giovedì 17 luglio 2014

Mons. Athanasius Schneider: sulla Santa Comunione e su un possibile scisma

Mons. Athanasius Schneider: sulla Santa Comunione e su un possibile scisma

Ne avevamo parlato in sintesi, al momento in cui era uscita l'intervista [qui]. Ora si dispone del testo comnpleto grazie a MiL [qui] e questa volta approfittiamo noi con gratitudine.
Mons. Scneider, Pontificale a West Grinstead nel Sussex
Intervista integrale rilasciata da S.E. Rev.ma Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Santa Maria di Astana, a Sarah Atkinson, giornalista indipendente ed editore della rivistaMass of Ages (organo ufficiale dellaLatin Mass Society of England and Wales). 
Di questa intervista è stata pubblicata una sintesi sul sito Catholic Herald, e il testo integrale sul sito della stessa Latin Mass Society [qui].
Traduzione del testo integrale inglese, ad opera della Prof. Eva Fabbri Baroncini, di Bologna.

MONS. SCHNEIDER: Per quanto riguarda la mia esperienza e la mia conoscenza, la ferita più grande nella crisi attuale della Chiesa è la ferita Eucaristica; gli abusi del Santissimo Sacramento.
Molta gente riceve la Santa Comunione in un oggettivo stato di peccato mortale… Questo si sta diffondendo nella Chiesa, specialmente nel mondo occidentale in cui la gente raramente si accosta alla Santa Comunione con una preparazione sufficiente.
Certa gente che si accosta alla Santa Comunione vive situazioni di moralità irregolare, che non corrispondono al Vangelo. Senza essere sposati, si accostano alla Santa Comunione. Può darsi il caso che siano divorziati e che vivano in un nuovo matrimonio, un matrimonio civile, e ciononostante si accostano alla Santa Comunione. Penso che questa sia una situazione molto, molto grave.
C’è anche la questione dell’oggettiva irriguardosa accoglienza della Santa Comunione. La cosiddetta nuova, moderna maniera di ricevere la Santa Comunione direttamente in mano è molto grave perché espone Cristo ad essere trattato in un modo enormemente banale.
C’è il doloroso fatto della perdita dei frammenti Eucaristici. Nessuno può negarlo. E i frammenti dell’ostia consacrata sono schiacciati dai piedi. Questo è orribile! Il Nostro Signore, nelle nostre chiese, viene calpestato! Nessuno può negarlo.
E questo accade su larga scala. Questo dev’essere considerato, per una persona che ha fede ed ama Dio, un fenomeno molto grave.
Non possiamo continuare come se Gesù non esistesse come Dio, come se esistesse solo il pane. Questa moderna pratica della Comunione in mano non ha niente a che fare con la pratica della Chiesa antica. La pratica moderna del ricevere la Comunione in mano contribuisce gradualmente alla perdita della fede cattolica nella presenza reale e nella transustanziazione.
Un prete e un vescovo non possono dire che questa pratica va bene. Qui è a rischio ciò che è più sacro, più divino e concreto sulla Terra.

D.  Lei sta portando avanti questa posizione da solo?

MONS. SCHNEIDER: Sono molto dispiaciuto di sentirmi come uno che grida nel deserto. La crisi Eucaristica dovuta all’uso moderno della Comunione in mano è così evidente. Non è un’esagerazione. È ora che i vescovi facciano sentire le loro voci in difesa di Gesù Eucarestia che non ha voce per difendersi. Qui c’è un attacco a ciò che è più Santo, un attacco alla fede Eucaristica.
Certamente ci sono persone che ricevono la Santa Comunione in mano con molta devozione e fede, ma sono una minoranza. La massa delle persone sta perdendo la fede a causa di questa maniera banale di prendere la Santa Comunione come un cibo comune, come una patatina o un pezzo di torta. Tale maniera di ricevere la cosa più Santa qui sulla terra non è sacra e col tempo distrugge la profonda consapevolezza e la fede cattolica nella presenza reale e nella transustanziazione.

D. La Chiesta sta andando nella direzione opposta alla Sua?

MONS. SCHNEIDER: Sembra che la maggioranza del clero e i vescovi siano soddisfatti di quest’uso moderno della Comunione in mano e non realizzano i veri pericoli connessi a tale pratica. Per me questo è incredibile. Com’è possibile, quando Gesù è presente nei piccoli frammenti? Un prete e un vescovo dovrebbero dire: “Devo fare qualcosa, almeno per ridurre gradualmente tutto questo. Devo fare tutto quello che posso.” Sfortunatamente ci sono membri del clero che fanno propaganda all’uso moderno della Comunione in mano e a volte proibiscono il ricevere la Comunione sulla lingua e in ginocchio. Ci sono persino preti che discriminano coloro che si inginocchiano per ricevere la Santa Comunione. Questo è molto, molto triste.
C’è anche un incremento del furto delle ostie a causa della distribuzione della Comunione direttamente in mano. C’è una rete, un commercio del furto delle Sante Ostie e questo è facilitato dalla Comunione in mano.
Perché dovrei io, come prete e vescovo, esporre Nostro Signore a tale pericolo, a tale rischio? Se questi vescovi o preti (che approvano la Comunione in mano) possiedono qualcosa di valore, non la esporrebbero mai al grave pericolo di essere persa o rubata. Proteggono le loro case ma non proteggono Gesù e permettono che venga rubato così facilmente.

D. In base al questionario sul tema della famiglia, la gente si aspetta grandi cambiamenti…

MONS. SCHNEIDER: Su questo tema c’è molta propaganda, portata avanti dai mass media. Dobbiamo stare molto attenti. Ci sono in tutto il mondo mass media ufficialmente anti cristiani. In quasi tutti i paesi trasmettono lo stesso contenuto delle notizie, con forse l’eccezione dei paesi africani, asiatici o nell’Europa dell’Est.
Solo in Internet si possono diffondere le proprie idee. Grazio a Dio che Internet esiste.
L’idea che si faranno cambiamenti nel matrimonio e in legge morale nel prossimo sinodo dei vescovi a Roma viene principalmente dai media anti cristiani. E alcuni membri del clero e dei cattolici collaborano con loro per diffondere le attese del mondo anti cristiano per un cambiamento della legge di Dio riguardo al matrimonio e alla sessualità.
È un attacco dal mondo anti cristiano ed è molto tragico e triste che alcuni membri del clero collaborino con loro. Per sostenere un cambiamento della legge di Dio, essi usano il concetto di misericordia sofisticamente. Ma in realtà questa non è misericordia, questa è crudeltà.
Non è misericordia, per esempio, se qualcuno sta male e lo si lascia in tale penosa condizione. Questa è crudeltà.
Io non darei, per esempio, dello zucchero ad un diabetico, per me sarebbe crudele. Io cercherei di toglierlo da questa situazione e dargli un altro cibo. Forse non lo gradirà all’inizio, ma sarà la cosa migliore per lui.
Quelli del clero che vogliono ammettere i divorziati e i risposati alla Santa Comunione operano con un falso concetto di misericordia. È paragonabile ad un dottore che dà al paziente dello zucchero anche se sa che ciò lo ucciderà. Ma l’anima è più importante del corpo.
Se i vescovi ammettono i divorziati e i risposati alla Santa Comunione, allora li confermano nei loro errori allo sguardo di Dio. Faranno persino tacere la voce della loro coscienza. Li spingeranno ancora di più nella loro situazione irregolare solo per il bene di questa vita temporale, dimenticandosi che dopo questa vita però c’è il giudizio di Dio.
Questo tema verrà discusso nel sinodo. È sull’agenda. Ma spero che la maggioranza dei vescovi abbia ancora abbastanza spirito e fede cattolica da respingere la proposta sopra menzionata e non accettarla.

