lunedì 2 maggio 2016

Sant'Atanasio nella grande crisi dell'ortodossia



Atanasio, vescovo di Alessandria, fu un energico difensore della religione cattolica. 

Ancora diacono, confutò al concilio di Nicea l'empietà di Ario, attirandosi così l'odio degli ariani che da allora non desistettero più dal muovergli insidie. 

Condannato all'esilio, si recò a Tréviri in Francia. Sopportando indicibili sofferenze, andò peregrino, spesso cacciato dalla sua chiesa, spesso anche ad essa restituito per ordine del romano pontefice Giulio e dei concili di Sardi e di Gerusalemme, sempre perseguitato dall'ostilità degli ariani. 

Finalmente, liberato miracolosamente da tanti e così gravi pericoli, morì ad Alessandria sotto l'imperatore Valente. 

La sua vita e la sua morte furono rese illustri da grandi miracoli. 

Scrisse molte opere con pietà e con grande chiarezza per illustrare la fede cattolica. 

Resse in modo encomiabile la Chiesa di Alessandria per 46 anni tra le più diverse vicissitudini.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.

R. Grazie a Dio.



L’epoca in cui visse sant’Atanasio fu di grande crisi della ortodossia, cioè della Dottrina autentica. Siamo intorno al 360. In quel periodo (così come oggi) la Verità cattolica rischiava di scomparire. Celebre è la frase di san Girolamo che descriveva quei tempi: «E il mondo, sgomento, si ritrovò ariano».
In tale contesto, sant’Atanasio non si piegò. Egli era un giovane vescovo di Alessandria d’Egitto. Rimase talmente solo a difendere la purezza della Dottrina che per quasi mezzo secolo la sopravvivenza della Fede autentica in Gesù Cristo si trasformò in una diatriba tra chi era per e chi non per Atanasio.
Qualche cenno biografico. Egli nacque ad Alessandria nel 295. Nel 325 presenziò al celebre Concilio di Nicea, in qualità di diacono di Alessandro ch’era vescovo di Alessandria. Concilio famoso quello di Nicea perché fu lì che venne solennemente proclamata la Fede nella Divinità di Cristo in quanto consustanziale al Padre. Fu lì che fu stabilita la definizione per intendere l’uguaglianza del Figlio con il Padre: homoousius, che vuol dire “della stessa sostanza”. Attenzione a questa definizione (homoousius) perché questa sarà la sostanza del contendere. 
Torniamo alla vita di sant’Atanasio. Il 17 aprile del 328 morì il vescovo Alessandro e il popolo di Alessandria d’Egitto chiese a gran voce Atanasio come vescovo. Fu vescovo per ben 46 anni, ma furono 46 anni durissimi, 46 anni di lotta contro l’eresia ariana e contro gli ariani. Questi ovviamente rifiutavano proprio ciò che il Concilio di Nicea aveva detto di Gesù, il termine homoousius, che, come ho già ricordato, vuol dire: della stessa sostanza del Padre.

Il comportamento degli ariani di quel tempo è indicativo per capire quanto le vicende che toccarono a sant’Atanasio siano straordinariamente attuali. Sant’Ilario di Poitiers (315-367) racconta che gli ariani ebbero sempre la scaltrezza di rifiutare ogni scontro dogmatico in merito alla questione della natura di Gesù perché sapevano che le loro tesi non potevano essere fondate sulla Tradizione né sul Magistero definito. Si limitavano a fare ciò che solitamente fa chi non sa controbattere in una discussione: invece di rispondere sugli argomenti, calunnia. La discussione dottrinale veniva spesso trasformata in conflitto su questioni personali. Il povero sant’Atanasio fu accusato delle più grandi nefandezze: di aver imbrogliato, di aver violentato una donna, di aver ucciso, di minare all’unicità della Chiesa. Una tecnica che non passa mai di moda. D’altronde il demonio è sempre lo stesso e ha sempre la stessa monotona fantasia.

Gli ariani però non si limitarono a questo. Operarono anche con grande astuzia. Prima di tutto cercarono di occupare quante più sedi episcopali e poi lanciarono quello che successivamente è stato definito come semiarianesimo. Altra tecnica tipica delle eresie: una volta condannate, riemergono proponendo un compromesso tra la verità e l’errore. Gli ariani propagandarono la necessità di sostituire il termine stabilito dal Concilio di Nicea, homoousion, con il termine homoiousion. Differenza di una sola lettera, minimale, ma che cambiava tutto. Infatti, il primo termine (homoousion) significa “della stessa sostanza”, il secondo termine (homoiousion) significa “simile in essenza”. Traducendo si capisce quanto la differenza non sia di poco conto.

Mentre molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era cedimento sulla Dottrina, sant’Atanasio tenne fermo, resistette come un leone. Subì l’esilio per almeno cinque volte, ma non cedette. E – come si suol dire – non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva il dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore e quanto fossero pericolosi i semiariani, che invece agli occhi di molti sembravano innocui. Se la prendeva anche con chi voleva accettare il compromesso dottrinale. Sentite cosa diceva a riguardo: «Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portare il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo».

Nel 335 a Tiro, in Palestina, fu convocato un sinodo per dirimere la controversia e dunque per decidere quale atteggiamento avere nei confronti di ciò che affermava sant’Atanasio. Il concilio definì il Vescovo di Alessandria con questi termini: “arrogante”, “superbo” e “uomo che vuole la discordia”. Il papa Giulio I (?-352) cercò di difenderlo, ma poi di lì a non molto morì e il povero sant’Atanasio fu nuovamente attaccato.

Intanto anche il potere politico si accaniva contro di lui: l’imperatore Costanzo l’odiava. Fu convocato un concilio ad Arles e qui si costrinsero i vescovi a sottoscrivere una condanna di sant’Atanasio. Chi si opponeva difendendolo veniva mandato in esilio, fu il caso di Paolino di Treviri. Stessa sorte toccò anche al papa legittimo Liberio (?-366), che venne sostituito da un antipapa, Felice.
Fu allora che accadde ciò che viene ricordato come “caduta” di un Papa. Liberio, per ottenere il potere e tornare a Roma come papa legittimo, decise anch’egli di accettare l’ambigua definizione semiariana, eppure fino ad allora si era distinto per una convinta definizione dell’homoousius del Concilio di Nicea.  

