Demostración de porqué
no se debe comulgar en la mano
AVISO
PREVIO. NO
REALICES POR TU CUENTA ESTA PRUEBA USANDO UNA HOSTIA YA CONSAGRADA, PUES
COMETERÍAS,
UN SACRILEGIO.
SE DEBE CONSEGUIR COMPRANDO HOSTIAS EN UNA TIENDA O SANTERIA DE
OBJETOS RELIGIOSOS
Vamos a
realizar una sencilla experiencia, que si quieres puedes realizar tú mismo:1. Consigue una forma SIN CONSAGRAR (se pueden comprar en Santerias de
objetos religiosos).
2. Obtén un fondo completamente liso y negro (plástico, papel, ...) y límpialo bien con un paño para
que no queden en él polvo
ni manchas que puedan confundir.
3. Toma una hostia y deposítala sobre el fondo negro, igual que se hace cuando se comulga en la mano.. 4. Vuelve a retirar la hostia o forma. 5. Y por último observa el lugar donde depositaste la hostia. Este es el resultado...
1º. Fondo negro de plástico
antes de depositar la hostia:
2º. Escaneamos luego de DEPOSITAR la oblea o forma sobre el plástico:
3º. Escaneamos luego
de haberla depositado
Esta es la imagen ampliada de los fragmentos que quedaron sobre el plástico:
Por tanto:
·
Por tanto, queda
demostrado el efecto sacrílego y profanador que tiene el
comulgar en la mano, pues no
·
hay duda que estas son partículas
de la hostia
·
Todas esas partículas que en esta
prueba son, simplemente pan sin consagrar, en la Misa serían Jesucristo vivo
y en persona, en cada una de ellas, tal y como enseña el
Magisterio de la Santa Iglesia Católica.
·
Sobra decir, que los cientos de
Partículas consagradas que durante la Misa quedan en las manos de los
comulgantes van a parar al suelo donde son pisoteadas y profanadas y en ellas
Jesús revive la misma Pasión que en el patio de Pilatos, pero esta vez en el
patio de su propia Iglesia...
Y es que
cuando la forma entra en contacto con la mano ocurren tres cosas:
·
A. El rozamiento entre el borde de la forma y la piel de la mano provoca el
desprendimiento de partículas.
·
B. Partículas que están naturalmente
sobre la forma acaban adhiriéndose a la mano por efecto del sudor
natural de la piel humana.
·
C. A veces en la acción de
manipular la forma con los dedos, al consumirla, se parten trozos.
Ahora seguramente entenderás porqué el
Papa ya no da la Comunión en la mano, sino únicamente en la
boca y de rodillas, y por supuesto con
patena, para evitar la caída de partículas.
«No me toques» (Jn 20,17) ("No me toques con tu
mano")
No comulgues en la mano, no te conviertas en otro cómplice más de este sacrilegio silenciado contra nuestro amado Jesucristo. Dios te lo premiará.
"Ten
misericordia de Mí y Yo la tendré de ti"
*****************************************************
La Comunione sulla mano: un curioso esperimento ed
una riflessione
17 febbraio 2010
Credi che ogni frammento di un’Ostia Consacrata è il Corpo, il Sangue, lo Spirito e la Divinità di Gesù Cristo, Vero Dio e Vero Uomo? Ricevi la Comunione sulle mani? Un lettore ci ha inviato due fotografie.
La prima (foto 1)raffigura una ostia NON consacrata
appoggiata sul palmo di una mano ricoperta con un guanto nero.
La seconda fotografia (foto 2) mostra i frammenti
lasciati dall’ostia sul guanto dopo che è stata rimossa.
Alcuni di voi starà forse dicendo adesso: “Ma,
questo è un guanto, non una mano! Noi non sappiamo se questo accada anche con
le ostie messe nelle mani della gente al momento della Comunione! Questo test
non prova nulla!”
Ammetto che non abbiamo certezza che accada la
stessa cosa.
Ammetto che le mani non sono i guanti. Ammetto che
ci sono differenze.
Ma …
Occorre considerare la
mancanza di attenzione con cui molti ricevono, maneggiano, muovono le Ostie
quando le ricevono alla Comunbione.
Considerate che spesso vi è un più o meno
adeguatamente preparato Ministro della Comunione (che probabilmente non ha le
mani pulite, essendo stato tra le panche ed avendo toccato libretti dei
canti, foglietti della Messa, stretto mani allo scambio della pace, comunque
toccato cose non pulite) a distribuire la Comunione.
Considerate quindi anche le condizioni di
pulizia della pelle del palmo della mano (chi di voi quando torna a casa da
Messa si lava le mani prima di sedersi a tavola a mangiare?).
