venerdì 19 novembre 2021

Cornelio A Lapide ci parla di San Paolo Apostolo

 

Quinta virtù

Povertà evangelica

65. I. Paolo e gli Apostoli seguirono nella povertà Cristo povero: «Poveri

sulla terra, ricchi in cielo, essi dispensavano ai credenti le ricchezze

spirituali» dice sant’Ambrogio (101). Avevano udito da Cristo il: «Beati i

poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli» (Matteo 5, 3), e

risposero: «Ecco noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito, che

ce ne verrà?» (Matteo 19, 27). «Fecero questo voto con tutte le loro forze»

dice sant’Agostino (4). Gli Apostoli emisero il voto di povertà, come

usano fare i Religiosi, assieme a quello di castità e di obbedienza, come

dimostrerò commentando gli Atti (5, 2). Essi furono difatti capi perfetti di

vita religiosa, padri e condottieri. Anzi san Girolamo (5) dipinge a

Nepoziano la vita dei chierici, copiandola dagli Apostoli: «Il chierico, che

serve la Chiesa, studi prima l’etimologia del suo nome; e trovata la

definizione del nome, si sforzi di essere ciò che significa. Se di fatti la

parola greca *** corrisponde alla latina sors (sorte), allora si chiamano

clerici, sia perché sono de sorte Domini, sia perché ipse Dominus sors,

ossia è pars ipsorum clericorum (lo stesso Signore è sorte e porzione dei

chierici). Chi è parte del Signore, o ha il Signore come sua parte, deve

essere tale da possedere il Signore, e da essere posseduto dal Signore», non

dall’oro o da altra cosa creata.


66. II. Paolo visse sopportando la fame, la sete, la nudità, la fatica (6). «So,

dice ai Filippesi (4, 12 s), vivere nell’umiliazione (sopportare la miseria), e

nell’abbondanza, (in ogni luogo e ad ogni cosa sono pronto), ad essere

sazio, a patir la fame, ad, essere nell’abbondanza come nella penuria. Io

posso tutto in Colui che mi conforta». «Paolo, soggiunge il Crisostomo (8),

era uomo che ha dovuto spesso lottare con la fame, andare a letto senza

cena, essere ignudo; spesso gli mancavano gli indumenti anche necessari.

Nel gelo, scrisse, e nella nudità». Con verità san Girolamo dice (105):

«Assai ricco è colui che è povero con Cristo». Santa Paola povera a

Betlemme con Cristo, aveva fatto voto di morire mendicando, di non

lasciare alla figlia (Eustochio) neppure un soldo, e di essere seppellita

avvolta in un lenzuolo non suo. Ottenne pienamente la realizzazione di

questo triplice voto, e le accadde proprio come desiderava. Così narra san

Girolamo (106), nella Vita di lei.


Cristo e gli Apostoli andavano a piedi per città e villaggi

67. III. Paolo, sull’esempio di Cristo, andò a piedi per molte ed estese

regioni, come dimostrerò commentando gli Atti (20, 13). Imitano dunque

gli Apostoli, anzi Cristo stesso, coloro che, come S. Francesco, vanno

predicando il Vangelo per le città e per i villaggi, non a cavallo o in

carrozza, ma a piedi. A Roma, nella basilica di san Paolo, mi venne

mostrata una parte del bastone di san Paolo, appoggiato al quale dicesi sia

entrato a piedi in Roma. Cristo prescrisse agli Apostoli di fare così (Cfr.:

Matteo 10, 10. 14). Pertanto, nella regola di san Francesco, che riflette il

modo di vivere all’apostolica, è proibito (107), sotto gravissime pene «ad

ognuno di andare a cavallo, eccetto vi sia costretto da una grave necessità

o da malattia». La stessa cosa, la Terza Congregazione Generale (Can. 12)

gravemente e seriamente raccomanda ai religiosi della nostra Compagnia,

che girano per le province, sull’esempio degli Apostoli. San Vincenzo

Ferreri, uomo apostolico che percorse, evangelizzando, l’Italia, la Francia,

l’Inghilterra, l’Irlanda, la Spagna, ecc., «viaggiò non a cavallo, ma a piedi,

contento del solo bastone cui si appoggiava: e ciò fece per quindici anni

consecutivi. In seguito però, per una certa malattia sopravvenutagli alla

tibia, spinto dalla necessità, accettò un asino, sul cui dorso viaggiava»,

dice l’autore della Vita di questo santo (Lib. 2, c. 7).