Altri concili segnarono il trionfo dell’eresia: quelli non ecumenici di Rimini e di Seleucia, siamo nel 359. Ma era prevedibile che per come era stato trattato sant’Atanasio e soprattutto per come era stata rinnegata la vera Fede il castigo fosse alle porte. All’imperatore Costanzo, morto nel 360, successe Giuliano detto “l’apostata” (330-363), che arrivò a ripudiare il Battesimo cercando di restaurare il paganesimo.

Non passò molto tempo e il nuovo imperatore Valente, così come il nuovo papa Damaso, capirono che sant’Atanasio aveva ragione e lo riabilitarono. L’intrepido difensore della Fede cattolica morì il 2 maggio del 373.

Ancora due cose vanno messe in rilievo. La prima: ai tempi di sant’Atanasio a difendere la Fede ci fu solo lui e una piccola comunità, i vescovi dell’Egitto e della Libia. Solo loro seppero mantenere accesa la luce della fede. La seconda: è significativo che colui che combatté da solo contro l’eresia ariana, non fu mai un teologo. La sua grande sapienza teologica, più che dagli studi, gli venne dall’incontro con i suoi maestri cristiani che testimoniarono il martirio durante le persecuzioni di Diocle­ziano; e soprattutto dall’incontro con il grande sant’Antonio. Ario, invece, raccoglieva grande consenso per la sua grande preparazione biblica e teologica. Era insomma come tanti teologi che oggi vanno per la maggiore nei dibattiti, nelle prime pagine dei quotidiani e nei talk-show televisivi. Atanasio però sapeva quanto qui stesse l’insidia del demonio. Nella sua celebre Vita di Antonio egli riporta un insegnamento del suo grande maestro: «[...] i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze. Spesso fingono di cantare i salmi senza farsi vedere e citano le parole della Scrittura. [...]. A volte assumono sembianze di monaci, fingono di parlare come uomini di fede per trarci in inganno mediante un aspetto simile al nostro e poi trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni».


Autore: Corrado Gnerre


 

Questo Padre e Dottore della Chiesa è il più celebre dei vescovi alessandrini e il più intrepido difensore della fede nicena contro l'eresia di Ario. Costui, siccome faceva del Verbo un essere di una sostanza diversa da quella del Padre e un semplice intermediario tra Dio e il mondo, praticamente negava il mistero della SS. Trinità.
S. Atanasio nacque verso il 295 ad Alessandria d'Egitto da genitori cristiani i quali gli fecero impartire un'educazione classica. Discepolo di S. Antonio abate nella gioventù, si consacrò per tempo al servizio della Chiesa, Nel 325 accompagnò come diacono e segretario il suo vescovo Alessandro al Concilio di Nicea radunato dall'imperatore Costantino, nel quale fu solennemente definita la consostanzialità del Figlio con il Padre. S. Atanasio nel 328 fu acclamato dagli alessandrini loro pastore. Di lui dicevano: "E un uomo probo, virtuoso, buon cristiano, un asceta, un vero vescovo".
La chiesa di Alessandria si trovava divisa dallo scisma non solo di Ario, ma anche di Melezio di Licopoli. Durante la persecuzione di Diocleziano (305-306), costui, approfittando dell'assenza del vescovo Pietro di Alessandria, si era arrogato il diritto di ordinare e scomunicare secondo il suo arbitrio. Nonostante fosse stato deposto da un sinodo, buona parte del clero lo aveva seguito nello scisma. In mezzo a tante divisioni il compito del giovane Atanasio si presentava quanto mai difficile.
Ben presto cominciarono difatti gli intrighi contro di lui dei vescovi di corte ariani, capeggiati da Eusebio di Cesarea, per indurlo a ricevere nella sua comunione i vescovi amici di Ario. Atanasio vi si oppose energicamente. I meleziani a loro volta l'accusarono presso Costantino di aver imposto agli egiziani un tributo di pezze di lino e di aver fatto rompere il calice di un loro vescovo. Citato al tribunale dell'imperatore a Nicomedia, non fu difficile al santo discolparsi. Accusato ancora di aver fatto assassinare Arsente, vescovo meleziano di Ipsele, non fu difficile al medesimo accrescere lo scorno dei suoi nemici facendoglielo comparire davanti vivo.
L'accusato fu di nuovo riabilitato, ma gli ariani non si diedero per vinti. Essi persuasero Ario a sottoscrivere una formula di fede equivoca. Costantino se ne accontentò e intimò a tutti i vescovi di riceverlo nella loro comunione. Essendosi Atanasio ancora una volta rifiutato, fu deposto dal concilio di Tiro (335) e relegato a Treviri, nelle Gallie, dove rimase fino alla morte dell'imperatore (337). Gli eusebiani non potendo per allora sperare nulla dal potere civile, portarono davanti al papa Giulio I l'affare di Atanasio. Furono citate le due parti ad un concilio plenario, ma gli ariani, sicuri dell'appoggio di Costanzo II, imperatore d'Oriente, invece di presentarsi, posero sulla sede di Alessandria Gregorio di Cappadocia. Il secondo esilio di Atanasio durò sei anni. A Roma (341) e a Sardica (343) fu riconosciuta la sua innocenza. Durante il soggiorno romano egli viaggiò molto, e iniziò la chiesa latina alla vita monastica quale si praticava in Egitto. Nella Pasqua del 345 si recò ad Aquileia presso Costante, imperatore d'occidente, che gli ottenne dal fratello Costanzo il permesso di tornare alla sua sede dopo la morte del vescovo intruso (345).
Seguirono per il santo dieci anni di pace relativa, di cui approfittò non solo per comporre opere dogmatiche, o di apologia personale, ma per proseguire una politica di vigile controllo e di prudente conciliazione, i cui effetti furono disastrosi per il partito ariano. Difatti, due o tre anni dopo, egli era in comunione con più di 400 vescovi, e seguito dalla massa dei fedeli. In questo periodo egli consacrò vescovo di Etiopia S. Frumenzio, vero fondatore della chiesa cristiana in quel paese.
Alla morte del suo protettore Costante (350) e del papa Giulio I (352), i nemici di Atanasio tanto brigarono da riuscire a sollevargli contro anche l'episcopato d'Occidente nel Concilio di Arles (354) e in quello di Milano (355).
L'intrepido vescovo, ripieno di amarezza, fuggì allora nel deserto, dove i monaci per otto anni lo sottrassero con cura a tutte le ricerche. Dalla solitudine egli continuò a governare la sua chiesa e scrisse i Discorsi contro gli Ariani e le 4 Lettere a Serapione che formano la sua gloria come dottore della SS. Trinità. Poté ritornare in sede nel 362 dopo la morte di Costanzo, il massacro del vescovo intruso Giorgio dì Cappadocia e la salita al trono di Giuliano, il cui primo atto fu di richiamare i vescovi esiliati dal suo predecessore.
Fu cura di Atanasio ristabilire l'ortodossia nicena e combattere l'arianesimo ufficiale che aveva trionfato nei concili di Seleucia e di Rimini (359). Riunito un concilio, prese decisioni improntate a misericordia verso coloro che si erano dati all'eresia per ignoranza, e anche sul terreno dogmatico fu largo e tollerante per quello che potevano sembrare quisquiglie o pura terminologia. Tanta attività diretta a consolidare l'unità cattolica non tornò gradita a Giuliano, intento solo a ristabilire il paganesimo. Nel 363 S. Atanasio per la quarta volta lasciò la sua sede, ma solo per pochi mesi perché, morto l'imperatore nella spedizione contro i persiani, gli successe il cristiano Gioviano, che lo richiamò. Nel 365 il Santo dovette eclissarsi alla periferia della città per la sesta volta, perseguitato dall'imperatore d'Oriente, Valente, amico degli ariani. Dopo soli quattro mesi però fu richiamato perché gli egiziani minacciavano rivolte. Non lasciò più la sua fede fino alla morte avvenuta il 2-5-373 dopo 45 anni di governo forte e alle volte anche duro contro i suoi avversari.
Egli meritò a buon diritto il titolo di "grande" per l'indomabile fermezza di carattere dimostrata contro gli ariani e la potenza imperiale, sovente ad essi eccessivamente ligia. A ragione fu detto che in lui, "padre dell'ortodossia", combatteva tutta la Chiesa.
Finché visse sostenne ovunque con un'attività traboccante i propugnatori della vera fede. Così impedì che i vescovi dell'Africa latina sostituissero il simbolo compilato a Nicea con quello di Rimini; spinse papa Damaso ad agire contro Ausenzio, vescovo ariano di Milano, e incoraggiò S. Basilio, che cercava un appoggio per la pacificazione religiosa dell'oriente.
Della produzione letteraria di Atanasio non esiste ancora un'edizione critica. Nelle sue opere si nota limpidezza e acutezza di pensiero, ma la materia trattata manca di ordine ed è resa pesante dalle frequenti ripetizioni e dalla prolissità.

