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domenica 3 novembre 2019

Il suicidio dell'alterare la Fede nella Liturgia...

Il suicidio dell'alterare la Fede nella Liturgia...



 di Padre Paul Kramer
Il titolo “Il suicidio dell’alterare la fede nella Liturgia” non è mio. Viene da un discorso di Papa Pio XII, che vide la possibilità di un’imminente crisi nella fede e parlò di una Chiesa dubitante come Pietro una volta dubitò, riferendosi al rinnegamento di S. Pietro di Nostro Signore nella notte della sua passione.
Un metodo degli eretici per attaccare la Chiesa è di infiltrare la gerarchia Cattolica e quindi cambiare la Liturgia per tacitare la sua esplicita professione di fede, facendo apparire la Liturgia sostenere dottrine eretiche. Papa Pio XII avvisò di questo pericolo, “Il suicidio dell’alterare la fede nella Liturgia”.

Molti preti e fedeli non vedono nessun problema col nuovo Rito della Messa. Considerano sé stessi fedeli alla tradizione e sono apertamente antimodernisti.
Ma le astuzie del demonio sono così grandi che essi sono così ingannati da aderire alla posizione modernista senza rendersene conto. E’ come il trattamento fatto alle rane: se le mettete nell’acqua calda saltano fuori immediatamente, ma se le mettete nell’acqua fredda e la riscaldate lentamente, non si rendono conto dell’innalzamento della temperatura fino a quando è troppo tardi. Sono state cotte.

Ho visto questo in molti vescovi cattolici. Venticinque, trent’anni fa erano lealmente arci-conservatori, ritenendo le tradizioni apostoliche della Chiesa; ma questi uomini non si accorsero che quasi nessun di loro la pensava più in quel modo. Vivevano in un’illusione.
Non ho intenzione di fare dei nomi adesso, alcuni di questi vescovi sono già stati giudicati da Gesù Cristo. Non c’è bisogno che io dia ora un giudizio su di loro. L’errore, troppo spesso, è di pensare alla tradizione apostolica in termini di dogmi e considerare la fede e la morale e ogni altra cosa come una semplice questione di disciplina che può essere cambiata, secondo la volontà del legislatore, sia egli vescovo o Papa. Quando S. Paolo parla di tradizione egli non parla semplicemente di dogma. Nella 2.a ai Tessalonicesi S. Paiolo dice: “Tieni salda la tradizione che hi ricevuto da noi, sia a parole che per lettera”. Ci sono entrambe le tradizioni orali e scritte. Ma egli non si riferisce solo all’insegnamento. Egli stesso lo dice chiaramente con una delle più famose espressini del Nuovo Testamento. S. Paolo dice, “Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”. Quindi spiega ciò che ha ricevuto. Ciò che descrive è la Santa Messa. Che il Signore, prima di soffrire, prese il pane e dicendo, “Questo è il mio corpo dato per voi. Questo è il calice del mio sangue”, ecc. Allora quando S. Paolo dice, “Tieni salda la tradizione” e “Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”, si riferisce esplicitamente alla Santa Messa. 

C’è così poca comprensione nella Chiesa sulla dottrina a riguardo della Liturgia che è stata quasi completamente oscurata. Nella Summa di S. Tommaso non c’è quasi nulla a riguardo della Liturgia. La ragione di ciò è del tutto ovvia per chi conosce la storia dello sviluppo della dottrina. Se un punto diventa controverso, è allora che che i teologi producono una grande quantità di scritti e di parole sull’argomento. Ma se una dottrina non è messa in q2uestione, allora non viene detto molto a riguardo. Le controversie Cristologiche dei primi tempi e lo sviluppo della dottrina della tansubstanziazione – in quale modo c’è la Presenza Reale di Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino – provocò una grande quantità di scritti. La cosa che fu meno discussa fu la dottrina della liturgia, per il fatto che era così bene e universmente intesa. 
La liturgia fu un sacro patrimonio tramandato da generazione in generazione nella Chiesa. Il processo del tramandare è ciò che noi chiamiamo tradizione. La tradizione, essendo stata stabilita, diventa consuetudine. La liturgia si sviluppa gradualmente, come fanno gli esseri umani, in un modo naturale organico fino a che raggiunge la maturità. Essa raggiunge la completa durata del suo sviluppo ed è quando lo sviluppo finisce. Allora la forma della liturgia resta fissa e subisce, da allora in poi, piccolissime variazioni. 
Nella vita della tradizione, ci sono sempre sviluppi secondari e secondari cambiamenti e, dopo un periodo di tempo, la liturgia necessita di essere rifinita ancora. Ed è quando si ha la revisione della liturgia intrapresa dal Romano Pontefice. Dopo secoli di sviluppo, il Rito Romano era al massimo livello e non necessitava più di essere rifinito e modificato. Questo è ciò che fece Papa S. Pio V. 

Una delle idee più sbagliate della Chiesa post-conciliare è l’aver pensato che Paolo VI fece ciò fece S. Pio V. In effetti, stiamo per vedere che egli fece qualcosa di esattamente all’opposto. 
La prima domanda a cui dobbiamo rispondere, comunque, è cosa ha a che fare il cambio della liturgia col messaggio di Fatima. E la risposta, naturalmente, è che esso ha tutto a che fare col messaggio di Fatima. Il Vescovo Cosme do Amaral, ex Vescovo di Leiria-Fatima, al Politecnico di Vienna, nel 1984, parlò del terzo segreto come se trattasse dell’apostasia, della perdita della fede, in interi continenti. Cosa ha a che fare il cambio della liturgia con la perdita della fede? Vedremo che ha tutto a che fare con la perdita della fede. Padre Alonso parlò del terzo segreto come se si trattasse delle mancanze della più alta gerarchia della Chiesa e tendenti a rendere giustizia a coloro che nella Chiesa sono chiamati Tradizionalisti. Il ruolo della tradizione nella Liturgia
Uno degli argomenti principali che sostengono i Cattolici Tradizionali è quello di sottolineare l’importanza del Rito Romano della Messa in opposizione al Rito di Paolo VI. Appena accenni alle carenze nel Rito di Paolo VI, i così detti conservatori diventano molto agitati. Diranno “Ma il rito di Paolo VI fu promulgato dall’intera Chiesa e ha la protezione dell’infallibilità. Come osi dire che c’è qualche difetto nel nuovo Rito della Messa quando lo Spirito Santo dà protezione al Papa quando promulga i riti per l’intera Chiesa? 
Ciò che impedisce a questa gente di comprendere è che non hanno letto molto attentamente la documentazione della cosiddetta promulgazione del Messale di Paolo VI, che è chiamata fraudolentemente Messale Romano per il Fatto che il Rito della Messa ivi contenuto non è il Rito Romano della Messa. Non è la liturgia Romana. E’ ciò che il grande architetto del nuovo Rito della Messa, Mons. Annibale Bugnini, chiamò una nuova creazione. Il suo braccio destro, Joseph Gelineau, S.J., disse del nuovo rito, “Dobbiamo parlare francamente. Il Rito Romano non esiste più. E’ stato distrutto”. Lui lo dovrebbe sapere. Fu uno dei principali distruttori. 
Qui c’è qualcosa di veramente divertente da considerare: il Canone 846 del Nuovo Codice di Diritto Canonico, il Codice del 1983 promulgato da Giovanni Paolo II, dice che i ministri devono amministrare i Sacramenti secondo il loro proprio Rito. Questa legge riflette semplicemente la dottrina della fede Cattolica. E’ un infallibile insegnamento del magistero Cattolico a riguardo del regolamento della Sacra Liturgia. Questo è stato oscurato e dimenticato. Prima di tutto prendiamo in considerazione il significato de “il loro proprio Rito” del Codice del Diritto Canonico. Per i Cattolici Bizantini, che usano la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, perché sono di Rito Bizantino, il loro proprio Rito è il rito è la Liturgia Bizantina. Questo è il motivo per cui il Concilio di Firenze decretò, sotto Papa Eugenio IV, che quelli che sono di Rito Orientale devono confezionare la Santa Eucaristia secondo l’uso della loro Chiesa, come quelli che sono di Rito Romano devono confezionarla in accordo all’uso della Chiesa Romana. 
Ora questo non fu una dichiarazione arbitraria. E’ radicato nella dottrina che la legge della consuetudine governa la liturgia. Ma cosa c’è di così sacro nella consuetudine? Perché la consuetudine governa la liturgia? Perché la consuetudine è stata fondata dalla tradizione, e la legge della tradizione è basata sulle Sacre Scritture. 