D.  Qual è la crisi di cui Lei parla?

MONS. SCHNEIDER: Questa è una crisi di più ampia portata rispetto alla ricezione del Sacratissimo Sacramento in sé per sé. Penso che questo problema del ricevere la Santa Comunione da parte dei risposati farà scoppiare e rivelare la vera crisi nella Chiesa. La crisi reale della Chiesa è l’antropocentrismo, dimenticandosi il Cristocentrismo. Infatti questo è il male più grande, quando l’uomo o il clero si mettono al centro quando celebrano la liturgia e quando cambiano la verità rivelata da Dio, per esempio riguardo al sesto comandamento e alla sessualità umana.
La crisi si rivela anche nella maniera con la quale è trattato il Signore Eucaristico. L’Eucarestia è al cuore della Chiesa. Quando il cuore è debole, tutto il corpo è debole. Così quando la pratica che riguarda l’Eucarestia è debole, allora il cuore e la vita della Chiesa è debole. E quando la gente non ha più una visione soprannaturale di Dio nell’Eucarestia allora essi inizieranno ad adorare l’uomo, e poi anche la dottrina cambierà a piacimento dell’uomo.
Questa crisi è quando ci mettiamo, inclusi i preti, al centro e quando Dio è messo in un angolo e questo succede anche fisicamente. A volte il Santissimo Sacramento è posto in un armadietto lontano dal centro e la sedia del prete è al centro. Siamo in questa situazione già da 40 o 50 anni e c’è il reale pericolo che Dio, i suoi Comandamenti e le sue leggi saranno messe da parte e il desiderio umano naturale al centro. C’è una connessione causale tra la crisi Eucaristica e quella dottrinale.
Il nostro primo dovere come esseri umani è adorare Dio, non noi, ma Lui. Sfortunatamente, la pratica liturgica degli ultimi 40 anni è stata molto antropocentrica.
Partecipare alla liturgia è innanzitutto non fare cose ma pregare e adorare, amare Dio con tutta l’anima. Questa è vera partecipazione, essere uniti a Dio nella propria anima. La partecipazione esteriore non è l'essenziale.
La crisi è veramente questo: non abbiamo messo Cristo o Dio al centro. E Cristo è Dio incarnato. Il nostro problema oggi è che mettiamo da parte l’incarnazione. L’abbiamo eclissata. Se Dio rimane nella mia mente solo come un’idea, questa è Gnosi. Nelle altre religioni come per gli ebrei, musulmani, Dio non è incarnato. Per loro, Dio è nel libro ma Lui non è concreto. Solo nel Cristianesimo, e specialmente nella Chiesa Cattolica, l’incarnazione è pienamente realizzata e questo deve perciò essere sottolineato in ogni punto della liturgia. Dio è qui e veramente presente. Perciò ogni dettaglio ha importanza.
Viviamo in una società non cristiana, in un nuovo paganesimo. Oggi la tentazione per il clero è di adattarsi al nuovo mondo, al nuovo paganesimo, essere collaborazionisti. Siamo in una situazione simile a quella dei primi secoli, quando la maggioranza della società era pagana e il Cristianesimo era discriminato.

D. Pensa di vedere tutto questo a motivo della Sua esperienza in Unione Sovietica?

MONS. SCHNEIDER: Sì, (so cosa significa) essere perseguitati, testimoniare che sei Cristiano.
Siamo una minoranza. Siamo circondati da un mondo pagano molto crudele. La tentazione e la sfida di oggi può essere paragonata a quella dei primi secoli. Ai Cristiani veniva chiesto di accettare il mondo pagano e di mostrare ciò mettendo un grano di incenso nel fuoco di fronte alla statua dell’Imperatore o di un idolo pagano. Ma questa era idolatria e nessun buon Cristiano gettò alcun grano d’incenso. Preferirono dare le proprie vite, persino i bambini, i laici che erano perseguitati diedero le loro vite. Sfortunatamente nei primi secoli c’erano membri del clero e persino vescovi che gettarono grani d’incenso di fronte alla statua dell’Imperatore o di un idolo pagano o che consegnarono i libri della Sacra Scrittura per essere bruciati. Tali Cristiani collaborazionisti e chierici venivano chiamati a quei tempi “thurificati” o “traditores”.
Ora, ai nostri giorni la persecuzione è più sofisticata. Ai cattolici o al clero non è chiesto di mettere incenso di fronte ad un idolo. Sarebbe un gesto solo fisico/materiale. Ora, il mondo neo-pagano vuole che sostituiamo le nostre idee con le loro, come la dissoluzione del Sesto Comandamento di Dio, col pretesto della misericordia. Se alcuni membri del clero e i vescovi iniziano a collaborare con il mondo pagano oggi per la dissoluzione del Sesto Comandamento e nella revisione del modo in cui Dio creò uomo e donna, allora essi sono traditori della fede, stanno partecipando in definitiva ad un sacrificio pagano.

D. Può vedere una futura spaccatura nella Chiesa?

MONS. SCHNEIDER:  Sfortunatamente, per alcuni decenni alcuni membri del clero hanno accettato queste idee del mondo. Ora tuttavia essi le stanno seguendo pubblicamente. Se tali cose continuano, penso, ci sarà una spaccatura all’interno della Chiesa di coloro che sono fedeli alla fede del loro battesimo e all’integrità della fede cattolica. Ci sarà una spaccatura con coloro che stanno prendendo in carico lo spirito di questo mondo e ci sarà una chiara spaccatura, penso. Si può immaginare che i Cattolici, che rimangono fedeli all’immutabile verità cattolica possano, per un periodo, essere perseguitati o discriminati anche a nome di chi ha potere nelle strutture esteriori della Chiesa? Ma le porte dell’inferno, cioè dell’eresia, non prevarranno contro la Chiesa e il Supremo Magistero certamente promulgherà un’inequivocabile sentenza dottrinale che respinge qualsiasi collaborazione con le idee neo pagane di cambiamento per esempio del Sesto Comandamento di Dio, il significato della sessualità e della famiglia. Allora alcuni liberali e molti collaboratori dello spirito di questo mondo, molti moderni “thurificati e traditores” lasceranno la Chiesa. Poiché la verità Divina porterà senza dubbio la chiarificazione, ci libererà e separerà nel mezzo della Chiesa i figli della Divina luce e i figli della pseudo luce di questo mondo pagano e anti cristiano. Posso supporre che tale separazione riguarderà ogni livello dei Cattolici: laici e persino senza escludere l’alto clero. Quei membri del clero che accettano oggi lo spirito del mondo pagano in materia di moralità e di famiglia si dichiarano Cattolici e persino fedeli al Papa. Dichiarano persino estremisti quelli che sono fedeli alla fede cattolica o quelli che promuovono la gloria di Cristo nella liturgia.

