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venerdì 13 marzo 2015

13. Intelligentemente commossi diventiamo autentici missionari, educatori alla preghiera secondo il cuore della Chiesa


Il rito autentico, l'educazione, la conversione.


  Non c'è nessun fatto puramente esterno a noi che possa garantire il rinnovamento della Chiesa o la rinascita della vita cristiana.

  Quando parliamo della crisi della fede nei tempi moderni, quando desideriamo il rifiorire della vita cristiana del nostro popolo, dobbiamo avere ben presente che non è possibile affidarci a nessun automatismo garantito da qualcosa che accade solo fuori di noi: la rinascita partirà sempre dal nostro nascere di nuovo alla grazia di Dio. Sì, è dalla conversione personale che dobbiamo sperare il rifiorire della Chiesa tra noi.

  È proprio partendo da un errore di prospettiva che si è pensato di diffondere il cristianesimo a suon di riforme. È stato, crediamo, l'errore degli anni conciliari. Cerchiamo di spiegarci.

  C'era bisogno di un rinnovamento della vita cristiana negli anni ’50 e ’60? Certamente sì. C'era bisogno di una maggiore verità nella vita sacerdotale, nei conventi, nelle associazioni laicali, nelle scuole cattoliche, nelle famiglie? Non facciamo fatica ad ammetterlo: un certo formalismo stava mettendo in pericolo la vita di fede... c'era bisogno di una freschezza data dall'autenticità.

  Ma il grave errore è stato quello di illudersi di trovare l'autenticità e la freschezza della vita cristiana in tutta una serie di riforme, che hanno radicalmente cambiato, se non stravolto, il volto della Chiesa. E non ne è venuto fuori un rinnovamento, una primavera, ma un lungo autunno che ha portato fino all'inverno della fede, inverno che ha ucciso la vita di grazia nei nostri paesi, nelle nostre terre di antica cristianità.

  Ci si è messi a cambiare tutto, a modernizzare la messa e con essa tutti gli altri aspetti della vita cattolica, pensando di fermare così la fuga dalle chiese, con il risultato, ed è sotto gli occhi di tutti, che le chiese hanno terminato di svuotarsi; chi è poi rimasto a frequentarle, non è certamente più autenticamente cattolico degli uomini di un tempo.

  Ne è esempio lampante proprio la riforma della Messa: l'hanno cambiata per renderla meno difficile alla gente, per renderla meno pesante. Ne è nato un rinnovamento? No, ma un impoverimento, uno svuotamento ambiguo di contenuto: è come se lo “ scheletrito” nuovo rito della messa non educasse più, lasciando spazio a tutte le nostre piccole e grandi eresie.

  La strada da percorrere era un'altra, quella di un appassionato lavoro quotidiano per educare le anime a vivere della messa, comprendendone l'inestimabile valore e l'incommensurabile bellezza. Occorrevano preti intelligentemente appassionati, comunità ferventi, capaci di preghiera, studio e sacrificio; occorrevano anime commosse. Ci si è invece affidati alla via ingannevole di una riforma esterna che facilitasse i riti per i preti e per i fedeli... illudendosi che accomodando le cose esterne le anime si convertissero. E tutto è crollato in uno spaventoso impoverimento: per inseguire i fedeli senza fervore, si è banalizzata la messa riducendola quasi a un rito degno di una religione puramente naturale.

  E invece la Chiesa aveva bisogno della santità, e la santità nasce dalla conversione personale.

  Il rito non va cambiato, deve cambiare invece il nostro cuore. Il rito deve essere la roccia sicura su cui posare tutta la nostra vita. Per questo siamo tornati alla Tradizione, per questo custodiamo la “Messa di sempre”. Il rito deve custodire la retta fede, la vera preghiera cattolica, deve metterci nella posizione giusta difronte a Dio: solo così la grazia potrà operare la nostra conversione.

  Sono i santi, commossi per l'opera di Dio, che rinnovano la Chiesa e la vita cristiana, e non i giochi umani dei cambiamenti continui.

Chi vuole i cambiamenti continui è semplicemente un uomo annoiato; e con gli uomini annoiati in cerca di novità esteriori, fossero anche religiose, non si fa una Chiesa santa.

  Il vero movimento liturgico, quello di Gueranger e di San Pio X per intenderci, voleva favorire proprio un'autenticità di preghiera nei sacerdoti e nei fedeli. Voleva che le anime immergendosi nella santa liturgia, pregando veramente con la Chiesa, rinascessero ad una vita cristiana più autentica e intelligente. Invece nel movimento liturgico si operò il tradimento, consumato da chi pensava che facilitare equivalesse ad aiutare a pregare: così non fu, ed è sotto gli occhi di tutti il disastro... i cristiani sanno ormai raramente pregare.

  Nulla di esterno può sostituirsi alla nostra conversione, al sincero fervore personale, all'autentico amore per Cristo. Ma la nostra conversione, operata dalla grazia, scaturirà dalla preghiera della Chiesa che la Tradizione ci ha consegnato, che è la preghiera di Cristo stesso.

