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lunedì 11 agosto 2014

ROSA TRENTATREESIMA




ROSA TRENTATREESIMA

[101] Mentre predicava il Rosario nelle vicinanze di Carcassona, a san Domenico, fu presentato un eretico albigese posseduto dal demonio. Il Santo, davanti a una folla che si ritiene composta di oltre dodicimila persone, lo esorcizzò, e i demoni che tenevano in dominio quel miserabile, furono costretti, loro malgrado, a rispondere alle domande dell'esorcista. E confessarono 1) che nel corpo di costui erano in quindicimila perché egli aveva osato combattere i quindici misteri del Rosario; 2) che san Domenico col suo Rosario terrorizzava tutto l'inferno e che essi stessi odiavano lui più di qualsiasi altra persona perché con questa devozione del Rosario strappava loro le anime; 3) rivelarono inoltre parecchi altri particolari.

San Domenico allora gettò la sua corona al collo dell'ossesso e chiese ai demoni chi mai fra tutti i Santi del cielo essi temessero di più e chi, a parere loro, meritasse più amore e onore da parte degli uomini. A tale domanda gli spiriti infernali levarono alte grida sì che la maggior parte dei presenti stramazzarono a terra per lo spavento. Poi quei maligni, per non rispondere direttamente alla domanda, cominciarono a piangere e a lamentarsi in modo così pietoso e commovente che parecchi fra gli astanti furono presi da una naturale pietà. Per bocca dell'ossesso e con voce piagnucolosa così dicevano: “Domenico, Domenico, abbi pietà di noi e promettiamo di non nuocerti mai. Tu che tanta compassione hai per i peccatori e per i miserabili, abbi pietà di noi meschini. Ahinoi!, soffriamo già tanto: perché ti compiaci di aumentare le nostre pene? Contentati di quelle che ci tormentano! Misericordia, misericordia misericordia!”.

[102] Impassibile davanti ai piagnistei di quegli spiriti, il Santo rispose che non avrebbe desistito dal tormentarli se prima non avessero essi stessi risposto alla sua domanda. Ed essi replicarono che avrebbero dato, la risposta, ma in segreto, all'orecchio e non di fronte a tutti. Domenico tenne duro e comandò che parlassero ad alta voce; ma ogni sua insistenza fu inutile e i demoni si chiusero nel silenzio. Allora il Santo si pose in ginocchio e pregò la Madonna: “Vergine potentissima, Maria, in virtù del tuo Rosario comanda, a questi nemici del genere umano di rispondere alla mia domanda”. Immediatamente dopo questa invocazione, una fiamma ardente uscì dalle orecchie, dalle narici e dalla bocca dell'ossesso; i presenti tremarono dalla paura ma nessuno ne subì danno. E si udirono le grida di quegli spiriti: “Domenico, noi ti preghiamo per la passione di Cristo e per i meriti della sua santa Madre e dei Santi: permettici di uscire da questo corpo senza dir nulla. Gli Angeli, quando tu vorrai, te lo riveleranno. Del resto, perché vuoi tu credere a noi? non siamo forse dei bugiardi? Non tormentarci oltre, abbi pietà di noi ”.

Disgraziati, siete indegni di pietà!” riprese san Domenico, e sempre in ginocchio pregò di nuovo la Vergine Santa: “O degnissima Madre della Sapienza, ti supplico per il popolo qui presente che ha già appreso a recitare come si deve il Saluto angelico, obbliga questi tuoi nemici a proclamare in pubblico la verità piena e chiara sul Rosario”.
Finita la preghiera vide accanto a sé la Vergine Maria, circondata da una moltitudine di angeli, che con una verga d'oro colpiva l'ossesso e gli diceva: “Rispondi al mio servo Domenico conforme alla sua richiesta”. Da notare che nessuno udiva né vedeva la Madonna all'infuori di san Domenico.


[103] A tale comando i demoni presero a urlare:
“O inimica nostra, o nostra damnatrix, o nostra inimica, o nostra damnatrix, o confusio nostra, quare de coelo descendisti ut nos hic ita torqueres? Per te quae infernum evacuas et pro peccatoribus tanquam potens advocata exoras; o Via coeli certissima et securissima, cogimur sine mora et intermissione ulla, nobis quamvis invitis, et contra nitentibus, totam rei proferre veritatem. Nunc declarandum nobis est simulque publicandum ipsum medium et modus quo ipsimet conjundamur, unde vae et maledíctio in aeternum nostris tenebrarum principibus.

Audite igitur vos, christiani. Haec Christi Mater potentissima est in praeservandis suis servis quonimus praecipites ruant in baratrum nostrum inferni. Illa est quae dissipat et enervat, ut sol, tenebras omnium machinarum et astutiarum nostrarum, detegit omnes fallacias nostras et ad nihilum redigit omnes nostras tentationes. Coactique fatemur neminem nobiscum damnari qui ejus sancto cultui et pio obsequio devotus perseverat. Unicum ipsius suspirium, ab ipsa et per ipsam sanctissimae
Trinitati oblatum, superat et excedit omnium sanctoruin preces, atque pium et sanctum eorum votum et desiderium, Magisque eum formidamus quam omnes paradisi sancios; nec contra fideles ejus famulos quidquam praevalere possumus.

Notum sit etiam vobis plurimos christianos in hora mortis ipsam invocantes contra nostra jura salvari, et nisi Marietta illa obstitisset nostrosque conatus repressisset, a longo iam tempore totam Ecclesiam exterminassemus, nam saepissime universos Ecclesiae status et ordines a fide deficere fecissemus. Imo planius et plenius vi et necessitate compulsi, adhuc vobis dicimus, nullum in exercitio Rosarii sive psalterii eius perseverantem aeternos inferni subire cruciatus. Ipsa enim devotis servis suis veram impetrat contritionem qua fit ut peccata sua confiteantur, et eorum indulgentiam a Deo consequantur”.

[104] “O nostra nemica, nostra rovina e nostra confusione! perché sei tu scesa dal cielo apposta per farci tanto soffrire? O avvocata dei peccatori che ritrai dall'inferno, o via sicurissima del Paradiso, siamo noi proprio obbligati, a nostro dispetto, a dire tutta la verità? Dobbiamo proprio confessare davanti a tutti ciò che ci coprirà di vergogna e sarà causa della nostra rovina? Guai a noi! e maledizione eterna ai nostri principi delle tenebre! Ebbene, udite voi cristiani: questa Madre di Cristo è onnipotente e può impedire che i suoi servi cadano nell'inferno. E' lei che, come un sole, dissipa le tenebre dei nostri intrighi e astuzie; è lei che sventa le nostre mene, disfa i nostri tranelli e rende vani e inefficaci tutte le nostre tentazioni.

Siamo costretti a confessarvi che nessuno di quanti perseverano nel suo servizio è dannato con noi. Uno solo dei sospiri ch'ella offra alla SS. Trinità vale più di tutte le preghiere, i voti, i desideri dei Santi.
Noi la temiamo più di tutti i beati insieme e nulla possiamo contro i suoi fedeli servitori. Anzi, avviene che molti cristiani i quali secondo le leggi ordinarie andrebbero dannati, invocandola in punto di morte riescono a salvarsi per l'intercessione di lei. Ah, se questa Marietta ‑ così la chiamavano per rabbia ‑ non si fosse opposta ai nostri progetti e ai nostri sforzi, già da molto tempo noi avremmo rovesciato e distrutto la Chiesa e fatto cadere nell'errore e nell'infedeltà tutte le sue gerarchie! Proclamiamo, inoltre, costretti dalla violenza che ci viene usata, che nessuno di quanti perseverano nella recita del Rosario, va dannato perché ella ottiene ai suo fedeli servi una sincera contrizione dei loro peccati e ricevono perdono e indulgenza”.

