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venerdì 13 marzo 2015

13. Intelligentemente commossi diventiamo autentici missionari, educatori alla preghiera secondo il cuore della Chiesa


Il rito autentico, l'educazione, la conversione.


  Non c'è nessun fatto puramente esterno a noi che possa garantire il rinnovamento della Chiesa o la rinascita della vita cristiana.

  Quando parliamo della crisi della fede nei tempi moderni, quando desideriamo il rifiorire della vita cristiana del nostro popolo, dobbiamo avere ben presente che non è possibile affidarci a nessun automatismo garantito da qualcosa che accade solo fuori di noi: la rinascita partirà sempre dal nostro nascere di nuovo alla grazia di Dio. Sì, è dalla conversione personale che dobbiamo sperare il rifiorire della Chiesa tra noi.

  È proprio partendo da un errore di prospettiva che si è pensato di diffondere il cristianesimo a suon di riforme. È stato, crediamo, l'errore degli anni conciliari. Cerchiamo di spiegarci.

  C'era bisogno di un rinnovamento della vita cristiana negli anni ’50 e ’60? Certamente sì. C'era bisogno di una maggiore verità nella vita sacerdotale, nei conventi, nelle associazioni laicali, nelle scuole cattoliche, nelle famiglie? Non facciamo fatica ad ammetterlo: un certo formalismo stava mettendo in pericolo la vita di fede... c'era bisogno di una freschezza data dall'autenticità.

  Ma il grave errore è stato quello di illudersi di trovare l'autenticità e la freschezza della vita cristiana in tutta una serie di riforme, che hanno radicalmente cambiato, se non stravolto, il volto della Chiesa. E non ne è venuto fuori un rinnovamento, una primavera, ma un lungo autunno che ha portato fino all'inverno della fede, inverno che ha ucciso la vita di grazia nei nostri paesi, nelle nostre terre di antica cristianità.

  Ci si è messi a cambiare tutto, a modernizzare la messa e con essa tutti gli altri aspetti della vita cattolica, pensando di fermare così la fuga dalle chiese, con il risultato, ed è sotto gli occhi di tutti, che le chiese hanno terminato di svuotarsi; chi è poi rimasto a frequentarle, non è certamente più autenticamente cattolico degli uomini di un tempo.

  Ne è esempio lampante proprio la riforma della Messa: l'hanno cambiata per renderla meno difficile alla gente, per renderla meno pesante. Ne è nato un rinnovamento? No, ma un impoverimento, uno svuotamento ambiguo di contenuto: è come se lo “ scheletrito” nuovo rito della messa non educasse più, lasciando spazio a tutte le nostre piccole e grandi eresie.

  La strada da percorrere era un'altra, quella di un appassionato lavoro quotidiano per educare le anime a vivere della messa, comprendendone l'inestimabile valore e l'incommensurabile bellezza. Occorrevano preti intelligentemente appassionati, comunità ferventi, capaci di preghiera, studio e sacrificio; occorrevano anime commosse. Ci si è invece affidati alla via ingannevole di una riforma esterna che facilitasse i riti per i preti e per i fedeli... illudendosi che accomodando le cose esterne le anime si convertissero. E tutto è crollato in uno spaventoso impoverimento: per inseguire i fedeli senza fervore, si è banalizzata la messa riducendola quasi a un rito degno di una religione puramente naturale.

  E invece la Chiesa aveva bisogno della santità, e la santità nasce dalla conversione personale.

  Il rito non va cambiato, deve cambiare invece il nostro cuore. Il rito deve essere la roccia sicura su cui posare tutta la nostra vita. Per questo siamo tornati alla Tradizione, per questo custodiamo la “Messa di sempre”. Il rito deve custodire la retta fede, la vera preghiera cattolica, deve metterci nella posizione giusta difronte a Dio: solo così la grazia potrà operare la nostra conversione.

  Sono i santi, commossi per l'opera di Dio, che rinnovano la Chiesa e la vita cristiana, e non i giochi umani dei cambiamenti continui.

Chi vuole i cambiamenti continui è semplicemente un uomo annoiato; e con gli uomini annoiati in cerca di novità esteriori, fossero anche religiose, non si fa una Chiesa santa.

  Il vero movimento liturgico, quello di Gueranger e di San Pio X per intenderci, voleva favorire proprio un'autenticità di preghiera nei sacerdoti e nei fedeli. Voleva che le anime immergendosi nella santa liturgia, pregando veramente con la Chiesa, rinascessero ad una vita cristiana più autentica e intelligente. Invece nel movimento liturgico si operò il tradimento, consumato da chi pensava che facilitare equivalesse ad aiutare a pregare: così non fu, ed è sotto gli occhi di tutti il disastro... i cristiani sanno ormai raramente pregare.