S. Paolo non fece nessuna innovazione nella liturgia che ricevette. “Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”. Così la Sacra Scrittura stabilisce la regola della tradizione; la tradizione stabilisce i costumi; e quindi il Concilio di Firenze nel fare la sua solenne definizione applicò il principio che la consuetudine governa la liturgia quando definì che coloro che appartengono alla Chiesa Greca devono usare pane lievitato e quelli che appartengono alla Chiesa Romana usare pane non lievitato. Il Canone 27 del Nuovo Codice di Diritto Canonico spiega che la consuetudine è la miglio interprete della legge. Così quando guardiamo alla legge liturgica nello spirito della tradizione canonica, bisogna dirlo, comprendiamo autenticamente la legge come si volle fosse intesa, allora deve essere capita secondo quella tradizione che ha stabilito le consuetudini ecclesiastiche e liturgiche. Questo è il motivo per cui la consuetudine è così importante nel determinare il senso, il significato, della legge. 
Tra gli antichi Padri abbiamo S. Giovanni Crisostomo, che disse in pochissime parole: “E’ tradizione? Non chiedere altro”. 
Tra i Dottori medievali non troviamo molti pronunciamenti, ma ciò che troviamo è unanimemente insegnato come S. Pier Damiani ed altri che insistono che non devi cambiare i punti di riferimento. Ciò che è stato tramandato non deve essere alterato. A tal punto che se anche il Papa dovesse fare dei cambiamenti le consuetudini universali della Chiesa, non deve essere seguito. Un libro che parla in modo specifico della consuetudine, un trattato teologico scritto dal grande Papa Innocenzo III, dice che se il Papa fa dei cambiamenti nella consuetudine universale della Chiesa, non deve essere seguito. Ora abbiamo così tanti vescovi che insistono affinché I preti e I fedeli aderiscano a questo nuovo Rito di Paolo VI perché, pretendono, che esso fu decretato da un Papa e quindi, in umile obbedienza, dobbiamo accettarlo; che non saremmo Cattolici leali se insistiamo nell’adesione al vecchio Rito. 
   Ma noi abbiamo qui l’insegnamento dei Padri e Dottori della Chiesa che insistono ad aderire alla tradizione liturgica della Chiesa. Abbiamo qui uno dei più grandi Papi che dice che se un Papa osasse fare tali cambiamenti, non deve essere seguito. E si va oltre. Il Cardinal Torquemada fu nominato teologo ufficiale del Concilio di Firenze da Eugenio IV, e confermò il principio che la consuetudine governa la liturgia. Il Cardinal Torquemada spiega citando Innocenzo III – in quel libro che ho menzionato, che se il Papa dovesse attentare a cambiare le consuetudini della Chiesa, specialmente i Riti liturgici, se dovesse cercare di cambiare le cerimonie liturgiche della Chiesa, commetterebbe un atto scismatico. 
   Un secolo dopo, il grande Suarez, che fu detto essere tra i più pii ed eccellenti Dottori da Paolo V, spiegò che “se il Papa dovesse cercare di cambiare la liturgia, cadrebbe nello scisma”. Questo è l’insegnamento pontificale dai due più grandi teologi dei loro rispettivi secoli. Fu riconosciuto che ciò che insegnarono è veramente un’espressione della mente dei successori di Pietro nel loro Magistero. Ora tutto ciò ci conduce a quel giorno del 1969 il 19 di novembre. Paolo VI, nell’udienza del mercoledì, annuncia che si sta cambiando la liturgia nella Chiesa Latina. A breve la Messa si celebrerà in modo diverso da come è stata celebrata prima. Ed egli nota quanto ciò sia strano per il fatto che la Messa è considerata come la tradizionale ed intoccabile espressione del nostro culto religioso e della nostra fede. 
   Evidentemente Paolo VI non considerò approfonditamente questo punto. Perché?, avrebbe dovuto chiedere. Perché la Messa è considerata essere la tradizionale ed intoccabile espressione del nostro culto religioso? La risposta a questa domanda consiste nel fatto che è l’infallibile insegnamento della fede Cattolica che ci dice che siamo tenuti ad abbracciare e aderire ai Riti tradizionali della nostra rispettiva Chiesa. 
  Una volta parlai con un prete di questa questione e prima ancora che potessi parlare per entrare nell’argomento , disse “questo non può essere materia di fede perché la Messa Tridentina, il Rito Romano, non esisteva neppure alla morte dell’ultimo apostolo. E allora come può essere la Messa Tridentina una materia di legge divina?” Ed è allora che dissi, “risponderò alla tua domanda. La legge di Dio è espressa nell’infallibile professione di fede. La Professione di Fede Tridentina obbliga tutti i Cattolici ad aderire alla liturgia tradizionale, i Riti ricevuti ed approvati. Perché sono detti ricevuti ed approvati? Perché sono stati approvati così come sono stati consacrati dalla tradizione, l’autorevole trasmissione dei Riti. Essi sono veramente il patrimonio che abbiamo ricevuto attraversi i secoli dal veicolo della tradizione. Non è autentica liturgia se non è stata ricevuta attraverso il veicolo della tradizione. 
   E ciò perché la legge di Dio, come è definita dalla Chiesa e spiegata da S. Paolo, è che la liturgia deve essere trasmessa dal veicolo della tradizione. Paolo VI ... , non comprendendo che questa è materia di Fede Divina e Cattolica solennemente professata nella Professione di Fede Tridentina, annunciò che la liturgia stava per essere cambiata. Ci sarebbero stati grandi variazioni nella liturgia. E come può essere questo, per il fatto che la Messa, come lo stesso Montini ammise,è considerata essere intoccabile, espressione tradizionale del nostro culto religioso e della nostra fede? Quando parliamo di perdita della fede stiamo parlando di Nostra Signora di Fatima nel terzo segreto, possiamo vedere che questo punto è già stato oscurato. 
Sin dalla Riforma Protestante c’è stata una tale enfasi sulla chiarezza dottrinale nel confutare le false dottrine dei Protestanti che l‘insegnamento della Chiesa a riguardo della liturgia è stato trascurato. Ed essendo stato trascurato, fu dimenticato. Ed allora quando furono fatti i cambiamenti, furono messi in pratica da coloro che, in posizione di alta autorità, trascurarono l’insegnamento della Chiesa nel fare questi cambiamenti.Ed è per questo che il terzo segreto tratta della negligenza dei pastori della gerarchia superiore della Chiesa. 