  Così è necessario anche per noi che:

  1. si torni alla corretta liturgia secondo la tradizione, perché il tesoro della rivelazione pregata non vada perduto;

  2. che sacerdoti e fedeli intelligentemente commossi diventino autentici missionari, educatori alla preghiera secondo il cuore della Chiesa. Se non ci fosse anche per noi questo secondo punto, cadremmo nello stesso tragico errore dei riformatori conciliari: credere che basti tornare a qualcosa di esteriore (fosse anche la messa antica) perché la vita rinasca.



  Che la Madonna ci aiuti ad essere fedeli al nostro compito.
"Radicati nella fede", Maggio 2014

sabato 8 febbraio 2014

ECCO I FATTI CHE MOLTI NON SANNO ANCORA O NON VOGLIONO SAPERE



Contro-rivoluzione liturgica 

Il caso “silenziato” di Padre Calmel

di Cristiana de Magistris

Articolo pubblicato sul sito Concilio Vaticano II



Religioso domenicano e teologo tomista di non comune spessore, direttore di anime apprezzato e ricercato su tutto il suolo francese, scrittore cattolico d’una logica stringente e d’una chiarezza inequivocabile, padre Roger-Thomas Calmel (1914-1975) negli anni ruggenti del Concilio e del post-concilio si distinse per la sua azione controrivoluzionaria esercitata – attraverso la predicazione, gli scritti e soprattutto l’esempio –  sia sul piano dottrinale sia su quello liturgico.

Ma su un punto ben preciso la resistenza di questo figlio di san Domenico raggiunse l’eroismo: la Messa, poiché è sulla redenzione operata da Cristo sul Calvario e perpetuata sugli altari che si fonda la Fede cattolica. Il 1969 fu l’anno fatidico della rivoluzione liturgica, lungamente preparata e infine imposta d’autorità ad un popolo che non l’aveva chiesta né la desiderava.

La nascita della nuova Messa non fu pacifica. A fronte dei canti di vittoria dei novatores, vi furono le voci di chi non voleva calpestare il passato quasi bimillenario di una Messa che risaliva alla tradizione apostolica. Questa opposizione ebbe il sostegno di due cardinali di Curia (Ottaviani e Bacci), ma rimase del tutto inascoltata.
L’entrata in vigore del nuovo Ordo Missae era fissata per il 30 novembre, prima domenica d’Avvento, e le opposizioni non tendevano a placarsi. Lo stesso Paolo VI, in due udienze generali (19 e 26 novembre 1969), intervenne presentando il nuovo rito della Messa come volontà del Concilio e come aiuto alla pietà cristiana. Il 26 novembre il Papa disse: 


Nuovo rito della Messa: è un cambiamento, che riguarda una venerabile tradizione secolare, e perciò tocca il nostro patrimonio religioso ereditario, che sembrava dover godere d’un’intangibile fissità, e dover portare sulle nostre labbra la preghiera dei nostri antenati e dei nostri Santi, e dare a noi il conforto di una fedeltà al nostro passato spirituale, che noi rendevamo attuale per trasmetterlo poi alle generazioni venture. Comprendiamo meglio in questa contingenza il valore della tradizione storica e della comunione dei Santi. Tocca questo cambiamento lo svolgimento cerimoniale della Messa; e noi avvertiremo, forse con qualche molestia, che le cose all’altare non si svolgono più con quella identità di parole e di gesti, alla quale eravamo tanto abituati, quasi a non farvi più attenzione. Questo cambiamento tocca anche i fedeli, e vorrebbe interessare ciascuno dei presenti, distogliendoli così dalle loro consuete devozioni personali, o dal loro assopimento abituale. …”.

E proseguiva dicendo che bisogna comprendere il significato positivo delle riforme e fare della Messa “una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana”.
Sarà bene – avvertiva Paolo VI nella medesima udienza – che ci rendiamo conto dei motivi, per i quali è introdotta questa grave mutazione: l’obbedienza al Concilio, la quale ora diviene obbedienza ai Vescovi che ne interpretano e ne eseguiscono le prescrizioni…”.

Per sedare le opposizioni al Papa non rimaneva che l’argomento di autorità. Ed è su questo argomento che si giocò tutta la partita della rivoluzione liturgica.

Padre Calmel, che con i suoi articoli fu assiduo collaboratore della rivista Itinéraires, aveva già affrontato il tema dell’obbedienza, divenuto nel post-concilio l’argomento di punta dei novatores. Ma, egli affermava, è esattamente in virtù dell’obbedienza che bisogna rifiutare ogni compromesso con la rivoluzione liturgica:

Non si tratta di fare uno scisma ma di conservare la tradizione”. 
Con sillogismo aristotelico faceva notare:
L’infallibilità del Papa è limitata, dunque la nostra obbedienza è limitata”,  indicando il principio della subordinazione dell’obbedienza alla verità, dell’autorità alla tradizione.

La storia della Chiesa ha casi di santi che furono in contrasto con l’autorità di papi che non furono santi. Pensiamo a sant’Atanasio scomunicato da papa Liberio, a san Tommaso Becket sospeso da papa Alessandro III. E soprattutto a santa Giovanna d’Arco.

Il 27 novembre 1969, tre giorni prima della data fatidica in cui entrò in vigore il Novus Ordo Missae, padre Calmel espresse il suo rifiuto con una dichiarazione d’eccezionale portata, resa pubblica sulla rivista Itinéraires.