Autore: 
Guido Pettinati


Spunti bibliografici su Sant'Atanasio d'Alessandria a cura di LibreriadelSanto.it

LA FEDE EROICA DI UNA FANCIULLA CILENA... che difende la santità del Matrimonio

Beata Laura del Carmen


Laura del Carmen Vicuna, questo il suo nome completo, nacque nella capitale cilena, Santiago, il 5 aprile 1891,primogenita di José Domingo e di Mercedes Pino. La città era attraversata da tensioni politiche e militari ed a causa di ciò fu necessario atendere quasi due mesi per procedere alla celebrazione del suo battesimo, che ebbe luogo il 24 maggio successivo. Tra gli antenati di Laura figuravano parecchi personaggi illustri e per tal motivo la rivoluzione imperante si scagliò anche sulla famiglia di Laura. Il padre fu forzatamente costretto all’esilio e dovette trasferirsi verso sud, alla frontiera con l’Argentina sulle Ande. L’intera famiglia traslocò dunque a Temuco. La famiglia si ritrovò repentinamente in una triste situazione di precarietà a seguito della morte del padre avvenuta nel 1893. Alcuni mesi dopo, l’anno successivo, nacque una seconda bambina, Giulia Amanda. La madre si ritrovò così sola con due figlie a dover vincere la fame e la disperazione.

Nel 1899 il residuo nucleo familiare si trasferì nella vicina regione argentina del Neuquén. La madre potè così trovare lavoro nella tenuta agricola di Manuel Mora, uno dei tanti colonizzatori che avevano intrapreso lo sfruttamento dei terreni incolti della Patagonia. In seguito a pressioni subite dal datore di lavoro, ne divenne la compagna. Ciò conseguentemente influì purtroppo negativamente sull’educazione delle due bambine. Laura, seppur ancora piccola, si rese conto della precarietà e dell’irregolarità dal punto di vista religiosa della mamma, che in tal modo non poteva essere ammessa ai sacramenti.

Nonostante ciò la mamma non abbandonò mai completamente le figlie e tentò nei limiti del possibile di educarle anche religiosamente. Al fine di assicurare loro un’istruzione adeguata e continua, le affidò nel gennaio 1900 ad un piccolo collegio missionario tenuto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, situato a Junin de los Andes ai confini con il Cile, patria natia di Laura.

Di quest’ultima, nel consegnarla alla superiora, la madre assicurò: “Non mi ha mai dato dispiaceri. Fin dall’infanzia è stata sempre obbediente e sottomessa”.
Repentinamente catapultata in questo nuovo ambiente, Laura si trovò comunque subito a proprio agio. Il suo animo fu tempestivamente conquistato dalle verità evangeliche infusele mediante la catechesi e ciò la portò a rendersi maggiormente conto della contrarietà della situazione di convivenza della madre rispetto alla legge divina. Il 2 giugno 1901 potè ricevere la prima Comunione, ma in tal giorno divenne ancor più profonda la sua sofferenza nel vedere la mamma non accostarsi ai sacramenti. Non potè dunque astenersi dal pregare intensamente per la pacifica conclusione di tale relazione. Purtroppo la sua speranza non ebbe compimento, ma ciò non toglie che questa esperienza fu decisiva nel provocare una grande svolta nella sua vita, che fu così descritta: “Notammo in lei da quel giorno un vero e solido progresso”.