La “Promulgazione” della Nuova Messa? 
Prima di affrontare il Scrosanctum Concilium del Vaticano II, devo sottolineare che se leggiamo scrupolosamente il decreto del Missale Romanum di Paolo VI, ci accorgeremo che Paolo VI non decretò mai, né mai promulgò, che il nuovo Rito della Messa rimpiazzasse il vecchio Rito. In realtà, Egli non promulgò assolutamente mai in modo appropriato la Messa. 
     In una delle mie conversazioni col recente Vescovo Salvador Lazo gli feci notare, “Sua Eccellenza, dovete essere molto astuto quando leggete questi documenti perché sono veramente ingannevoli Sembrano insinuare ed implicare una cos senza veramente affermarla. Sembrano decretare una legge, ma se leggete attentamente, non decretano nulla”. Il Vescovo Lazo mi rispose, “ma Roma il Vaticano, i capi della Curia Romana, i dicasteri, loro sono i nostri Padri Spirituali. I nostri rapporti con loro sono di filiale pietà verso i nostri Padri Spirituali. Perciò non ci aspettiamo di dover leggere i loro documenti così attentamente.” E si arrabbiò molto perché disse “approfittano della nostra filiale pietà e ci ingannano”. 
   Alla fine della sessione del Vaticano II, alcuni Vescovi chiesero al Segretario del Concilio Card. Pericle Felici il motivo del richiamo alle “note teologiche” del Concilio. Il Card. Felici rispose “bisogna distinguere in accordo agli schemi e ai capitoli quelli che sono già stati oggetto di definizioni dogmatiche nel passato; perché per le dichiarazioni che presentano un carattere di novità,dobbiamo fare delle riserve”. Nel cosiddetto, Messale Romano, del Vaticano II, che non contiene il Rito Romano ma il Rito di Palo VI, vedrete che alla fine del documento Paolo VI dice molto solennemente “quanto abbiamo decretato avrà forza di legge il seguente 30 novembre”. Ora chi legge, legge che, come fu fatto più di trent’anni fa, “quanto abbiamo decretato avrà forza di legge il prossimo novembre. Ciò significa che questo messale sta per diventare legge della Chiesa. Questo è il messale che dobbiamo usare da prossimo novembre”. Questa fu l’impressine che vollero creare. 

Ma essi non avrebbero preso la responsabilità di legiferare veramente questo. Rileggete l‘intero documento. Rileggetelo ancora. Cosa è decretato? Cosa veramente decreta questo documento? Cosa dichiarò così solennemente che avrebbe avuto forza di legge il prossimo novembre? Ci sono esattamente due decreti in quella costituzione apostolica, 'Missale Romanum', di Paolo VI. Egli decreta che tre nuove preghiere eucaristiche devono essere stampate in questo libro. Egli decreta poi quali debbano essere le parole della consacrazione e che devono apparire in ciascuna delle quattro preghiere eucaristiche. Sono le uniche cose che egli decreta nell’intero documento, il cosiddetto Messale Romano, leggetelo attentamente. Vedrete che non c’è nient’altro decretato nell’intero documento. Non viene promulgato nessun nuovo Rimodellamento della Messa in quel documento.

Osservate la Quo Primum Tempore di S. Pio V; quello è promulgare. “Quindi, in perpetuo, questo messale deve essere usato da tutti i preti in tutte le chiese di Rito Romano, in tutte le case religiose, ad eccezione di quei Riti che sono più vecchi di 200 anni, tutti gli altri messali devono essere quindi completamente deposti”. Questo è ciò che si chiama legislazione. 

Il Missale Romanum di Paolo VI presenta semplicemente un libro e decreta su alcune nuove preghiere che devono essere stampate nel libro; non cè niente in esso di natura disciplinare. Non si prescrive che il nuovo messale debba essere usato, e neanche si permette di usarlo, a nessuno. Non esiste una qualsiasi autorizzazione per l’uso di quel nuovo messale di Palo VI. Chi è sottoposto all’uso di questo messale? Non una sola parola. Chi può usare questo messale? Dove può usarlo? Non una parola. Ecco perché siamo alla presenza di un ordinamento veramente strano. Nel titolo del documento si legge ‘promulgazione’. Leggiamo il testo del documento e ci accorgiamo che non è stato promulgato nulla. Provate solo a immaginare se la solenne definizione dell’assunzione della Beata Vergine Maria al Cielo mancasse di un passaggio chiave dove Pio XII dice noi definiamo, noi stabiliamo, noi dichiariamo che è un dogma, un doga rivelato dalla fede Cattolica che la Beata Vergine Maria, alla fine della sua vita fu assunta, corpo e anima, in Cielo. Cosa sarebbe il valore dogmatico, la forza dogmatica del documento? Sarebbe assolutamente privo di valore. Non sarebbe una definizione se non avesse queste frasi. Non importa quale sia il titolo del documento, non importa di quante pagine di solenne linguaggio sia composto il documento, se quella sentenza dove viene fatta la reale definizione non appare in quel documento,allora il documento è invalido e vuoto.Per definizione, è niente. E’ privo di valore. Riguarda la stessa natura di una legge che una legge deve essere prescritta nelle sue parole. In altre parole, la legge deve comandare, deve imporre un obbligo verso quelli che sono soggetti alla legge. Deve essere chiaro chi sono quelli soggetti alla legge. Deve essere esattamente chiaro cosa viene comandato. Se queste cose no si trovano in un precetto o in una legge, allora semplicemente non è una legge, perché manca ciò che costituisce la vera essenza, la vera sostanza di una legge. Una legge che non comanda ai soggetti di fare o di non fare qualcosa è come una definizione che non definisce. “Lex dubia lex nulla”. “Lex dubia non obligat”, perché una legge deve chiaramente dare un precetto – imporre un’obbligazione legale a coloro su coloro che sono specificati essere i soggetti. 
Il Missale Romanum semplicemente fallisce questo fine. Non una legge che riguarda la disciplina della Chiesa. Esso non comanda né autorizza nessuno ad usare il messale di Paolo VI. Questo è il motivo per cui troviamo una seconda promulgazione. 