Mi attengo alla Messa tradizionale – dichiarò –, quella che fu codificata, ma non fabbricata, da San Pio V, nel XVI secolo, conformemente ad un uso plurisecolare. Rifiuto dunque l’Ordo missae di Paolo VI.

Perché? Perché, in realtà, questo Ordo Missae non esiste. Ciò che esiste è una rivoluzione liturgica universale e permanente, permessa o voluta dal Papa attuale, e che riveste, per il momento, la maschera dell’Ordo Missae del 3 aprile 1969. È diritto di ogni sacerdote rifiutare di portare la maschera di questa rivoluzione liturgica. E stimo mio dovere di sacerdote rifiutare di celebrare la messa in un rito equivoco.

Se accettiamo questo nuovo rito, che favorisce la confusione tra la Messa cattolica e la cena protestante – come sostengono i due cardinali (Bacci e Ottaviani) e come dimostrano solide analisi teologiche – allora passeremmo senza tardare da una messa intercambiabile (come riconosce, del resto, un pastore protestante) ad una messa completamente eretica e quindi nulla. Iniziata dal Papa, poi da lui abbandonata alle Chiese nazionali, la riforma rivoluzionaria della messa porterà all’inferno. Come accettare di rendersene complici?


Mi chiederete: mantenendo, verso e contro tutto, la Messa di sempre, hai riflettuto a che cosa ti esponi? Certo. Io mi espongo, per così dire, a perseverare nella via della fedeltà al mio sacerdozio, e quindi a rendere al Sommo Sacerdote, che è il nostro Giudice supremo, l’umile testimonianza del mio ufficio sacerdotale. Io mi espongo altresì a rassicurare dei fedeli smarriti, tentati di scetticismo o di disperazione. Ogni sacerdote, in effetti, che si mantenga fedele al rito della Messa codificata da San Pio V, il grande Papa domenicano della controriforma, permette ai fedeli di partecipare al santo Sacrificio senza alcun possibile equivoco; di comunicarsi, senza rischio di essere ingannato, al Verbo di Dio incarnato e immolato, reso realmente presente sotto le sacre Specie. Al contrario, il sacerdote che si conforma al nuovo rito, composto di vari pezzi da Paolo VI, collabora per parte sua ad instaurare progressivamente una messa menzognera dove la Presenza di Cristo non sarà più autentica, ma sarà trasformata in un memoriale vuoto; perciò stesso, il Sacrificio della Croce non sarà altro che un pasto religioso dove si mangerà un po’ di pane e si berrà un po’ di vino. Nulla di più: come i protestanti. Il rifiuto di collaborare all’instaurazione rivoluzionaria di una messa equivoca, orientata verso la distruzione della Messa, a quali disavventure temporali, a quali guai potrà mai portare? Il Signore lo sa: quindi, basta la sua grazia. In verità, la grazia del Cuore di Gesù, derivata fino a noi dal santo Sacrificio e dai sacramenti, basta sempre. È perciò che il Signore ci dice così tranquillamente: “Colui che perde la sua vita in questo mondo per causa mia, la salverà per la vita eterna”.

Riconosco senza esitare l’autorità del Santo Padre. Affermo tuttavia che ogni Papa, nell’esercizio della sua autorità, può commettere degli abusi d’autorità. 

Sostengo che il papa Paolo VI ha commesso un abuso d’autorità di una gravità eccezionale quando ha costruito un nuovo rito della messa su una definizione della messa che ha cessato di essere cattolica. “La messa – ha scritto nel suo Ordo Missae – è il raduno del popolo di Dio, presieduto da un sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore”. Questa definizione insidiosa omette a priori ciò che fa la Messa cattolica, da sempre e per sempre irriducibile alla cena protestante. E ciò perché per la Messa cattolica non si tratta di qualunque memoriale; il memoriale è di tal natura che contiene realmente il sacrificio della Croce, perché il Corpo e il Sangue di Cristo sono resi realmente presenti in virtù della duplice consacrazione. Ora, mentre ciò appare così chiaro nel rito codificato da San Pio V da non poter esser tratti in inganno, in quello fabbricato da Paolo VI rimane fluttuante ed equivoco. Parimenti, nella Messa cattolica, il sacerdote non esercita una presidenza qualunque: segnato da un carattere divino che lo introduce nell’eternità, egli è il ministro di Cristo che fa la Messa per mezzo di lui; ben altra cosa è assimilare il sacerdote a un qualunque pastore, delegato dai fedeli a mantenere in buon ordine le loro assemblee. Orbene, mentre ciò è certamente evidente nel rito della Messa prescritta da San Pio V, è invece dissimulato se non addirittura eliminato nel nuovo rito.