D. Pensa di essere stato definito estremista?

MONS. SCHNEIDER: Non sono stato dichiarato tale formalmente. Direi che tali membri del clero non sono in maggioranza ma stanno acquisendo influenza nella Chiesa. Sono riusciti ad occupare delle posizioni chiave in alcuni uffici della Chiesa. Tuttavia questo non è potere agli occhi di Dio. I veri potenti sono i piccoli nella Chiesa, quelli che conservano la fede.
Questi piccoli nella Chiesa sono stati delusi e trascurati. Hanno preservato la purezza della loro fede e rappresentano il vero potere della chiesa agli occhi di Dio e non quelli che hanno cariche di amministrazione. Grazie a Dio, il numero di questi piccoli sta crescendo.
Ho parlato, per esempio, con alcuni giovani studenti di Oxford e sono stato impressionato da questi studenti, ero così felide di vedere la loro purezza di fede, le loro convinzioni e la chiara mente Cattolica. Tali esempi e gruppi sono in crescita nella Chiesa e questo è il lavoro dello Spirito Santo. Questo rinnoverà la Chiesa. Perciò sono fiducioso e speranzoso anche riguardo alla crisi nella Chiesa. Lo Spirito Santo vincerà questa crisi con il suo piccolo esercito.
Non sono preoccupato per il futuro. La Chiesa è la Chiesa di Cristo e Lui è il vero Capo della Chiesa, il Papa è solo il Vicario di Cristo. L’anima della Chiesa è lo Spirito Santo e Lui è potente. Tuttavia ora noi stiamo facendo esperienza di una grave crisi nella Chiesa come è accaduto diverse volte in duemila anni.

D. Peggiorerà prima di migliorare?

MONS. SCHNEIDER:  Ho l’impressione che sarà peggio. A volte le cose devono peggiorare e poi si vedrà il collasso di questo antropocentrismo, sistema clericale, che sta abusando del potere amministrativo della Chiesa, abusando della liturgia, abusando dei concetti di Dio, abusando della fede e della devozione dei piccoli nella Chiesa.
Poi vedremo l’ascesa di una Chiesa rinnovata. Questo si sta già preparando. Poi questo edificio clericale liberale crollerà perché non ha né radici né frutti.

D.  Certa gente direbbe che Lei si preoccupa di cose non importanti, e riguardo i poveri?

MONS. SCHNEIDER: Questo è sbagliato. Il primo comandamento che Cristo ci ha dato era adora Dio solo. La liturgia non è una riunione di amici. È il nostro primo compito adorare e glorificare Dio nella liturgia e anche nel nostro modo di vivere. Da una vera adorazione ed amore di Dio si sviluppa l’amore per il povero e per il nostro vicino. È una conseguenza. I santi in duemila anni di Chiesa, tutti i santi che erano così devoti e pii, erano tutti estremamente misericordiosi con i poveri di cui si prendevano cura.
In questi due comandamenti ci sono tutti gli altri. Ma il primo comandamento è amare e adorare Dio e ciò è realizzato in modo supremo nella sacra liturgia. Quando si trascura il primo comandamento, allora non si sta facendo la volontà di Dio ma si sta accontentando se stessi. La felicità è eseguire la volontà di Dio, non eseguire la nostra volontà.

D. Quanto ci vorrà prima che la Chiesa venga rinnovata?

MONS. SCHNEIDER: Non sono un profeta. Possiamo solo ipotizzare. Ma, se si guarda alla storia della Chiesa, la crisi più grande fu nel quarto secolo con l’Arianesimo. Fu una crisi terribile, tutto l’episcopato, quasi tutto, collaborò all’eresia. Solo alcuni vescovi rimasero fedeli, si potevano contare sulle dita di una mano. Questa crisi durò più o meno 60 anni.
Poi la terribile crisi del cosiddetto secolo buio, il decimo secolo, quando il papato fu occupato da alcune famiglie romane molto malvagie ed immorali. Occuparono la sede papale con i loro figli corrotti e questa fu una crisi terribile.
Il successivo periodo di danni fu il cosiddetto esilio di Avignone e danneggiò molto la Chiesa, causando il grande scisma occidentale. Tutte queste crisi durarono circa 70-80 anni e furono molto gravi per la Chiesa.
Ora siamo, direi, nella quarta grande crisi, in una tremenda confusione riguardo alla dottrina e alla liturgia. Ci siamo già da 50 anni. Forse Dio sarà misericordioso con noi tra 20 o 30 anni? Eppure noi abbiamo tutta la bellezza delle verità divine, del divino amore e della grazia nella Chiesa. Nessuno può portarle vie, nessun sinodo, nessun vescovo, persino neppure un Papa può sottrarre il tesoro di bellezza della fede Cattolica, di Gesù Eucarestia, dei sacramenti. La dottrina immutabile, i principi liturgici immutabili, la sacralità della vita costituiscono il vero potere della Chiesa.

D. Il nostro tempo è visto come il periodo più liberale nella Chiesa…

MONS. SCHNEIDER: Dobbiamo pregare Dio che guidi la Sua Chiesa fuori da questa crisi e che dia alla Sua Chiesa apostoli che siano coraggiosi e santi. Abbiamo bisogno di difensori della verità e difensori di Gesù Eucarestia. Quando un vescovo difende il gregge e difende Gesù nell’Eucarestia, allora questo vescovo sta difendendo i piccoli nella Chiesa, non i potenti.

D. Perciò non le importa essere impopolare?

MONS. SCHNEIDER: È abbastanza insignificante essere popolare o impopolare. Per ogni uomo di chiesa il primo interesse è essere popolare agli occhi di Dio e non agli occhi di oggi o dei potenti. Gesù disse un avvertimento: Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
La popolarità è falsa. Gesù e gli apostoli rifiutarono la popolarità. I grandi santi della Chiesa, come SS Tommaso Moro e John Fisher, rifiutarono la popolarità e sono dei grandi eroi. E coloro che oggi sono preoccupati della popolarità attraverso i mass media e l’opinione pubblica, non saranno ricordati nella storia. Saranno ricordati come codardi e non come eroi della Fede.

D. I media hanno grandi aspettative da Papa Francesco…

MONS. SCHNEIDER: Grazie a Dio Papa Francesco non si è espresso in quel modo che i media si aspettano da lui; egli ha proclamato fino ad ora, nei suoi discorsi ufficiali una dottrina cattolica molto bella; io spero che continui insegnare in modo molto chiaro la dottrina cattolica.  
[Il discorso sulle interpretazioni in chiave liberal dei media è un fatto, così com'è vero che de iure non è stato cambiato uno iota... anche se purtroppo esistono contraddizioni e obliterazioni piuttosto serie. Ma, proprio in sede mediatica, può apparire prudente e corretto esprimersi così].

D. E sulla Comunicatio in Sacris con gli anglicani e gli altri?

MONS. SCHNEIDER: Ciò non è possibile, ci sono fedi differenti. La santa comunione non è un mezzo per raggiungere l'unità: è l'ultimo passo, non il primo passo.
Ciò sarebbe una desacralizzazione di ciò che è più santo. Naturalmente dobbiamo essere uno: abbiamo ancora nel credo alcune differenze sostanziali.
L'eucaristia è un segno di profondissima unità. La Comunicatio in Sacris con i non cattolici sarebbe una bugia, sarebbe contraria alla logica.
L’Ecumenismo [evidentemente si riferisce al sano ecumenismo: li chiama chiaramente separati] è necessario per mantenere buone relazioni con i fratelli separati per amarli. In mezzo alla sfida del nuovo paganesimo, noi possiamo e dobbiamo collaborare con seri non cattolici per difendere la verità divina rivelata e la legge naturale creata da Dio.
Sarebbe meglio non avere [una relazione strutturata] stato-chiesa, quando lo Stato governa la vita della Chiesa, come per esempio, nell’ambito della nomina del clero o dei vescovi. Una tale pratica di una chiesa di stato danneggerebbe la chiesa stessa. In Inghilterra per esempio, lo stato governa la Chiesa d'Inghilterra.
Questa influenza dello Stato può corrompere spiritualmente e teologicamente la Chiesa: così è meglio essere liberi da una chiesa di stato così strutturata.