Il giorno della prima Comunione scrisse alcuni propositi, molto simili a quelli del santo allievo di don Bosco, Domenico Savio: “O mio Dio, voglio amarti e servirti per tutta la vita; perciò ti dono la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere. Voglio morire piuttosto che offenderti col peccato; perciò intendo mortificarmi in tutto ciò che mi allontanerebbe da te. Propongo di fare quanto so e posso perché tu sia conosciuto e amato, e per riparare le offese che ricevi ogni giorno dagli uomini, specialmente dalle persone della mia famiglia. Mio Dio, dammi una vita di amore, di mortificazione, di sacrificio”.


Con questi propositi Laura si abbandonò totalmente al Signore pur di ottenere la conversione di sua madre e le Figlie di Maria Ausiliatrice non tardarono a comprendere di trovarsi dinnanzi ad una bambina eccezionale.
Sin dal suo primo anno di permanenza nel collegio si distinse per la volenterosa applicazione nello studio e per l’intensità della sua vita interiore. Dall’8 dicembre 1900 si iscrisse alla Pia Unione delle Figlie di Maria.
Nel secondo anno le sorelle Vicuna furono mandate in vacanza dalla madre, ma Laura restò negativamente scossa dall’impatto con il suo convivente. Era sofferente fin nel più profondo della sua intimità, ma ciò non traspariva se non nei momenti di maggiore amarezza. Una di queste occasioni fu per esempio la mancata partecipazione della mamma alla missione popolare che fu predicata a Junin de los Andes. L’anno successivo le due sorelle raggiunsero nuovamente la mamma a Quilquihué nel periodo delle vacanze. Mora esternò un eccessivo interesse nei confronti di Laura, la quale se ne accorse prontamente e si cinse come di una corazza di ferro per combatterne i malvagi propositi. Questi reagì crudelmente e si vendicò rifiutandosi di pagare la retta del collegio. Mossa da pietà e comprensione la direttrice accolse ugualmente le due bambine.

Il 29 marzo 1902 le due sorelline ricevettero la cresima, presente la madre che però perseverò nell’astensione dai sacramenti. In tale occasione Laura fece richiesta di poter essere ammessa tra le postulanti delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ma ottenne una risposta negativa a causa della situazione familiare. Dovette dunque rassegnarsi, senza però desistere dal suo intento.


Il mese successivo, infatti, emise privatamente i voti di castità, povertà ed obbedienza, consacrandosi così a Gesù ed offrendogli la propria vita. Verso fine anno iniziò a manifestarsi in Laura un leggero deperimento fisico.
Trascorse l’intero anno successivo rinchiusa nel collegio e nel settembre 1903 non riuscì neppure a prendere parte agli esercizi spirituali, tanto era diventata cagionevole la sua salute. Tentò un cambiamento climatico, tornando dalla madre, ma ciò non si rivelò alquanto salutare. Allora tornò a Junin e vi si trasferì anche la madre, alloggiando però privatamente.

Nel gennaio 1904 giunse in visita il Mora, con il proposito di trascorrere la notte nella medesima abitazione. “Se egli si ferma qui, io me ne vado in collegio dalle suore” minacciò Laura scandalizzata, e così dovette fare seppur stravolta dal male. Mora la inseguì e, raggiuntala, la percosse violentemente lasciandola traumatizzata. Giunta poi in collegio si confessò dal suo direttore spirituale, rinnovando l’offerta della propria vita per la conversione della madre.

Il 22 gennaio ricevette il Viatico e quella sera fece chiamare la madre per trasmetterle il suo grande sogno: “Mamma, io muoio! Io stessa l’ho chiesto a Gesù. Sono quasi due anni che gli ho offerto la vita per te, per ottenere la grazia del tuo ritorno alla fede. Mamma, prima della morte non avrò la gioia di vederti pentita?”. Questa le promise allora di cambiare completamente vita. Laura potè allora spirare serenamente dopo aver pronunciato queste ultime gioiose parole: “Grazie, Gesù! Grazie, Maria! Ora muoio contenta!”


In occasione del funerale la mamma tornò ad accostarsi ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia.
La tomba di Laura è collocata nella cappella del Collegio Maria Ausiliatrice di Bahia Blanca, in Argentina, dove è metà di pellegrinaggi in particolare per le popolazioni cilena ed argentina.


Venerata fin dalla sua morte, l’apertura della sua causa di canonizzazione avvenne solo il 19 settembre 1955, portando al riconoscimento delle virtù eroiche ed al conferimento del titolo di “venerabile” il 5 giugno 1986.
A seguito del riconoscimento ufficiale di un miracolo avvenuto per sua intercessione, Laura del Carmen Vicuna, poema di candore, di amore filiale e di sacrificio, fu beatificata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il 3 settembre 1988 sul Colle delle beatitudini giovanili, presso Castelnuovo Don Bosco. Il nuovo Martyrologium Romanum la commemora dunque il giorno della sua morte, nel quale è fissata anche la sua memoria liturgica per la Famiglia Salesiana.

Con il riconoscimento di un ulteriore miracolo, verificatosi dopo la beatificazione, Laura potrà essere la più giovane santa non martire della storia della Chiesa.


PREGHIERA PER LA CANONIZZAZIONE

Concedimi, Signore, nella tua immensa bontà e misericordia,
le grazie che fiduciosamente imploro per intercessione di Laura Vicuna,
eletto fiore di santità sbocciato sulle Ande Patagoniche.
Della sua tenera esistenza la Tua grazia fece un modello
di pietà, di obbedienza, di vittoriosa purezza; l’ideale della Figlia di Maria;
la vittima nascosta e gradita dell’amor filiale più sollecito e fecondo.
Degnati, pertanto, di esaltare anche in terra l’emula di Agnese, Cecilia e Maria Goretti:
e fa che alla luce dei suoi esempi si accresca il numero
delle giovani forti nel combattimento spirituale e pronte al sacrificio,
per la Tua gloria, la gloria dell’Immacolata e i trionfi della chiesa.