Il Missale Romanum si autodefinisce nel titolo una promulgazione. 
Girate la pagina dopo aver raggiunto la fine del documento e trovate una promulgazione della Sacra Congregazione del Culto Divino firmata dal Card. Gut, che promulga il nuovo messale appena dopo che fu promulgato, almeno così si pretendeva, da Paolo VI nel Missale Romanum. Molto strano davvero. Non è possibile per un Cardinale Prefetto di una Congregazione Romana, quand’anche autorizzato dal Papa, sovraprescrivere e abrogare il solenne decreto di un Romano Pontefice in una costituzione apostolica. Ciò è chiaro anche nel Codice di Diritto Canoico de 1983. E’ l’incarnazione di un antico principio legale che è stato nella tradizione canonica della Chiesa per secoli e secoli.: “inferior non potest tollere legem superioris”. Ma la promulgazione del Card. Gut non cercò solamente di sopprimere il messale di S.Pio V. Si spinse al punto tale da permettere solamente l’uso del nuovo messale, dichiarando che i vescovi sono coloro ai quali sarà data l’autorità di dire quando il nuovo messale può essere usato. Questo è successo nonostante fosse già uscita la promulgazione del nuovo messale. E’ solo un permesso. E deve essere attivato dai vescovi. 
E’ in errore, quindi, chiunque dica che il messale di Paolo VI fu promulgato dalla Chiesa universale di Rito Latino. E’ semplicemente falso. Fu così solo in apparenza.     Ma le frasi chiave che avrebbero costituito una legge, una vera promulgazione di una legge della disciplina universale della Chiesa, no la si trova da nessuna parte nella costituzione apostolica del Missale Romanum. 

Quindi, i preti indottrinati dall’Opus Dei portano un argomento privo di basi quando dicono “Bene, Padre, come può essere difettosa? Come ci può essere qualcosa di sbagliato nella nuova Messa visto che è stata promulgata dalla Chiesa Universale?” Questo è un errore di fatto. Non fu mai promulgata dall’intera Chiesa. Fu solo permessa in via eccezionale. La nuova Messa è difettosa? Certamente sì. 
Il Concilio vaticano II decreta come deve essere svolta la revisione della liturgia. Cito le testuali parole della Sacrosantum Concilium. “Deve essere rivista prudentemente alla luce della tradizione”. Il principio base della tradizione nello sviluppo della liturgia è che sia una crescita graduale organica, come il bambino che cresce fino a diventare adulto. Se a un essere umano noi gli tagliamo la testa e gli trapiantiamo la testa di qualcun altro, questa non sarà più uno sviluppo organico naturale. Ma furono fatte grosse amputazioni alle venerabili usanze liturgiche della Chiesa Romana. 
Il Concilio decreta che “devessere presa la dovuta cura per preservare la sostanza dei Riti liturgici”. – Sacrosanctum Conciluim, 23. 
Allora la riforma fu compiuta e avviata e la testa del Concilio (che fu il corpo costituito da Paolo VI per rivedere la liturgia), Monsignor Bugnini, dichiara che è in verità una nuova creazione; e il suo braccio destro, Padre Gelineau, dice che il Rito Romano è stato distrutto, che non esiste più. Mi piacerebbe sapere cos’è successo alla dovuta cura per preservare la sostanza dei Riti! Una Liturgia Ecumenica Un altro della banda dei vandali liturgici fu Padre Carlo Braga. Il Concilio decretò che la liturgia deve dev’essere aggiornata in accordo alle prime norme dei Santi Padri. Come dicono i riformatori liturgici che crearono il nuovo Rito, essi fecero le loro variazioni con ciò che padre Braga chiamò “una nuova dimensione ecumenica e” pesate bene queste parole “una nuova fondazione della teologia Eucaristica”. Non più la teologia del Concilio di Trento, la dottrina di s, Tommaso d’Aquino. Ma una nuova fondazione della teologa Eucaristica. 
E mentre li analizziamo uno ad uno, ci accorgiamo che cambiamenti fatti nella liturgia riflettono esattamente quelli intrapresi dalla Riforma Protestante nel 16° secolo. Non sembra che sia qualcosa di più che una semplice coincidenza il fatto che i cambiamenti fatti nella liturgia furono esattamente quelli fatti dai Riformatori Protestanti? E che se veniva trovata qualsiasi cosa che era offensiva per i Protestanti, qualsiasi cosa di più cara alla dottrina tradizionale dell’ Eucaristia Cattolica della Santa Messa, veniva ridotta di tono o completamente eliminata dalla liturgia, al punto che uno degli osservatori Protestanti al Vaticano II, che aiutava e dava consigli nel fare la nuova liturgia, disse che “I Protestanti Evangelici potrebbero in tutta tranquillità usare questo nuovo Rito della Messa”. Il “Nuovo fondamento” della teologia Eucaristica è chiaramente Protestante. Ma se parliamo di restaurazione della liturgia secondo la norma originale dei Santi Padri, il significato di ciò è espresso dalle parole do Leone XIII, dove spiega nella Orientalum Dignitas, che la Chiesa permette e provvede a qualche innovazione nella forme esteriori, specialmente quando queste sono conformi a quelle dell’antichità, vale a dire, specialmente quando questi cambiamenti sono nella natura della restaurazione. Questo è esattamente quanto fece S. Pio V. Egli restaurò la liturgia secondo le norme degli antichi Padri. Questa fu l’espresso volere del Concilio di Trento in accordo alle usanza degli antichi Padri. 
Il Sacrosanctum Concilium usò quella quasi identica espressione – in accordo alle prime norme dei Santi Padri. Ciò chiarisce benissimo che è illegale apportare radicali cambiamenti nella liturgia che riflettono una dottrina Protestantizzata della Messa e dei Sacramenti in generale, e della Santa Eucaristia in particolare. 
    
    La necessità di preservare la sostanza dei Riti liturgici è una materia di fede. Come ho sottolineato, è nella Professione di Fede Tridentina che i Cattolici sono obbligati a tener stretti, ad abbracciare, a ricevere ed ammettere quei Riti che sono quelli ricevuti ed approvati della Sacra Liturgia usati nella Chiesa Cattolica nella solenne amministrazione dei Sacramenti. A volte coloro che vorrebbero difendere la nuova liturgia si riferiranno a qualche teologo come Tanqueray, o altri, che dicono che i Riti non possono essere cambiati da nessuno eccetto il Papa. Devo porre la domanda: Possono i Papi aver sbagliato nella loro solenne professione per 600 anni? Il primissimo atto fatto da un Papa iniziando da S. Agatone fu quello di fare una solenne dichiarazione e giuramento all’atto dell’incoronazione a Romano Pontefice nel quale giurava solennemente e solennemente dichiarava di non avere il potere e che non avrebbe comunque cambiato la disciplina e i Riti della Chiesa. Invocando l’ira di Dio su sé stesso se avrebbe osato o permesso che fossero cambiati. Ma questo non significa che nella liturgia non può essere mai assolutamente cambiato nulla? Come ho sottolineato, secondo l’insegnamento di Leone XIII, dei cambiamenti che hanno principalmente la natura della restaurazione, possono essere fatti. Sviluppi minori sono permessi. 
E spetta all’autorità del Papa restaurare la liturgia, preservare la liturgia, come fu insegnato da Pio XI. E’ dovere dei Papi preservare la liturgia e proteggerla dalle contraffazioni. Per 600 anni, quel solenne Giuramento di Professione fu fatto da un Papa dopo l’altro, dai giorni di S. Agatone fino a Bonifacio VIII. E’ stato spiegato da vari Papi che il Papa ha il potere di modificare la disciplina della Chiesa, in accordo alle attuali necessità della Chiesa. Ma fare delle modifiche è un cosa. Fare drastiche alterazioni, abolire completamente tutto e rimpiazzarlo con qualcos’altro, è qualcosa che i Papi, per 600 anni, hanno solennemente professato di non avere il potere di fare
*Bonifacio VIII non fece quel giuramento d’incoronazione a causa della situazione politica del tempo. C’era tensione tra il Papa e Filippo il Bello, di Francia, che alla fine attaccò l’esercito del Papa, assediò Bonifacio VIII, e infine lo sottopose a violenza fisica. Bonifacio VIII non voleva dare nessuna apparenza di aver bisogno del consenso e dell’approvazione di nessun governatore secolare, così non firmò il giuramento di incoronazione e non lo inviò ai monarchi regnanti dei suoi tempi. Lo giudicava imprudente. Non fu perché non era d’accordo col giuramento, che esso non fu più usato, ma perché la situazione politica di quel periodo storico necessitava di un cambio di politica. 
Ciò nonostante, questa è una dottrina della Chiesa, e il giuramento di incoronazione è un documento della tradizione della Chiesa che i Papi non hanno assolutamente il potere di abolire un Rito ricevuto ed approvato e sostituirlo con un altro. 
E’ definito dalla Chiesa, quindi è legge di Dio. 
Bisogna aderire ai tradizionali Riti ricevuti. 
Questa è professione di fede. Questo è il motivo per cui il Concilio di Trento, Sessione 7, Canone 13, dichiara la proposizione, “Se qualcuno dichiara che i Riti ricevuti e approvati della Chiesa Cattolica abitualmente usati nella solenne amministrazione dei Sacramenti possono essere cambiati con altri nuovi Riti da un qualsiasi pastore della Chiesa, sia anatema”. E’ chiarissimo che questo anatema dichiara che è un’eresia dire che qualche pastore della Chiesa Cattolica, qualsiasi esso sia, ha il potere di revisionare la sacra liturgia, I Riti tradizionali, cambiando gli usuali Riti in nuovi Riti. 