La semplice onestà quindi, ma infinitamente di più l’onore sacerdotale, mi chiedono di non aver l’impudenza di trafficare la Messa cattolica, ricevuta nel giorno della mia ordinazione. Poiché si tratta di essere leale, e soprattutto in una materia di una gravità divina, non c’è autorità al mondo, fosse pure un’autorità pontificale, che possa fermarmi. D’altronde, la prima prova di fedeltà e d’amore che il sacerdote deve dare a Dio e agli uomini è quella di custodire intatto il deposito infinitamente prezioso che gli fu affidato quando il Vescovo gl’impose le mani. È anzitutto su questa prova di fedeltà e d’amore che io sarò giudicato dal Giudice supremo. Confido che la Vergine Maria, Madre del Sommo sacerdote, mi ottenga la grazia di rimanere fedele fino alla morte alla Messa cattolica, vera e senza equivoco. Tuus sum ego, salvum me fac (sono tutto vostro, salvatemi)”.

Di fronte a un testo di tale spessore e ad una presa di posizione così categorica, tutti gli amici e i sostenitori di padre Calmel tremarono, attendendo da Roma le più dure sanzioni. Tutti, tranne lui, il figlio di san Domenico, che continuava a ripetere: “Roma non farà niente, non farà niente…”. E difatti Roma non fece nulla. Le sanzioni non arrivarono. Roma tacque davanti a questo frate domenicano che non temeva nulla se non il Giudice supremo a cui doveva render conto del suo sacerdozio.

Altri sacerdoti, grazie alla dichiarazione di padre. Calmel, ebbero il coraggio di uscire allo scoperto e di resistere ai soprusi di una legge ingiusta e illegittima. Contro coloro che raccomandavano l’obbedienza cieca alle autorità, egli mostrava il dovere dell’insurrezione.

Tutta la condotta di santa Giovanna d’Arco mostra che ella ha pensato così: Certo, è Dio che lo permette; ma ciò che Dio vuole, almeno finché mi resterà un esercito, è che io faccia una buona battaglia e giustizia cristiana. Poi fu bruciata […]. Rimettersi alla grazia di Dio non significa non far nulla. 

Significa invece fare, rimanendo nell’amore, tutto ciò che è in nostro potere […]. A chi non abbia meditato sulle giuste insurrezioni della storia, come la guerra dei Maccabei, le cavalcate di santa  Giovanna d’Arco, la spedizione di Giovanni d’Austria, la rivolta di Budapest, a chiunque non sia entrato in sintonia con le nobili resistenze della storia […] io rifiuto il diritto di parlare di abbandono cristiano […] l’abbandono non consiste nel dire: Dio non vuole la crociata, lasciamo fare ai Mori. Questa è la voce della pigrizia”.

Non si può confondere l’abbandono soprannaturale con una supina obbedienza.

Il dilemma che si pone a tutti – avvertiva padre Calmel – non è di scegliere tra l’obbedienza e la fede, ma tra l’obbedienza della fede e la collaborazione con la distruzione della fede”. Tutti noi siamo invitati a fare “nei limiti che ci impone la rivoluzione, il massimo di ciò che possiamo fare per vivere della tradizione con intelligenza e fervore. Vigilate et orate”.

Padre Calmel aveva compreso perfettamente che la forma di violenza esercitata nella “Chiesa post-conciliare” è l’abuso di autorità, esplicato esigendo un’obbedienza incondizionata. Alla quale i chierici e molti laici si piegarono senza tentare alcuna forma di resistenza. “Questa assenza di reazione – notava Louis Salleron – mi pare tragica. Perché Dio non salva i cristiani senza di essi, né la sua Chiesa senza di essa”.

Il modernismo fa camminare le sue vittime sotto il vessillo dell’obbedienza – scriveva il religioso domenicano–, ponendo sotto sospetto di orgoglio qualunque critica delle riforme, in nome del rispetto che si deve al papa, in nome dello zelo missionario, della carità e dell’unità”. 

Quanto al problema dell’obbedienza in materia liturgica, padre Calmel osservava:
La questione dei nuovi riti consiste nel fatto che sono ambivalenti: essi perciò non esprimono in modo esplicito l’intenzione di Cristo e della Chiesa. La prova è data dal fatto che anche gli eretici l’usano con tranquillità di coscienza, mentre rigettano e hanno sempre rigettato il Messale di san Pio V”. “Bisogna essere o sciocchi o paurosi (o l’uno e l’altro insieme) per considerarsi legati in coscienza da leggi liturgiche che cambiano più spesso della moda femminile e che sono ancora più incerte”.

Nel 1974 in una conferenza diceva:

La Messa appartiene alla Chiesa. La nuova Messa non appartiene che al modernismo. Mi attengo alla Messa cattolica, tradizionale, gregoriana, poiché essa non appartiene al modernismo […]. Il modernismo è un virus. È contagioso e bisogna fuggirlo. La testimonianza è assoluta. Se rendo testimonianza alla Messa cattolica, occorre che io mi astenga dal celebrarne altre. È come l’incenso bruciato agli idoli: o un grano o nulla. Dunque, nulla”.

Nonostante l’aperta resistenza di padre Calmel contro le innovazioni liturgiche, da Roma non giunse mai alcuna sanzione. La logica del padre domenicano era troppo serrata, la sua dottrina troppo ortodossa, il suo amore alla Chiesa e alla sua perenne tradizione troppo leale perché lo si potesse attaccare. Non si intervenne contro di lui poiché non lo si poteva. Allora si avvolse il caso nel più omertoso silenzio, al punto che il teologo domenicano – noto, in parte, al mondo tradizionale francese – è pressoché sconosciuto nel resto dell’orbe cattolico.