Considerate i pochi secondi dopo che una persona ha
trasferito l’Ostia nella propria bocca dalla mano, Cosa si tocca? Se quei
frammenti ci sono che fine fanno?
E’ evidente che l’Ostia è stata in contatto non solo
con il palmo della mano, ma anche con le dita dell’altra mano.
Prendete in considerazione tutte queste cose
Voglio essere chiaro: non penso che la gente
intenda essere irriverente quando ricevono la Comunione in mano.
Ma sapendo che la maggior parte cattolici orientali
hanno un modo diverso di ricevere la comunione, mi pongo una domanda per noi
cattolici romani.
Se quei frammenti sono realmente il corpo ed il
Sangue di Cristo, come ci ha sempre insegnato la Chiesa nel Catechismo nella
teologia e nella prassi liturgica, siamo così sicuri che un atteggiamento
così carente di attenzione verso le Specie Eucaristiche, non sia il segnale
che infondo, sotto sotto, ci sia una mentalità in cui non c’è più la fede
nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia e che in fondo in fondo, con
la scusa di non cadere in quello che molti preti chiamano devozionalismo
formalista o archeologismo eucaristico, ci stia la mentalità che Cristo è
presente solo nelle Ostie intere e non nei frammenti (contro quello che la
Chiesa ha sempre detto) o peggio che Cristo c’è solo e perché c’è il
suo popolo che nella Messa fa la comunione e quindi essendo le persone
riunite nel suo nome lui è lì presente?
Per fugare ogni dubbio sul test, un altro lettore,
un seminarista, ha preso la questione in mano e questo esperimento ha dato una
ulteriore prova.
Utilizzando un guanto non più in velluto, ma di
pelle nera e osservando i seguenti punti:
1.L’esperimento è stato effettuato tre volte.
2. Prima di ogni prova ho assicurato che il guanto
fosse esente da qualsiasi contaminazione polvere, fili, forfora o altre
particelle chiare
3. Con la gestualità di una normale comunione in
Chiesa, è stata messa gentilmente messo una ostia NON consacrata (ogni volta
una ostia nuova) nel palmo del guanto. Si è cercato di riprodurre la
distribuzione della comunione nella mano che si vede generalmente sia nel
porre l’ ostia in mano, e la rimozione alcuni secondi dopo. Senza un uso
eccessivo della forza, e senza strofinamenti dell’ ostia contro il guanto.
4. I risultati di tutte e tre le prove sono stati molto
simili, da quattro a dieci particelle di pane ben visibili ad occhio nudo
Ecco le foto del secondo test:
Foto
3: Il guanto di pelle nera pulito
[ Per la precisione dell'assunto trattato ricordare
sempre che GESU' è presente vivo e vero anche nei frammenti a noi invisibili
]
Al di là del fatto che non si ritiene opportuno
verificare l’esperimento con l’uso di una Ostia Consacrata, per evitare una
mancanza di rispetto verso il Santissimo Sacramento, si può però ragionare
che la forma, le caratteristiche organolettiche, le caratteristiche “fisiche”
dell’Ostia non variano con la consacrazione (ne è prova il fatto che quando i
parroci usano sempre la stessa pisside senza mai purificarla sul fondo si
depositano anche grandi quantità di frammenti), e che quindi tutto ciò accada
anche con le Ostie consacrate.
Voglio essere chiaro: non penso che la gente
intenda essere irriverente quando ricevono la Comunione in mano.
Ma sapendo che la maggior parte cattolici orientali
hanno un modo diverso di ricevere la comunione, pongo una domanda per noi
cattolici romani.
Se quei frammenti sono realmente il corpo ed il
Sangue di Cristo, come ci ha sempre insegnato la Chiesa nel Catechismo nella
teologia e nella prassi liturgica, siamo così sicuri che un atteggiamento
così carente di attenzione verso le Specie Eucaristiche, non sia il segnale
che in fondo, sotto sotto, ci sia una mentalità in cui non c’è più la fede
nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia e che in fondo in fondo, con
la scusa di non cadere in quello che molti preti chiamano devozionalismo
formalista o archeologismo eucaristico, ci stia la mentalità che Cristo è
presente solo nelle Ostie intere e non nei frammenti (contro quello che la
Chiesa ha sempre detto) o peggio che Cristo c’è solo e perché c’è il
suo popolo che nella Messa fa la comunione e quindi essendo le persone
riunite nel suo nome lui è lì presente?
Credo che il segnale del Papa che con forza e
determinazione ha scelto (dal giugno
2008) di amministrare la Comunione solo direttamente in
bocca non possa passare inosservato, ma vada emulato, al di là delle
concessioni fatte dalle Conferenze Episcopali che, appunto perché
concessioni, sono deroghe alla prassi normale.