Quando al Sinodo di Pistoia del 1786, si propose la semplificazione della liturgia, l’uso completo del vernacolare, e la recita del Canone della Messa ad alta voce, Pio VI condannò queste proposizioni. 
Queste riforme proposte al Sinodo di Pistoia sono esattamente le stesse cose che furono proposte al Concilio Vaticano II. A questo punto quelli che, sviati per la lealtà al Concilio, iniziano a sospettare i Cattolici Tradizionali di non essere completamente ortodossi diranno “Ma come osi a discutere il Concilio Vaticano II? E’ il Papa assieme a tutti i vescovi che ha emesso questi decreti. Come puoi dissentire da questo? Tu non sei leale all’autorità della Chiesa”. /La risposta è moto semplice. Ho usato l’espressione del Card. Ratzinger che di coloro dice che convertono il Concilio Vaticano II in un “super dogma”/. 

E’ un dato di fatto, che la politica ufficiale del Concilio Vaticano II fu del tutto chiaramente dichiarata dall’arcivescovo Pericle Felici, che a quel tempo era il Segretario Generale del Concilio. Nelle sue funzioni di Segretario Generale, quando i Padri conciliari gli chiesero a riguardo del peso teologico – per usare termini più precisi la nota teologica – del Concilio. 
Egli disse qualcosa che non deve mai essere dimenticato. “Dobbiamo distinguere negli schemi e nei capitoli quelli che sono già stati oggetto di definizioni dogmatiche nel passato; di conseguenza per quelle dichiarazioni che hanno un nuovo carattere, dobbiamo fare delle riserve. Molto chiara, molto precisa, la politica del Concilio Vaticano II riguardo sé stesso fu che:  quelle proposizioni e dottrine che hanno un carattere di novità non sono imposte, sotto nessuna obbligazione, ai fedeli. E’ il Concilio stesso che lascia ai fedeli il diritto il diritto di avere riserve, e ciò vale a dire che non devono acconsentire ad ogni cosa che il Concilio ha detto, ma solo a quelle che sono state precedentemente definite. Ed è a quelle che noi aderiamo. Allora abbiamo il diritto di mettere in discussione alcune delle riforme della liturgia anche se sono richieste dal Concilio Vaticano II. 
Ciò che è più ovvio a coloro che hanno ancora una comprensione Cattolica della liturgia della Chiesa è che la liturgia non può essere ambigua. Non può suggerire eresie. 
Se guardiamo l’articolo 7 delle Istruzioni Generali del Nuovo Messale, esso definisce cos’è la Santa Messa secondo il creatore del Nuovo Rito. Ora i liberali sottolineano che “Quella definizione fu tolta. Essa fu rimossa”. Ma è come chiudere la porta della stalla quando i buoi sono già scappati, perché essi riformarono la liturgia secondo quella definizione protestante della Messa. E se osservate bene le varie parti del nuovo Rito della Messa, vi accorgerete che suggeriscono l’eresia dei Protestanti. Non ha ora l’intenzione di analizzare punto per punto queste parti, in quanto esiste un’esauriente letteratura per coloro che sono interessati. 

Ma ciò che ha bisogno di essere messo in risalto è che su due punti la nuova liturgia fallisce. Primo, non è l’usuale Rito ricevuto come ci richiede la Chiesa Cattolica. Il Canone 846 prescrive l’aderenza a quei Riti che sono i propri Riti, vale a dire i nostri Riti abituali. Come Cattolici Romani il nostro proprio Rito è il Rito Romano, no qualche nuovo miscuglio che alcuni burocrati hanno creato a Roma e che hanno cercato di imporcelo. In quanto Cattolici Romani, il Rito Romano appartiene a noi, proprio come il Rito Bizantino appartiene ai Cattolici Bizantini. Questi non possono essere cambiati perché la professione di fede ci obbliga a restare attaccati ai nostri propri tradizionali, Riti liturgici. Secondo, le ambiguità e i richiami Protestanti del nuovo Rito sono ben documentate, (furono sottolineati dai Card. Ottaviani e Bacci durante il regno di Paolo VI). Mostrarono che il nuovo Rito non era ciò che Pio XII dichiarò che la liturgia deve essere: un’esplicita professione della Fede Cattolica. Sono le ambiguità, le distorsioni, le tendenze all’eresia che il nuovo Rito della Messa ha portato a ciò che Suor Lucia si riferiva in relazione al Terzo Segreto di Fatima: “il diabolico disorientamento della Chiesa post-conciliare”
Pio XI dichiarò che la Messa è il più importante organo dell’ordinario Magistero della Chiesa. 

Quando la liturgia verrà restaurata a una chiara e non equivoca professione di Fede Cattolica, allora i fedeli cesseranno di vivere nelle nebbie della confusione che sono state causate dal fallimento dei loro pastori e dalla negligenza della gerarchia superiore nel ritenere e confermare in modo chiaro e senza equivoci la Fede Cattolica. Ma mediante lo spargimento di confusione, ambiguità ed equivoci, hanno portato a ciò che è espresso nel segreto di Fatima – rivelato da niente meno che dall’ex Vescovo di Fatima – l’apostasia, la perdita della Fede in interi continenti.

AMDG et DVM

martedì 7 febbraio 2017

L'URGENZA DI UN RICUPERO DEL VERO SENSO DELLA LITURGIA

Padre Tyn 

all'allora Card. Ratzinger, sulla Liturgia


Il Centro Culturale Padre Tomas Tyn di Rieti ha organizzato, il 19 ottobre '12, presso la bella sala della Fondazione Varrone, un convegno dal titolo La forza della verità, del quale avevamo dato notizia quiPadre Tomas Tyn, un aiuto nell’anno della Fede, in occasione del quale è stato presentato il libro La forza della verità. Lezioni di teologia, in cui l’avvocato G. Battisti ha raccolto da registrazioni vocali alcune lezioni del Servo di Dio, Padre Tyn. 