Nel 1975, padre Calmel si spegneva prematuramente, coronando il suo desiderio di fedeltà e di resistenza. Nella sua Dichiarazione del 1969 aveva chiesto alla Santissima Vergine di “rimanere fedele fino alla morte alla Messa cattolica, vera e senza equivoco”. La Madre di Dio esaudì il desiderio di questo figlio prediletto che morì senza aver mai celebrato la Messa nuova per rimaner fedele al supremo Giudice al quale doveva rispondere del suo sacerdozio.

Suscipe, sancte Pater, 
Omnipotens aeterne Deus...

domenica 29 aprile 2012

Il sale della terra: “... Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?...” ***“... la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi...”



J. RATZINGER SULLA LITURGIA



 Prefazione a K. GamberLa réforme liturgique en question, ed. S.te Madelaine du Barroux, 1992.
 “...Il risultato [della riforma liturgica] non è stata una rianimazione ma una devastazione. Da un canto, abbiamo una liturgia degenerata in “show”, nella quale     si cerca di rendere la religione interessante con l’aiuto di idiozie alla moda...”

Dio e il Mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio
“... è importante che venga meno l'atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970...”

...in generale, ritengo che la riforma liturgica non sia stata applicata bene...”

La mia vita: ricordi, 1927-1977
“... una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche...”

“... Il sacerdote rivolto al popolo dà alla comunità l’aspetto di un tutto chiuso in se stesso...”

“... l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica...”

“...lo posso dire con sicurezza, basata sulla mia conoscenza dei dibattiti conciliari e sulla reiterata lettura dei discorsi fatti dai padri conciliari, che ciò non corrispose alle intenzioni del Concilio Vaticano II...”

Prefazione al libro di U.M. LANGConversi ad Dominum
“... la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi...”

“...l'aspetto "pastorale" è divenuto il varco per l'irruzione della "creatività", la quale dissolve l'unità della liturgia e ci mette spesso di fronte a una deplorevole banalità...”

“... Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?...”

“...Lei mi chiede di attivarmi per una più ampia disponibilità del rito romano antico. In effetti, lei sa da sé che non sono sordo a tale richiesta. Nel contempo, il mio lavoro a favore di questa causa è ben noto...”

“... ci si deve opporre, più decisamente di quanto sia stato fatto finora, all’appiattimento razionalistico, ai discorsi approssimativi, all’infantilismo pastorale che degradano la liturgia cattolica al rango di circolo di villaggio e la vogliono abbassare a un livello fumettistico...”

“... ma i brividi che incute la liturgia postconciliare, fattasi opaca, o semplicemente la noia che essa provoca con il suo gusto per il banale e con la sua mediocrità artistica...”

Le sottolineature nelle citazioni sono, ovviamente, nostre.

*****

“Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa”

giovedì 5 aprile 2012

La riforma liturgica



Recensione Libraria: la riforma liturgica secondo Brian Moore

 (di Fabrizio Cannone) Tante sono le critiche, e di varia natura, che la riforma liturgica post-conciliare ha portato con sé. Tra di esse spiccano quelle del cardinal Ratzinger, sia per la loro puntualità teologica, sia soprattutto per l’autorevolezza di colui che le ha pronunciate. L’espressione più forte l’allora Cardinal Ratzinger la usò nel 1992 introducendo un saggio di mons. Klaus Gamber: «la riforma liturgica non è stata una rianimazione, ma una devastazione».

Numerosi sono gli autori che hanno condiviso quest’affermazione, mai però, se non vado errato, la riforma liturgica e i suoi problemi, hanno dato luogo ad un romanzo storico come quello di Brian Moore, edito in edizione originale nel 1972, a soli 3 anni dalla promulgazione del Novus Ordo Missae (Cattolici, Lindau, Torino 2012, pp. 100, € 12) da cui è stato tratto un bellissimo film.


Lo scrittore cattolico irlandese immagina una Chiesa devastata dal modernismo a causa del Concilio Vaticano IV e di una riforma liturgica da strapazzo a cui si oppone, nel mondo intero, un unico convento di monaci, residenti in una sperduta isola irlandese, continuando la celebrazione more antiquo. Vista l’affluenza crescente di fedeli da ogni parte del mondo, i superiori dell’Ordine monastico, temendo l’inizio di una contro-rivoluzione cattolica, inviano un sacerdote, padre James Kinsella, per farli adeguare alla norma imposta da Roma.




Che cosa accadrà? Lo lascio scoprire al curioso lettore… Segnalo però da subito gli interessantissimi dialoghi tra i monaci (conservatori) e l’inviato (modernista) di Roma. Ad un certo punto, l’abate irlandese definisce così il problema di fondo, soggiacente alla stessa riforma della Messa: «L’ortodossia di ieri è (diventata) l’eresia di oggi» (p. 57).




