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venerdì 28 agosto 2015

"La direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore"

  
Versus Deum per Iesum Christum

"La direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore". L'introduzione del decano del Sacro Collegio al libro di Uwe Michael Lang
del cardinale Joseph Ratzinger

Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi in questa forma.

Certo, alla lingua volgare si sarebbe dovuto dare spazio, secondo le intenzioni del Concilio (cfr. Sacrosanctum Concilium 36,2) - soprattutto nell'ambito della liturgia della Parola - ma, nel testo conciliare, la norma generale immediatamente precedente recita: "L'uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini" (Sacrosanctum Concilium 36,1).

Dell'orientamento dell'altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l'Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: "L'altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]". L'introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: "è auspicabile laddove è possibile". Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire - "laddove possibile" - gli altari rivolti verso il popolo. Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola "expedit" [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L'orientamento fisico dovrebbe - così dice la Congregazione - essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.

Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant'anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell'ascolto attento degli altri, ma soprattutto nell'ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come 'preconciliari', 'reazionarie', 'conservatrici', oppure 'progressiste' o 'estranee alla fede', non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.

Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell'orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno - mi sembra - un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.

Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall'inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato 'voltando le spalle al popolo'. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo - secondo Jungmann - la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all'essenza dell'azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer - anch'egli uno dei principali liturgisti del Concilio - e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall'inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l'elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l'uno verso l'altro.
Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti 'anticonciliari'. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l'apertura della liturgia verso ciò che l'attende e verso ciò che la trascende.

In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d'Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell'Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.
Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo - necessario per ogni generazione - di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

IL LIBRO
Il testo del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato in queste pagine, inedito in Italia, è la prefazione che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha scritto al libro di Uwe Michael Lang Conversi ad DominumZu Geschichte und Theologie der christlichen Gebetsrichtung, edito lo scorso anno in Svizzera dalla Johannes Verlag di Einsiedeln. Del volume sta uscendo la versione in lingua inglese (Turning towards the Lord: Orientation in Liturgical Prayer) per la casa editrice Ignatius Press di San Francisco (Usa), che detiene il copyright dell'opera.

Uwe Michael Lang è membro dell'oratorio di San Filippo Neri a Londra, ha studiato teologia a Vienna e Oxford, e ha pubblicato numerosi testi su argomenti patristici.
G. C.

da "30Giorni", 3/2004www.30Giorni.it

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mercoledì 3 giugno 2015

Che fine ha fatto la lingua liturgica dell'Occidente

Che fine ha fatto la lingua liturgica dell'Occidente?




Vi riporto senza commento (ma ce ne sarebbero di commenti da fare....) l'articolo del prof. Lang sulla lingua liturgica della Chiesa d'Occidente, che l'autore "osa" inserire nella categoria di "lingua sacra" (mi immagino appena l'orrore dei liturgisti di scuola contemporanea per questa blasfèmia degna di condanna a morte....). Recuperando comunque ovvie e naturali categorie antropologiche, sociologiche oltre che teologiche, il prof. Lang ci offre in condensato una lode del latino liturgico e delle sue virtù (che nessun Concilio ha mai pensato neanche lontanamente di debellare.... ma tant'è siamo arrivati dove siamo arrivati). 
Speriamo che anche questo semplice, ma incisivo articolo, possa essere un'ennesima goccia che scava la roccia (o meglio il cranio più duro della roccia dei liturgisti difensori strenui della "Sacra e immutabile Tradizione degli ultimi 40 anni"). Interessantissimo il modo con cui il padre Lang smonta, senza nominarle, alcuni dei pretestuosi e sempre ripetuti argomenti contro la reintroduzione del latino nella liturgia. In particolare fa capire, senza dirlo, che dopo anni e anni di memorizzazione dei testi nelle diverse lingue vernacole, non siamo nella condizione del pre-Concilio. 
Tutti i frequentatori della Messa domenicale sanno benissimo il Gloria, il Credo, il Santo e tutte le risposte e perfino le preghiere eucaristiche nella propria lingua. Non dovrebbero perciò aver alcun problema nel comprendere cosa "si dice" in latino! Tanto più che con un semplice foglietto possono seguire agevolmente, anche se di lingue madri diverse, la stessa liturgia cattolicamente latina.... E così un po' di commento preventivo ce l'ho messo!
Un grazie a Zenit che ci dà l'opportunità di leggere questo bell'articolo.