68. IV. Paolo, anche tra tante e così gravi fatiche del Vangelo, non volle

prendere ricompense dai fedeli, ma lavorò con le sue mani esercitando

l’arte del tessitore di tappeti; in tal modo guadagnò il vitto non solo per sé,

ma anche per tutti i suoi collaboratori. Ciò dimostra chiaramente la sua

ammirabile povertà, la sua carità ed il suo zelo. «Non ho bramato, dice, né

argento, né oro, né vesti di alcuno. Voi lo sapete che al bisogno mio ed a

quelli che son con me Paolo han provveduto queste mie mani. E in tutto vi

ho dimostrato che lavorando bisogna accogliere gli infermi, ricordandosi

della parola del Signore Gesù, il quale disse: E’ più grande fortuna dare

che ricevere» (Atti 20, 33.35).

Quel celebre Vescovo Spiridione di Trimitunte imitò da lontano Paolo;

egli fece il mandriano, come dicono Rufino (108), Sozomeno (109),

Niceforo (110). Così pure Zenone, Vescovo di Maiuma, fece il lanaiolo,

non per povertà, ma per desiderio ed esempio di umiltà; di ciò parla

Sozomeno (111), e Niceforo (112). Anche san Girolamo (113) stimola

Nepoziano e Rustico al lavoro manuale. Leggasi Isidoro Pelusiota (114),

che appoggia il lavoro manuale con l’esempio del re Pittaco di Mitilene, il

quale stando ad un forno si preparava da solo la farina ed il pane per

sfamarsi. Anche il IV Concilio Cartaginese (115), ed il Concilio Nannetese

(116) comandano ai chierici di procurarsi loro il vitto ed il vestito,

lavorando la terra, od esercitando un’arte onesta. Intendasi questo quando

sono poveri e la Chiesa non li può mantenere. Così si faceva una volta; ora

infatti, per decreto del Concilio di Trento (Sess. 21, c. 2), e di altri concili

anteriori, venne sancito che nessuno possa essere ordinato se non può

mantenersi coi beni propri o coi beni della Chiesa.

Ugualmente fece il P. Oviedo, Patriarca d’Etiopia

In questo secolo, imitò san Paolo il P. Andrea Oviedo, della nostra

Compagnia, che fu creato dal Romano Pontefice Patriarca d’Etiopia. Quivi

visse fino alla morte in tal grado di povertà, da essere costretto a guidare

con le sue mani l’aratro ed a seminare i cereali per nutrirsene. Richiamato

dal Pontefice Gregorio XIII, rispose con una lettera scritta nei margini

ritagliati dal suo Breviario, non avendo altra carta su cui scrivere. In tale

lettera pregava il Pontefice che gli permettesse di assistere fino alla fine

della vita quella sua Chiesa, alla quale si era sposato. Gregorio vedendo

quella lettera pianse, e gli mandò la sua benedizione. E vediamo già i frutti

di tale povertà e costanza; in verità l’imperatore d’Etiopia, suo fratello ed i

capi, si sono riconciliati con la Chiesa Romana, e chiedono un nuovo

Patriarca. Vescovi e religiosi, che convertano veramente e completamente

quel vasto impero.

Pure san Girolamo (117) dice: «Fa qualche cosa, affinché il demonio ti

trovi sempre occupato. Se gli Apostoli, che avevano la potestà di vivere

del Vangelo, lavoravano con le loro mani per non essere di aggravio ad

alcuno, e cedevano refrigeri ad altri dai quali potevano esigere beni

temporali in compenso degli spirituali, perché tu non ti prepari le cose che

saranno utili per te stesso? Intreccia cestini di giunco, o canestri di

flessibili vimini; zappa la terra, dividi il giardino in aiuole simmetriche; fa

alveari per le api; costruisci reti per la pesca; scrivi dei libri; così mentre le

mani si procurano il cibo, l’animo resta satollato dalla lettura. Ogni ozioso

resta in soli desideri» (118).