Era presente p. Cavalcoli, Docente di Teologia e di Metafisica, Vicepostulatore della Causa di Beatificazione di Padre Tyn, oltre che suo confratello, che ha ricordato come il 29 giugno 1975, in occasione della sua ordinazione sacerdotale, il Servo di Dio espresse segretamente il voto di offrire la sua vita allo scopo di chiedere, per intercessione della Madonna, la liberazione della sua patria e della Chiesa dal comunismo, senza spargimento di sangue. A 39 anni fu colpito da un tumore terribile, sopportato con infinita pazienza, continuando a scrivere il suo libro Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, che resterà nella storia della filosofia. Il 1° gennaio 1990, giorno della sua morte, Havel inaugurò lo Stato democratico senza che ci fosse neppure un morto.

In Tomas, ricorda il Padre, c’è la completezza della vocazione domenicana: lo studio, una cultura sterminata, la contemplazione, l’assidua direzione spirituale, e un’attività sorprendentemente intensa, fatta di conferenze, congressi internazionali, sulla quale sorgono ancora materiali di lavoro, inediti. Egli sentiva come missione propria quella di divulgare la retta dottrina cattolica, poiché era consapevole che la corruzione della Fede è uno dei mali più gravi in quanto colpisce direttamente l’anima.

L’urgenza di un ricupero del vero senso della liturgia per approfondire la Fede, secondo le intenzioni espresse dal santo Padre nel Motu Proprio Summorum Pontificum, è stato l’argomento della relazione del dott. Francesco Bernardini, Direttore del Circolo Ragionar Cattolico di Livorno, nella quale si è ricordato il profondo amore per la liturgia, manifestato dal Servo di Dio, allorquando celebrava con grande perfezione e devozione la liturgia gregoriana, secondo le norme dell’Indulto concesso dal Papa Giovani Paolo II
Ed è proprio dal suo intervento che estraggo queste incisive parole di Padre Tyn:
« Infine desidero dire qualcosa sulla sacra liturgia, soprattutto per ringraziare l'E.V. per l'opera compiuta nel favorire l'indulto che permette la celebrazione del divino sacrificio secondo il rito di S.Pio V di venerata memoria. Ho già fatto pervenire, per mezzo del Rev. Padre Priore all'Em.mo Card. Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, una relazione sulle Messe tuttora celebrate nella basilica bolognese di S. Domenico e così dopo aver informato il mio Superiore immediato, Reverendissimo Padre in Cristo, oso esprimere la mia gioia anche a Lei.
Quanto santa e sublime è quella letizia della quale si riempie il cuore tanto del sacerdote celebrante quanto del popolo assistente, allorché quel rito, venerabile per l'antichità, viene compiuto, quel rito, cioè, che tutto e soltanto a Dio si volge, a Cui, come a Padre clementissimo, il Figlio crocifisso, nell'oblazione del suo divino sacrificio, rende somma gloria e lode, un rito tanto sublime in tutte le parole e i gesti di cui fa uso ed infine tanto bello ed elegante, tanto accetto al popolo che partecipa con viva fede (né è noto ai Cristiani un altro modo di vera partecipazione).
Non ho mai potuto capire, e neanche adesso riesco a capire, perché tanta bellezza debba esser stata espulsa dalla Chiesa. Si obietta che essa costituisce un certo diletto accessibile a pochi; ma - e ciò è degno di nota - simili "obiezioni" non è solita muoverle la gente semplice e devota, ma piuttosto una certa pretesa aristocrazia (tuttavia perversa, che meriterebbe piuttosto il nome di "cacocrazia"), fastidiosa e pseudo intellettuale, turbolenta per la sua presunzione, dedita al nichilismo che sostiene e produce il brutto al posto del bello ». (Estratto dalla Lettera di Padre Tyn al Card. Ratzinger, 4 agosto 1985) 

venerdì 14 ottobre 2016

ISTRUZIONE CATTOLICA!

Come bisogna recitare il Padre Nostro 

a Messa?

La pratica di prendersi per mano al momento di recitare il Padre Nostro deriva dal mondo protestante. Il motivo è che i protestanti, non avendo la Presenza Reale di Cristo, ovvero non avendo una comunione reale e valida che li unisca tra loro e con Dio, considerano il gesto di prendersi per mano un momento di comunione nella preghiera comunitaria.

Noi nella Messa abbiamo due momenti importanti: la Consacrazione e la Comunione. È lì – nella Messa – che risiede la nostra unità, è lì che ci uniamo a Cristo e in Cristo mediante il sacerdozio comune dei fedeli; il prendersi per mano è ovviamente una distrazione da questo. Noi cattolici ci uniamo nella Comunione, non quando ci prendiamo per mano.

Nell'Istruzione Generale del Messale Romano non c'è nulla che indichi che la pratica di prendersi per mano vada effettuata. Nella Messa ogni gesto è regolato dalla Chiesa e dalle sue rubriche.

È per questo che abbiamo parti particolari della Messa in cui inginocchiamo, parti in cui ci alziamo, altre in cui ci sediamo ecc., e non c'è alcuna menzione nelle rubriche che parli del fatto che dobbiamo prenderci mano al momento di recitare il Padre Nostro.

Si deve quindi evitare questa pratica durante la celebrazione della Messa. Se qualcuno vuole farlo può (a mo' di eccezione) con qualcuno di assoluta fiducia, senza forzare nessuno, senza dar fastidio a nessuno e senza volere che questa pratica diventi una norma liturgica per tutti.

Bisogna tener conto del fatto che non tutti vogliono prendere la mano del vicino, e cercare di imporlo è qualcosa che va a detrimento della preghiera, della pietà e del raccoglimento.

Un'altra cosa molto diversa è la preghiera comunitaria al di fuori della Messa; quando si recita fuori dalla Messa non c'è alcuna opposizione se si prende la mano di qualcuno, perché è un gesto emotivo e simbolico.

Questo, come altri atteggiamenti, non è altro che l'esaltazione del sentimento. L'essere in comunione con qualcuno non consiste tanto nel prendere qualcuno per mano quando si recita il Padre Nostro, ma nel fatto di essere confessato, di essere in stato di grazia e soprattutto nell'essere preparato all'Eucaristia.

Se il gesto di prendersi la mano fosse necessario o importante o conveniente per tutta la Chiesa, i vescovi o le Conferenze Episcopali avrebbero inviato già da molto tempo una richiesta a Roma perché questa pratica venisse impiantata. Non lo hanno fatto, né credo che lo faranno mai.

Un'altra cosa che vedo molto quando si recita il Padre Nostro è che la gente alza le mani come fa il sacerdote. Nemmeno questo va bene, perché non spetta ai laici durante la Messa compiere gesti riservati al sacerdote o pronunciare le parole o le preghiere del sacerdote confondendo il sacerdozio comune con il sacerdozio ministeriale.

Solo i sacerdoti stendono le mani, e la cosa migliore è che i fedeli restino o preghino con le mani giunte perché la fede interiore è ciò che conta, è quello che Dio vede.