PREGHIERE PER OTTENERE GRAZIE

*Ci rivolgiamo a te, Laura Vicuna, che la Chiesa ci propone
come modello di adolescente, coraggiosa testimone di Cristo.
Tu che sei stata docile allo Spirito Santo e ti sei nutrita di Eucaristia,
concedici la grazia che con fiducia ti domandiamo…
Ottienici fede coerente, purezza coraggiosa, fedeltà al dovere quotidiano,
fortezza nel vincere le insidie dell’egoismo e del male.
Fa che anche la nostra vita, come la tua, sia totalmente aperta alla presenza di Dio,
alla fiducia in Maria e all’amore forte e generoso verso gli altri. Amen.

*O beata Laura Vicuna,
tu che hai vissuto fino all’eroismo la configurazione a Cristo
accogli la nostra fiduciosa preghiera.
Ottienici grazie di cui abbiamo bisogno…
E aiutaciad aderire con cuore puro e docile alla volontà del Padre.
Dona alle nostre famiglie pace e fedeltà.
Fa che anche nella nostra vita, come nella tua,
risplendano fede coerente, purezza coraggiosa,
carità attenta e sollecita per il bene dei fratelli. Amen.

PREGHIERA

Signore nostro Dio,
ti lodiamo per i doni di grazia che hai effuso
nell’anima dell’adolescente Laura Vicuna.
Glorifica questa tua fedele serva
E fa che il suo cammino di fede coerente,
di purezza coraggiosa, di eroismo nella carità filiale
sia per le giovani di oggi richiamo efficace
all’impegno di vita cristiana.
Concedi a noi le grazie che per sua intercessione ti domandiamo
e dona alle famiglie la pace e l’unione,
frutto del vero amore. Amen.

COLLETTA

Padre d'immensa tenerezza,
che nell'adolescente Laura Vicuña
hai unito in modo mirabile
la fortezza d'animo e il candore dell'innocenza,
per sua intercessione
donaci il coraggio di superare le prove della vita
e di testimoniare al mondo la beatitudine dei puri di cuore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Autore: 
Fabio Arduino
Dal  santiebeati.it >

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!

LAUDETUR  CUM  MARIA!

SEMPER  LAUDENTUR!

LA FAMIGLIA E' LA CULLA della nascita e dello sviluppo di una nuova vita

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ES IT ]

RADIOMESSAGGIO DI 
SUA SANTITÀ PIO XII 

IN OCCASIONE DELLA
«GIORNATA DELLA FAMIGLIA»
Domenica, 23 marzo 1952


La famiglia è la culla della nascita e dello sviluppo di una nuova vita, la quale, affinché non perisca, ha bisogno di essere curata ed educata: diritto, questo, e dovere fondamentale dato e imposto immediatamente da Dio ai genitori. Contenuto e scopo dell’educazione nell’ordine naturale è lo sviluppo del bambino per divenire un uomo completo: contenuto e scopo dell’educazione cristiana è la formazione del nuovo essere umano, rinato nel battesimo, a perfetto cristiano. Tale obbligo, che fu sempre costume e vanto delle famiglie cristiane, è solennemente sancito dal canone 1113 del Codice di diritto canonico, che suona così: «Parentes gravissima obligatione tenentur prolis educationem tum religiosam et moralem, tum physicam et civilem pro viribus curandi, et etiam temporali eorum bono providenti ». « I genitori hanno il gravissimo obbligo di curare con tutte le loro forze l’educazione, così religiosa e morale, come fisica e civile, dei loro figli, e di provvedere anche al loro benessere temporale ».

Le questioni più urgenti di così vasto argomento sono state chiarite in diverse occasioni dai Nostri Predecessori e da Noi stessi. Pertanto Ci proponiamo ora non di ripetere quel che è già stato ampiamente esposto, ma piuttosto di richiamare l’attenzione sopra un elemento, che, pur essendo la base e il fulcro dell’educazione, specialmente cristiana, sembra invece ad alcuni, a prima vista, quasi estraneo ad essa. Vorremmo cioè parlare di ciò che vi è di più profondo ed intrinseco nell’uomo: la sua coscienza. Vi siamo indotti dal fatto che alcune correnti del pensiero moderno cominciano ad alterarne il concetto e ad impugnarne il valore. Tratteremo dunque della coscienza in quanto oggetto della educazione.
La coscienza è come il nucleo più intimo e segreto dell’uomo. Là egli si rifugia con le sue facoltà spirituali in assoluta solitudine: solo con se stesso, o meglio, solo con Dio — della cui voce la coscienza risuona — e con se stesso. Là egli si determina per il bene o per il male; là egli sceglie fra la strada della vittoria e quella della disfatta. Quando anche volesse, l’uomo non riuscirebbe mai a togliersela di dosso; con essa, o che approvi o che condanni, percorrerà tutto il cammino della vita, ed egualmente con essa, testimone veritiero ed incorruttibile, si presenterà al giudizio di Dio. La coscienza è quindi, per dirla con una immagine tanto antica quanto degna, un άδυτον un santuario, sulla cui soglia tutti debbono arrestarsi; anche, se si tratta di un fanciullo, il padre e la madre. Solo il sacerdote vi entra come curatore di anime e come ministro del Sacramento della penitenza; né per questo la coscienza cessa di essere un geloso santuario, di cui Dio stesso vuole custodita la segretezza col sigillo del più sacro silenzio.
In che senso dunque si può parlare della educazione della coscienza?

ESSENZA DELLA COSCIENZA CRISTIANA

Occorre rifarsi ad alcuni concetti fondamentali della dottrina cattolica per ben comprendere che la coscienza può e deve essere educata.
Il divin Salvatore ha arrecato all’uomo ignaro e debole la sua verità e la sua grazia: la verità per indicargli la via che conduce alla sua meta; la grazia per conferirgli la forza di poterla raggiungere.
Percorrere quel cammino significa, nella pratica, accettare il volere e i comandamenti di Cristo, e conformare ad essi la vita, cioè i singoli atti, interni ed esterni, che la libera volontà umana sceglie e fissa. Ora qual è la facoltà spirituale, che nei casi particolari addita alla volontà medesima, affinché scelga e determini, gli atti che sono conformi al volere divino, se non la coscienza? Essa è dunque eco fedele, nitido riflesso della norma divina delle umane azioni. Sicché le espressioni, quale «il giudizio della coscienza cristiana », o l’altra «giudicare secondo la coscienza cristiana », hanno questo significato: la norma della decisione ultima e personale per un’azione morale va presa dalla parola e dalla volontà di Cristo. Egli è infatti via, verità e vita, non solo per tutti gli uomini presi insieme, ma per ogni singolo [1]: è tale per l’uomo maturo, è tale per il fanciullo ed il giovane.
Da ciò consegue che formare la coscienza cristiana di un fanciullo o di un giovane consiste innanzi tutto nell’illuminare la loro mente circa la volontà di Cristo, la sua legge, la sua via, e inoltre nell’agire sul loro animo, per quanto ciò può farsi dal di fuori, affine di indurlo alla libera e costante esecuzione del divino volere. È questo il più alto impegno della educazione.