LA LINGUA DELLA CELEBRAZIONE LITURGICA
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di Padre Uwe Michael Lang. Officiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

La lingua non è soltanto uno strumento che serve per comunicare fatti, e deve farlo nel modo più semplice ed efficiente, ma è anche il mezzo per esprimere la nostra mens in un modo che coinvolga tutta la persona. Di conseguenza, la lingua è anche il mezzo in cui si esprimono i pensieri e le esperienze religiosi.

La lingua adoperata nel culto divino, ovvero la “lingua sacra” non si spinge fino alla glossolalia (cf 1Cor 14) o al mistico silenzio, escludendo completamente la comunicazione umana, o almeno tentando di farlo. 

Tuttavia, si riduce l’elemento della comprensibilità a favore di altri elementi, in particolare quello espressivo. Christine Mohrmann, la grande storica del latino dei cristiani, afferma che la lingua sacra è un modo specifico di “organizzare” l’esperienza religiosa. Infatti, la Mohrmann sostiene che ogni forma di credere nella realtà soprannaturale, nell’esistenza di un essere trascendente, conduce necessariamente all’adozione di una forma di lingua sacra nel culto, mentre un laicismo radicale porta a respingere ogni forma di essa. 

In tal senso, il Cardinale Albert Malcolm Ranjith ha ricordato in un’intervista: «L’uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell’Induismo la lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell’Islam si impiega l’arabo del Corano. L’uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell’al-di-là» (La Repubblica, 31 luglio 2008, p. 42).

L’uso di una lingua sacra nella celebrazione liturgica fa parte di ciò che san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae chiama la solemnitas. Il Dottore Angelico insegna: «Ciò che si trova nei sacramenti per istituzione umana non è necessario alla validità del sacramento, ma conferisce una certa solennità, utile nei sacramenti a eccitare la devozione e il rispetto in coloro che li ricevono» (Summa Theologiae III, 64, 2; cf. 83, 4).

La lingua sacra, essendo il mezzo di espressione non solo degli individui, ma di una comunità che segue le sue tradizioni, è conservatrice: mantiene le forme linguistiche arcaiche con tenacia. Inoltre, vengono introdotti in essa elementi esterni, in quanto associazioni ad un’antica tradizione religiosa. Un caso paradigmatico è il vocabolario biblico ebraico nel latino usato dai cristiani (amen, alleluia, osanna ecc.), come ha osservato già sant’Agostino (cf. De doctrina christiana II, 34-35 [11,16]).

Lungo la storia, si è adoperata un’ampia varietà di lingue nel culto cristiano: il greco nella tradizione bizantina; le diverse lingue delle tradizioni orientali, come il siriaco, l’armeno, il georgiano, il copto e l’etiopico; il paleoslavo; il latino del rito romano e degli altri riti occidentali. In tutte queste lingue si trovano forme di stile che le separano dalla lingua “ordinaria” ovvero popolare. Spesso questo distacco è conseguenza degli sviluppi linguistici nel linguaggio comune, che poi non sono stati adottati nella lingua liturgica a causa del suo carattere sacro. Tuttavia, nel caso del latino come lingua della liturgia romana, un certo distacco è esistito sin dall’inizio: i romani non parlavano nello stile del Canone o delle orazioni della Messa. Appena il greco è stato sostituito dal latino nella liturgia romana, è stato creato come mezzo di culto un linguaggio fortemente stilizzato, che un cristiano medio della Roma della tarda antichità avrebbe capito non senza difficoltà. Inoltre, lo sviluppo della latinitas cristiana può avere reso la liturgia più accessibile alla gente di Roma o Milano, ma non necessariamente a coloro la cui lingua madre era il gotico, il celtico, l’iberico o il punico. Comunque, grazie al prestigio della Chiesa di Roma e la forza unificatrice del papato, il latino divenne l’unica lingua liturgica e così uno dei fondamenti della cultura in Occidente.