Un altro monaco, che probabilmente esprime le posizioni dell’autore, spiega così le sue ragioni al Kinsella: «(…) vedete, è la cosa più normale che ci sia, non abbiamo fatto nulla perché iniziasse tutto questo, abbiamo continuato a dire la messa a Cahirciveen nel modo in cui lo abbiamo sempre fatto, nel modo in cui siamo stati educati a fare. La messa! La messa in latino, il sacerdote con le spalle rivolte ai fedeli affinché sia lui che i fedeli guardino l’altare dove c’è Dio. Offrire a Dio il sacrificio quotidiano della messa. Il pane e il vino che diventano il corpo e il sangue di Gesù Cristo, nel modo in cui Gesù disse ai suoi discepoli di fare durante l’Ultima Cena.




“Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me”. Dio ha mandato suo Figlio per redimerci. Suo Figlio è venuto sulla terra ed è stato crocifisso a causa dei nostri peccati e la messa è la commemorazione della crocifissione, del sacrificio del corpo e del sangue di Gesù Cristo a causa dei nostri peccati. E la messa è detta in latino poiché il latino è la lingua della Chiesa, la Chiesa è una e universale, così il cattolico poteva andare in ogni chiesa del mondo, qui come a Timbuctu, o in Cina, e ascoltava la stessa messa, l’unica messa che c’era un tempo, la messa in latino. Che poi la messa fosse in latino e il popolo non parlasse il latino, questo era parte del mistero della messa, perché la messa non parlava al nostro vicino ma a Dio. Dio onnipotente!




Abbiamo fatto così per quasi duemila anni e in tutto questo tempo la chiesa è stata il luogo dove si stava tranquilli, rispettosi, era un posto silenzioso perché Dio era lì, Dio era sull’altare, nel tabernacolo, in forma di ostia e di calice di vino. Era la casa del Signore, dove ogni giorno si compiva il miracolo quotidiano. Dio veniva tra noi. Un mistero. All’opposto questa nuova messa non è un mistero, ma una barzelletta, una cantilena, non parla a Dio, parla al nostro vicino; è per questo che è in inglese, in tedesco, in cinese e in ogni altra lingua che la gente parla in chiesa. Dicono che è un simbolo, ma un simbolo di cosa? E’ uno spettacolo, ecco cos’è» (pp. 43-45). Non c’è altro da aggiungere. (Fabrizio Cannone)


CHI vuol capire capisca.


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

mercoledì 7 marzo 2012

Il Santo Padre in persona ha concesso a ciascun fedele la facoltà di valutare quale Messa gli sia più affine e lo aiuti di più a cogliere il Mistero e il Sacrificio celebrati nella Liturgia.Il fatto che alcune persone, e tra queste moltissimi giovani, trovino il rito tradizionale utile per la propria vita cristiana e intendano coltivare tale passione (a fianco, ovviamente, delle Messe e della vita comunitaria presso le parrocchie) non dovrebbe inacidire o preoccupare nessuno; al contrario ci si dovrebbe rallegrare, come per la riscoperta di un tesoro lasciato sepolto troppo a lungo.


Certe vicende del Nord possono aiutare altri cattolici a capire il momento che si vive anche al Sud,  -o a Est o a Owest -, e incoraggiarli nel cammino intrapreso. Mi pare sia giunto il momento opportuno di pubblicare queste vicende anche per i lettori di "Maria Giglio della Trinità". Buona lettura ... e preghiera! Ave Maria!

 *

martedì 24 gennaio 2012


A Mons. Rogger la Messa in Latino a Trento non piace "Un orrore! Un hobby per pochi settari"





"La messa in latino? Un orrore! Un hobby di don Bombarelli", parroco "non parroco". "I fedeli? Quindici settari".
Queste solo alcune delle perle di Mons. I. Rogger (nella foto in abito corale: giacca e cravatta) che non risparmia parole taglienti (frutto di tanti pregiudizi e inspiegabile rancore) contro il rito antico e la Messa che si celebra a Trento nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, ogni domenica ore 18.30.L'intervista è stata tratta dal quotidiano "IlTrentino" del 18 gennaio 2012 a cura di Luca Marognoli.