Noi continueremo a riceverla in bocca.
Mi piace:
AMDG
et BVM
|
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
venerdì 16 novembre 2018
SAN FRANCESCO: "... e siate cattolici!"
giovedì 15 novembre 2018
L'Apostolo d'Italia
Recensione libraria: un libretto di san Leonardo da Porto Maurizio sulla Messa:
IL TESORO NASCOSTO
( di F.C.) S. Leonardo fu un grandissimo santo francescano nato a Imperia nel 1676 e morto a Roma nel 1751. Predicò circa 340 missioni popolari, specie in Centro Italia e nella «Capitale del Cristianesimo» (l’espressione è di Leone XIII). Per questo fu ben presto ribattezzato l’Apostolo d’Italia. Fu, se non l’ideatore, almeno il perfezionatore e il principale diffusore della devozione, tipicamente francescana e serafica, della Via Crucis, e per sua opera ne furono erette a centinaia, anche di monumentali, come quella sui resti del Colosseo (inaugurata durante il Giubileo del 1750 ma soppressa dopo l’Unità…).
Tra le sue fulgide opere letterarie spiccano i vari metodi per praticare la Via Crucis, che ebbero migliaia di edizioni in varie lingue e le raccolte di Prediche e Sermoni.
Nel 1737, nella piena maturità spirituale e sacerdotale, pubblicò a Roma un testo aureo, tutto teso a far conoscere ed apprezzare al popolo le meraviglie sconosciute del Sacrificio Eucaristico, ora provvidenzialmente riedito (cfr. S. Leonardo da Porto Maurizio, Il Tesoro nascosto, ovvero pregi ed eccellenze della Santa Messa, Casa Mariana, Frigento 2011, p. 114, 10 euro).
In apertura, il santo scrive: «I tesori, per grandi e preziosi che siano, non sono mai apprezzati, se prima non sono conosciuti. Or ecco, caro lettore, perché da molti non si ha la dovuta stima verso il sacrosanto sacrificio della Messa» (p. 5). Oggi, i molti a cui si riferisce il francescano, sono diventati moltissimi, vista la frequenza minima dei battezzati alla Messa domenicale.
A questa crisi terribile risponde la magnifica operetta presente, la quale si divide in tre soli capitoli. Tutte le pagine del libretto vibrano di quell’intensità ascetica, sacrificale e liturgica che faceva parte della spiritualità cattolica nel lungo periodo storico che va, grosso modo, da Trento al Vaticano II.
Questa spiritualità sacrificale e mistica della s. Messa, per una ragione o per l’altra, appare oggi scomparsa nel nulla e sostituita con una nuova “teologia liturgica del banchetto sacro” – o teologia del mistero pasquale – vista come mero memoriale dell’Ultima Cena. Per S. Leonardo al contrario, il Santo Sacrificio della Messa è «il sole della cristianità, l’anima della fede, il centro della religione cattolica […].
Insomma, è un compendio di tutto il buono e di tutto il bello che si trova nella Chiesa di Dio» (p. 11). La Messa è «un sacrificio santo, perfetto e infinito, con cui ogni fedele onora altamente Iddio […] lo stesso, anzi lo stessissimo, che si offrì al Calvario» (p. 12).
Espressioni che mostrano altresì, se ce ne fosse bisogno, quanto la santa Messa fosse amata, vissuta e magnificamente compresa, già nel 1700… E il distacco post-tridentino tra clero e laici? Lo si valuti da ciò che scrive il santo: «Quelli che ascoltano la Messa non solo fanno l’ufficio di assistenti, ma altresì di offerenti, potendo definirsi anch’essi sacerdoti» (p. 16).
Infatti se il solo ministro consacrato è un alter Christus con un ruolo unico di mediazione, «tutti quelli che sono presenti fanno con lui la grande offerta. Sicché quando voi assistete alla Santa Messa, fate in un ceto modo l’ufficio di sacerdote» (p. 17).
Secondo S. Leonardo poi «una sola Messa, in altre parole, basterebbe per ottenere la conversione di tutti i Turchi, di tutti gli eretici, di tutti gli scismatici, insomma di tutti gli infedeli, ed anche di tutti i cattivi cristiani, chiudendo le porte dell’inferno a tutti i peccatori, e vuotando il Purgatorio di tutte le anime purganti» (p. 42).
Insomma abbiamo capito, torniamo alla Messa, e torniamoci di corsa, allontanandoci le mille miglia da coloro che in anni recenti che hanno adottato lo slogan sacrilego «Meno messe, più messa» o da quei monasteri “ecumenici” in cui i sacerdoti cattolici (con)celebrano solo la domenica (e non in settimana) per aumentare, così dicono, il desiderio eucaristico! (F. C.)