Ottenuta questa confessione san Domenico fece recitare il Rosario dagli astanti, adagio e con devozione. Ed ecco la cosa sorprendente: ad ogni Ave Maria recitata dal Santo e dal popolo usciva dal corpo di quell'ossesso una moltitudine di demoni in forma di carboni ardenti. Quando l'infelice ne fu completamente libero, la Vergine Santa, sempre non vista, benedisse il popolo e tutti avvertirono una sensibile e vivissima gioia. Questo miracolo fu causa di conversione per molti eretici che entrarono perfino nella confraternita del Rosario.

NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA
pgerardomaria@libero.it


mercoledì 6 agosto 2014

ROSA TRENTADUESIMA


ROSA TRENTADUESIMA

[100] San Domenico aveva un cugino di nome don Perez o Pedro, che conduceva una vita molto dissoluta. 

Costui un giorno, avendo sentito dire che il santo stava predicando sulle meraviglie del Rosario e che per tale mezzo molti si convertivano e cambiavano condotta, si disse: “Avevo perduto ogni speranza di salvarmi, ma ora riprendo fiducia; bisogna che anch'io vada ad ascoltare questo uomo di Dio”. E andò alla predica di san Domenico. Questi, non appena lo vide, pregò in cuor suo il Signore perché aprisse gli occhi al cugino, e si rendesse conto dello stato miserando della propria anima; raddoppiò di energia nel tuonare contro i vizi. 
Don Perez ne fu alquanto scosso ma non tanto da risolversi a cambiare vita. Tornò, tuttavia, alla predica seguente.

Allorché il Santo lo vide, convinto che quel cuore indurito si sarebbe ravveduto solo per un colpo straordinario della grazia, esclamò a voce alta: “Signore Gesù, fate vedere a quanti sono qui radunati in quale stato si trova colui che è entrato or ora nella tua casa!”. E tutta l'assemblea poté vedere don Perez circondato da un'orda di demoni in forma di bestie orribili che lo tenevano legato con catene di ferro: presi dallo spavento fuggirono chi qua chi là, con immensa confusione di don Perez, egli pure spaventato e vergognoso d'essere oggetto di orrore a tutti. 

San Domenico, però, fece fermare la gente e rivolto al cugino disse: “Riconosci, infelice, lo stato deplorevole della tua anima e gettati ai piedi della Madonna! Su, prendi questa corona del Rosario, recitalo con devozione, pentiti dei tuoi peccati e risolvi di cambiar vita!”. 

Don Perez obbedì e in ginocchio recitò il Rosario; subito dopo si sentì ispirato a confessarsi e lo fece con estrema contrizione. Il Santo gli ordinò allora di recitare ogni giorno il Rosario ed egli non solo promise, ma scrisse egli stesso il proprio nome nel registro della confraternita. Quando uscì dalla chiesa il suo volto che poco prima aveva fatto inorridire gli astanti, appariva splendente come il volto di un angelo. 

Si seppe in seguito che perseverando nella recita del Rosario, egli aveva condotto vita molto regolata ed era morto serenamente.

MAGNIFICAT

martedì 24 settembre 2013

SANTI AGOSTINO, DOMENICO, FRANCESCO


GRANDEZZA 
DEI SANTI AGOSTINO, DOMENICO, FRANCESCO


Memore del grande pontefice Agostino, per il quale Geltrude aveva, fin dalla prima infanzia, nutrito grande divozione, ringraziò fervorosamente Dio per tutti i benefici che aveva a lui accordati. Il glorioso Pontefice le apparve a fianco di S. Bernardo, nello splendore di un'identica gloria, giacchè non gli è inferiore nè per la sublimità della vita, nè per la soavissima abbondanza della dottrina. 

Agostino stava davanti al trono della divina Maestà, adorno dell'incomparabile bellezza della gloria celeste; e, come S. Bernardo, mandava dal suo cuore fino alla profondità del Cuore divino, dardi infiammati, simbolo dell'ardente eloquenza con la quale aveva eccitati gli uomini al divino amore. Dalla, sua bocca scaturivano raggi brillanti come quelli del sole che si spandevano nella vasta regione del cielo, per simboleggiare l'opulenza della sacra dottrina, che l'eminente Dottore aveva distribuito a tutta la Chiesa. Al di sopra di queî raggi, si curvavano archi di luce meravigliosa, la cui prospettiva avrebbe affascinato qualsiasi sguardo. 

Mentre Geltrude era in ammirazione davanti a quel luminoso edificio, S. Bernardo le disse che i raggi degli insegnamenti di S. Agostino rifulgevano con speciale incanto, perchè l'incomparabile Dottore aveva sempre cercato, con parole e scritti, di diffondere gli splendori della fede cattolica. Dopo lunghi; traviamenti nelle vie tortuose dell'errore, Dio l'aveva richiamato misericordiosamente dalle tenebre dell'ignoranza alla luce delle supreme verità; desiderava pertanto, procurare la gloria del Signore, chiudendo agli uomini le vie dell'errore e dell'ignoranza, per mostrar loro la stella della fede che guida a salvezza eterna.

Geltrude allora chiese a S. Bernardo: « Nei vostri scritti non avevate forse, Padre Santo, la stessa intenzione? ». Egli rispose: « In tutti i miei atti, parole, scritti non ebbi altro fine che l'amor di Dio. Ma questo grande Dottore era spinto a lavorare per la salvezza delle anime, non solo dall'amore divino, ma anche per le disgrazie della sua personale esperienza».

Il Signore attrasse poi nel suo divin Cuore tutti i frutti di fede, di consolazione, di scienza, di luce, d'amore che le parole di Agostino avevano prodotto negli abitanti del cielo e della terra, per rimandarli in seguito nel cuore del Santo, dopo d'aver loro conferito pregio ineffabile nel contatto col suo divin Cuore. Quella dolce effusione, avendo colmata l'anima del Santo Dottore e penetratala fin nelle più intime fibre di gioie celesti, inondò anche il suo cuore, e lo fece vibrare quasi lira melodiosa. 

Come il cuore di S. Bernardo aveva prodotto i suoni dolcissimi dell'innocenza e dell'amore, quello di S. Agostino fece echeggiare le gradite modulazioni di una generosa penitenza e di un'ardente carità. Sarebbe stato difficile dire quale delle due armonie offrisse maggior incanto all'anima degli uditori estasiati! S. Bernardo disse poi a Geltrude
«Queste sono le modulazioni di cui è scritto: ''Omnis illa Deo sacrata et diletta civitas plena modulamine in laude (Inno alla festa della Dedicazione: non è però citato parola per parola, ma solo nel significato generico). Tutta questa sacra città cara a Dio, è piena di modulazione e di lodi". Infatti i cori dei Santi cantano armoniosamente le lodi di Dio, secondo la varietà delle loro, virtù.