Di seguito il testo, tratto dal
sito del quotidiano "IlTrentino". Sottolineato nostro:TRENTO. Ha studiato alla Pontificia Università Gregoriana, dirige il Museo diocesano ed è tra i fondatori dell'Istituto di scienze religiose. A sentir parlare della messa in latino inorridisce, lui che fu tra i fautori del passaggio al messale in italiano. Monsignor Iginio Rogger ha parole taglienti nei confronti del rito - a quanto pare di gran "moda" - celebrato da don Rinaldo Bombardelli in via del Suffragio. «Intanto non chiamatela messa tridentina: è un termine tecnico abusivo. Il Concilio non aveva l'attrezzatura e la cognizione scientifica per poter metter mano alla cosa. Trasferì alla Santa Sede il compito della riforma liturgica, che infatti fece Pio V in termini molto più sfumati rispetto a quanto questi settari tendono ad asserire. Per dire, nel 1563 ogni diocesi che avesse voluto non assumere il messale di Pio V, altamente ufficiale, ma avesse voluto conservare i suoi vecchi libri liturgici lo avrebbe potuto fare. Bastava poter dimostrare che i testi liturgici fossero in uso da almeno 200 anni. Ma un po' per comodità, un po' per carenza di studiosi la gran parte delle Diocesi, compresa Trento, non adottò quella facoltà di pluralismo. In realtà la conoscenza della storia del rito liturgico nel 500 era molto magra e anche Lutero non trovò che ritornare alle scritture.
Perché "settari"...
Se quel parroco non parroco che ha già tentato di bonificare a modo suo la celebrazione liturgica della Val dei Mocheni - che gli era stata assegnata - ha i suoi hobby, lasciamoglieli. Ricordo che inorridii quando fece una messa con il messale di Pio V. Proprio in quella valle, dove nel 1965 reintroducemmo l'italiano, sostituendolo al latino. All'epoca andai tra la popolazione a sondare. Il parroco di allora, santa persona, mi disse: qui sono tutti contenti. E sentenziò: al manco se capis qualcos. Ne capivano più i mocheni di Fierozzo a quei tempi...
Come spiega questo interesse oggi?
A quanto pare quelli il latino lo capiscono tutti: beati loro. Non vado certo a fargli l'esame. Io mi leggo il mio breviario in latino perché so cosa vuol dire. Ma con la gente la grande novità, che poi non è novità per niente, è che la celebrazione si faccia nella lingua che tutti capiscono. Per esprimere la propria fede. Non credo che questo messale latino avrà grande successo. Quelle 15 persone che si fanno una santa causa anche di bazzecole secondarie lei le trova sempre.
Un passo indietro...
Se uno vuole proprio farsi notare celebri in latino. Invece la grande fatica di tutti noi, pur tradotta in un linguaggio curato, è di appropriare alla gente la liturgia in italiano. Vestirla in modo che la gente la senta propria. E' qui che siamo tutti in arretrato. Se vogliamo ci sono anche le disquisizioni di papa Ratzinger con i lefebvriani: siamo capaci di litigare invece che di andare d'accordo... La settimana dell'unità comincia domani: ci confrontiamo con le altre Chiese cristiane che hanno altra lingua, altra forma e altro calendario. Che qualcuno oggi non riconosca quello che si è fatto...
Ci spieghi lei cosa è stato fatto negli ultimi 50 anni?
Fu impresa non da poco dal'65 in poi l'introduzione della liturgia riformata: non è stata fatta per capriccio o dilettantismo dei singoli. Io ero vicario episcopale per la liturgia con monsignor Gottardi. Ci furono difficoltà allora, risolte con il dialogo. Ma la cultura sta evolvendosi. Se vogliono, prendano il messale di Paolo VI, che è in latino, e aiuta a capire perché si canta "Santo, Santo, Santo" e chi deve cantare. Perché si tratta di un'acclamazione, non di una giaculatoria. Di Luca Marognoli © RIPRODUZIONE RISERVATA


Sullo stesso quotidiano, il giorno prima era stato pubblicato un altro articolo dedicato alla celebrazione in rito tridentino (e usiamo questo termine per fare un dispetto a Mons. Rogger, a cui non piace affatto, perchè tecnico-abusivo), si veda qui.
A questa articolo a tratti quasi incredibile, ha fatto seguito una serie di lettere di fedeli -alcuni di "quei quindici settari"!- che hanno scritto al Direttore del quotidiano, ma che purtroppo non è stata pubblicata.
Su segnalazione del nostro solerte lettore, abbiamo tratto il testo della lettera (pubblicata su "
Libertà e persona" e la pubblichiamo:


Egregio Direttore,

siamo un gruppo di ragazzi (tra i 18 e i 26 anni) di formazione ed estrazione diversa. Le scriviamo in merito all’articolo “Un orrore quella messa in latino”, uscito mercoledì 18 gennaio sul Suo giornale.In tale intervista, Monsignor Rogger definisce i partecipanti alla Messa del Suffragio – celebrata ogni domenica alle 18.00 secondo il messale del ’62 – come “quindici” “settari”, e appella il celebrante come un “parroco non parroco”.

Siamo rimasti sinceramente intristiti di fronte al livore mostrato da Mons. Rogger verso un confratello nel sacerdozio e verso fedeli che altro non fanno che partecipare ad una Messa nei termini stabiliti dalla lettera apostolica del Sommo Pontefice Summorum Pontificum (2007). Fatta salda, ovviamente, la facoltà di ciascuno di esprimere perplessità o riserve, questi fedeli meritano se non altro più rispetto. 

Il Santo Padre in persona ha infatti concesso a ciascun fedele la facoltà di valutare quale Messa gli sia più affine e lo aiuti di più a cogliere il Mistero e il Sacrificio celebrati nella Liturgia. 

Il fatto che alcune persone, e tra queste moltissimi giovani, trovino il rito tradizionale utile per la propria vita cristiana e intendano coltivare tale passione (a fianco, ovviamente, delle Messe e della vita comunitaria presso le parrocchie) non dovrebbe inacidire o preoccupare nessuno; al contrario ci si dovrebbe rallegrare, come per la riscoperta di un tesoro lasciato sepolto troppo a lungo.
Perché non si può fare tesoro delle molte e diverse ricchezze oggi vive nella Chiesa di Cristo, ivi compresa la bellezza, la profondità e la sacralità del rito tradizionale? 