PRESUPPOSTI E FONTI DELLA EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA

Ma dove troveranno l’educatore e l’educando, in concreto e con facilità e certezza, la legge morale cristiana? Nella legge del Creatore impressa nel cuore di ciascuno [2], e nella rivelazione, nel complesso, cioè, delle verità e dei precetti, insegnati dal divino Maestro. Ambedue, sia la legge scritta nel cuore, ossia la legge naturale, sia le verità e i precetti della rivelazione soprannaturale, il Redentore Gesù ha rimesso, come tesoro morale della umanità, nelle mani della sua Chiesa, affinché essa le predichi a tutte le creature, le illustri e le trasmetta, intatte e difese da ogni contaminazione ed errore, dall’una all’altra generazione.

ERRORI NELLA FORMAZIONE E NELLA EDUCAZIONE
DELLA COSCIENZA CRISTIANA –
PRETESA REVISIONE DELLE NORME MORALI

Contro questa dottrina, incontrastata per lunghi secoli, emergono ora difficoltà ed obiezioni che occorre chiarire.
Come della dottrina dommatica, così anche dell’ordinamento morale cattolico si vorrebbe istituire quasi una radicale revisione per dedurne una nuova valutazione.
Il passo primario, o per dir meglio il primo colpo all’edificio delle norme morali cristiane, dovrebbe essere quello di svincolarle — come si pretende — dalla sorveglianza angusta ed opprimente dell’autorità della Chiesa, cosicché, liberata dalle sottigliezze sofistiche del metodo casistico, la morale sia ricondotta alla sua forma originaria e rimessa semplicemente alla intelligenza e alla determinazione della coscienza individuale.
Ognuno vede a quali funeste conseguenze condurrebbe un tale sconvolgimento dei fondamenti stessi della educazione.
Omettendo di rilevare la manifesta imperizia e immaturità di giudizio di chi sostiene simili opinioni, gioverà mettere in evidenza il vizio centrale di questa «nuova morale ». Essa, nel rimettere ogni criterio etico alla coscienza individuale, chiusa gelosamente in sé e resa arbitra assoluta delle sue determinazioni, ben lungi dall’agevolarle il cammino, la distoglierebbe dalla via maestra che è Cristo.
 Il divin Redentore ha consegnato la sua Rivelazione, di cui fanno parte essenziale gli obblighi morali, non già ai singoli uomini, ma alla sua Chiesa, cui ha dato la missione di condurli ad abbracciare fedelmente quel sacro deposito.
Parimente la divina assistenza, ordinata a preservare la Rivelazione da errori e da deformazioni, è stata promessa alla Chiesa, e non agli individui. Sapiente provvidenza anche questa, poiché la Chiesa, organismo vivente, può così, con sicurezza ed agilità, sia illuminare ed approfondire le verità anche morali, sia applicarle, mantenendone intatta la sostanza, alle condizioni variabili dei luoghi e dei tempi. Si pensi, per esempio, alla dottrina sociale della Chiesa, che, sorta per rispondere a nuovi bisogni, non è in fondo che l’applicazione della perenne morale cristiana alle presenti circostanze economiche e sociali.
Come è dunque possibile conciliare la provvida disposizione del Salvatore, che commise alla Chiesa la tutela del patrimonio morale cristiano, con una sorta di autonomia individualistica della coscienza?
Questa, sottratta al suo clima naturale, non può produrre che venefici frutti, i quali si riconosceranno al solo paragonarli con alcune caratteristiche della tradizionale condotta e perfezione cristiana, la cui eccellenza è provata dalle incomparabili opere dei Santi.
La «morale nuova » afferma che la Chiesa, anzi che fomentare la legge della umana libertà e dell’amore, e d’insistervi quale degna dinamica della vita morale, fa invece leva, quasi esclusivamente e con eccessiva rigidità, sulla fermezza e la intransigenza delle leggi morali cristiane, ricorrendo spesso a quei « siete obbligati », «non è lecito », che hanno troppo sapore di un’avvilente pedanteria.