AMDG et DVM

Parla Sant'Antonio Maria Claret y Clarà / Autobiografia



C A P Í T U L O V I

De las primeras devociones

36. Desde muy pequeño me sentí inclinado a la piedad y a la Religión. Todos los

días de fiesta y de precepto oía la santa Misa; los demás días siempre que podía; en los

días festivos comúnmente oía dos, una rezada y otra cantada, a la que iba siempre con mi

padre. No me acuerdo de haber jamás jugado, enredado ni hablado en la iglesia. Por el

contrario, estaba siempre tan recogido, tan modesto y tan devoto, que, comparando mis

primeros años con los presentes, me avergüenzo, pues con grande confusión digo que no

estoy, ni aún ahora, con aquella atención tan fija, con aquel corazón tan fervoroso que tenía

entonces...


37. ¡Con qué fe asistía a todas las funciones de nuestra santa Religión! Las

funciones que más me gustaban eran las del Santísimo Sacramento: en éstas, a que asistía

con una devoción extraordinaria, gozaba mucho. Además del buen ejemplo que en todo me

daba mi querido padre, que era devotísimo del Santísimo Sacramento, tuve yo la suerte de

parar a mis manos un libro que se titula Finezas de Jesús Sacramentado. ¡Cuánto me

gustaba! De memoria lo aprendía. Tanto era lo que me agradaba.


38. A los diez años me dejaron comulgar. Yo no puedo explicar lo que por mí pasó

en aquel día que tuve la imponderable dicha de recibir por primera vez en mi pecho a mi

buen Jesús... Desde entonces siempre frecuenté los santos sacramentos de Penitencia y

Comunión, pero ¡con qué fervor, con qué devoción y amor!... Más que ahora, sí, más que

ahora. y lo digo con la mayor confusión y vergüenza. Ahora que tengo más conocimiento

que entonces, ahora que se ha agregado la multitud de beneficios que he recibido desde

aquellos primeros días, que por gratitud debería ser un serafín de amor divino, soy lo que

Dios sabe. Cuando comparo mis primeros años con los días presentes, me entristezco y

lloro y confieso que soy un monstruo de ingratitud.


39. Además de la Santa Misa, Comunión frecuente y funciones de Exposición del

Santísimo Sacramento, a que asistía con tanto fervor por la bondad y misericordia de Dios,

asistía también en todos los domingos sin faltar jamás ni un día de fiesta al Catecismo y

explicación del santo Evangelio, que siempre hacía el cura párroco por sí mismo todos los

domingos, y, finalmente, se terminaba esta función por la tarde con el santísimo Rosario.


40. Digo, pues, que además de asistir siempre mañana y tarde, allá, al anochecer,

cuando apenas quedaba gente en la iglesia, entonces volvía yo y solito me las entendía con

el Señor. ¡Con qué fe, con qué confianza y con qué amor hablaba con el Señor, con mi

buen Padre! Me ofrecía mil veces a su santo servicio, deseaba ser sacerdote para

consagrarme día y noche a su ministerio, y me acuerdo que le decía: Humanamente no veo

esperanza ninguna, pero Vos sois tan poderoso, que si queréis lo arreglaréis todo. Y me 

acuerdo que con toda confianza me dejé en sus divinas manos, esperando que él

dispondría lo que se había de hacer, como en efecto así fue, según diré más adelante.


41. También vino a parar a mis manos un librito llamado El Buen Día y la Buena

Noche. ¡Oh, con qué gusto y con qué provecho de mi alma leía yo aquel libro! Después de

haberle leído un rato, lo cerraba, me lo apretaba contra el pecho, levantaba los ojos al cielo

arrasados en lágrimas y me exclamaba diciendo: ¡Oh, Señor, qué cosas tan buenas

ignoraba yo! ¡Oh, Dios mío! ¡Oh, amor mío! ¡Quién siempre os hubiese amado!