AMDG et DVM
Sant'ALBERTO MAGNO, vescovo e dottore della Chiesa
Alberto nacque a Lauingen, nella Svevia sulle rive del Danubio.
Fu soprannominato «grande» per la sua vasta cultura.
Fin da piccolo ebbe una istruzione assai curata. Per seguire gli studi andò ad abitare a Padova; incoraggiato dal beato Giordano, allora maestro generale dei Predicatori, ostacolato inutilmente da uno zio materno chiese di entrare nell'ordine dei Domenicani.
Entrato in comunità, fu molto osservante delle regole e dedito alla preghiera.
Amò molto la vergine Maria e nutrì molto zelo per la salvezza del prossimo.
Per completare gli studi, fu inviato a Colonia. Poi insegnò a Hidelsheim, a Friburgo, a Regensburg e a Strasburgo.
Fu rinomatissimo professore di Parigi. Suo scolaro carissimo fu san Tommaso d'Aquino, del quale lui stesso misurò e scoprì la grandezza dell'ingegno.
Ad Anagni, alla presenza di Alessandro IV, vinse la polemica contro Guglielmo, che aveva attaccato gli ordini Mendicanti. Fu consacrato vescovo di Regensburg.
Fu un ottimo consigliere, e un grande riappacificatore: addirittura venne soprannominato il «conciliatore della pace».
Pubblicò molte opere in ogni settore dello scibile, soprattutto nel campo religioso, e scrisse cose magnifiche sull'Eucaristia.
Già noto per le virtù e per i miracoli morì nel 1280. Pio XI favorì il culto che già molte città e l'ordine dei Domenicani, con permessi pontifici, gli tributavano, e, accogliendo una proposta della Congregazione dei Riti, ampliò il culto a tutta la Chiesa, dopo aver concesso a sant'Alberto il titolo di dottore della Chiesa.
Pio XII lo dichiarò patrono degli scienziati.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Rendiamo Grazie a Dio.
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* * *
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 24 marzo 2010
[Video]
Sant'Alberto Magno
Cari fratelli e sorelle,
uno dei più grandi maestri della teologia medioevale è sant’Alberto Magno. Il titolo di “grande”
(magnus), con il quale egli è passato alla storia, indica la vastità e la profondità della sua dottrina,
che egli associò alla santità della vita. Ma già i suoi contemporanei non esitavano ad attribuirgli
titoli eccellenti; un suo discepolo, Ulrico di Strasburgo, lo definì “stupore e miracolo della nostra
epoca”.
Nacque in Germania all’inizio del XIII secolo, e ancora molto giovane si recò in Italia, a Padova,
sede di una delle più famose università del Medioevo. Si dedicò allo studio delle cosiddette “arti
liberali”: grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica, cioè della
cultura generale, manifestando quel tipico interesse per le scienze naturali, che sarebbe diventato
ben presto il campo prediletto della sua specializzazione.
Durante il soggiorno a Padova, frequentò la chiesa dei Domenicani, ai quali poi si unì con la professione dei voti religiosi.
Le fonti agiografiche lasciano capire che Alberto maturò gradualmente questa decisione. Il rapporto
intenso con Dio, l’esempio di santità dei Frati domenicani, l’ascolto dei sermoni del Beato
Giordano di Sassonia, successore di san Domenico nella guida dell’Ordine dei Predicatori, furono
i fattori decisivi che lo aiutarono a superare ogni dubbio, vincendo anche resistenze familiari.
Spesso, negli anni della giovinezza, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per
Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequenza ai
Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di
Dio. Ricevette l’abito religioso dal beato Giordano di Sassonia.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, i Superiori lo destinarono all’insegnamento in vari centri di studi
teologici annessi ai conventi dei Padri domenicani. Le brillanti qualità intellettuali gli permisero di
perfezionare lo studio della teologia nell’università più celebre dell’epoca, quella di Parigi. Fin da
allora sant’Alberto intraprese quella straordinaria attività di scrittore, che avrebbe poi proseguito
per tutta la vita.
Gli furono assegnati compiti prestigiosi. Nel 1248 fu incaricato di aprire uno studio teologico a
Colonia, uno dei capoluoghi più importanti della Germania, dove egli visse a più riprese, e che
divenne la sua città di adozione. Da Parigi portò con sé a Colonia un allievo eccezionale,
Tommaso d’Aquino. Basterebbe solo il merito di essere stato maestro di san Tommaso, per
nutrire profonda ammirazione verso sant’Alberto. Tra questi due grandi teologi si instaurò un
rapporto di reciproca stima e amicizia, attitudini umane che aiutano molto lo sviluppo della
scienza. Nel 1254 Alberto fu eletto Provinciale della “Provincia Teutoniae” – teutonica - dei Padri
domenicani, che comprendeva comunità diffuse in un vasto territorio del Centro e del NordEuropa.