Nella festa del glorioso S. Agostino, mentre al Vespro si recitava il Responsorio 
«Vulneraverat charitas Christi», l'illustre Pontefice apparve in piedi, raggiante di gloria, tenendo in mano il cuore, quel suo santissimo cuore tante volte ferito col dardo della carità divina.
Egli parve aprirlo ed offrirlo a lode di Dio, come magnifica rosa che doveva rallegrarlo coi suo profumo, allietando in pari tempo tutta la Corte celeste. Geltrude salutò con divozione il venerabile Padre, pregando per tutti quelli che le si erano raccomandati, e anche per le anime che nutrivano particolare affetto verso il grande Pontefice. Agostino, a sua volta, supplicò il Signore, perché i cuori che desideravano, per i suoi meriti, d'infiammarsi d'amore di Dio, potessero dilatarsi e diffondere un delizioso profumo davanti alla divina Maestà a lode e. gloria della risplendentissima, adorabile Trinità. 

Mentr'ella recitava divotamente il Mattutino, desiderò sapere quale ricompensa riceverebbe S. Agostino per la disposizione che manifesta nelle Confessioni quando dice che, durante la vita mortale, non poteva saziarsi di gustare la dolcezza incomparabile che provava, considerardo la magnificenza del piano divino nell'opera della salvezza degli uomini. 

Il venerabìle Padre le apparve bentosto, in una gloria meravigliosa, secondo la parola d'Isaia: « Laetitia sempiterna super capita eorum - Una gioia sempiterna coronerà il suo capo» (Isaia XXXV, 10). 
Infatti un globo stupenda roteava velocemente sul suo capo, offrendo a ogni istante, un'alternativa di colori che procurava al beato Padre delizie spirituali ineffabili, le quali ne allietavano i sensi corporei. 

Gli occhi erano affascinati dallo splendore delle stelle che si staccavano da quel globo nelle rapide evoluzioni, e tale vista lo ricompensava delle considerazioni con le quali, in terra, aveva cercato in Dio ogni suo bene; le orecchie erano rallegrate dall'armonia che si sprigionava dai movimenti del globo, e tale godimento era la degna rimunerazione per avere costantemente orientato verso Dio la sua sublime intelligenza. Per avere poi disprezzate le gioie del mondo e cercato Dio solo, egli aspirava un'aria balsamica, ricca di soavi fragranze; la sua bocca gustava squisitissimo miele, per avere offerto al Signore gradito soggiorno nel suo cuore. Sappiamo infatti dalla parola del Saggio, che Dio trova la sua delizia nel cuore dell'uomo.

Il globo, al quale abbiamo accennato, stillava sul santo Pontefice dolce rugiada che lo penetrava di soavità celeste, ricompensandolo delle immani fatiche sopportate per la gloria di Dio e il bene della Chiesa con la santità della parola, degli scritti, degli esempi.

La Corte celeste gioiva per le delizie dell'incomparabile Pontefice, e il gaudio da essa provato era tale, che sarebbe stato sufficiente per rendere felici tutti gli uomini.

Il Signore disse in seguito a Geltrude: «Guarda come il mio diletto splende in un candore più scintillante della neve, per la dolce umiltà ed ardente carità!». La Santa rispose meravigliata: «O mio Gesù, come puoi affermare che questo Santo abbia una purezza più splendente della neve? Egli è degno di venerazione per la santa sua vita, ma è pur vero che rimase a lungo nell'eresia e contrasse molta macchie di peccato». Rispose il dolce Maestro: «Ho permesso che rimanesse a lungo nell'errore, appunto per dare risalto alle vie misteriose della Provvidenza, e alla paziente misericordia con cui l'ho atteso a conversione. Volli così manifestare la mia bontà infinita, e la tenerezza gratuita di cui ha sentito il decisivo influsso».


Dopo queste ineffabili parole, Geltrude considerò più attentamente la bellezza luminosa del grande Dottore. I suoi abiti erano trasparenti come il cristallo, ed attraverso a vari colori, si vedevano rifulgere purezza, umiltà, amore.

Aggiunse allora Geltrude: « Mio Gesù, il dolcissimo San Bernardo che ti ha amato così teneramente, non ha forse anch'egli posto in te ogni sua gioia, come il fervente S. Agostino? Eppure, quando lo contemplai nella sua gloria, non mi parve così completa ». 

Rispose Gesù: Ho ricompensato generosamente Bernardo, mio eletto; ma la debolezza della tua mente non può capire, nella sua realtà, la gloria del più piccolo dei miei Santi, a maggior ragione non puoi cogliere l'ineffabile gaudio di Santi così grandi. Pure per soddisfare ai tuoi pii desideri, ti mostrerò i meriti di alcuno de' miei eletti. Questa vista ti farà crescere nell'amore e capirai meglio che: « Vi sono molte mansioni nella casa di mio Padre - In. Domo Patris met mansiones multae sunt » (Giov. XIV, 2). Ti sarà inoltre svelato perchè si dice a lode di ogni Santo « Non est inventus similis illi qui conservaret legem Excelsi - Non si è trovato chi, come lui, osservasse la legge dell'Altissimo » (Eccl. XLIV, 20) perchè non c'è nessun eletto che sia perfettamente simile ad un altro e non abbia qualche sua caratteristica».
« Se è così - riprese Geltrude - o Dio di verità, degnati rivelarmi, malgrado la mia miseria, qualche cosa che riguarda i meriti delle vergini che ho tanto amato, fino dalla prima età: l'amabile Agnese e la gloriosa Caterina ». (Tale favore le fu accordato come già fu detto al capitolo VIII e si dirà al capitolo LVII di questo stesso libro). 





La Santa, sempre smaniosa di cognizioni celesti, amò pure conoscere qualche cosa dei meriti di S. Domenico e S. Francesco, Fondatori illustri dei due Ordini religiosi che fecero rifiorire meravigliosamente la Chiesa di Dio. 

Quei venerabili Padri le apparvero raggianti di gloria stupenda, simile a quella di S. Benedetto, adorni di rose vaghissime, e portando in mano un brillante scettro d'onore. Essi assomigliavano al Santi Agostino e Bernardo, a motivo del loro zelo per la gloria di Dio, la salvezza delle anime e la pratica delle stesse virtù. 
Avevano tuttavia qualche differenza: S. Francesco brillava per la grande umiltà, S. Domenico. per i suoi ferventissimi desideri. Durante la S. Messa, mentre Geltrude s'inabissava in Dio, pensando a ciò che doveva cantare, fu rapita in spirito all'inizio della sequenza e trasportata davanti al trono della divina Maestà.


Allora tutti i Santi, per ricordare e celebrare le spirituali delizie che aveva gustate nella notte precedente, contemplando la gloria del grande Agostino e degli altri Santi di cui abbiamo parlato, le cantarono i sei primi versi della sequenza: « Interni festi gaudia nostra sonet harmonia - La nostra armonia fa prorompere le gioie della festa interiore ». (Vedi in appendice questa magnifica sequenza). Geltrude ad ogni accento, raccolse in cuore illustrazioni e delizie speciali. Dopo il sesto verso tutti i Santi tacquero e invitarono la Santa a cantare a sua volta i versi seguenti, per restituire loro la gioia ch'essi le avevano procurata. Seguendo la sua abitudine, ella, sul divino liuto del Cuore di Gesù, cantò a lode dell'intera Corte celeste « Beata illa patria - Quella felice patria» e i cinque versi che seguono. Ascoltandola i beati comprensori vennero colmati di gioie ineffabili.