I PRECETTI MORALI DELLA CHIESA PER LA EDUCAZIONE
 DELLA COSCIENZA NELLA VITA PERSONALE…

Ora invece la Chiesa vuole — e lo mette in luce espressamente quando si tratta di formare le coscienze — che il cristiano venga introdotto nelle infinite ricchezze della fede e della grazia, in modo persuasivo, così da sentirsi inclinato a penetrarle profondamente.
La Chiesa però non può ritrarsi dall’ammonire i fedeli che queste ricchezze non possono essere acquistate e conservate se non a prezzo di precisi obblighi morali. Una diversa condotta finirebbe col far dimenticare un principio dominante, sul quale ha sempre insistito Gesù, suo Signore e Maestro. Egli infatti ha insegnato che per entrare nel regno dei cieli non basta dire « Signore, Signore », ma deve farsi la volontà del Padre celeste [3]. Egli ha parlato della « porta stretta » e della « angusta via » che conduce alla vita [4], ed ha aggiunto: « Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare e non vi riusciranno » [5]. Egli ha posto come pietra di paragone e segno distintivo dell’amore verso Se stesso, Cristo, l’osservanza dei comandamenti [6]. Similmente al giovane ricco, che lo interroga, Egli dice: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » e alla nuova domanda « Quali? » risponde: « Non uccidere! non commettere adulterio! non rubare! non fare testimonianza falsa! onora il padre e la madre! e ama il prossimo tuo come te stesso! ». Egli ha messo come condizione a chi vuole imitarlo, di rinunziare a se stesso e di prendere ogni giorno la sua croce [7]. Egli esige che l’uomo sia pronto a lasciare per Lui e per la sua causa quanto ha di più caro, come il padre, la madre, i propri figli, e fin l’ultimo bene, la propria vita [8]. Poiché Egli soggiunge: « A voi dico, amici miei: non temete quei che uccidono il corpo, e dopo tanto non possono fare di più. Vi mostrerò io chi dovete temere: temete Colui, che, dopo tolta la vita, ha il potere di mandare all’inferno » [9].
Così parlava Gesù Cristo, il divino Pedagogo, che sa certamente, meglio degli uomini, penetrare nelle anime e attrarle al suo amore con le infinite perfezioni del suo Cuore, « bonitate et amore plenum » [10].
E l’Apostolo delle genti San Paolo ha forse predicato altrimenti? Col suo veemente accento di persuasione, svelando l’arcano fascino del mondo soprannaturale, egli ha dispiegato la grandezza e lo splendore della fede cristiana, le ricchezze, la potenza, la benedizione, la felicità in essa racchiuse, offrendole alle anime come degno oggetto della libertà del cristiano e meta irresistibile di puri slanci d’amore. Ma non è men vero che sono altrettanto suoi gli ammonimenti come questo: «Operate con timore e tremore la vostra salute » [11], e che dalla medesima sua penna sono scaturiti alti precetti morali, destinati a tutti i fedeli, siano essi di comune intelligenza, ovvero anime di elevata sensibilità. Prendendo dunque come stretta norma le parole di Cristo e dell’Apostolo, non si dovrebbe forse dire che la Chiesa di oggi è inclinata piuttosto alla condiscendenza che alla severità? Di guisa che l’accusa di durezza opprimente, dalla «nuova morale » mossa contro la Chiesa, in realtà va a colpire in primo luogo la stessa adorabile Persona di Cristo.
Consapevoli pertanto del diritto e del dovere della Sede Apostolica d’intervenire, quando bisogni, autorevolmente nelle questioni morali, Noi nel discorso del 29 ottobre del passato anno Ci proponemmo d’illuminare le coscienze intorno ai problemi della vita coniugale. Con la medesima autorità dichiariamo oggi agli educatori e alla stessa gioventù; il comandamento divino della purezza dell’anima e del corpo vale senza diminuzione anche per la gioventù odierna. Anch’essa ha l’obbligo morale e, con l’aiuto della grazia, la possibilità di conservarsi pura. Respingiamo quindi come erronea l’affermazione di coloro, che considerano inevitabili le cadute negli anni della pubertà, le quali così non meriterebbero che se ne faccia gran caso, quasi che non siano colpa grave, perché ordinariamente, essi aggiungono, la passione toglie la libertà necessaria, affinché un atto sia moralmente imputabile.
Al contrario, è norma doverosa e saggia che l’educatore, pur non trascurando di rappresentare ai giovani i nobili pregi della purezza, in guisa da avvincerli ad amarla e desiderarla per se stessa, inculchino tuttavia chiaramente il comandamento come tale, in tutta la sua gravità e serietà di ordinazione divina. Egli così spronerà i giovani ad evitare le occasioni prossime, li conforterà nella lotta, di cui non nasconderà loro la durezza, li indurrà ad abbracciare coraggiosamente quei sacrifici che la virtù esige, e li esorterà a perseverare e a non cadere nel pericolo di deporre le armi fin dal principio e di soccombere senza resistenza alle perverse abitudini.

.… E NELLA VITA PUBBLICA

Anche più che nel campo della condotta privata, vi sono oggi molti che vorrebbero escludere il dominio della legge morale dalla vita pubblica, economica e sociale, dall’azione dei pubblici poteri nell’interno e all’esterno, nella pace e nella guerra, come se qui Dio non avesse nulla da dire, almeno di definito.
L’emancipazione delle attività umane esterne, come le scienze, la politica, l’arte, dalla morale viene talora motivata in sede filosofica dall’autonomia che ad esse compete, nel loro campo, di governarsi esclusivamente secondo leggi proprie, benché si ammetta che queste collimano d’ordinario con quelle morali. E si reca ad esempio l’arte, alla quale si nega non solo ogni dipendenza, ma anche ogni rapporto con la morale, dicendo: l’arte è solo arte, e non morale né altra cosa, da reggersi quindi con le sole leggi della estetica, le quali peraltro, se sono veramente tali, non si piegheranno a servire la concupiscenza. In simile maniera si discorre della politica e della economia, che non hanno bisogno di prendere consiglio da altre scienze, e quindi dall’etica, ma, guidate dalle loro vere leggi, sono per ciò stesso buone e giuste.
È, come si vede, un sottile modo di sottrarre le coscienze all’imperio delle leggi morali. In verità, non si può negare che tali autonomie siano giuste, in quanto esprimono il metodo proprio di ciascuna attività e i confini che separano le loro diverse forme in sede teorica; ma la separazione di metodo non deve significare che lo scienziato, l’artista, il politico siano liberi da sollecitudini morali nell’esercizio delle loro attività, specialmente se queste hanno immediati riflessi nel campo etico, come l’arte, la politica, la economia. La separazione netta e teorica non ha senso nella vita, che è sempre una sintesi, poiché il soggetto unico di ogni specie di attività è lo stesso uomo, i cui atti liberi e coscienti non possono sfuggire alla valutazione morale. Continuando a osservare il problema con sguardo ampio e pratico, che fa talora difetto a filosofi anche insigni, tali distinzioni ed autonomie sono volte dalla natura umana decaduta a rappresentare come leggi dell’arte, della politica o dell’economia ciò che invece riesce comodo alla concupiscenza, all’egoismo e alla cupidigia. Così l’autonomia teorica dalla morale diviene in pratica ribellione alla morale, e si spezza altresì quella armonia insita alle scienze e alle arti, che i filosofi di quella scuola acutamente riscontrano, ma dicono casuale, mentre è invece essenziale, se considerata dal soggetto, che è l’uomo, e dal suo Creatore, che è Dio.
Perciò i Nostri Predecessori e Noi stessi, nello scompiglio della guerra e nelle turbate vicende del dopoguerra, non abbiamo cessato d’insistere sul principio che l’ordine voluto da Dio abbraccia la vita intera, non esclusa la vita pubblica in ogni sua manifestazione, persuasi che in ciò non vi è alcuna restrizione della vera libertà umana, né alcuna intromissione nella competenza dello Stato, ma una assicurazione contro errori ed abusi, dai quali la morale cristiana, se rettamente applicata, può proteggere. Queste verità debbono essere insegnate ai giovani e inculcate nelle loro coscienze da chi, nella famiglia o nella scuola, ha l’obbligo di attendere alla loro educazione, ponendo così il seme di un avvenire migliore.