Egli si distinse per lo zelo con cui esercitò tale ministero, visitando le comunità e
richiamando costantemente i confratelli alla fedeltà, agli insegnamenti e agli esempi di san
Domenico.
Le sue doti non sfuggirono al Papa di quell’epoca, Alessandro IV, che volle Alberto per un certo
tempo accanto a sé ad Anagni - dove i Papi si recavano di frequente - a Roma stessa e a Viterbo,
per avvalersi della sua consulenza teologica. Lo stesso Sommo Pontefice lo nominò Vescovo di
Ratisbona, una grande e famosa diocesi, che si trovava, però, in un momento difficile. Dal 1260 al
1262 Alberto svolse questo ministero con infaticabile dedizione, riuscendo a portare pace e
concordia nella città, a riorganizzare parrocchie e conventi, e a dare nuovo impulso alle attività
caritative.
Negli anni 1263-1264 Alberto predicava in Germania ed in Boemia, incaricato dal Papa Urbano IV,
per ritornare poi a Colonia e riprendere la sua missione di docente, di studioso e di scrittore.
Essendo un uomo di preghiera, di scienza e di carità, godeva di grande autorevolezza nei suoi
interventi, in varie vicende della Chiesa e della società del tempo: fu soprattutto uomo di
riconciliazione e di pace a Colonia, dove l’Arcivescovo era entrato in duro contrasto con le
istituzioni cittadine; si prodigò durante lo svolgimento del II Concilio di Lione, nel 1274, convocato
dal Papa Gregorio X per favorire l’unione con i Greci, dopo la separazione del grande scisma
d’Oriente del 1054; egli chiarì il pensiero di Tommaso d’Aquino, che era stato oggetto di obiezioni
e persino di condanne del tutto ingiustificate.
Morì nella cella del suo convento della Santa Croce a Colonia nel 1280, e ben presto fu venerato
dai confratelli. La Chiesa lo propose al culto dei fedeli con la beatificazione, nel 1622, e con la
canonizzazione, nel 1931, quando il Papa Pio XI lo proclamò Dottore della Chiesa. Si trattava di
un riconoscimento indubbiamente appropriato a questo grande uomo di Dio e insigne studioso
non solo delle verità della fede, ma di moltissimi altri settori del sapere; infatti, dando uno sguardo
ai titoli delle numerosissime opere, ci si rende conto che la sua cultura ha qualcosa di prodigioso,
e che i suoi interessi enciclopedici lo portarono a occuparsi non solamente di filosofia e di teologia,
come altri contemporanei, ma anche di ogni altra disciplina allora conosciuta, dalla fisica alla
chimica, dall’astronomia alla mineralogia, dalla botanica alla zoologia. Per questo motivo il Papa
Pio XII lo nominò patrono dei cultori delle scienze naturali ed è chiamato anche “Doctor
universalis” proprio per la vastità dei suoi interessi e del suo sapere.
Certamente, i metodi scientifici adoperati da sant’Alberto Magno non sono quelli che si sarebbero
affermati nei secoli successivi. Il suo metodo consisteva semplicemente nell’osservazione, nella
descrizione e nella classificazione dei fenomeni studiati, ma così ha aperto la porta per i lavori
futuri.
Egli ha ancora molto da insegnare a noi. Soprattutto, sant’Alberto mostra che tra fede e scienza
non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella
storia. Un uomo di fede e di preghiera, quale fu sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo
studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo,
scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e
l’amore di Dio. La Bibbia ci parla della creazione come del primo linguaggio attraverso il quale Dio
– che è somma intelligenza – ci rivela qualcosa di sé. Il libro della Sapienza, per esempio, afferma
che i fenomeni della natura, dotati di grandezza e bellezza, sono come le opere di un artista,
attraverso le quali, per analogia, noi possiamo conoscere l’Autore del creato (cfr Sap. 13,5).
Con una similitudine classica nel Medioevo e nel Rinascimento si può paragonare il mondo naturale a un libro scritto da Dio, che noi leggiamo in base ai diversi approcci delle scienze (cfr Discorso ai
partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 Ottobre 2008). Quanti
scienziati, infatti, sulla scia di sant’Alberto Magno, hanno portato avanti le loro ricerche ispirati da
stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e
appare come l’opera buona di un Creatore sapiente e amorevole! Lo studio scientifico si trasforma
allora in un inno di lode. Lo aveva ben compreso un grande astrofisico dei nostri tempi, di cui è
stata introdotta la causa di beatificazione, Enrico Medi, il quale scrisse: “Oh, voi misteriose
galassie ..., io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi
io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori
e ne fo poesia; io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al
di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete
adorare” (Le opere. Inno alla creazione).