42. Al considerar el bien tan grande que trajo a mi alma la lectura de libros buenos y

piadosos es la razón por que procuro dar con tanta profusión libros por el estilo, esperando

que darán en mis prójimos, a quienes amo tanto, los mismos felices resultados que dieron

en mi alma. ¡Oh, quién mediera que todas las almas conocieran cuán bueno es Dios, cuán

amable y cuán amante! ¡Oh, Dios mío!, haced que todas las criaturas os conozcan os amen

y os sirvan con toda fidelidad y fervor ¡Oh, criaturas todas! Amad a Dios, porque es bueno,

porque es infinita su misericordia.

AVE MARIA PURISSIMA!

SPLENDIDA PREGHIERA

 

S.Agostino - Orazione

Questa splendida preghiera, attribuita a Sant’Agostino, è ricavata dal Messale Mozarabico e di composizione nettamente medioevale. Vedi “Dictionnaire d’Archèologie Chrètienne”, Tom. V, col. 1633. Si attribuisce la sua inserzione nel Messale Romano a Urbano VIII (+ 1644).

 

Innanzi a te, o Signore, portiamo le nostre colpe e le piaghe ricevutene.

Se pensiamo al male fatto, è molto meno ciò che soffriamo, di quanto meritiamo.

E’ assai più grave ciò che commettemmo, di quanto soffriamo.

Sentiamo la pena del peccato, ma non abbandoniamo la volontà del peccare.

Sotto i tuoi castighi viene meno la nostra debolezza, ma non si muta la nostra malizia.

L’anima stanca si affligge, ma non curva pentita la fronte.

La vita sospira nel dolore, e non si emenda nell’opera.

Se tu indugi, non ci correggiamo; se tu punisci, non tolleriamo.

Nel castigo confessiamo ciò che facemmo di male; e, dopo le tue lezioni, dimentichiamo ciò che piangemmo.

Se tu stendi la mano per colpirci, promettiamo di fare il nostro dovere; se ritiri la tua spada, non manteniamo le promesse.

Se ci colpisci, invochiamo pietà; se ci risparmi, nuovamente ti provochiamo a colpirci.

Tu hai davanti, o Signore, dei rei confessi; riconosciamo che, se non perdoni, giustamente ci affliggi.

Concedine, senza alcun nostro merito, ciò che chiediamo, o Padre onnipotente, Tu che dal nulla hai fatto quelli che ti avrebbero pregato. Per Cristo Signor nostro. Amen.

 

V. Signore, non trattarci secondo i nostri peccati.

R. E non ci punire secondo le nostre iniquità.

V. Preghiamo. O Dio, che dalla colpa sei offeso e dalla penitenza placato, guarda propizio alle preghiere del tuo popolo supplicante, e allontana i flagelli dell’ira tua, meritati dai nostri peccati. Per Cristo Signor nostro.

R. Così sia.


 

Ante óculos tuos, Dómine, culpas nostras férimus et plagas quas accépimus, conférimus. 

Si pensámus malum quod fécimus, minus est quod pátimur, majus est quod merémur. 

Grávius est quod commisimus, lévius est quod tolerámus. 

Peccáti pœnam sentimus, et peccándi pertináciam non vitámus. 

In flagéllis tuis infirmitas nostra téritur, et iniquitas non mutátur. 

Mens ægra torquétur, et cervix non fléctitur. 

Vita in dolóre suspirat et in ópere non se eméndat. 

Si exspéctas, non corrigimur: si vindicas, non durámus. 

Confitémur in correctióne, quod égimus: obliviscimur post visitatiónem quod flévimus. 

Si exténderis manum, faciénda promittimus; si suspénderis gládium, promissa non sólvimus. 

Si férias, clamámus ut parcas: si pepérceris, iterum provocámus ut férias.

Habes, Dómine, confiténtes reos: nóvimus quod nisi dimittas, recte nos périmas. 

Præsta, Pater omnipotens, sine mérito quod rogámus, qui fecisti ex nihilo, qui te rogárent. Per Christum Dóminum nostrum. Amen. 