In seguito Gesù, Sposo tenerissimo, accarezzandola dolcemente, le cantò questi due versi: « In hac valle miseriae - In questa valle di miserie » e "Quo mundi post exilia -  dopo l'esilio del mondo »: Nello stesso tempo, come un eccellente Maestro, o per meglio dire, come amorosissimo Padre, insegnò alla diletta sua figliola in quale modo avrebbe potuto meritare le gioie eterne, applicandosi frequentemente quaggiù alle cose di Dio. 
I cori angelici vennero a presentare al grande pontefice Agostino i voti della Chiesa cantando «Harum laudum praeconia - Ciò che proclamano queste lodi, ecc. », e tutti i Santi si associarono, cantando i versetti che seguono, per glorificare Dio nel suo servo. 

In quel frattempo il beato Agostino illuminava e rallegrava la Corte celeste coi raggi della sua gloria. Ai due ultimi versi:. « Cujus sequi vestigia - A seguire le sue tracce », il Signore, volendo esaudire la preghiera del santo Pontefice, alzò la mano tracciando un ampio segno di croce su tutti coloro che l'avevano onorato con devote lodi.


lunedì 22 luglio 2013

Santo Domingo de Guzmán: HOMILÍA DEL SR.OBISPO DE OSMA-SORIA MONS. GERARDO MELGAR VICIOSA

HOMILÍA 
DEL SR.OBISPO DE OSMA-SORIA
MONS. GERARDO MELGAR VICIOSA

Homilía en la festividad de Santo Domingo de Guzmán, 
patrono secundario de la Diócesis 
S. I. Catedral de El Burgo de Osma (Soria) – 8 de agosto de 2011

Excmo. Cabildo de la S. I. Catedral, 
religiosos dominicos llegados de Caleruega, 
queridos hermanos todos: 
Honramos en esta mañana la memoria de Santo Domingo de Guzmán
canónigo que fue de esta S. I. Catedral. Domingo, cuyo nombre significa consagrado al Señor, fue el fundador de la Orden de Predicadores, tan importante en la historia de la Iglesia Católica. 

Nuestro santo, patrono secundario de esta Iglesia particular de Osma-Soria, 
nació en Calaruega en 1171. Su madre, Juana de Aza, mujer tan admirable por sus 
virtudes que fue declarada beata por la Iglesia, lo educó en la más recta formación religiosa. A los catorce años fue a vivir con un tío suyo a Palencia, en cuya casa trabajaba y estudiaba. La gente decía de él que -por la edad- era un jovencito pero por su seriedad y madurez parecía un anciano. Gozaba especialmente con la lectura de libros religiosos y practicando la caridad con los pobres. 

Éste podría ser, resumido en cuatro grandes pinceladas, el resumen de sus 
primeros años de vida, años que tanto marcaron indeleblemente su carácter y su 
vida interior. No voy a hacer una exposición exhaustiva de su biografía, hermanos, pues creo que es conocida de todos. Sin embargo, sí quisiera detenerme en los aspectos más significativos de su espiritualidad pues son plenamente actuales para nosotros. Sabemos perfectamente que las vidas de los santos no son historias pasadas que no tienen nada o casi nada que decir al hombre actual; todo lo contrario: las vidas de los santos -y sobre todo sus virtudes y actitudes vividas de forma extraordinaria- cuestionan e interpelan a los hombres y mujeres de todos 
los tiempos.

En Santo Domingo, como afirmaba anteriormente, sobresalen varios rasgos 

que tienen mucho que decirnos a nosotros hoy. Quiero referirme a cuatro, 
especialmente: 

1. Santo Domingo de Guzmán quedó marcado para siempre por la decisiva 

influencia de vivir en una familia creyente. Para él, el don de una madre llena de 
virtudes -que en todo momento fue un ejemplo y le enseñó a valorar y vivir la vida de fe- fue un auténtico regalo de Dios. Esta experiencia de nuestro santo contrasta y denuncia a la vez la situación familiar actual, que nada o muy poco tiene que ver con la que vivió Domingo. Realmente podemos decir que nuestras familias se han ido, poco a poco, paganizando. Hoy no es en el seno de la familia donde se tiene y se vive la primera experiencia de fe que marca para siempre la vida de los hijos. 
Nuestras familias, de nombre cristianas porque se constituyeron desde el Sacramento del matrimonio, no dejan cabida a Dios en ellas; Dios es el gran ausente pues no se reza en familia ni se vive la fe en familia. En nuestras familias, hermanos, hoy preocupa el dinero, el pasarlo bien, el divertirse, etc.; todo ello manteniendo a Dios al margen, negando a Éste la posibilidad de irrumpir para configurar la vida familiar. 
Todo esto antedicho contrasta con la experiencia de Santo Domingo, 
experiencia que le formó para caminar valientemente por el camino de la santidad. 
Por eso debe preocuparnos la vivencia de la fe en nuestras propias familias; debe 
inquietarnos el cultivo de la vida cristiana en la mismas y, como Iglesia diocesana, el planteamiento de una pastoral familiar que ayude a las familias a ser lo que Dios quiere de ellas: lugares en los que se viva la fe, en los que el espíritu de sacrificio y de entrega sea aprecio, en los que todos seamos testigos del poder y del valor de fe. 

2. Otro de los aspectos sobresalientes de la vida de nuestro santo es el gran 

amor a los pobres y necesitados, como presencia y encarnación de Cristo en cada 
uno de ellos. En vida de Santo Domingo sobrevino por Palencia una gran 
hambruna; las gentes suplicaban una ayuda para sobrevivir. Domingo repartió 
todo lo que tenía en casa, hasta los muebles. Cuando no le quedaba ya nada, vendió lo que más amaba y apreciaba para ayudar a los necesitados -sus libros- y repartió entre los pobres todo lo que obtuvo de la venta. 
Sin embargo, nuestro santo 
también sufrió incomprensión y críticas en este sentido. Sin embargo, cuando 
alguien critica tal desprendimiento, él con amabilidad y paz contestaba: “No puede ser que Cristo sufra hambre en los pobres mientras yo guarde en mi casa algo con lo cual pueda socorrerlos”. 

En una ocasión, estando predicando en Francia, veía cómo los predicadores 
llegaban en carruajes elegantes, con ayudantes e iban a hospedarse en buenos 
lugares; indagando comprobó que las conversiones de herejes que conseguían 
eran realmente mínimas. Él optó por un estilo totalmente distinto: él vivía pobre, 
como uno más de los pobres, siendo verdadero ejemplo en todo; se dedicaba a 
enseñarles la verdadera religión con todas sus energías, consiguiendo un grupo de 
compañeros que -siguiendo su estilo- empezaron a evangelizar consiguiendo 
grandes éxitos apostólicos. 
En verdad podemos decir que Santo Domingo fue pobre 
con los pobres y por los pobres. Es ésta otra faceta que seguro que interpela 
nuestra vida. Junto a nosotros hoy existe también la pobreza de tantas personas y 
familias que -por la situación económica actual- lo están pasando realmente mal; 
estas situaciones interpelan nuestra sensibilidad, nuestra solidaridad y nuestra 
caridad, y nos hacen una llamada urgente al desprendimiento de lo nuestro para 
compartirlo con los necesitados. 