  Nulla di esterno può sostituirsi alla nostra conversione, al sincero fervore personale, all'autentico amore per Cristo. Ma la nostra conversione, operata dalla grazia, scaturirà dalla preghiera della Chiesa che la Tradizione ci ha consegnato, che è la preghiera di Cristo stesso.

  Così è necessario anche per noi che:

  1. si torni alla corretta liturgia secondo la tradizione, perché il tesoro della rivelazione pregata non vada perduto;

  2. che sacerdoti e fedeli intelligentemente commossi diventino autentici missionari, educatori alla preghiera secondo il cuore della Chiesa. Se non ci fosse anche per noi questo secondo punto, cadremmo nello stesso tragico errore dei riformatori conciliari: credere che basti tornare a qualcosa di esteriore (fosse anche la messa antica) perché la vita rinasca.



  Che la Madonna ci aiuti ad essere fedeli al nostro compito.
"Radicati nella fede", Maggio 2014

martedì 24 febbraio 2015

La questione liturgica. Il Rito Romano Antiquior e il Novus Ordo Missae a 50 anni dal Vaticano II

lunedì 23 febbraio 2015

La questione liturgica. Il Rito Romano Antiquior e il Novus Ordo Missae a 50 anni dal Vaticano II

È uscita la Seconda edizione riveduta e aggiornata del mio saggio «La questione liturgica. Il rito Romano usus antiquior e il Novus Ordo Missae a 50 anni dal Vaticano II», Ed. Solfanelli, pag.136, Euro 11. Sarà presto distribuito nelle librerie.
Ordini via mail: tabulafatiordini@yahoo.it

Il Libro:
Lo scenario della Chiesa di oggi, riformata secondo le applicazioni del Concilio Vaticano II, presenta un mosaico di “criticità” che non sfuggono ai fedeli ed agli studiosi più coinvolti. Esse non hanno risparmiato — anzi vi trovano il loro focus — la Liturgia, culmine e fonte della vita di fede nella sua espressione sacramentale (SC,10), funzione primaria della Chiesa santificante oltre che docente e guidaper i fedeli. In vista dell’annuncio e della testimonianza di Cristo al mondo.
Nel presente saggio viene analizzato sul piano filosofico e teologico lo status quaestionis, in ambito liturgico, della crisi che viene da lontano ma caratterizza l’ultimo cinquantennio. Vengono quindi sviluppati in termini essenziali alcuni dei punti rilevanti di un dibattito ancora aperto, da diffondere ed allargare, al fine di alimentare una “pastorale” secondo la Tradizione che è vita e giovinezza della Chiesa.

L'autore
Maria Guarini, laureata in teologia ed esperta in Comunicazione e nuove tecnologie, ha diretto per anni la Biblioteca e le Relazioni al Pubblico del Ministero delle Comunicazioni. Continua a svolgere un’attività di Operatore dell’Informazione a livello internazionale.
È da tempo impegnata a testimoniare la presenza della Chiesa sulla Rete Internet, nuova frontiera di libertà e crogiolo per la formazione di correnti di pensiero svincolate dalle culture dominanti e tendenti al vero, in quanto radicate nella Tradizione perenne, ritrovando e rivendicando il primato della verità sull’azione, della conoscenza sulla prassi ateoretica. Autrice dei libri «La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II» (DEUI, Rieti 2012) e «Agorà Telematica» (Edizioni Vivere in, Roma 2001).
Presentazione di Mons. Brunero Gherardini

Ho avuto, poco tempo fa, una gradita sorpresa: il testo La questione liturgica di Maria Guarini, un nome non nuovo nell’ambito della teologia e segnatamente della liturgia.
Il testo è dedicato alla questione liturgica, considerata non astrattamente o genericamente, ma in relazione al santo sacrificio della Messa. E più precisamente alla Messa secondo il rito che il Santo Padre Benedetto XVI ha definito straordinario. Il suo contenuto non è, dunque, ciò di cui il titolo potrebbe indurre l’attesa, vale a dire uno studio più o meno scientificamente condotto sul concetto di liturgia, sul suo contenuto e sulle sue singole parti, ma una serie di riflessioni, non raramente e giustamente critiche circa la situazione di fatto determinatasi sulla scia della “creatività” postconciliare, ma protese alla riconquista del terreno perduto. A tale riguardo non si può far altro che applaudire.

È bene poi rilevare il sano equilibrio che la Guarini distribuisce a piene mani nelle sue pagine. Si potrebbe pensare che essa si muova in direzione più tradizionalista che progressista; sono anzi convinto che le cose stiano esattamente così. Tuttavia il suo aperto tradizionalismo non è per lei un “paraocchi”. Ci vede anzi e ci vede bene, tanto se si volge all'indietro, quanto se guarda in avanti. Sa che la liturgia non è “immodificabile”, per usare un suo aggettivo; conosce l’evolversi del fatto liturgico attraverso tanti secoli di storia ecclesiastica e d’adattamento del culto alla sempre più profonda comprensione del mistero in esso e con esso celebrato. E presa dalla bellezza ineffabile e dalla ricchissima simbologia d'ogni azione liturgica, ne trae la conclusione in termini di coerenza cristiana: gettarsi in ginocchio, adorare e ringraziare.

