vita del suo bambino … 

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