 

V. Dómine, non secúndum peccáta nostra fácias nobis. 

R. Neque secúndum iniquitátes nostras retribuas nobis. 

V. Oremus. - Deus, qui culpa offénderis et pœniténtia placáis: preces pópuli tui supplicántis propitius réspice: et flagélla tuæ iracúndiæ, quæ pro péccatis nostris merémur, avérte. Per Christum Dóminum nostrum. 

R. Amen. 


Sant'Agostino d'Ippona

AMDG et DVM

5 - Sposalizio di Maria SS.ma con San Giuseppe

 


Sposalizio di Maria SS.ma con San  Giuseppe

“Questa ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, 

ho cercato di prendermela come sposa, 

mi sono innamorato della sua bellezza.      

 Essa manifesta la sua nobiltà

in comunione di vita con Dio,

                                                    perché il Signore dell’untverso l’ha amata”

(Sap. 8, 2-3)

 

Giuseppe è definito nella Sacra Scrittura con le sole parole di “uomo giusto”. Giustizia equivale a santità; quindi uomo santo, cioè conforme al cuore di Dio. 

Questa santità o conformità ai divini voleri è comprovata chiaramente dalla esemplare docilità che Giuseppe ebbe per le ispirazioni divine nelle diverse circostanze della vita. 




Anch’egli nutriva la stessa aspirazione della fanciulla toccatagli in sorte: vivere verginalmente. Fu certo la mano di Dio a prepararlo casto sposo, uomo perfetto, aiuto e servo fedele per compiere i santi desideri dì Maria, però Giuseppe cooperò liberamente alla mozione della grazia.

Oh! Potere infinito di Dio, i cui alti giudizi sono occulti e santi e i cui decreti sono rettissimi e ammirabili: beato chi si affida alla tua protezione e custodia!



Con 1’ideale di purezza nel cuore, Maria e Giuseppe contrassero nel Tempio di Gerusalemme un vero e convenientissimo matrimonio. Da esso infatti — dice San Tommaso d’Aquino — scaturirono i tre beni: la prole, che fu Dio stesso; la fedeltà, perché non vi fu adulterio; e il sacramento, perché vi fu l’indivisibile unione degli animi.


Questo matrimonio segnò il trionfo della purezza e dell’amore non terrestre, ma celeste, essendo amore tutto divino e spirituale.

La Sacra Scrittura chiaramente attesta: “Nel sesto mese, l’arcangelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una Vergine, promessa sposa di un uomo della casa di David, chiamato Giuseppe" (Lc 1, 26- 27).


Ciò significa che la Vergine Maria era fidanzata a Giuseppe, e cioè dinanzi alla legge o al diritto matrimoniale ebraico Maria era già sposa.   

Presso gli ebrei il tempo che noi chiamiamo col termine fidanzamento era detto sposalizio ed in fondo equivaleva ad un fidanzamento ufficiale rigorosissimo, ad una reale consegna della fanciulla allo sposo; e a tal punto che se nasceva un figlio era considerato legittimo, e, inoltre, la donna prendeva nome di vedova se lo sposo le moriva avanti il matrimonio consumato, lasciandola vergine.

San Matteo e San Luca ci offrono dati molto precisi sugli antenati di Giuseppe e di Maria risalendo fino a Dio attraverso David, Abramo e Adamo (Mt  l, 1ss; Lc 3, 23-38).

Entrambi gli sposi erano di origine regale. Ora però Giuseppe non era più re. Le sue mani callose testimoniano un lavoro abbastanza pesante: quello del carpentiere cioè falegname. Gli furono familiari la sega e la pialla, i chiodi e il martello, gli odori del legno e della colla .. e ogni tipo di cliente che sapeva accogliere con amore.

La sua stirpe regale oriunda dalla Giudea si era stabilita ormai da molti anni, forse per motivi di lavoro e sostentamento, nella Galilea del nord, esattamente a Nazareth.

Fu là ch’egli cominciò a condividere la sublime sorte della diletta sposa nell’economia della salvezza del genere umano.

Dio scelse Giuseppe a custode e protettore del pudore della divina sua Madre. Mai Dio avrebbe permesso che accanto a Maria battesse il cuore di un uomo che non fosse degno di Lei e non fosse saturo di amor di Dio.