D. E sulle donne nella Chiesa?

MONS. SCHNEIDER: Le donne sono chiamate il sesso debole dato che sono fisicamente più deboli; comunque esse sono spiritualmente più forti e più coraggiosi degli uomini.
Ci vuole coraggio per dare alla luce un bambino, per questo Dio ha dato alla donna un coraggio che l'uomo non ha.
Naturalmente ci sono stati molti uomini coraggiosi in tempo di persecuzione.
Ancora oggi Dio ama scegliere i deboli per confondere i potenti; per esempio le donne eucaristiche delle quali io ho parlato nel mio libro È il Signore lavoravano nelle loro famiglie e desideravano aiutare i sacerdoti perseguitati in un modo veramente eccezionale.
Esse non avrebbero mai osato toccare le ostie sante con le loro dita. E se si sarebbero persino rifiutate di proclamare le letture durante la Messa
Mia madre per esempio, che ha ottantadue anni e vive in Germania, quando per la prima volta venne in occidente, rimase scioccata e scandalizzata nel vedere donne in presbiterio, durante la Santa Messa.
Il vero potere della donna cristiana e cattolica è il potere di essere il cuore della famiglia, chiesa domestica; di avere il privilegio di essere la prima che nutre il corpo del suo bambino e anche di essere la prima che dà il nutrimento all'anima dello stesso, insegnando le prime preghiere e le prime verità della fede cattolica.
La più prestigiosa tra le professioni che può svolgere una donna, è quella di essere madre e specialmente di essere una madre cattolica.

mercoledì 16 luglio 2014

Celibato sacerdotale

Celibato sacerdotale
Fondato da Cristo: 
replica di uno storico a Gennari sul gran tema del celibato sacerdotale



Vista la situazione, ripubblichiamo un chiarissimo articolo del prof. de Mattei Roberto 

(Roberto de Mattei su “Il Foglio” del 07/04/2011) Gianni Gennari, collaboratore regolare del quotidiano dei vescovi “Avvenire”, ha affrontato, su “Il Foglio” del 2 aprile, il tema forte del celibato ecclesiastico, riproponendone (non è la prima volta) la modifica o l’abolizione.  La tesi di Gennari è che la legge sul celibato dei preti non risale a Gesù Cristo e non è materia di fede, e perciò non può considerarsi intoccabile. Insorgendo contro un recente articolo del cardinale Mauro Piacenza, apparso in prima pagina sul ’”Osservatore Romano” (Questione di radicalità evangelica, , 23 marzo 2011), il corsivista di “Avvenire” arriva a definire la difesa del celibato fatta dal card. Piacenza come “dottrinalmente infondata”, “sottilmente violenta” e, addirittura, offensiva di “duemila anni di storia della Chiesa cattolica”.



Ma ciò che ancor più lo irrita è il cambiamento in materia del cardinale Ratzinger che, nel 1970 condivise un manifesto teologico che chiedeva di ripensare il legame tra sacerdozio e celibato, mentre oggi, come Benedetto XVI, ribadisce che il celibato ecclesiastico deve essere considerato un “valore sacro” per i sacerdoti di rito latino.