3. En tercer lugar desearía reflexionar sobre el valor tan primordial que 

Santo Domingo daba a la contemplación del Misterio para poder enseñar y 
predicar después. Ésta era una de las normas que nuestro santo dio a sus 
religiosos: primero contemplar y después enseñar. Dedicar tiempo y esfuerzos a 
estudiar y meditar las enseñanzas de Jesucristo para después dedicarse a predicar 
con todo el entusiasmo posible, siempre y en todas partes. Y es que Santo Domingo deseaba que el oficio principalísimo de sus religiosos fuera predicar como lo hacía él, hablando de Dios siempre: en casa, fuera de ella y por los caminos, etc. 

Esta exigencia nos interpela también a todos nosotros hoy. La 
contemplación del Misterio divino, la oración y el estudio tantas veces son 
descuidados; no cuidamos estos preciosos tiempos como deberíamos pues “hay 
muchas cosas que hacer”, muchas actividades pastorales en las que ocuparnos. 

Esto 
es cierto, queridos hermanos. Pero nos puede estar sucediendo lo que a aquel 
bombero que -ante la urgencia del incendio- salió corriendo y se olvidó de llenar 
los depósitos de agua para apagar el fuego. ¡Tantas veces nos sucede a nosotros 
esto! Nos olvidamos que antes debemos llenarnos de Dios para podérselo ofrecer a los demás, siendo así que nos convertimos en profesionales que hablan de 
memoria pero sin experiencia viva de Dios en el corazón. 

Revisemos todos nuestra vida de oración, el tiempo dedicado a la 
contemplación de Dios y nuestro estudio como medios imprescindibles para que 
nuestra tarea evangelizadora dé sus frutos auténticos.

4. Por último, queridos hermanos, y aunque hay muchos más aspectos que 
podemos resaltar de la vida de Santo Domingo, desearía compartir con vosotros 
algunas reflexiones sobre la alegría que llenaba su vida. La alegría brillaba siempre 
en su cara como fruto y testimonio de su buena conciencia; por eso, cuantos le 
miraban quedaban prendados de él. Donde quiera y con quién quisiera que se 
encontrara siempre tenía palabras edificantes con las que hacía nacer en el 
corazón del oyente el amor a Cristo y el desprecio de lo mundano. 
Esta profunda alegría, nacida de su vida en Dios, también debe interpelar 
nuestra vida cristiana, nuestra tarea evangelizadora, nuestra vida sacerdotal o 
consagrada. Y es que a veces da la sensación que al cristiano de hoy le falta alegría. 
Los sacerdotes y religiosos nos siempre expresamos en nuestra vida la alegría de 
ser lo que somos. Nuestras palabras no siempre son edificantes y, en lugar de 
animar a amar a Dios, tantas veces no dejan traslucir un fiel testimonio de Cristo. 
Queridos hermanos: Santo Domingo nos recuerda que tenemos que mirar 
muchas veces a los santos, conocer su vida, imitar sus virtudes. Ellos son modelo y ejemplo de vida cristiana; ellos nos estimulan con su ejemplo en el camino de la fe. 
Por eso, pidamos hoy al Señor -por intercesión de Santo Domingo- que vivamos y encarnemos esas mismas actitudes y virtudes que tan espléndidamente él vivió. 
Que así sea. 

Mons. Gerardo Melgar Viciosa 
Obispo de Osma-Soria

giovedì 21 marzo 2013

«La lectura y la oración son las armas con que se vence al demonio y se conquista el cielo»



De la lectura espiritual
San Alfonso María de Ligorio

 

Tan necesaria, quizás, como la oración es la lectura de los libros santos para la vida espiritual. Escribe San Bernardo: «La lectura espiritual nos prepara para la oración y para la práctica de las virtudes» y luego añade, a modo de conclusión «la lectura y la oración son las armas con que se vence al demonio y se conquista el cielo»

No siempre se puede tener a mano al padre espiritual que nos aconseje en nuestras obras, y sobre todo en nuestras dudas; pues la lectura puede suplirlos, suministrándonos luces, enseñándonos el camino para huir de los engaños del demonio y de nuestro amor propio, y para aceptar conocer la voluntad de Dios. Por eso asegura San Atanasio que «no es posible encontrar quien, dedicándose al servicio del Señor, no sea gran amante de la lectura espiritual». 

Se comprende, pues, que todos los santos fundadores hayan recomendados tanto este piadoso ejercicio a sus religiosos. San Benito prescribió que todos hicieran lectura cada día, y que dos monjes se encargara de recorrer ese tiempo las celdas, para ver si era observado este punto; caso de encontrar algún negligente en su cumplimiento, quería que se le impusiera una penitencia. Y antes que todos los fundadores, lo había prescrito San Pablo a Timoteo: «Aplícate a la lectura»: Nótese la palabra que emplea: attende; es decir, que por muchos que fueran los cuidados que le exigieran sus ovejas –Timoteo era obispo–, quería San Pablo que se dedicara a la lectura de libros santos, no como de pasada y por breve tiempo, sino aplicándose expresamente a ella con detención. 


Tan grande es el provecho que causan los libros buenos, cuanto es grande el daño que causan los libros malos; así como aquellos han sido con frecuencia causa de conversión de muchos pecadores, así estos (los libros malos, revistas de cotilleos, y cualquier otros que no inviten al camino de la virtud) causan la ruina de muchos jóvenes. El autor de los libros buenos es el Espíritu de Dios, así como de los libros malos son del espíritu del demonio, que a muchos logra engañar frecuentemente, disimulando el veneno que tales libros encierran. 

«Los malos libros, junto con los malos programas de televisión, son el peor veneno que el demonio se vale en nuestros tiempos para arrastrar las almas al infierno. Si San Ligorio hubiera vivido en nuestros días, no sé lo que hubiera dicho contra las revistas pornográficas y las inmoralidades de televisión. Claro está que es un pecado gravísimo recrearse en estas cosas; pero el cristiano que ama a Dios y al prójimo por Dios, no le basta salvar su alma huyendo de contemplar esas inmoralidades, sino que ha de hacer cuánto este de su parte para conseguir que esas cosas desaparezcan del país. ¡Que Dios nos ayude a conseguirlo!» (El editor). 

Pero sigamos oyendo al santo sobre la eficacia de los buenos libros que edifica nuestro espíritu y nos anima por tener una conciencia sin mancha de pecado por la gracia y el amor que solo Dios nos puede dar. ¡Qué grande son los bienes que produce la lectura de los libros santos! 

*** 

En primer lugar, así como la lectura de los malos libros, según queda escrito, llena el alma de sentimientos mundanos y perniciosos, la lectura de los buenos libros llena el espíritu de pensamientos y deseos santos. 




¿Qué pensamientos santos puede cultivar un alma ocupada, en lecturas de libros curiosos y profanos, que hace germinar en su cabeza ideas mundanas y en el corazón una legión de afectos terrenos? ¿Cómo se va a mantener en la presencia de Dios y como va a hacer actos y afectos piadosos? El molino muele el grano que se le hecha; si se le hecha mal grano, ¿cómo queremos que de harina buena? Irá a la oración y a la comunión, y en vez de estar pensando en Dios y haciendo actos de amor y de confianza, estará profundamente distraída, porque le vendrá en tropel a la memoria todas las vanas ideas de sus lecturas. 