Sant’Alberto Magno ci ricorda che tra scienza e fede c’è amicizia, e che gli uomini di scienza
possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e
affascinante percorso di santità.
La sua straordinaria apertura di mente si rivela anche in un’operazione culturale che egli
intraprese con successo, cioè nell’accoglienza e nella valorizzazione del pensiero di Aristotele. Ai
tempi di sant’Alberto, infatti, si stava diffondendo la conoscenza di numerose opere di questo
grande filosofo greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, soprattutto nell’ambito dell’etica e
della metafisica. Esse dimostravano la forza della ragione, spiegavano con lucidità e chiarezza il
senso e la struttura della realtà, la sua intelligibilità, il valore e il fine delle azioni umane.
Sant’Alberto Magno ha aperto la porta per la recezione completa della filosofia di Aristotele nella
filosofia e teologia medioevale, una recezione elaborata poi in modo definitivo da S. Tommaso.
Questa recezione di una filosofia, diciamo, pagana pre-cristiana fu un’autentica rivoluzione
culturale per quel tempo. Eppure, molti pensatori cristiani temevano la filosofia di Aristotele, la
filosofia non cristiana, soprattutto perché essa, presentata dai suoi commentatori arabi, era stata
interpretata in modo da apparire, almeno in alcuni punti, come del tutto inconciliabile con la fede
cristiana. Si poneva cioè un dilemma: fede e ragione sono in contrasto tra loro o no?
Sta qui uno dei grandi meriti di sant’Alberto: con rigore scientifico studiò le opere di Aristotele,
convinto che tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede rivelata nelle Sacre
Scritture.
In altre parole, sant’Alberto Magno, ha così contribuito alla formazione di una filosofia
autonoma, distinta dalla teologia e unita con essa solo dall’unità della verità. Così è nata nel XIII
secolo una chiara distinzione tra questi due saperi, filosofia e teologia, che, in dialogo tra di loro,
cooperano armoniosamente alla scoperta dell’autentica vocazione dell’uomo, assetato di verità e
di beatitudine: ed è soprattutto la teologia, definita da sant’Alberto “scienza affettiva”, quella che
indica all’uomo la sua chiamata alla gioia eterna, una gioia che sgorga dalla piena adesione alla
verità.
Sant’Alberto Magno fu capace di comunicare questi concetti in modo semplice e comprensibile.
Autentico figlio di san Domenico, predicava volentieri al popolo di Dio, che rimaneva conquistato
dalla sua parola e dall’esempio della sua vita.
Cari fratelli e sorelle, preghiamo il Signore perché non vengano mai a mancare nella santa Chiesa
teologi dotti, pii e sapienti come sant’Alberto Magno e aiuti ciascuno di noi a fare propria la
“formula della santità” che egli seguì nella sua vita: “Volere tutto ciò che io voglio per la gloria di
Dio, come Dio vuole per la sua gloria tutto ciò che Egli vuole”, conformarsi cioè sempre alla
volontà di Dio per volere e fare tutto solo e sempre per la Sua gloria.
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L'UNIONE CON DIO di sant'Alberto Magno: https://www.monasterovirtuale.it/servizi/download/dottori-della-chiesa/441-s-alberto-magno-l-unione-con-dio-2.html
AMDG et DVM
mercoledì 14 novembre 2018
Una barca con vela, ni muy grande, ni muy pequeña surca un hermoso lago
LA TEMPESTAD CALMADA
Una barca con vela, ni muy grande, ni muy pequeña surca un hermoso lago de color azul muy intenso. Es una barca de pesca, en que cómodamente pueden caber de cinco a seis personas.
SE REFLEJA LA PLACIDEZ EN SU ROSTRO.
Jesús está durmiendo en la popa. Su vestido es blanco, como de costumbre. Tiene la cabeza reclinada sobre el brazo izquierdo y debajo del brazo derecho, y en la cabeza tiene su manto azul gris doblado con muchos pliegues. Está sentado, pero no estirado, en la barca. Tiene la cabeza apoyada en el trozo de tablado que está en la parte extrema de la popa. No sé como la llaman los marineros. Jesús duerme plácidamente. Está cansado. Se refleja la placidez en su rostro.
Pedro está al timón. Andrés tiene a su cuidado las velas. Juan y otros dos, que no sé cómo se llamen, ponen en orden los cables y las redes en la barca como si tuviesen intención de prepararse para la pesca, que será probablemente en la noche. El día está por terminarse, pues el sol ya está llegando al occidente. los discípulos tienen las túnicas remangadas, que sostienen con cordón que ciñe la cintura, para verse más libres en los movimientos y poder pasar de un lado a otro dela barca, brincando sobre remos, asientos y cestas sin que les estorben los vestidos. Todos han dejado el manto.