Gennari conclude il suo articolo auspicando che di fronte a nuove situazioni e nuove urgenze, “il Papa possa tornare a certe convinzioni manifestate apertamente dal teologo”, anche perché ormai “esistono le condizioni per una prudente prassi diversa” e “nelle opinioni e nelle decisioni dei Papi possono verificarsi veri cambiamenti”. Gennari tiene infine a sottolineare che la sua richiesta del matrimonio dei preti è ben distinta da quella dell’ordinazione sacerdotale delle donne, sulla quale c’è stata anche di recente “la riaffermazione della prassi contraria, legata al fatto che la coscienza della Chiesa, interpretata al livello della massima autorità, non è tale da permettere di superare la disciplina attuale fondata sull’esempio di Cristo stesso e di duemila anni di storia continua”.
E’ da qui che occorre partire: dall’idea di Gennari secondo cui nella Chiesa verità e leggi possano evolvere secondo l’esperienza religiosa (prassi) del popolo cristiano. A questa concezione evoluzionistica si oppone la dottrina della Chiesa, secondo cui esiste un depositum fidei, contenuto nella Tradizione cattolica, che la Chiesa può esplicitare, ma mai innovare. Gesù infatti non mise per scritto il suo insegnamento, ma lo affidò alla sua Parola, che poi trasmise agli Apostoli perché la diffondessero ad ogni angolo della terra. Il deposito della Fede fu conservato soprattutto nella Tradizione orale della Chiesa, che precedette le Sacre Scritture e contiene elementi che nelle Scritture non risultano. Il fatto che il Papa sia vescovo di Roma o che sette siano i Sacramenti non discende, ad esempio dalla Scrittura, ma dalla Tradizione, che è infallibilmente assistita dallo Spirito Santo. La questione che allora si pone è se la legge del celibato ecclesiastico, oltre ad essere una plurisecolare prassi ecclesiastica, discenda o no dalla Tradizione divino-apostolica della Chiesa.
Soccorrono su questo punto alcuni importanti studi sull’origine del celibato ecclesiastico. Il primo, più volte ristampato dalla Libreria Editrice Vaticana, è il saggio del cardinale Alfons Maria Stickler, Il celibato ecclesiastico. La sua storia e i suoi fondamenti teologici; il secondo, meno noto, ma non meno importante, è quello del padre Christian Cochini, appena tradotto in lingua italiana dalla casa editrice Nova Millennium Romae, con il titolo Origini apostoliche del celibato sacerdotale. Tali opere ribaltano la vecchia tesi del padre Franz Xaver Funck, un gesuita aperto alle suggestioni del modernismo, che agli inizi del Novecento, riteneva di confutare il grande orientalista Gustav Bickell. Mentre Bickell sosteneva il fondamento divino-apostolico della legge del celibato, Funck la considerava una prassi ecclesiastica emersa non prima del IV secolo, ovvero una legge di carattere storico (e perciò riformabile). Cochini dimostra che Funck non fece buon uso del metodo storico-critico, prendendo per buono un documento spurio in cui il vescovo-monaco Pafnuzio, nel corso del Concilio di Nicea (325) avrebbe contestato aspramente la continenza per i preti sposati. Oggi è provato che tale testo fu elaborato probabilmente all’interno della setta dei Novaziani. Stickler, da parte sua, sottolinea l’errore ermeneutico di chi, sulla scia di Funck, ha confuso i concetti di ius (diritto) e di lex (legge).
Il fatto che prima del IV secolo mancasse una legge scritta, non significa che non esistesse una norma giuridica obbligatoria che imponesse la continenza del clero. Quando Papa Siricio, negli anni 385-386, con le decretali “Directa” e “Cum in unum”, formalizzò per la prima volta una disciplina per chierici, stabilendo che vescovi, sacerdoti e diaconi erano tenuti, senza eccezioni, a vivere permanentemente nella continenza, egli non introdusse una nuova dottrina, ma codificò una Tradizione, vissuta nella Chiesa fin dalle origini. Il progresso teologico consiste proprio in questo: nello sviluppo della conoscenza di un precetto tradizionale, in questo caso il celibato ecclesiastico, che può meglio essere spiegato in estensione, chiarezza e certezza. A ciò conducono le edizioni critiche e i nuovi documenti di lavoro sui primi secoli di cui oggi dispongono gli studiosi.
L’unico argomento che viene addotto da Gennari contro questa tesi ruota attorno ad un sofisma sempre confutato e sempre ripetuto: il fatto cioè, in apparente contraddizione con la tradizione apostolica, che a partire dagli Apostoli stessi, i primi cristiani fossero sposati. Ciò che è in questione però non è l’ordinazione di uomini sposati nei primi secoli del cristianesimo. Sappiamo che ciò era cosa normale, se san Paolo prescrive ai suoi discepoli Tito e Timoteo che i candidati al sacerdozio dovevano essere stati sposati solo una volta (1 Tm 3,2; 3, 12). La questione centrale è quella della continenza da ogni uso del matrimonio, dopo l’ordinazione sacerdotale. Non bisogna confondere infatti lo stato di matrimonio con l’uso dello stesso. Il matrimonio è un’istituzione di carattere giuridico morale, elevata dalla Chiesa a sacramento, il cui fine è la propagazione del genere umano. L’uso del matrimonio è invece l’unione fisica di due sposi, diretta alla generazione. A questo diritto, si può liberamente rinunciare, pur rimanendo sposati. E’ quanto facevano i primi cristiani i quali, pur rimanendo giuridicamente sposati, decidevano di non usare del matrimonio, cioè di vivere da celibi all’interno dello stato matrimoniale. La parola celibe, in questo senso, non indica uno status, ma la scelta di astenersi per sempre dai piaceri sessuali. Nei primi secoli fu riconosciuto al clero la possibilità di vivere nello stato matrimoniale, ma non il diritto di usare del matrimonio. Ciò che fu dall’inizio obbligatorio, non fu lo stato di celibe, ma la continenza, ovvero l’astensione dall’atto generativo.
Nei primi secoli della Chiesa, l’accesso agli ordini sacri era aperto agli sposati, a condizione che essi, col consenso della moglie, rinunciassero all’uso del matrimonio e praticassero una vita di continenza. La prescrizione apostolica della continenza ebbe il suo logico sviluppo nelle leggi che imposero progressivamente ai sacerdoti lo stato celibatario. La lunga serie degli interventi papali ebbe il suo coronamento nel Concilio Lateranense I, convocato da Callisto II (1123), nel quale fu promulgata la legge non solo della proibizione, ma della invalidità del matrimonio per chi aveva ricevuto gli ordini sacri. Nel primo millennio, le chiese orientali non conobbero questo sviluppo dogmatico-disciplinare e rimasero come eccezione alla regola latina. In seguito, nelle chiese orientali scismatiche, l’antica disciplina celibataria si allargò sempre di più, mentre la maggior parte delle Chiese orientali rimaste unite o ritornate all’unione con Roma, ha finito per accettare la disciplina dell’Occidente, anche se per alcuni cattolici, come i Maroniti e gli Armeni, Roma tollera che seguano l’antico costume greco: il fatto stesso però che, in Oriente, i sacerdoti non possono sposarsi dopo l’ordinazione e soltanto i sacerdoti celibi sono ordinati vescovi, significa che l’uso del matrimonio per chi lo avesse contratto precedentemente alla ordinazione, è una pratica tollerata, ma non certo posta a modello.
Del resto, gli attacchi al celibato accompagnano da sempre la storia della Chiesa Nel 1941, ad esempio, fu messo all’Indice un libro curato dal teologo protestante Hermann Mulert, Der Katholizismus der Zukunft (Lipsia 1940), in cui si reclamava, come chiede Gennari, la possibilità di inserire il celibato ecclesiastico come facoltativo. Ma non c’è da illudersi su questo punto: se cade la legge del celibato, cade con essa il sacerdozio celibatario e si apre la strada all’istituzionalizzazione del matrimonio ecclesiastico. Né serve ripetere che la castità è impossibile, visto che il Concilio di Trento ha condannato chi lo afferma (sess. XXIX, can- 9).
E’ vero però che ad una vita di perfetta continenza l’uomo non può giungere con le sole sue forze, ragione per cui Dio non l’ha comandato, ma solo consigliato. Chi liberamente sceglie di seguire questo consiglio evangelico, trova non in sé stesso, ma in Dio, la forza per essere coerente con la propria scelta. Il celibato resta, certo, un sacrificio e questo, ha osservato il padre Cornelio Fabro, “sta o cade con il carattere della Chiesa cattolica come l’unica vera Chiesa di Gesù Cristo”. Il prete cattolico, infatti, può e vuole sacrificarsi soltanto per una causa assoluta. Ma oggi l’unicità della Chiesa romana come vera Chiesa è messa in discussione e il concetto di sacrificio è abbandonato, in nome della ricerca del piacere ad ogni costo. La vocazione sacerdotale esige inoltre la donazione totale e l’esclusivo orientamento di ogni preoccupazione a Dio e alle anime, il che è incompatibile con la divisione del cuore che è propria a chi è preso dalle cure familiari.
Giovanni Paolo II, nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, ha affermato che la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione “nel legame che il celibato ha con l’ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa” (n. 29). Sviluppando il Magistero pontificio, nei suoi articoli sull’“Osservatore Romano” e nel suo recente volume Il sigillo. Cristo fonte dell’identita del prete (Cantagalli Siena 2010), il cardinale Piacenza ribadisce che la radice teologica del celibato è da rintracciare nella nuova identità che viene donata a colui che è insignito del Sacramento dell’Ordine. Il problema di fondo è dunque quel ruolo del sacerdote nella società postmoderna che il nuovo Prefetto della Congregazione per il Clero rilancia con forza. La richiesta dell’abolizione del celibato si inserisce in un contesto di secolarizzazione considerato irreversibile, malgrado le lezioni in senso contrario della storia.
Secolarizzazione significa perdita del concetto di sacro e di sacrificio e assunzione della “mondanità” come valore, Ma la modernizzazione della Chiesa ha portato oggi alla sua “sessualizzazione”. La purezza però è una virtù che spinge chi la pratica verso il cielo, mentre la sessualità inchioda le tendenze umane alla terra. Molti sacerdoti reclamano il piacere come un diritto e, se non lo ottengono ufficialmente, lo esercitano nella semi-clandestinità, talvolta sotto gli occhi benevolmente complici dei loro vescovi. Il cammino è esattamente contrario a quello percorso dai primi cristiani. Allora accadeva che gli uomini sposati scegliessero di abbracciare, con il sacerdozio, una vita di assoluta castità. Oggi succede che sacerdoti che hanno consacrato la loro vita al Signore reclamino di poter godere dei piaceri del mondo. Ciò non è nuovo nella Chiesa, che ha vissuto come una piaga il concubinato dei preti, cioè il fatto che essi vivessero abitualmente more uxorio, come accadeva quando san Pier Damiani scrisse l’infuocato Liber Ghomorranus.
La via da seguire, ancora oggi, è quella, indicata da Benedetto XVI, di una profonda riforma morale, analoga alla rinascita gregoriana dell’XI secolo. E se si volessero riassumere le ragioni in difesa del celibato dei preti, diremmo in primo luogo che non si tratta di una legge ecclesiastica, ma della volontà stessa di Cristo, trasmessa attraverso gli apostoli alla Chiesa; in secondo luogo che il mondo ha bisogno di sacerdoti i quali non assecondino la loro pur sofferta umanità, ma la vincano, rispecchiando Cristo e ponendosi come modello e guida alle anime, oggi più che mai assetate di assoluto. (Roberto de Mattei)


martedì 15 luglio 2014

CANTICUM Sancti Bonaventurae ad Beatam Virginem




CANTICUM
Sancti Bonaventurae ad Beatam
Virginem

Te Matrem Dei laudamus : * te Mariam Virginem profitemur.
Te Æterni Patris Sponsam * omnis terra veneratur.
Tibi omnes Angeli, et Archangeli: * tibi Throni, et Principatus fideliter deserviunt.
Tibi omnes Potestates, et omnes Virtutes Cælorum: * et universæ Dominationes obediunt.
Tibi omnes Chori : * tibi Cherubim, et Seraphim exultantes assistunt.