La distanza fra il latino liturgico e la lingua del popolo divenne maggiore con lo sviluppo delle culture e delle lingue nazionali in Europa, per non menzionare i territori di missione. Questa situazione non favoriva la partecipazione dei fedeli nella liturgia e perciò il Concilio Vaticano II volle estendere l’uso del vernacolo, già introdotto in una certa misura nei decenni precedenti, nella celebrazione dei sacramenti (Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, art. 36, n. 2). Allo stesso tempo, il Concilio ha sottolineato che «l’uso della lingua latina […] sia conservato nei riti latini» (ibid., art. 36, n. 1; cf. anche art. 54). Comunque, i Padri conciliari non immaginavano che la lingua sacra della Chiesa occidentale sarebbe stata totalmente sostituita dal vernacolo. 

La frammentazione linguistica del culto cattolico si è spinta così oltre, che molti fedeli oggi possono a stento recitare un Pater noster insieme agli altri, come si può notare nelle riunioni internazionali a Roma e altrove. In un’epoca contrassegnata da grande mobilità e globalizzazione, una lingua liturgica comune potrebbe servire come vincolo di unità fra popoli e culture, a parte il fatto che la liturgia latina è un tesoro spirituale unico che ha alimentato la vita della Chiesa per molti secoli. 

Senz’altro il latino contribuisce al carattere sacro e stabile «che attrae molti all’antico uso», come scrive il Santo Padre Benedetto XVI nella sua Lettera ai Vescovi, in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007). Con l’uso più ampio della lingua latina, scelta del tutto legittima, ma poco usata, «nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità» (ibid.).

Infine, è necessario preservare il carattere sacro della lingua liturgica nella traduzione vernacolare, come fa notare con esemplare chiarezza l’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sulla traduzione dei libri liturgici Liturgiam authenticam del 2001. Un frutto notevole di questa istruzione è la nuova traduzione inglese del Missale Romanum che verrà introdotta in molti paesi anglofoni nel corso di quest’anno.




Testo preso da: Che fine ha fatto la lingua liturgica dell'Occidente? http://www.cantualeantonianum.com/2011/02/che-fine-ha-fatto-la-lingua-liturgica.html#ixzz3bydaVyHk
http://www.cantualeantonianum.com 










domenica 29 aprile 2012

Il sale della terra: “... Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?...” ***“... la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi...”



J. RATZINGER SULLA LITURGIA



 Prefazione a K. GamberLa réforme liturgique en question, ed. S.te Madelaine du Barroux, 1992.
 “...Il risultato [della riforma liturgica] non è stata una rianimazione ma una devastazione. Da un canto, abbiamo una liturgia degenerata in “show”, nella quale     si cerca di rendere la religione interessante con l’aiuto di idiozie alla moda...”

Dio e il Mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio
“... è importante che venga meno l'atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970...”

...in generale, ritengo che la riforma liturgica non sia stata applicata bene...”

La mia vita: ricordi, 1927-1977
“... una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche...”

“... Il sacerdote rivolto al popolo dà alla comunità l’aspetto di un tutto chiuso in se stesso...”

“... l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica...”

“...lo posso dire con sicurezza, basata sulla mia conoscenza dei dibattiti conciliari e sulla reiterata lettura dei discorsi fatti dai padri conciliari, che ciò non corrispose alle intenzioni del Concilio Vaticano II...”

Prefazione al libro di U.M. LANGConversi ad Dominum
“... la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi...”

“...l'aspetto "pastorale" è divenuto il varco per l'irruzione della "creatività", la quale dissolve l'unità della liturgia e ci mette spesso di fronte a una deplorevole banalità...”

“... Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?...”

“...Lei mi chiede di attivarmi per una più ampia disponibilità del rito romano antico. In effetti, lei sa da sé che non sono sordo a tale richiesta. Nel contempo, il mio lavoro a favore di questa causa è ben noto...”

“... ci si deve opporre, più decisamente di quanto sia stato fatto finora, all’appiattimento razionalistico, ai discorsi approssimativi, all’infantilismo pastorale che degradano la liturgia cattolica al rango di circolo di villaggio e la vogliono abbassare a un livello fumettistico...”

“... ma i brividi che incute la liturgia postconciliare, fattasi opaca, o semplicemente la noia che essa provoca con il suo gusto per il banale e con la sua mediocrità artistica...”

Le sottolineature nelle citazioni sono, ovviamente, nostre.

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“Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa”