può avvenire questo, in modo che abbracci tutto, come nell'amore di una persona dell'altro
sesso, quando quest'amore rimane arenato nelle soddisfazioni terrene.
E’ questo che forma la sua attrattiva il suo stimolo e il suo veleno.
L"'adorazione", che io tributavo a me stessa nella persona di Max, divenne per me religione
vissuta.
Era il tempo in cui in ufficio mi scagliavo velenosa contro i chiesaioli, i preti, le indulgenze, il
biascichio dei rosari e simili sciocchezze.
Tu hai cercato, più o meno argutamente, di prendere le difese di tali cose. Apparentemente,
senza sospettare che nel più intimo di me non si trattava, in verità, di queste cose, io cercavo
piuttosto un sostegno contro la mia coscienza allora avevo bisogno di un tale sostegno per
giustificare anche con la ragione la mia apostasìa.
In fondo in fondo, mi rivoltavo contro Dio. Tu non lo comprendesti; mi ritenevo ancora
cattolica. Volevo anzi essere chiamata così; pagavo perfino le tasse ecclesiastiche. Una certa
"contro-assicurazione", pensavo, non poteva nuocere.
Le tue risposte può darsi alle volte abbiano colpito nel segno. Su di me non facevano presa,
perché tu non dovevi avere ragione.
A causa di queste relazioni falsate fra noi due, fu meschino il dolore del nostro distacco,
allorché ci separammo in occasione del mio matrimonio.
Prima dello sposalizio mi confessai e comunicai ancora una volta. Era prescritto. lo e mio
marito su questo punto la pensavamo ugualmente. Perché non avremmo dovuto compiere
questa formalità? Anche noi la compimmo come le altre formalità.
Voi chiamate indegna una tale Comunione. Ebbene, dopo quella Comunione "indegna ", io ebbi
più calma nella coscienza. Del resto fu anche l'ultima.
La nostra vita coniugale trascorreva, in genere, quanto mai in grande armonia. Su tutti i punti
di vista noi eravamo dello stesso parere. Anche in questo: che non volevamo addossarci il peso
dei figli. Veramente mio marito ne avrebbe volentieri voluto uno; non di più, si capisce. Alla
fine io seppi distoglierlo anche da questo desiderio.
Vestiti, mobili di lusso, ritrovi da tè, gite e viaggi in auto e simili distrazioni mi importavano di
più.
Fu un anno di piacere sulla terra quello trascorso tra il mio sposalizio e la mia repentina morte.
Ogni domenica andavamo fuori in auto, oppure facevamo visite ai parenti di mio marito. Essi
galleggiavano alla superficie dell'esistenza, né più né meno di noi.
Internamente, si capisce, non mi sentii mai felice, per quanto esternamente ridessi. C'era
sempre dentro di me qualche cosa d'indeterminato, che mi rodeva. Avrei voluto che dopo la
morte, la quale naturalmente doveva essere ancora molto lontana, tutto fosse finito.
Ma è proprio così, come un giorno, da bambina, sentii dire in una predica: che Dio premia ogni
opera buona che uno compie e, quando non la potrà ricompensare nell'altra vita, lo farà sulla
terra.
Inaspettatamente ebbi un'eredità dalla zia Lotte. A mio marito riuscì felicemente di portare il
suo stipendio a una cifra notevole. Così potei sistemare la nuova abitazione in modo attraente.
La religione non mandava più che da lontano la sua voce, scialba, debole ed incerta.
I caffè della città, gli alberghi, in cui andavamo durante i viaggi, non ci portavano certamente a
Dio.
Tutti coloro che frequentavano quei luoghi, vivevano, come noi, dall'esterno all'interno, non
dall'interno all'esterno.
Se nei viaggi delle ferie visitavamo qualche chiesa, cercavamo di ricrearci nel contenuto
artistico delle opere. L'alito religioso che spiravano, specialmente quelle medioevali, sapevo
neutralizzarlo col criticare qualche circostanza accessoria: un frate converso impacciato o
vestito in modo non pulito, che ci faceva da cicerone; lo scandalo che dei monaci, i quali
volevano passare per pii, vendessero liquori; l'eterno scampanio per le sacre funzioni, mentre
non si tratta che di far soldi...
AVE MATER SALUTIS!
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