Estoy viendo que el cielo se pone de color cobrizo. El sol se esconde detrás de nubes, presagio de tempestad porque salieron de repente de detrás de una colina. El viento las empuja velozmente hacia el lago. El viento por ahora está en alto y el lago todavía está tranquilo, tan sólo se hace de color cobrizo en sus ondas, que empiezan a agitar el agua.
Y TOMAN LAS PROVIDENCIAS PARA ATRACAR EN LA RIBERA,
PERO EL VIENTO SE ECHA SOBRE EL LAGO
Y EN POCOS MINUTOS TODO SE REVUELVE
Y TODO SE LLENA DE ESPUMA.
Pedro y Andrés contemplan el cielo y el lago y toman las providencias para atracar en la ribera, pero el viento se echa sobre el lago y en pocos minutos todo se revuelve y todo se llena de espuma. Ondas que se golpean unas contra otras, que golpean la navecilla, la levantan, la bajan, la inclinan de un lado a otro, e impiden las maniobras del timón. El viento choca furioso contra la vela que bajan.
Jesús sigue durmiendo. Ni los pasos, ni los gritos de los discípulos, ni el silbido del viento, y ni siquiera los golpes de las ondas contra los costados y la proa lo despiertan. Sus cabellos ondean al viento y le llega alguna rociada de agua. Pero sigue durmiendo. Juan, de la proa corre a la popa y lo cubre con su manto que sacó de debajo de la tarima. Lo cubre con cariño delicado.
La tempestad cada vez ruge más. El lago es negro ya, como si sobre él se hubiese echado tinta. Las espumas de las ondas lo rasguñan. La barca empieza a tragar agua, y el viento cada vez más la empuja. Los discípulos dificultosamente pueden maniobrar y sacar el agua que arrojan las ondas. Pero de nada sirve. Están echando el agua que les llega hasta la mitad de las piernas. La barca cada vez se hace más pesada.
Pedro pierde la calma y la paciencia. Da el timón a su hermano y tambaleándose va a Jesús, lo sacude con fuerza. Jesús despierta y levanta la cabeza.
"Sálvanos, Maestro. ¡Estamos perdidos!" grita Pedro (debe gritar para hacerse oír).
Jesús mira fijamente a su discípulo, mira a los demás y luego mira el lago. "¿Tienes fe de que Yo pueda salvar?"
"Pronto, Maestro" grita Pedro, mientras una montaña verdadera de agua, que ha partido del centro del lago, veloz se dirige contra la pobrecilla barca. Parece una tromba, por lo alto y espantosa.
Los discípulos que la ven venir, se arrodillan y se agarran de donde pueden, seguros de que les ha llegado el fin.
EXTIENDE LOS BRAZOS HACIA LA OLA Y DICE AL VIENTO:
"DETENTE Y CÁLLATE"
Y AL AGUA: "AQUIÉTATE. LO ORDENO."
Jesús se pone de pie, sobre la tarima de la proa. Una blanca figura proyectada sobre el cárdeno de la tempestad. Extiende los brazos hacia la ola y dice al viento: "Detente y cállate" y al agua: "Aquiétate. Lo ordeno."
Aquel monstruo se desgrana en espuma que cae sin causar daño alguno. Su rugido se pierde en un murmullo, igual que el viento que se pierde en un silbido que parece un suspiro. Sobre el lago apaciguado vuelve a aparecer un cielo sereno y la esperanza y la fe en los corazones de los discípulos.
No puedo describir la majestad de Jesús. Es menester verla para comprenderla. Yo gozo de ella en mi interior porque la tengo ante mi vista y pienso qué sueño tan plácido tenía Jesús, y cuán poderoso fue su imperio contra los vientos y contra las ondas.
OS PERSUADÁIS DE QUE SOIS NADA
Luego añade Jesús:
"No te comento el evangelio con el sentido con que los demás suelen comentarlo. Te explicaré lo que hay de fondo en el trozo evangélico.
¿Por qué dormía? ¿No sabía acaso que estaba la tempestad por llegar? Sí. Lo sabía. Yo sólo lo sabía. Y entonces ¿por qué dormía?
Los apóstoles eran hombres, María, animados de buena voluntad, pero todavía muy "mortales". El hombre se cree siempre capaz de todo. Cuando realmente es capaz de alguna cosa, se llena de gravedad y de cariño por su "capacidad". Pedro, Andrés, Santiago y Juan eran buenos pescadores y se creían insuperables en las maniobras marinas. Yo para ellos era un gran "Rabbí", pero un nada como marinero. Por esto me tenían por incapaz de ayudarlos y cuando subían a la barca para atravesar el mar de Galilea me pedían que me estuviese sentado porque no era capaz de hacer otra cosa. Su cariño también tomaba parte en ello, porque no querían que me fatigase. Pero su seguridad de que eran capaces, era mayor que su cariño.