I gesti esterni nella Santa Messa da parte dei sacerdoti servono a far sì che i fedeli – in primo luogo – vedano che il sacerdote è l'uomo designato che intercede per loro.

Stendere le braccia nella preghiera era già abituale nella Chiesa delle origini, ma nel contesto di un circolo di preghiera, o nella preghiera in privato o in un altro incontro non liturgico.

I gesti nella Messa sono precisi sia nel sacerdote che per i fedeli; ciascuno fa i propri e i fedeli non devono copiare quelli dei sacerdoti. I gesti dei fedeli nella Messa sono le loro risposte, il loro canto, le loro posizioni.

Sia prendere la mano di qualcuno che alzare le mani recitando il Padre Nostro sono, nei fedeli, pratiche non liturgiche, che pur non essendo esplicitamente proibite nel Messale non corrispondono nemmeno a una sana liturgia.

I fedeli non devono ripetere né con parole né con azioni ciò che dice e fa il sacerdote la cui funzione è presiedere l'assemblea liturgica.

San Cipriano scriveva a suo tempo (IV-V secolo) che i cristiani si DISTINGUEVANO dai pagani (e dai farisei) perché quando pregavano non alzavano le mani ma, come il pubblicano penitente della parabola evangelica, stavano a capo chino e a mani giunte. Cosa direbbe oggi se dovesse descrivere la condizione dei cristiani moderni?...

venerdì 28 agosto 2015

"La direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore"

  
Versus Deum per Iesum Christum

"La direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore". L'introduzione del decano del Sacro Collegio al libro di Uwe Michael Lang
del cardinale Joseph Ratzinger

Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi in questa forma.

Certo, alla lingua volgare si sarebbe dovuto dare spazio, secondo le intenzioni del Concilio (cfr. Sacrosanctum Concilium 36,2) - soprattutto nell'ambito della liturgia della Parola - ma, nel testo conciliare, la norma generale immediatamente precedente recita: "L'uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini" (Sacrosanctum Concilium 36,1).

Dell'orientamento dell'altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l'Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: "L'altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]". L'introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: "è auspicabile laddove è possibile". Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire - "laddove possibile" - gli altari rivolti verso il popolo. Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola "expedit" [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L'orientamento fisico dovrebbe - così dice la Congregazione - essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.

Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant'anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell'ascolto attento degli altri, ma soprattutto nell'ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come 'preconciliari', 'reazionarie', 'conservatrici', oppure 'progressiste' o 'estranee alla fede', non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.

Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell'orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno - mi sembra - un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.

Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall'inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato 'voltando le spalle al popolo'. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo - secondo Jungmann - la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all'essenza dell'azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer - anch'egli uno dei principali liturgisti del Concilio - e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall'inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l'elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l'uno verso l'altro.
Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti 'anticonciliari'. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l'apertura della liturgia verso ciò che l'attende e verso ciò che la trascende.

In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d'Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell'Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.
Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo - necessario per ogni generazione - di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

IL LIBRO
Il testo del cardinale Joseph Ratzinger pubblicato in queste pagine, inedito in Italia, è la prefazione che il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha scritto al libro di Uwe Michael Lang Conversi ad DominumZu Geschichte und Theologie der christlichen Gebetsrichtung, edito lo scorso anno in Svizzera dalla Johannes Verlag di Einsiedeln. Del volume sta uscendo la versione in lingua inglese (Turning towards the Lord: Orientation in Liturgical Prayer) per la casa editrice Ignatius Press di San Francisco (Usa), che detiene il copyright dell'opera.

Uwe Michael Lang è membro dell'oratorio di San Filippo Neri a Londra, ha studiato teologia a Vienna e Oxford, e ha pubblicato numerosi testi su argomenti patristici.
G. C.

da "30Giorni", 3/2004www.30Giorni.it

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mercoledì 12 agosto 2015

SUA SANTITÀ PAPA BENEDETTO XVI: SANTA COMUNIONE IN BOCCA E IN GINOCCHIO





SUA SANTITÀ PAPA BENEDETTO XVI SANTA COMUNIONE IN BOCCA E IN GINOCCHIO



Una celebre espressione di sant’Agostino, della Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, insegna:

«Nessuno mangi quella carne [il Corpo eucaristico], se prima non l’ha adorata.

Peccheremmo se non l’adorassimo» (Enarrationes in Psalmos, 98,9).
Stare in ginocchio indica e favorisce questa necessaria adorazione previa alla ricezione di Cristo Eucaristico. 




ADORO TE DEVOTE




venerdì 5 giugno 2015

Repetita juvant


Liturgia: Così Papa Benedetto XVI riportò i neocatecumenali sul retto cammino
Il documento riservato con cui il papa tronca gli abusi del Cammino Neocatecumenale nel modo di celebrare la messa.
di Sandro Magister



ROMA, 27 dicembre 2005 – Nel suo poderoso discorso prenatalizio alla curia, Benedetto XVI ha dedicato un passaggio anche al sinodo dei vescovi sull’eucaristia, tenuto in Vaticano lo scorso ottobre. Il papa ha apprezzato che “dappertutto nella Chiesa si stia risvegliando la gioia dell’adorazione del Signore risorto, presente nell'Eucaristia con carne e sangue, con corpo e anima, con divinità e umanità”. 

Ha ricordato che questo risveglio dell’adorazione eucaristica s’è manifestato anche nella Giornata Mondiale della Gioventù dello scorso agosto, a Colonia. E l’ha contrapposto a una tendenza invalsa nel dopoconcilio, da lui giudicata negativa: 

“Nel periodo della riforma liturgica spesso la messa e l'adorazione fuori di essa erano viste come in contrasto tra loro: il pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato, secondo un’obiezione allora diffusa”. 

Questa tendenza ha lasciato il suo segno nel modo in cui si celebra la messa, in molti luoghi. E continua ad avere importanti sostenitori. Ad esempio, nel sinodo dello scorso ottobre, l’arcivescovo di Agana, nell’isola di Guam, Anthony Sablan Apuron, presidente della conferenza episcopale del Pacifico, ha chiesto che si estenda l’uso di far la comunione seduti, perché“se l’eucaristia è un banchetto, questa è la postura più adatta”

Gli ha fatto eco il vescovo polacco Zbigniew Kiernikowski, di Siedice, secondo cui, per evidenziare che la messa è un banchetto, “il pane dovrebbe avere l’aspetto di un cibo” e “il calice dovrebbe essere dato per berne”

Entrambi questi vescovi hanno portato come esempio da seguire il modo di celebrare la messa in uso tra i neocatecumenali.


* * *


È il Cammino Neocatecumenale, infatti, tra i nuovi movimenti sorti nella Chiesa cattolica, quello che si è spinto più in là nell’innovare il modo di celebrare la messa. Nel Cammino Neocatecumenale la comunione si fa seduti attorno a una grande mensa quadrata, col pane che è una grossa pagnotta divisa fra i commensali e col vino che circola di mano in mano in boccali. Ma non è solo la comunione a distaccarsi dalla liturgia tradizionale. Anche altre parti della messa registrano sensibili innovazioni. 