Tibi omnes Angelicæ creaturæ: * incessabili voce proclamant.
Sancta, Sancta, Sancta Maria: * Dei Genitrix, Mater, et Virgo.
Pleni sunt Cœli, et terra: * majestatis gloriæ fructus ventris tui.
Te gloriosus Apostolorum Chorus: * sui Créatoris Matrem collaudat.
Te Beatorum Martyrum cœtus candidatus: * Christi Genitricem glorificat.

Te gloriosus Confessorum exercitus: * Trinitatis Templum appellat.
Te Sanctarum Virginum chorea amabilis: * virginitatis, et humilitatis exemplum prædicat.
Te tota Cœlestis Curia: * Reginam honorat.
Te per universum Orbem: * Ecclesia invocando concelebrat.
Matrem: * Divinæ Majestatis.

Venerandam te veram Regis Cœlestis puerperam:  *  sanctam quoque, dulcem, et piam.
Tu Angelorum Domina: * tu Paradisi janua.
Tu scala Regni Cœlestis: * et Gloriæ.
Tu Thalamus: * tu arca pietatis et gratiæ.
Tu vena misericordiæ: * tu Sponsa, et Mater Regis æterni.

Tu Templum, et Sacrarium Spiritus Sancti:  * totius Beatissimæ Trinitatis nobile triclinium.
Tu Mediatrix Dei, et hominum :  *amatrix mortalium, Cœlestis illuminatrix.
Tu agonizatrix pugnantium, advocata pauperum: * miseratrix, et refugium peccatorum.
Tu erogatrix munerum: * separatrix, ac terror dæmonum, et superborum.
Tu mundi Domina, Cœli Regina: *  sola spes nostra.

Tu salus te invocantium, portus naufragantium: * miserorum solatium, pereuntium refugium.
Tu Mater omnium beatorum, gaudium plenum: * omnium supernorum Civium solatium.
Tu promotrix justorum, congregatrix errantium :  * promissio Patriarcharum.
Tu veritas Prophetarum, præconium, et doctrix Apostolorum:  * Magistra Evangelistarum.
Tu fortitudo Martyrum, exemplar Confessorum:  * honor, et festivitas Virginum.

Tu ad liberandum exulem hominem:  * Filium Dei suscepisti in uterum.
Per te, expugnato hoste antiquo,  * sunt aperta fidelibus Regna Cœlorum.
Tu cum Filio tuo: * sedes ad dexteram Patris.      
Tu ipsum pro nobis roga, Virgo Maria:  * quem nos ad judicandum credimus esse venturum.
Te ergo poscimus, nobis tuis famulis subveni:  * qui pretioso sanguine Filii tui redempti sumus.

Æterna fac, pia Virgo Maria:  * cum Sanctis tuis nos in gloria numerari.
Salvum fac populum tuum, Domina:  * ut simus participes hæreditatis Filii tui.
Et rege n0s: * et custodi nos in æternum.
Per singulos dies:  * o Domina Maria, te salutamus.
Et laudare te cupimus:  * usque in æternum mente, et voce.

Dignare, dulcis Maria, nunc, et semper:  * nos sine delicto conservare.
Miserere pia nobis: * miserere nobis.
Fiat misericordia tua magna nobiscum : *quia in te Virgo Maria confidimus.
In te, dulcis Maria, speramus   * nos defendas in æternum.
Te decet laus, te decet imperium: * tibi virtus et gloria in sæcula sæculorum. 

Amen.
AMDG et BVM

San Francesco d'Assisi


CAPITOLO V 

IN CHE MODO LE CREATURE LO CONFORTAVANO 

1. Francesco, l’uomo di Dio, vedeva che per il suo esempio moltissimi si sentivano spinti a portare la 
croce di Cristo con grande fervore e, perciò, si sentiva animato lui stesso, da buon condottiero 
dell’esercito di Cristo, a conquistare vittoriosamente la cima della virtù. Per realizzare quelle parole 
dell’Apostolo: «Coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze», e 
portare nel proprio corpo l’armatura della croce, respingeva gli stimoli dei sensi con una disciplina così 
rigorosa, che a stento si concedeva il necessario per il sostentamento. 
Diceva che è difficile soddisfare alle esigenze del corpo senza acconsentire alle basse tendenze dei sensi. 
Per questa ragione, a malincuore e raramente, quando era sano, si cibava di vivande cotte e, quando se le 
permetteva, o le manipolava con la cenere o ne rendeva scipito il sapore e il condimento, mescolandovi, 
per lo più, dell’acqua. 

E come parlare di vino, se a malapena, quando si sentiva bruciare dalla sete, osava dissetarsi con l’acqua? 
Scopriva le tecniche di un’astinenza sempre più rigida e le accresceva di giorno in giorno con l’esercizio. 
Quasi fosse sempre un principiante nella via della perfezione, benché ormai ne toccasse la vetta, trovava 
sempre nuovi mezzi per castigare la concupiscenza. 
Quando, però, usciva nel mondo a predicare la parola del Vangelo, mangiava gli stessi cibi di coloro che 
gli davano ospitalità; ma, tornando in casa, praticava inflessibilmente una rigorosa parchezza ed 
astinenza. 
Così, austero verso se stesso, umano verso il prossimo, soggetto in ogni cosa al Vangelo, era di esempio e 
di edificazione, non solo con l’astinenza ma anche nel mangiare. 
Letto per il suo corpicciolo affaticato era, per lo più, la nuda terra; molto spesso dormiva seduto, con un 
legno o un sasso sotto il capo. Vestito di una sola tonachetta poverella, serviva al signore in freddo e 
nudità. 

2. Gli chiesero, una volta, come potesse, con un vestito così leggero, difendersi dai rigori dell’inverno. 
Pieno di fervore spirituale, rispose: «Se il nostro cuore bruciasse per il desiderio della patria celeste, 
facilmente sopporteremmo questo freddo esteriore». 
Aveva in orrore i vestiti morbidi, prediligeva quelli ruvidi e affermava che, proprio per i suoi vestiti 
ruvidi, Giovanni Battista era stato lodato dalla bocca stessa di Dio. 
Se per caso gli davano una tonaca, che a lui pareva soffice, la intesseva all’interno con delle funicelle, 
dicendo: le vesti morbide, secondo la parola della Verità, si devono cercare non nelle capanne dei poveri, 
ma nei palazzi dei principi. 

Aveva imparato, per sicura esperienza, che i demoni vengono intimoriti dalle asprezze, mentre dalle 
mollezze e dalle delicatezze prendono animo per tentare più baldanzosamente. 
Una notte, contrariamente al solito, si era coricato con un cuscino di piume sotto la testa, a causa della sua 
malattia al capo e agli occhi. Ma il demonio, entrato nel cuscino, tormentò il Santo in molte maniere, 
stornandolo dalla santa orazione, per tutta la notte, finché al mattino egli poté chiamare il compagno e 
ordinargli di portare il guanciale fuori dalla cella e di gettarlo ben lontano, insieme col demonio. 
Quanto al frate, come fu uscito dalla cella con il cuscino, perse le forze e rimase totalmente paralizzato. E 
solo quando si sentì chiamare indietro dalla voce del padre santo, che aveva visto tutto in ispirito, 
ricuperò completamente le forze fisiche e la sensibilità. 