No me impongo sino en casos excepcionales, María. Generalmente os dejo libres y espero. Aquel día, estaba cansado y me pidieron que descansase, esto es, que los dejase hacer lo suyo, pues eran muy prácticos, y me dormí. En mi sueño aparecía clara la señal de que el hombre es "hombre" y quiere hacer todo por sí, sin pensar que Dios quiere ayudarlo. Veía en aquellos "sordos espirituales" y en aquellos "ciegos espirituales", a todos los sordos y ciegos del espíritu, que por siglos y siglos habrían llegado a la ruina por querer hacer por sí, cuando me tienen a Mí cercano a ellos, a sus necesidades en espera de que me llamen en su ayuda.
MI AMARGURA CAYÓ COMO UNA PIEDRA QUE SE DEJA RODAR.
YO NO SOY UN "HOMBRE", SOY EL DIOS-HOMBRE.
Cuando Pedro gritó: "Sálvanos" mi amargura cayó como una piedra que se deja rodar. Yo no soy un "hombre", soy el Dios-Hombre. No obro como vosotros hacéis. Vosotros, cuando alguien ha rechazado vuestro consejo o ayuda y lo veis en medio de dificultades, aun cuando no sois demasiado malos para alegraros de ello, frecuentemente permanecéis fríos, indiferentes a su grito que os pide ayuda. Con vuestra actitud le decís: "Cuando te quise ayudar ¿quisiste? Ahora arréglatelas, tú". Pero Yo soy Jesús. Soy Salvador. Y salvo, María, Salvo siempre, no apenas se me invoca.
PARA ACORDAROS QUE TENÉIS UN PADRE.
COMO EL HIJO PRÓDIGO QUE SE ACORDÓ DE TENERLO
CUANDO TUVO HAMBRE.
Los pobres hombres podían objetar: "Entonces ¿por qué permites que se formen las tempestades individuales o colectivas?" Si con mi poder destruyese el mal, cualquiera que fuese, llegaríais a creeros autores del bien que en realidad sería don mío y no os acordaríais más de Mí. Tenéis necesidad, pobrecitos hijos, del dolor para acordaros que tenéis un Padre. Como el hijo pródigo que se acordó de tenerlo cuando tuvo hambre.
AL VER QUE NO LE AMÁIS. LLAMADME Y VENDRÉ."
Las desventuras sirven para que os persuadáis de vuestra nada, de vuestra locura, de vuestros errores, de vuestra maldad, causante de tantos lutos y dolores, de vuestras culpas, causa del castigo que vosotros mismos os infligís, y de la existencia de mi poder, de mi bondad. Ved que esto es lo que os dice el evangelio de hoy. "Vuestro" evangelio de la hora presente, pobrecitos hijos.
Llamadme. Jesús no duerme porque tiene angustia al ver que no le amáis. Llamadme y vendré."
III. 271-274
A. M. D. G.
"Figlioli, se avete qualche cosa contro di me, eccomi qua"
14. nov. nel V.O.
Giosafat Kuncewicz, nacque a Vladimir in Volinia.
Da piccolo, mentre la madre gli parlava della passione di Cristo, fu ferito nel cuore da una freccia scoccata dal petto di un'immagine di Gesù crocifisso.
A 20 anni si fece monaco basiliano.
Fu archimandrita a Wilna e poi arcivescovo di Plozk. Fu vero modello di ogni virtù.
Fu grande fautore dell'unione tra Chiesa greca e Chiesa latina; riportò nella Chiesa molti eretici.
A Vitebsk, dove era andato in visita pastorale, fu assalito dagli eretici. Lui stesso si presentò spontaneamente agli eretici che stavano invadendo l'episcopio, e disse: «Figlioli, se avete qualche cosa contro di me, eccomi qua!». Allora gli si scagliarono contro, lo percossero, lo infilzarono con lance, lo finirono con una scure, e poi lo gettarono in un fiume.
Il sangue del martire fu vantaggioso prima di tutto, agli stessi omicidi: essi infatti, condannati a morte, quasi tutti fecero l'abiura e si pentirono del male fatto.
Il papa Urbano VIII lo dichiarò beato.
Pio IX inserì nel catalogo dei santi - il primo fra gli appartenenti alla Chiesa orientale! – questo promulgatore dell'unità.
R. Rendiamo Grazie a Dio.
AMDG et DVM
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