Ad esempio, nella liturgia della Parola le letture sono commentate ciascuna da lunghe “ammonizioni” da parte dei catechisti del gruppo, e seguite da “risonanze” da parte di numerosi presenti. L’omelia del sacerdote si distingue poco o per nulla dall’insieme dei commenti. Anche i tempi e i luoghi delle messe sono particolari. I neocatecumenali celebrano le loro messe non la domenica ma il sabato sera, in piccoli gruppi, separatamente dalla comunità parrocchiale alla quale appartengono. Dato che ciascun gruppo neocatecumenale corrisponde a un suo particolare stadio del Cammino, ciascun gruppo di venti-trenta persone ha la sua messa. Se in una parrocchia i neocatecumenali hanno dieci gruppi, il sabato sera celebrano dieci messe a sé stanti, in locali separati. 

Dal 2002 lo statuto approvato dalla Santa Sede obbliga le messe dei neocatecumenali ad essere “aperte anche ad altri fedeli” (art. 13, 3), ma nei fatti niente è cambiato. I loro riti d'ingresso sono scambi di saluti, di presentazioni, di applausi che fanno da naturale sbarramento agli estranei.


* * *


Ebbene, su tutto questo Benedetto XVI ha scritto la parola fine. 

A metà dicembre i fondatori e dirigenti del Cammino Neocatecumenale – gli spagnoli Kiko Argüello e Carmen Hernandez e il sacerdote italiano Mario Pezzi – hanno ricevuto una lettera di due pagine dal cardinale Francis Arinze, prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, con un elenco di “decisioni del Santo Padre” alle quali dovranno ubbidire.

La lettera è riprodotta più sotto. Dei sei punti in cui si articolano le direttive del papa, uno solo concede ai neocatecumenali di continuare come fanno. Riguarda lo scambio della pace anticipato a prima dell’offertorio: prassi tradizionale nella liturgia cristiana e in uso fino ad oggi, ad esempio, nel rito ambrosiano celebrato nell’arcidiocesi di Milano. Su tutti gli altri punti il Cammino Neocatecumenale dovrà azzerare gran parte delle sue innovazioni liturgiche. 

Nel praticarle, fino a ieri i fondatori e dirigenti del Cammino s’erano fatti scudo di autorizzazioni verbali accordate – a loro dire – da Giovanni Paolo II. Ma con Benedetto XVI la vacanza è finita. E sta per finire anche per gli abusi liturgici praticati nell’insieme della Chiesa. Sarà di grande interesse, in proposito, il documento che papa Joseph Ratzinger emanerà a coronamento del sinodo sull’eucaristia. La lettera del cardinale Arinze è stata recapitata ad Argüello, Hernandez e Pezzi in via riservata. Ma il 22 dicembre il vaticanista Andrea Tornielli ne ha dato notizia sul quotidiano “il Giornale”. 

Eccola qui di seguito per intero:


***


Sono a comunicarVi le decisioni del Santo Padre...” 

Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum 

Prot. 2520/03/L 

Dalla Città del Vaticano, 1 dicembre 2005 

Egregi Signor Kiko Argüello, Sig.na Carmen Hernandez e Rev.do Padre Mario Pezzi, 

a seguito dei dialoghi intercorsi con questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti circa la celebrazione della Santissima Eucaristia nelle comunità del Cammino Neocatecumenale, in linea con gli orientamenti emersi nell’incontro con Voi dell’11 novembre c.a., sono a comunicarVi le decisioni del Santo Padre. 

Nella celebrazione della Santa Messa, il Cammino Neocatecumenale accetterà e seguirà i libri liturgici approvati dalla Chiesa, senza omettere né aggiungere nulla. Inoltre, circa alcuni elementi si sottolineano le indicazioni e precisazioni che seguono: 

1. La Domenica è il “Dies Domini”, come ha voluto illustrare il Servo di Dio, il Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica sul Giorno del Signore. Perciò il Cammino Neocatecumenale deve entrare in dialogo con il Vescovo diocesano affinché traspaia anche nel contesto delle celebrazioni liturgiche la testimonianza dell’inserimento nella parrocchia delle comunità del Cammino Neocatecumenale. Almeno una domenica al mese le comunità del Cammino Neocatecumenale devono perciò partecipare alla Santa Messa della comunità parrocchiale. 

2. Circa le eventuali monizioni previe alle letture, devono essere brevi. Occorre inoltre attenersi a quanto disposto dall’”Institutio Generalis Missalis Romani” (nn. 105 e 128) e ai Praenotanda dell’”Ordo Lectionum Missae” (nn. 15, 19, 38, 42). 

3. L’omelia, per la sua importanza e natura, è riservata al sacerdote o al diacono (cfr. C.I.C., can. 767 § 1). Quanto ad interventi occasionali di testimonianza da parte dei fedeli laici, valgono gli spazi e i modi indicati nell’Istruzione Interdicasteriale “Ecclesiae de Mysterio”, approvata “in forma specifica” dal Papa Giovanni Paolo II e pubblicata il 15 agosto 1997. In tale documento, all’art. 3, §§ 2 e 3, si legge: 

§ 2 - “È lecita la proposta di una breve didascalia per favorire la maggior comprensione della liturgia che viene celebrata e anche, eccezionalmente, qualche eventuale testimonianza sempre adeguata alle norme liturgiche e offerta in occasione di liturgie eucaristiche celebrate in particolari giornate (giornata del seminario o del malato, ecc.) se ritenuta oggettivamente conveniente, come illustrativa dell’omelia regolarmente pronunciata dal sacerdote celebrante. Queste didascalie e testimonianze non devono assumere caratteristiche tali da poter essere confuse con l’omelia”. 

§3 - “La possibilità del ‘dialogo’ nell’omelia (cfr. Directorium de Missis cum Pueris, n. 48) può essere, talvolta, prudentemente usata dal ministro celebrante come mezzo espositivo, con il quale non si delega ad altri il dovere della predicazione”. 

Si tenga inoltre attentamente conto di quanto esposto nell’Istruzione “Redemptionis Sacramentum”, al n. 74. 

4. Sullo scambio della pace, si concede che il Cammino Neocatecumenale possa usufruire dell’indulto già concesso, fino ad ulteriore disposizione. 

5. Sul modo di ricevere la Santa Comunione, si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di transizione (non più di due anni) per passare dal modo invalso nelle sue comunità di ricevere la Santa Comunione (seduti, uso di una mensa addobbata posta al centro della chiesa invece dell’altare dedicato in presbiterio) al modo normale per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri liturgici per la distribuzione del Corpo e del Sangue di Cristo. 

6. Il Cammino Neocatecumenale deve utilizzare anche le altre Preghiere eucaristiche contenute nel messale, e non solo la Preghiera eucaristica II. 

In breve, il Cammino Neocatecumenale, nella celebrazione della Santa Messa, segua i libri liturgici approvati, avendo tuttavia presente quanto esposto sopra ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6. 

Riconoscente al Signore per i frutti di bene elargiti alla Chiesa mediante le molteplici attività del Cammino Neocatecumenale, colgo l’occasione per porgere distinti saluti. 

+ Francis Card. Arinze 
Prefetto
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Egregi
Sig. ARGÜELLO Kiko, Sig.na HERNANDEZ Carmen, Rev.do P. PEZZI Mario
Via dei Gonzaga, 205
ROMA