En cambio, quien tiene la mente bien nutrida de especies devotas, como máximas espirituales, ejemplos de virtud de los santos, se verá acompañada de tales pensamientos, no solo durante la oración, sino también fuera de ella; por lo cual podrá ser casi continuo su recogimiento en Dios. 


San Bernardo lo explica todo esto con una bella comparación sobre aquel pasaje de San Mateo: Buscad y hallareis. “Buscad leyendo –explica el santo– y encontrareis meditando; la lectura pone el alimento en la boca para masticarlo por la meditación”. 

En segundo lugar, el alma embebecida en santos pensamientos por medio de la lectura, estará mejor dispuesta para rechazar las tentaciones interna. 
Con este fin, San Jerónimo se la aconsejaba a su discípula Salvina: «No dejes de las manos los libros divinos, que serán un escudo donde reboten las flechas de los malos pensamientos. 

En tercer lugar, la lectura nos sirve para ver las manchas del alma, y viéndolas, más fácilmente las podremos quitar. El mismo San Jerónimo escribió a Demetriades «que se sirviera de la lectura como de un espejo»; con lo cual quería significar que, así como el espejo nos descubre las manchas del rostro, la lectura de los libros santos descubre las manchas de la conciencia. «En ella –nota San Gregorio hablando de la lectura– vemos que tenemos de hermoso y lo que tenemos de deforme, por ella apreciamos nuestros progresos»; vemos si hemos adelantado o hemos retrocedidos en las vías de Dios. 

En cuarto lugar, por la lectura de los libros santos recibimos muchas luces, y sentimos las llamadas divinas. Advierte San Jerónimo que «Cuando oramos, le hablamos (a Dios) cuando leemos, le oímos». 

No siempre, como decía antes, podremos tener junto a vosotras (almas que buscan la santidad) al padre espiritual, ni siempre podremos oír la palabra de santos predicadores, que nos den luces y nos dirijan acertadamente por los caminos de Dios, pero tenemos quien lo sustituye en los buenos libros. 


¡Cuantos santos han abandonado el mundo y se han dado a Dios por la lectura de un libro espiritual! 

Bien es conocido el ejemplo de San Agustín, que, estando miserablemente aherrojado por sus pasiones y sus vicios, fue iluminado por luz celestial que le vino por la lectura de una Epístola de San Pablo [a los Romanos], salió de las tinieblas y comenzó a caminar hacia la santidad. Lo mismo le aconteció a San Ignacio de Loyola; siendo todavía soldado, para vencer el aburrimiento de las horas que tenía que estar en el lecho, a causa de las heridas comenzó a leer un libro de Vida de santo, que por la providencia divina le vino a las manos; eso le bastó para comenzar a ser santo, convertido en padre (en la vida espiritual) y fundador de esa religión de la Compañía de Jesús, que tantos días de gloria ha dado a la Iglesia. 

San Juan Colombini leyó también por casualidad, y casi contra su voluntad, un libro devoto, y eso bastó para hacerle dejar el mundo y hacerle fundador de una orden religiosa.


De dos cortesanos del emperador Teodosio. Cuenta San Agustín que dos entraron un día en un monasterio: un de ellos se puso a curiosear una Vida de San Antonio que encontró en una celda; pero de tal modo le fueron dominando los santos pensamientos que leía, que allí mismo tomó la resolución de dejar el mundo, y luego habló a su compañero con tal fervor, que los dos decidieron dedicarse en aquel monasterio, al servicio de Dios. 



En las crónicas de los carmelitas descalzos se lee que una señora de Viena se había arreglado una tarde para asistir a un sarao; pero cuando hubo llegado al salón y viendo que la fiesta se había suspendido, se llenó de rabia y para distraer el mal humor tomó un libro espiritual que por la providencia de Dios le vino a sus mano; el libro trataba del desprecio del mundo, y tanto la convenció, que dio un adiós al mundo y se hizo carmelita.

Pero no se crea que los libros devotos ayudaron a los santos al principio de sus conversiones, fueron su ayuda toda su vida, para conservar y aumentar cada día más su perfección.

El glorioso Santo Domingo cogía sus libros de devoción, los estrechabas efusivamente y exclamaba «Estos son los pechos que me dan leche».

¿Cómo podían los santos anacoretas pasarse tan largos años en el desierto, lejos de todo comercio humano, sino con la ayuda de la oración y la compañía de los libros espirituales? Para el gran siervo de Dios, Tomás de Kempis, no había mayor recreación que estar en un rincón de su celda con un libro que le hablara de Dios. Ya recordé en otro lugar las palabras del Venerable Vicente Caraffa “Que para él no había en el mundo vida más envidiable que esconderse en una gruta solitaria, con un pedazo de pan y un libro de devoción”. San Felipe Neri dedicándose todos los ratos libres que tenía para leer libros espirituales, y sobre todo, vidas de santos. 


GESU' MARIA GIUSEPPE!

giovedì 4 agosto 2011

S. Domenico di Guzman e il Santo Rosario.




San Domenico Confessore, che fu il Fondatore dell'Ordine dei Frati Predicatori, 
e si riposò in pace ai sei di questo mese.


Essendo la festa del Padre San Domenico è opportuno riportare l'origine del santo Rosario, secondo la fedele tradizione, come ne parla san Luigi Maria Grignion de Montfort nel gran libro "Il segreto ammirabile del Santo Rosario" che consigliamo a tutti.



[11] Il Santo Rosario,
 nella forma e nel metodo in cui è recitato attualmente, fu ispirato alla santa Chiesa e suggerito dalla Vergine a san Domenico per convertire gli Albigesi e i peccatori, soltanto nel 1214, nel modo che sto per dire, così come lo riferisce il beato Alano della Rupe nel suo celebre libro De Dignitate psalterii.
San Domenico, constatando che i peccati degli uomini erano di ostacolo alla conversione degli Albigesi, si ritirò in una foresta presso Tolosa e vi restò tre giorni e tre notti in continua preghiera e penitenza. E tali furono i suoi gemiti e i suoi pianti, le sue penitenze a colpi di disciplina per placare la collera di Dio che cadde svenuto. 


La Vergine santa, allora gli apparve accompagnata da tre principesse del cielo e gli disse: «Sai tu, caro Domenico, di quale arma si servì la SS. Trinità per riformare il mondo?» - «Signora mia - le rispose - voi lo sapete meglio di me: dopo il figliolo vostro Gesù voi foste lo strumento principale della nostra salvezza». Ella soggiunse: «Sappi che l'arma più efficace è stato il Salterio angelico, che è il fondamento della Nuova Alleanza; perciò se tu vuoi conquistare a Dio quei cuori induriti, predica il mio salterio».

Il Santo si ritrovò consolato e ardente di zelo per la salvezza di quelle popolazioni, andò nella cattedrale di Tolosa. Immediatamente le campane, mosse dagli angeli, suonarono a distesa per radunare gli abitanti. 
All'inizio della sua predica si scatenò un furioso temporale; il suolo sussultò, il sole si oscurò, tuoni e lampi continui fecero impallidire e tremare tutto l'uditorio. Il loro spavento crebbe quando videro una effige della Vergine, esposta in luogo ben visibile, alzare per tre volte le braccia al cielo e chiedere la vendetta di Dio su di loro qualora non si convertissero e non ricorressero alla protezione della santa Madre di Dio. Questo prodigio del cielo infuse la più alta stima per la nuova devozione del Rosario e ne estese la conoscenza.