Con quanta fiducia la Vergine avrà messo la sua mano in quella di Giuseppe sentendo di aver trovato in lui uno sposo fedele, un compagno casto che mai avrebbe violato la verginità, e un padre d’amore.


Dopo i festeggiamenti del solenne fidanzamento Maria lasciò il tempio e lo fece con lo stesso coraggio con cui vi era entrata, e unicamente per eseguire la divina Volontà.

Con lo sposo Giuseppe si recò a Nazareth. Ivi non trovò più i genitori Gioacchino e Anna. Nell’umile casetta ereditata visse la sua nuova vita con grande semplicità, tutta raccolta nella contemplazione dei divini misteri. 


Le frequenti visite di Giuseppe non la disturbavano affatto. Ella riceveva e attentissima serviva il suo sposo, vero angelo in carne e ossa datoLe da Dio per la sua custodia. E dei mari di grazia che si riversavano nel suo Cuore Immacolato nulla lasciava trasparire. Maria era più che mai tutta preghiera per la venuta del Verbo sulla terra.


Pregando i salmi, leggendo i profeti, operando il bene, di tutto approfittava per dire il suo amore al Signore. Qualunque cosa facesse era sempre e solo per la gloria di Dio.



Incessantemente Lo supplicava a voler discendere e farsi prigioniero della donna benedetta e fortunata che avrebbe albergato il proprio Creatore.



O divina Misericordia! O infinita umiltà! Le preghiere della

 Vergine di Nazareth anticiparono la venuta del Salvatore.

 Ecco: sta per suonare l’ora dell’Incarnazione, e cielo e terra

stupiranno per l’inaudito prodigio.








AMDG et DVM

Quattro nuovi prefazi per la santa Messa del Messale Romano classico.

 


El enriquecimiento del Misal Romano clásico 

y los cuatro prefacios "pro aliquibus locis"


El Missale Romanum no es un libro litúrgico fosilizado en un determinado estadio del desarrollo del rito romano, como muchos parecen pensar. Se trata de un libro vivo que –dentro de los límites necesarios impuestos por san Pío V al codificarlo en 1570– ha experimentado no pocos cambios a lo largo de sus cuatro siglos de vigencia indiscutida en la Iglesia Occidental, de modo que la editio typica de 1962 promulgada por el beato Juan XXIII presenta cambios considerables respecto de la editio princeps (adición del nombre del glorioso patriarca San José en el canon, nuevos prefacios y festividades, total remodelación de la Semana Santa, cambios de rúbricas, modificaciones en el calendario, adopción de una nueva notación gregoriana, etc.).

El papa Benedicto XVI, al liberalizar el rito romano al que llama extraordinario, sabiamente fijó como normativo el Misal de 1962 y no las siguientes ediciones (de 1965 y 1967), que han de considerarse no como una normal evolución del Missale Romanum codificado por San Pío V, sino como reformas preliminares en vista al Missale Romanum promulgado por Pablo VI (forma ordinaria del rito romano de la Santa Misa). Con ello se pone el usus antiquior al abrigo de las mismas controversias y la hermenéutica de ruptura respecto de la tradición litúrgica de la Iglesia que se manifestaron justo inmediatamente después de 1962 y que provocaron una verdadera revolución en el culto católico.

Sin embargo el propio papa Ratzinger ha querido que el Misal clásico pueda ser objeto de enriquecimiento, como lo fue normalmente en el pasado, y pueda beneficiarse de los aportes positivos del usus novior. Por ello, en la Carta a los Obispos que acompaña el motu proprio Summorum Pontificum establece claramente: “en el Misal antiguo se podrán y deberán inserir nuevos santos y algunos de los nuevos prefacios”. Es natural que la devoción de muchos católicos quiera nutrirse durante la Santa Misa con el ejemplo y la intercesión de relevantes santos modernos o recientemente canonizados. También es verdad que una mayor variedad de prefacios ayuda a profundizar en los tiempos litúrgicos y misterios, sobre todo en aquellos que en el Misal del beato Juan XXIII no lo tienen aún proprio (como por ejemplo, Adviento, Septuagésima, Santísimo Sacramento, Santos Patronos). Sin embargo, esto parece que aún tardará en llevarse a cabo.