Se è vero che liturgia e fissismo non vanno d’accordo, è altrettanto vero che dell’autentica liturgia non è un ottimo interprete né chi sa o preferisce voltarsi soltanto all’indietro, né chi, guardando in avanti, non ha occhi se non per l’ancor confuso domani.
Se s’è d’accordo su questo, allora si capisce perché né l’archeologismo fine a se stesso, né l’improvvisazione, fosse pur seria, devota ed edificante, potrebbero esser mai vera liturgia. Questa è sempre collegata alle sole due fonti che ne garantiscono l'autenticità: la continuità della sacra Tradizione e la sua proposta ufficiale ad opera del magistero ecclesiastico. Non è senza significato il fatto che la Tradizione perde la sua vitalità quando viene strappata dalle mani di chi, per divina disposizione, ne ha il controllo, la custodia e il compito di ritrasmetterla – ossia il magistero ecclesiastico –, così come viene letteralmente soffocata ogni volta che proprio chi ne ha il controllo, la custodia e il compito di ritrasmetterla è sistematicamente ignorato, se non anche rifiutato, tanto dal fissismo quanto dall'improvvisazione.

Mi sembra che sia questa la griglia attraverso la quale affrontare la lettura del succoso scritto della Guarini. Affacciandosi, infatti, a codesta griglia, s’intuisce il motivo e l’obbiettività sia dei “no” sia dei “sì” che si rincorrono nelle pagine di questo testo; si capisce soprattutto “la funzione e la ragion d’essere della Liturgia” ed il perché della conservazione gelosa della lingua latina come lingua sacra – o meglio liturgica – per eccellenza. Si tratta in realtà della griglia dalla quale traspare tutto il valore – e tutto il significato – del fatto liturgico. Specialmente sul significato non bisogna sorvolare. Guai, anzi, a non assimilarlo progressivamente e sapidamente in tutta la sua portata; ministro e fedeli rischierebbero altrimenti di coinvolgersi in una pura e semplice mess’in scena e nella conseguente recita, nonché di perder il dovuto contatto con l’actio sacra per antinomasia.

Giustamente è messo l'accento sul cosiddetto rinnovamento dal basso. Dico “giustamente” non per provocare nel lettore la consapevolezza, o addirittura la presunzione, d’esser il motore della rinnovata liturgia, e men ancora l’idea che solo dal basso possa insorgere una autentica riforma liturgica. L’accorta Autrice fa capire che un’operazione di tal genere, il cui contenuto attiene all’ambito della fede e, quindi, della divina rivelazione, non potrà né dovrà mai essere, in ultim’analisi, d'iniziativa popolare o personale, ma opera di coloro ai quali Cristo affidò il presente e il futuro della sua Chiesa.

L'importanza dello scritto qui analizzato è data anche dalla “confutazione d’alcuni luoghi comuni”. A dir il vero si tratta non di semplici “frasi fatte” e di “ritornelli” privi del senso del sacro, ma anche e soprattutto di pretestuose ed infondate obiezioni contro la forma classica del Rito Romano. Questa viene felicemente riaffermata anche mediante la critica della “desacralizzazione, banalizzazione, orizzontalità di gesti”, nonché del degrado al quale è pervenuta la deformazione concettuale e pratica d'una liturgia ridotta “a cornice sacrale”.
Importante, anche in ordine alla spesso ripetuta domanda di spiegazione, appare la precisazione sul senso da dare alla cosiddetta “attiva partecipazione”, di cui il Santo Padre ha più volte parlato e all’insegnamento del quale l'Autrice significativamente si aggancia.
In special modo l’importanza dello scritto della Guarini sta nella sua riaffermazione della centralità di Cristo, soggetto ed oggetto, attraverso il ministero ecclesiastico, dell’azione liturgica e della sua preghiera.

Non mancherà qualche lettore che, non nuovo alle tematiche teologiche e al relativo dibattito, troverà nel presente scritto alcune espressioni meno felici, riscattate però dall’evidente intenzione d’aderire con tutt’il cuore e tutta l’anima al dato rivelato, alla Tradizione, alla parola magisteriale della Chiesa. Sotto codesto punto di vista, lo scritto della Guarini ha un’incidenza d’evidente portata esemplaristica e metodologica: non si nega alla discussione, ma del dibattito teologico all’interno d’un legittimo scopo di comprensione e d’approfondimento, trova sempre la soluzione nella Parola della Chiesa.

I miei più vivi complimenti e l’augurio sincero di continuare l’impresa nella direzione seguita: l’unica che consenta al teologo di sfuggire al pericolo d’esser quasi aerem verberans
Brunero Gherardini

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