Il temporale finalmente cessò per le preghiere di san Domenico, che proseguì il discorso spiegando l'eccellenza del santo Rosario con tanto fervore ed efficacia da indurre quasi tutti gli abitanti di Tolosa ad abbracciarne la pratica e a rinunciare ai propri errori. 
In breve tempo si notò nella città un grande cambiamento di costumi e di vita.


ROSA TERZA


[12] Questo prodigioso stabilirsi del santo Rosario, che ricorda un poco il modo con cui Dio promulgò la Legge sul Sinai, mostra con chiarezza l'eccellenza di questa sublime pratica. 


 San Domenico, ispirato dallo Spirito Santo, istruito dalla Vergine e dalla sua personale esperienza, fin che visse predicò il Rosario con l'esempio e con la parola, nelle città e nelle campagne, ai grandi e ai piccoli, ai sapienti ed agli ignoranti ai cattolici ed agli eretici. 


Il santo Rosario, ch'egli recitava ogni giorno, era la sua preparazione alla predica e il suo appuntamento dopo la predicazione.
[13] Un giorno - ricorreva la festa di san Giovanni Evangelista - il Santo stava in una cappella dietro l'altare maggiore della cattedrale di Notre-Dame a Parigi e recitava il santo Rosario per prepararsi a predicare. 

La Vergine gli apparve e disse: «Domenico, la predica che, hai preparato è buona, ma molto migliore è questa che ti pre-sento». San Domenico riceve dalle mani di lei il libro in cui è scritto il discorso, lo legge, lo gusta, lo fa suo e ringrazia la Vergine santa. All'ora della predica sale sul pulpito e, dopo aver detto in lode di san Giovanni Evangelista soltanto ch'egli aveva meritato di essere il custode della Regina del cielo, dichiara all'illustre uditorio dei grandi e dei dottori abituati a discorsi singolari e forbiti, che avrebbe continuato non con le dotte parole della sapienza umana, ma con la semplicità e la forza dello Spirito Santo. E li intrattenne sul Rosario, spiegando loro, parola per parola come avrebbe fatto parlando a fanciulli, il Saluto angelico, servendosi dei pensieri e degli argomenti molto semplici letti sul foglio che gli era stato consegnato dalla Madonna.

[14] Il fatto è stato tolto, almeno in parte, dal libro del beato Alano della Rupe: De Dignitate Psalterii, e così riferito dal Cartagena: 



Il beato Alano afferma che san Domenico gli disse un giorno in una rivelazione: «Figlio mio, tu predichi, e sta bene; ma perché tu non abbia a ricercare la lode umana più che la salvezza delle anime, ascolta quanto mi accadde a Parigi. Dovevo predicare nella grande chiesa dedicata alla beata Vergine Maria e volevo parlare in modo ingegnoso, non per orgoglio ma per riguardo alla qualità elettissirna degli uditori. Mentre pregavo, come ero solito per un'ora circa prima del discorso, recitando il Rosario, fui rapito in estasi: vidi la divina Madre, mia amica, porgermi - un libretto e dirmi: "Domenico, per quanto sia ben fatto il discorso che conti di tenere, io te ne porto uno molto migliore". Tutto lieto prendo, il libro, me lo leggo per intero e, come ella aveva detto, vi trovo ciò che bisognava predicare. La ringraziai di cuore. Venuta l'ora di predicare, avevo davanti l'intera Università di Parigi ed un gran numero di signori, informati o testimoni essi pure, delle meraviglie operate dal Signore per mio mezzo. Salgo all'ambone. Era la festività di san Giovanni evangelista, ma dell'apostolo io mi limito a dire che meritò di essere prescelto come custode della Regina del cielo. Poi passai a dire così all'uditorio: "Signori e Maestri illustri; voi siete abituati ad ascoltare discorsi eleganti ed elevati, però oggi non voglio rivolgervi le dotte parole della sapienza umana, ma rivelarvi lo Spirito di Dio e la sua forza"». E allora, nota Cartagena insieme al beato Alano, S. Domenico, spiegò, con paragoni e similitudini familiari, la salutazione angelica.

[15] Lo stesso beato Alano della Rupe, come riferisce ancora il Cartagena, racconta di parecchie altre apparizioni di Nostro Signore e della Vergine Santa a san Domenico per stimolarlo ed infervorarlo sempre più a predicare il santo Rosario perché il peccato sia distrutto e i peccatori e gli eretici si convertano. Ad un certo punto il Cartagena scrive: «Il Beato Alano racconta che la Madonna gli rivelò come suo Figlio Gesù Cristo era apparso a san Domenico, e gli aveva detto: «Domenico, io mi compiaccio nel constatare che non ti appoggi sulla tua personale sapienza, che lavori con umiltà alla salvezza delle anime e non cerchi di piacere agli uomini vani. Molti predicatori, invece, usano fin dal principio tuonare contro i peccati più gravi, ignorando che prima di somministrare un rimedio disgustoso bisogna disporre il malato a riceverlo e a profittarne. Per questo devono innanzitutto esortare gli uditori ad amare la preghiera e specialmente il salterio angelico. Se tutti incominceranno a pregare così, senza dubbio la divina clemenza sarà propizia a quanti persevereranno. Predica dunque il mio Rosario».


***** ***** *****








Si distinse fin da giovane per carità e povertà. Convinto che bisognasse riportare il clero a quella austerità di vita che era
alla base dell'eresia degli Albigesi e dei Valdesi, fondò a Tolosa l'Ordine dei Frati Predicatori che, nato sulla Regola
agostiniana, divenne nella sostanza qualcosa di totalmente nuovo, basato sulla predicazione itinerante, la mendicità
(per la prima volta legata ad un ordine clericale), una serie di osservanze di tipo monastico e lo studio approfondito. San
Domenico si distinse per rettitudine, spirito di sacrificio e zelo apostolico. Le Costituzioni dell'Ordine dei Frati Predicatori
attestano la chiarezza di pensiero, lo spirito costruttivo ed equilibrato e il senso pratico che si rispecchiano nel suo
Ordine, uno dei più importanti della Chiesa.


Domenico nacque nel 1170 a Caleruega, un villaggio montano della Vecchia Castiglia (Spagna) da Felice di Gusmán e
da Giovanna d'Aza.
A 15 anni passò a Palencia per frequentare i corsi regolari (arti liberali e teologia) nelle celebri scuole di quella città. Qui
viene a contatto con le miserie causate dalle continue guerre e dalla carestia: molta gente muore di fame e nessuno si
muove! Allora vende le suppellettili della propria stanza e le preziose pergamene per costituire un fondo per i poveri. A
chi gli esprime stupore per quel gesto risponde: "Come posso studiare su pelli morte, mentre tanti miei fratelli muoiono
di fame?"


Terminati gli studi, a 24 anni, il giovane, assecondando la chiamata del Signore, entra tra i "canonici regolari" della
cattedrale di Osma, dove viene consacrato sacerdote. Nel 1203 Diego, vescovo di Osma, dovendo compiere una
delicata missione diplomatica in Danimarca per incarico di Alfonso VIII, re di Castiglia, si sceglie come compagno
Domenico, dal quale non si separerà più.
Il contatto vivo con le popolazioni della Francia meridionale in balìa degli eretici catari, e l'entusiasmo delle cristianità
nordiche per le grandi imprese missionarie verso l'Est, costituiscono per Diego e Domenico una rivelazione: anch'essi
saranno missionari. 