3. Come una sentinella sulla torre di guardia, vigilava con rigorosa disciplina e somma cura per custodire 
la purezza del corpo e dello spirito. 
A questo scopo, nei primi tempi della sua conversione, durante l’inverno si immergeva, per lo più, in una 
fossa piena di ghiaccio, sia per assoggettare perfettamente il nemico di casa sia per preservare la candida 
veste della pudicizia dal fuoco della passione. 
Affermava che un uomo spirituale trova incomparabilmente più sopportabile il freddo del corpo, anche il 
più rigido, che non il fuoco della concupiscenza, per piccolo che sia. 

4. Una notte, mentre stava pregando in una celluzza dell’eremo di Sarteano, l’antico nemico lo chiamò 
per tre volte: «Francesco, Francesco, Francesco!». Gli rispose chiedendo che cosa volesse; e quello, 
ipocritamente: «Non c’è nessun peccatore al mondo, al quale Dio non usi misericordia, se si converte. Ma 
chiunque si uccide da se stesso con le sue dure penitenze, non troverà misericordi a in eterno». 

L’uomo di Dio, intuì immediatamente, per rivelazione, l’inganno del nemico, che tentava di richiamarlo 
alla tiepidezza e ne ebbe la conferma da quello che avvenne subito dopo. 
Infatti sentì divampare dentro di sé una grave tentazione sensuale, alimentata dal soffio di quel tale che ha 
un fiato ardente come brace. Non appena ne avvertì le avvisaglie, l’amante della castità si tolse l’abito e 
incominciò a flagellarsi molto forte con una corda. 
«Ehilà, diceva, frate asino, così ti conviene restare, così prenderti le battiture. Perché la tonaca serve alla 
religione e porta in sé il sigillo della santità: non è lecito, a un libidinoso rubarla. Se vuoi andare in 
qualche posto, va pure cammina! ". 

Poi, animato da meraviglioso fervore di spirito, spalancò la cella, uscì fuori nell’orto e, immergendo nella 
neve alta il corpicciolo già denudato e prendendo neve a piene mani, incominciò a fabbricare sette 
blocchi. E mettendoseli davanti, così parlava al suo uomo esteriore: «Ecco, questo blocco più grande è tua 
moglie, questi quattro sono due figli e due figlie; gli altri due sono un servo e una serva, che bisogna 
tenere per le necessità di casa. Adesso, spicciati a vestirli tutti, perché muoiono di freddo. Se, invece, le 
molte preoccupazioni che loro ti danno, ti infastidiscono, datti da fare per servire soltanto al Signore!». 

Subito il tentatore se ne andò via sconfitto, e il Santo ritornò nella cella con la vittoria in mano. Si era 
raggelato ben bene al di fuori, ma nel suo interno aveva estinto il fuoco della passione così efficacemente 
che d’allora in poi non provò mai più niente di simile. 
Un frate, che quella stessa notte vegliava in preghiera, siccome la luna camminava assai chiara nel cielo, 
poté osservare tutta quanta la scena. Quando il Santo lo venne a sapere, svelò al frate come la tentazione 
si era svolta e gli comandò di non far saper niente a nessuno di quanto aveva visto, finché egli era vivo. 

5. Insegnava che bisogna non solo mortificare le passioni della carne e frenarne gli stimoli, ma anche 
custodire con somma vigilanza gli altri sensi, attraverso i quali la morte entra nell’anima. 
Comandava di evitare molto accuratamente la familiarità, i colloqui e la vista delle donne, perché per 
molti son occasione di rovina. «Son queste le cose – asseriva – che molte volte spezzano gli spiriti deboli 
e indeboliscono i forti. Riuscire ad evitare il contagio delle donne, per uno che si intrattiene con loro, è 
tanto difficile, quanto camminare nel fuoco e non bruciarsi i piedi, come dice la Scrittura. A meno che si 
tratti di un individuo esperimentatissimo». 

Quanto a lui, aveva distolto gli occhi per non vedere simili vanità, con tanto impegno che, come disse una 
volta al suo compagno, non conosceva di faccia quasi nessuna donna. 
Riteneva rischioso lasciare che la fantasia assorba la loro immagine e la loro fisionomia, perché questo 
può ridestare il focherello della carne, anche se ormai domata, o macchiare il nitore della pudicizia 
interiore. 
Asseriva pure che la conversazione con le donne è frivolezza, salvo unicamente che si tratti di 
confessione o di consigli circa la salvezza dell’anima, dati in forma molto breve e secondo le norme del 
decoro. 
«Quali affari – diceva – dovrebbe trattare un religioso con una donna, se si eccettua il caso in cui essa gli 
domandi devotamente la penitenza o suggerimenti per una vita migliore? Se ci si sente troppo sicuri, si sta 
meno in guardia dal nemico, e il diavolo, quando può afferrare un uomo per un capello, presto lo ingrossa 
e lo fa diventare una trave». 

6. L’ozio, poi, sentina di tutti i pensieri malvagi, insegnava che lo si deve fuggire con somma cura e, 
mediante il suo esempio, mostrava che la carne ribelle e pigra si doma con discipline continue e fruttuose 
fatiche. 
In questo senso chiamava il suo corpo «frate asino», indicando che va sottoposto a compiti faticosi, va 
percosso con frequenti battiture e sostentato con foraggio di poco prezzo. 
Se, poi, notava qualcuno ozioso e bighellone, che voleva mangiare sulle fatiche degli altri, lo faceva 
denominare «frate mosca», perché costui, non facendo niente di buono e sporcando le buone azioni degli 
altri, si rende vile e abominevole a tutti. 
Perciò una volta disse: «Voglio che i miei frati lavorino e si tengano esercitati. Così non andranno in giro, 
oziando con il cuore e con la lingua, a pascersi di cose illecite». 
Voleva che i frati osservassero il silenzio indicato dal Vangelo, cioè che in ogni circostanza evitassero 
accuratamente ogni parola oziosa, di cui nel giorno del giudizio dovranno rendere ragione. 
Se trovava qualche frate incline ai discorsi inutili, lo redarguiva con asprezza, affermando che il modesto 
tacere custodisce la purezza del cuore e non è virtù da poco, se è vero, come dice la Scrittura, che morte e 
vita si trovano in potere della lingua, intesa come organo non del gusto, ma della parola. 

7. Benché, poi, con tutte le sue forze stimolasse i frati ad una vita austera, pure non amava quel1a severità 
intransigente che non riveste viscere di pietà e non è condita con il sale della discrezione. 
Un frate, a causa dei digiuni eccessivi, una notte non riusciva assolutamente a dormire, tormentato 
com’era dalla fame. Comprendendo il pietoso pastore che la sua pecorella si trovava in pericolo, chiamò 
il frate, gli mise davanti un po’ di pane e, per evitargli il rossore, incominciò a mangiare lui per primo, 
mentre con dolcezza invitava l’altro a mangiare. 
Il frate scacciò la vergogna e prese il cibo con grandissima gioia, giacché, con la sua vigilanza e la sua 
accondiscendenza, il Padre gli aveva evitato il danno del corpo e gli aveva offerto motivo di grande 
edificazione. 
Al mattino, l’uomo di Dio radunò i frati e, riferendosi a quanto era successo quella notte, aggiunse questo 
provvido ammonimento: «A voi, fratelli, sia di esempio non il cibo, ma la carità». 
Li ammaestrò, poi, a seguire sempre nella corsa alla virtù, la discrezione che ne è l’auriga; non la 
discrezione consigliata dalla prudenza umana, ma quella insegnata da Cristo con la sua vita santissima, 
che certamente è il modello dichiarato della perfezione. 