Questa lettera vuole essere una mano tesa, un gesto concreto per favorire l’inizio di un rapporto nel nome di Cristo. Ognuno con il proprio carisma, ovviamente, ma tutti volti a glorificare Dio, in conformità e nel rispetto del Magistero della Chiesa.

Alessio, Alessio, Anna, David, Donato, Eleonora, Giulia, Giuliano, Lucia, Massimo, Massimo, Matteo, Milena, Roberto.




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Ringraziamo di cuore un nostro lettore trentino, che con pazienza ci ha inviato la pagina del quotidiano, assecondando i nostri problemi tecnici! Grazie!


observator
Noto soltanto che parla di confronto con altre chiese cristiane che differiscono per ...forma, calendario...; che profonda considerazione?! Fosse solo differenza di forma e di calendario... della sostanza - che piu' conta ...omissis. Inoltre il latino non va bene , ma nella messa N.O ...puo' andare; allora non e' tanto il latino ma la messa antica , quella di tutti i cristiani per 1970 anni, o quasi. Poi bello il finale... noi non l'avevamo capito che il Santo, Santo Santo fosse un acclamazione. Sul resto, gli altri interventi hanno evidenziato qual tipo di intervista sia stata ...e il Papa e' il capo della ( nuova ) setta e anche Papa Giovanni Paolo II che, inascoltato, aveva dato precise indicazioni e si apprestava a nuovi interventi- mi pare, da cio' che via via trapelava - dati gli ostacoli che venivano frapposti...ma non si diceva "santo subito? come si concilia? forse il Rogger ce lo puo' spiegare...

giovedì 26 gennaio 2012, 01:47:22

doc
Buongiorno a tutti!
Sono uno dei firmatari di quella lettera; sono davvero felice di vedere riportate qui le nostre peripezie e che questa vicenda vi abbia tanto interessati. La cosa più triste, devo dire la verita, è stato leggere una simile intervista proprio alla vigilia della settimana per l'unità dei cristiani. Proprio per questo abbiamo tentato di rispondere alla provocazione con l'offerta di un dialogo, e non con una polemica; purtroppo, la nostra lettera al direttore del giornale è rimasta nel cassetto (è stato pubblicato, cmq, l'intervento di un altro partecipante alla Messa, che si è soffermato piuttosto sulla perfetta liceità di quella celebrazione secondo le direttive del Summum Pontificum).

Una precisazione: i "quindici" citati da mons. Rogger sono un numero da lui ipotizzato e mai verificato (non mi pare di averlo mai visto alla chiesa del Suffragio...); in effetti, i partecipanti ad ogni celebrazione domenicale di don Rinaldo sono solitamente attorno alla cinquantina. Nel complesso, poi, quasi un centinaio di persone la frequentano, chi più, chi meno assiduamente. Noi giovani firmatari siamo solo una parte di quel centinaio di fedeli (è vero, in totale siamo ca. 15, ma è solo un caso!): abbiamo letto l'intervista sul giornale, ne abbiamo discusso insieme (un po' di persona, un po' via mail) ed abbiamo cercato di rispondere con una lettera collettiva alle parole di mons. Rogger, ragionandoci sopra e limandola un po'.

Saluti da Trento,
David

mercoledì 25 gennaio 2012, 16:22:09

Miserere
Che nessun ipocrita, falso "dialoghista", vi possa fermare nel vostro cammino di santificazione, anche se, purtroppo, rivestito della dignità sacerdotale! Restate sempre uniti alla Vera Chiesa con a capo il Santo Padre! Il resto... lasciate perdere!

mercoledì 25 gennaio 2012, 23:33:37

Anselmo R
Per uno abituato all'aria pesante e malata di città fate bene come l'aria pura delle Dolomiti

giovedì 26 gennaio 2012, 09:07:01

robdealb91
Noi di Perugia abbiamo ricevuto dal direttore del settimanale diocesano (non in un'intervista apposita per noi, ma nella risposta a due lettere) dei "fissati", degli "irriducibili", dei "fanatici", "non in comunione con la Chiesa di oggi", nonostante (deve essere stato un colpo per lui sapere ciò!) "la pur giovane età".
Cari amici e coetanei di Trento, vantatevi addirittura, avete avuto un'intervista solo per voi, da cui si può sentire il rumore dei denti che rosicano e delle unghie che si spezzano per arrampicarsi sugli specchi; se a Perugia e, penso quindi anche a Trento, "laici impegnati" e sacerdoti invidiosi arrivano a calunniare il gruppo stabile e i suoi sacerdoti (forse il vedere una chiesa rispettabilmente piena per una Messa, e con numerosi giovani e giovani adulti li scombussola così tanto?) vuol dire che il nostro risultato l'abbiamo ottenuto!
Monsignor Rogger insulta voi, chiamandovi "settari" (ma non era uno di quelli che straparlavano sempre di "dialogo", "comprensione", "accoglienza"?), insulta San Pio V, i Padri del Concilio tridentino, i Santi che si sono nutriti di quella Liturgia, insulta il Papa e il suo Magistero, ma soprattutto insulta Nostro Signore, visto che definisce "orrore" la Messa che è il Suo Sacrificio incruento; vantatevi, vantiamoci dei suoi insulti, e andiamo avanti!!

mercoledì 25 gennaio 2012, 09:31:08


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!