Lo que sí puede comenzar a utilizarse es una serie de cuatro prefacios aprobados por la entonces Sagrada Congregación de Ritos y que fueron insertados en un apéndice bajo el apartado pro aliquibus locis en la última edición del Misal clásico impresa por la editorial Pustet de Ratisbona en 1963. Como se sabe, las concesiones pro aliquibus locis, aunque hechas parta determinadas diócesis, suelen aplicarse con largueza, de modo que puedan aprovecharse de ellas quienquiera siempre que se respeten rúbricas y calendario. Para utilidad de nuestros lectores, publicamos a continuación los cuatro prefacios indicados.

PRAEFATIONES
PRO ALIQUIBUS LOCIS


PRAEFATIO DE ADVENTU
Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus: per Christum Dóminum nostrum. Quem pérdito hóminum géneri Salvatórem miséricors et fidélis promissísti: cuius véritas instrúere ínscios, sánctitas iustificáret ímpios, virtus adiuváret infírmos. Dum ergo prope est ut véniat quem missúrus es, et dies affúlget liberatiónis nostrae, in hac promissiónum tuárum fide, piis gáudiis exsultámus. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus, cumque omni milítia coeléstis exércitus, hymnum glóriae tuae cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus...

PRAEFATIO DE SANCTISSIMO SACRAMENTO
Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus: per Christum Dóminum nostrum. Qui remótis carnálium victimárum inánibus umbris, Corpus et Sánguinem suum nobis in sacrifícium commendávit: ut in omni loco offerátur nómini tuo, quae tibi sola complácuit, oblátio munda. In hoc ígitur inscrutábilis sapientiae, et imménsae caritátis mystério, idípsum quod semel in Cruce perfécit, non cessat mirabíliter operári, ipse ófferens, ipse et oblátio. Et nos, unam secum hóstiam effectos, ad sacrum ínvitat convívium, in quo ipse cibus noster súmitur, recólitur memória Passiónis eius, mens implétur grátia, et futúrae glóriae nobis pignus datur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus, cumque omni milítia coeléstis exércitus, hymnum glóriae tuae cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus...

PRAEFATIO DE OMNIBUS SANCTIS ET SS PATRONIS 
Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus: qui glorificáris in concílio Sanctórum, et eórum coronándo mérita, corónas dona tua: qui nobis eórum praebes, et conversatióne exémplum, et communióne consórtium, et intercessióne subsídium: ut tantam habéntes impósitam nubem téstium, per patiéntiam currámus ad propósitum nobis certámen, et cum eis percipiámus immarcescíbilem glóriae corónam. Per Iesum Christum Dóminum nostrum, cuius sánguine ministrátur nobis intróitus in aetérnum regnum. Per quem maiestátem tuam treméntes adórant Angeli, et omnes spírituum coeléstium chori sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces, ut admítti iúbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes: Sanctus...

PRAEFATIO IN DEDICATIONE ECCLESIAE
Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus: Qui hanc oratiónis domum, quam aedificávimus, bonórum ómnium largítor inhábitas, et Ecclésiam, quam ipse fundásti, incessábili operatióne sanctíficas. Haec est enim vere domus oratiónis, visibílibus aedifíciis adumbráta, templum habitatiónis glóriae tuae, sedes incommutábilis veritátis, sanctuárium aetérnae caritátis. Haec est arca, qui nos a mundi eréptos dilúvio, in portu salútis indúcit. Haec est dilécta et única sponsa, quam acquisívit Christus sánguine suo, quam vivíficat Spíritu suo, cuius in sinu renáti per grátiam tuam, lacte verbi páscimur, pane vitae roborámur, misericórdiae tuae subsídiis confovémur. Haec fidéliter in terris, Sponso adiuvánte, mílitat, et perénniter in caelis, ipso coronánte, triúmphat. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus, cumque omni milítia coeléstis exércitus, hymnum glóriae tuae cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus...
AMDG et DVM