Di ritorno da un secondo viaggio in Danimarca scendono a Roma (1206) e chiedono al papa di
potersi dedicare all'evangelizzazione dei pagani.
Ma Innocenzo III orienta il loro zelo missionario verso quella predicazione nell'Albigese (Francia) da lui ardentemente e
autorevolmente promossa fin dal 1203. Domenico accetta la nuova consegna e rimarrà eroicamente sulla breccia anche
quando si dissolverà la Legazione pontificia, e l'improvvisa morte di Diego (30 dicembre 1207) lo lascerà solo. Pubblici e
logoranti dibattiti, colloqui personali, trattative, predicazione, opera di persuasione, preghiera e penitenza occupano
questi anni di intensa attività; cosi fino al 1215 quando Folco, vescovo di Tolosa, che nel 1206 gli aveva concesso S.Maria di Prouille per raccogliere le donne che abbandonavano l'eresia e per farne un centro della predicazione, lo nomina predicatore della sua diocesi.


Intanto alcuni amici si stringono attorno a Domenico che sta maturando un ardito piano: dare alla Predicazione forma
stabile e organizzata. 
Insieme a Folco si reca nell'ottobre del 1215 a Roma per partecipare al Concilio Lateranense IV e
anche per sottoporre il suo progetto a Innocenzo III che lo approva. L'anno successivo, il 22 dicembre, Onorio III darà
l'approvazione ufficiale e definitiva. E il suo Ordine si chiamerà "Ordine dei Frati Predicatori".


Il 15 agosto 1217 il santo Fondatore dissemina i suoi figli in Europa, inviandoli soprattutto a Parigi e a Bologna,
principali centri universitari del tempo. Poi con un'attività meravigliosa e sorprendente prodiga tutte le energie alla
diffusione della sua opera. Nel 1220 e nel 1221 presiede in Bologna ai primi due Capitoli Generali destinati a redigere la
"magna carta" e a precisare gli elementi fondamentali dell'Ordine: predicazione, studio, povertà mendicante, vita
comune, legislazione, distribuzione geografica, spedizioni missionarie.


Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle grandi penitenze, il 6 agosto 1221 muore circondato dai suoi frati, nel
suo amatissimo convento di Bologna, in una cella non sua, perché lui, il Fondatore, non l'aveva. 


Gregorio IX, a lui legato
da una profonda amicizia, lo canonizzerà il 3 luglio 1234. Il suo corpo dal 5 giugno 1267 è custodito in una preziosa
Arca marmorea. 


I numerosi miracoli e le continue grazie ottenute per l'intercessione del Santo fanno accorrere al suo
sepolcro fedeli da ogni parte d'Italia e d'Europa, mentre il popolo bolognese lo proclama "Patrono e Difensore perpetuo
della città;".


La fisionomia spirituale di S. Domenico è inconfondibile; egli stesso negli anni duri dell'apostolato albigese si era
definito: "umile ministro della predicazione". Dalle lunghe notti passate in chiesa accanto all'altare e da una tenerissima
devozione verso Maria, aveva conosciuto la misericordia di Dio e "a quale prezzo siamo stati redenti", per questo
cercherà di testimoniare l'amore di Dio dinanzi ai fratelli. Egli fonda un Ordine che ha come scopo la salvezza delle
anime mediante la predicazione che scaturisce dalla contemplazione: contemplata aliis tradere sarà la felice formula
con cui s.Tommaso d'Aquino esprimerà l'ispirazione di s. Domenico e l'anima dell'Ordine. Per questo nell'Ordine da lui
fondato hanno una grande importanza lo studio, la vita liturgica, la vita comune, la povertà evangelica.


Ardito, prudente, risoluto e rispettoso verso l'altrui giudizio, geniale sulle iniziative e obbediente alle direttive della
Chiesa, Domenico è l'apostolo che non conosce compromessi né irrigidimenti: "tenero come una mamma, forte come un
diamante", lo ha definito Lacordaire. E Dante lo associa a san Francesco tessendo il suo elogio per mezzo di san Bonaventura.



*****
SAN GIOVANNI-MARIA
VIANNEY

Nel villaggio di Ars, nella diocesi di Belley, in Francia, il natale di san Giovanni-Maria Vianney, Prete e Confessore, insigne nell'esercizio dell'ufficio parrocchiale; che dal Papa Pio undecimo fu inserito nel numero dei Santi, prescrittane la festa ai nove di questo mese, e fu dichiarato celeste Patrono di tutti i parroci.

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COSI' insegna il Santo Curato d'Ars


Del Prete


"Quando vedete un prete, dovete dire: "Ecco colui che mi ha reso figlio di Dio e mi ha aperto il cielo per mezzo del santo Battesimo, colui che mi ha purificato dopo il mio peccato, colui che nutre la mia anima..."
Il prete è per voi come una madre, come una nutrice per un neonato: ella gli dà da mangiare e il bimbo non deve fare altro che aprire la bocca. La Madre dice al suo bimbo: " Tieni, piccolo mio, mangia". 
Il prete vi dice: "Prendete e mangiate, ecco il Corpo di Gesù Cristo. Possa custodirvi per la vita eterna".
Che belle parole!
Il Prete possiede le chiavi dei tesori del Cielo: è lui ad aprirne la porta; egli è l'economo di Dio, l'amministratore dei suoi Beni (cfr.1Cor.4,1)".







La Messa, dono di Dio"Tutte le buone opere insieme non equivalgono al Santo Sacrificio della Messa: esse, infatti, sono opere degli uomini, mentre la Messa è opera di Dio.Il martirio è nulla al suo confronto: è l'uomo che sacrifica a Dio la sua vita, ma la Messa è Dio che sacrifica all'uomo il suo Corpo e il suo Sangue.Alle parole del Sacerdote, Nostro Signore scende dal cielo ed entra in una piccola ostia.Dio fissa il suo sguardo sull'altare. "Ecco, dice, il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". Per i meriti dell'offerta di questa vittima non può rifiutare nulla!Che bello!Dopo la Consacrazione, il buon Dio è lì, nell'Ostia, come in cielo! Se riuscissimo a comprendere veramente questo mistero, moriremmo d'amore!! Dio ci tratta con indulgenza a causa della nostra debolezza. Se qualcuno ci dicesse: "Alla tal ora, verrà resuscitato un morto", ci affretteremmo sicuramente per assistere all'evento. Eppure la consacrazione che cambia il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Dio, non è forse un miracolo ben più grande della risurrezione di un morto? Bisognerebbe sempre dedicare almeno un quarto d'ora a prepararsi ad ascoltare la Messa con devozione. Bisognerebbe arrivare prima alla Messa per avere il tempo di recitare un Rosario. Bisognerebbe umiliare se stessi davanti al buon Dio, sull'esempio del suo profondo annientamento nel Sacramento dell'Eucarestia, e fare l'esame di coscienza, poichè per assistere bene alla Messa, bisogna essere in stato di grazia. Oh! Se avessimo fede, se capissimo il valore del Santo Sacrificio, dimostreremmo molto più fervore nell'assistere alla Messa!"        LAUDETUR JESUS CHRISTUS!           LAUDETUR CUM MARIA! 
            SEMPER LAUDENTUR!