ESORTAZIONE FINALE

Ecco quanto intendevamo oggi di dirvi, diletti figli e figlie che Ci ascoltate, e nel dirvelo non abbiamo nascosto l’ansia che Ci stringe il cuore per questo formidabile problema, che tocca il presente e l’avvenire del mondo e l’eterno destino di tante anime. Quanto conforto Ci darebbe d’essere certi che voi condividete questa Nostra ansia per la cristiana educazione della gioventù! Educate le coscienze dei vostri fanciulli con tenace e perseverante cura. Educatele al timore, come all’amore di Dio. Educatele alla veracità. Ma siate veraci per primi voi stessi, e bandite dall’opera educativa quanto non è schietto né vero. Imprimete nelle coscienze dei giovani il genuino concetto della libertà, della vera libertà, degna e propria di una creatura fatta ad immagine di Dio. E ben altra cosa che dissoluzione e sfrenatezza; è invece provata idoneità al bene; e quel risolversi da sé a volerlo e a compierlo [12]; è la padronanza sulle proprie facoltà, sugl’istinti, sugli avvenimenti. Educateli a pregare e ad attingere dalle fonti della Penitenza e della Ss.ma Eucaristia ciò che la natura non può dare: la forza di non cadere, la forza di risorgere. Sentano già da giovani che senza l’aiuto di queste energie soprannaturali essi non riuscirebbero ad essere né buoni cristiani, né semplicemente uomini onesti, cui sia retaggio un vivere sereno. Ma così preparati, potranno aspirare anche all’ottimo, potranno darsi cioè a quel grande impiego di sé, il cui adempimento sarà il loro vanto: attuare Cristo nella loro vita.
A conseguire questo scopo Noi esortiamo tutti i Nostri diletti figli e figlie della grande famiglia umana ad essere fra di loro strettamente uniti: uniti per la difesa della verità, per la diffusione del regno di Cristo sulla terra. Si bandisca ogni divisione, si rimuova ogni dissenso; si sacrifichi generosamente — costi quel che costi — a questo bene superiore, a questo supremo ideale, ogni veduta particolare, ogni preferenza soggettiva; « se mala cupidigia altro vi grida », la vostra coscienza cristiana vinca ogni prova, sicché il nemico di Dio « tra voi di voi non rida » [13]. Il vigore della sana educazione si riveli nella sua fecondità in tutti i popoli, i quali tremano per l’avvenire della loro gioventù. Così il Signore riverserà su di voi e sulle vostre famiglie l’abbondanza delle sue grazie, in pegno delle quali v’impartiamo con paterno affetto l’Apostolica Benedizione.

A.A.S., vol. XXXXIV (1952), n. 5 - 6, pp. 270 - 278.
[1] Cf. Io., 14, 6.
[2] Cf. Rom., 2, 14-16.
[3] Cf. Matth., 7, 21.
[4] Cf. Matth., 7, 13-14.
[5Luc., 13, 24.
[6] Io., 14, 21, 24.
[7] Cf. Luc., 9, 23.
[8] Cf. Matth., 10, 37-39.
[9Luc., 12, 4-5.
[10] Lit. de sacr. Corde Iesu.
[11Phil., 2, 12
[12] Cf. Gal., 5,13.
[13Par., 5, 79, 81.

LA FONTE

IL SALUTO 
PIU' LUMINOSO E BENEFICO


  • "Ave Maria”. E’ un saluto che monda le labbra e il cuore perché non si possono dire queste parole, con riflessione e sentimento, senza sentirsi divenire più buoni! E’ come avvicinarsi a una sorgente di luce angelica e a un’oasi fatta di gigli in fiore.
    Ave, la parola dell’angelo che c’è concesso di dire per salutare Quella che salutano con amore le Tre Eterne Persone, l’invocazione che salva (…) se detta come moto dello spirito che s’inchina davanti alla regalità di Maria, e si tende verso il suo Cuore di Madre.Se voi sapeste dire con vero spirito queste parole, anche solo queste due parole, sareste più buoni, più puri, più caritatevoli, perché gli occhi del vostro spirito sarebbero allora fissi in Maria e la santità di Lei vi entrerebbe nel cuore attraverso questa contemplazione. Ella è la fonte delle grazie e della misericordia. 3.9.43

  • L’amicizia con Maria è causa di perfezione, perché infonde e trasfonde le virtù dell’Amica eletta, che Dio non ha sdegnato e che v'ha concesso come coronamento dell’opera di Redenzione del Figlio suo. 3.9.43

  • "Piena di grazia La grazia era in Lei. La grazia ossia Dio, e la grazia ossia il dono di Dio da Lei saputo far fruttare al mille per cento. 4.9.43

  • Più Dio innalzava Maria verso il suo trono e più aumentavano in Lei riconoscenza, amore e umiltà. Più Dio le faceva capire come su di Lei fosse stesa la mano divina a protezione contro ogni insidia del male e più in Lei aumentava la vigilanza contro il male. (...) Maria pur riconoscendo l'opera di Dio in Lei, agì come se fosse la più derelitta delle creature. (...) La sua anima rimaneva sempre vigilante. 4.9.43
DEO GRATIAS!
et MARIAE!

L'AMORE EDIFICA


  • Il Sacerdozio è milizia, milizia che deve saper combattere a fianco dei laici, a protezione degli strumenti di Dio per essere di detti strumenti gli arcangeli che fugano l’Avversario nelle sue diverse forme.  

  • Pronti a morire nella tranquillità di una vita piana, pronti a uscire momentaneamente menomati e in che?

  • Nel misero concetto degli umani, ma aureolati del serto fulgido di una giustizia eroica per essere stati i “padri”, i “cirenei” degli strumenti crocifissi.