8. L’uomo, rivestito dell’infermità della carne, non può – egli diceva – seguire l’Agnello immacolato con 
una purezza così perfetta che lo preservi da qualsiasi sozzura. Perciò quanti attendono alla perfezione 
devono purificarsi ogni giorno col lavacro delle lacrime. E ne dava lui stesso la dimostrazione. 
Benché avesse già raggiunto una meravigliosa purezza di cuore e di corpo, non cessava di purificare gli 
occhi del suo spirito con un profluvio di lacrime, senza badare al danno che ne subivano gli occhi del 
corpo. Infatti, in conseguenza del continuo piangere, aveva contratto una gravissima malattia agli occhi. 
Perciò il medico cercava di persuaderlo a desistere dal piangere, se voleva sfuggire alla cecità. 

Ma il Santo replicava: «O fratello medico, non si deve, per amore della vista che abbiamo in comune con 
le mosche, allontanare da noi, neppure in piccola misura, la luce eterna, che viene a visitarci. Il dono della 
vista non l’ha ricevuto lo spirito per il bene del corpo, ma l’ha ricevuto il corpo per il bene dello spirito». 
Preferiva, evidentemente, perdere la luce degli occhi, piuttosto che soffocare la devozione dello spirito, 
frenando le lacrime, che mondano l’occhio interiore e lo rendono capace di vedere Dio. 

9. Una volta i medici lo consigliarono, e i frati lo esortarono insistentemente, ad accettare di farsi curare 
gli occhi mediante la cauterizzazione. L’uomo di Dio accondiscese umilmente, ritenendo che l’operazione 
era salutare e dolorosa nello stesso tempo. Chiamarono, dunque, il chirurgo. Venne e immerse nel fuoco 
lo strumento di ferro per la cauterizzazione. 
Ma il servo di Cristo, confortando il corpo già scosso e inorridito, si mise a parlare col fuoco, come con 
un amico, e gli disse: «O mio fratello fuoco, l’Altissimo ti ha creato splendido e invidiabile per tutte le 
altre creature, forte, bello ed utile. In questo momento sii buono con me, sii gentile. Io prego il grande 
Signore che ti ha creato, perché moderi per me il tuo calore. Così tu brucerai dolcemente ed io riuscirò a 
sopportarti». Finita la preghiera, tracciò il segno della croce sopra il ferro ormai incandescente – e se ne 
stava intrepido in attesa. 

Il ferro sprofondò crepitando nella tenera carne, mentre la cauterizzazione veniva estesa dall’orecchio 
fino al sopracciglio. Quanto sia stato intenso il dolore che il fuoco gli inflisse, lo dichiarò il Santo stesso, 
dicendo ai frati: «Lodate l’Altissimo, perché, dico la verità, non ho sentito né il calore del fuoco né alcun 
dolore nella carne». E volgendosi al medico: «Se la carne non è ancora cotta bene, scava pure un’altra 
volta». 
Quel medico sperimentato, ammirando come un miracolo divino quella forza di spirito così sublime, in 
quella carne così debole, esclamò: «O frati, vi dico che oggi ho visto meraviglie». 
Francesco, in realtà, aveva raggiunto tale purezza che il suo corpo si trovava in meravigliosa armonia con 
lo spirito e lo spirito in meravigliosa armonia con Dio. Perciò avveniva, per divina disposizione, che la 
creatura, servendo al suo Fattore, sottostava in modo mirabile alla volontà e ai comandi del Santo. 

10. Un’altra volta il servo di Dio si trovava nell’eremo di Sant’Urbano, tormentato da una malattia 
gravissima. Sentendosi venir meno, chiese un po’ di vino. 
Gli risposero che non potevano portarglielo, perché non ce n’era assolutamente. Allora egli comandò di 
portargli dell’acqua; poi la benedisse col segno della croce. Subito diventa vino ottimo quella che prima 
era acqua pura. 
Così la purità del Santo ottenne ciò che la povertà del luogo non poté offrire. 
Come ebbe bevuto quel vino, egli si ristabilì immediatamente e con estrema facilità. 
Un cambiamento miracoloso e una miracolosa guarigione: due prodigi che avevano trasformato sia la 
bevanda sia colui che aveva bevuto. Erano due modi per indicare quanto perfettamente ormai Francesco 
si era spogliato dell’uomo vecchio e si era trasformato nell’uomo nuovo. 

11. Ma non soltanto la creatura si piegava al cenno del servo di Dio: anche il provvido Creatore di tutte le 
cose accondiscendeva ai suoi desideri. 
Una volta il Santo, prostrato da molte malattie insieme, sentì il desiderio di un po’ di bella musica, che gli 
ridonasse la gioia dello spirito. 
Convenienza e decoro non permettevano che ciò avvenisse ad opera degli uomini – e allora intervennero 
gli Angeli compiacenti a realizzare il suo desiderio. 
Infatti, una notte, mentre vegliava in meditazione, improvvisamente sentì una cetra suonare con 
un’armonia meravigliosa e una melodia dolcissima. Non si vedeva nessuno, ma si avvertiva benissimo 
l’andare e venire del citaredo dal variare del suono, che ora proveniva da una parte ed ora dall’altra. 
Rapito in Dio, a quel canto melodioso, fu invaso da tanta dolcezza che credette di trovarsi nell’altro 
mondo. 
L’avvenimento non sfuggì ai frati suoi familiari. Essi, d’altronde, sapevano da indizi sicuri che il Signore 
veniva spesso a visitarlo, donandogli consolazioni così sovrabbondanti che non riusciva a tenerle 
completamente nascoste. 

12. In un’altra circostanza, l’uomo di Dio era in viaggio col compagno per motivi di predicazione, tra la 
Lombardia e la Marca Trevigiana. Sopraggiunse la notte, mentre si trovavano vicino al Po. 
Siccome la strada era piena di pericoli, a causa del buio, del fiume e delle paludi, il compagno disse al 
Santo: «O Padre, prega Dio, che ci faccia scampare dai pericoli». 
L’uomo di Dio, con molta fiducia, gli rispose: «Dio può, se piace alla sua cortesia, fugare le tenebre e 
donarci la luce benefica». 
Aveva appena finito di parlare, che l’Onnipotente fece risplendere intorno a loro una luce grandissima, 
tanto che, mentre nelle altre parti persisteva l’oscurità della notte, potevano distinguere con chiarezza non 
soltanto la strada, ma anche moltissimi oggetti tutt’intorno. Ben indirizzati e spiritualmente confortati da 
quella luce, percorsero un lungo cammino, fra inni e canti di lode al Signore, finché giunsero all’ospizio. 
Valuta bene quale meravigliosa purezza e quale virtù abbia raggiunto quest’uomo, al cui cenno il fuoco 
modera il suo calore, l’acqua cambia sapore, gli Angeli offrono il conforto delle loro melodie e la luce 
divina dona la sua guida. 
Sembra davvero che tutta la macchina del mondo si metta al servizio dei sensi, ormai così santificati, di quest’uomo santo.