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sabato 31 maggio 2014

Magnificat. Festa della Visitazione: " Fate anche voi come faceva la Madonna; fate tutte le cose con perfezione esteriore ed interiore, perché questo vale più che far miracoli, più che le austerità corporali! ".


Festa della Visitazione

Oggi la Chiesa celebra la festa della Visitazione di Maria SS. a santa Elisabetta.. Francesco di Sales, pur facendo rinnovare i voti delle sue Suore nella festa della Presentazione, volle che la Congregazione fosse intitolata a questo Mistero. Perché? Il primo motivo è che, da principio, egli intendeva fondare una Congregazione di Suore attive, dedite alla visita e alla cura dei bisognosi; quindi diede loro per Protettrice la Madonna nella sua visita a S. Elisabetta dove Ella esercitò in particolare l'umiltà e la carità. Inoltre S. Francesco di Sales, anche quando la Congregazione fu di clausura, con il conservarle questo titolo, volle significare che le Suore della Visitazione dovevano imitare la Madonna nel condurre una vita ordinaria, cioè senza asprezze di penitenze esteriori, ma impreziosita da tutte le virtù interiori.

In quei tre mesi, infatti, la Madonna condusse una vita esternamente ordinaria, ma non in modo ordinario. Faceva ciò che fanno le buone donne quando vanno ad assistere le vicine in simili circostanze: tutti i servizi di casa. S. Francesco di Sales volle dunque dire alle sue Suore: " Fate anche voi come faceva la Madonna; fate tutte le cose con perfezione esteriore ed interiore, perché questo vale più che far miracoli, più che le austerità corporali! ".

Anche voi dovete santificarvi per questa via: far tutte le cose bene ed unicamente per amor di Dio. Se uno stesse tre mesi in Comunità facendo così, si farebbe da tutti amare e avanzerebbe nella perfezione assai più che facendo cose straordinarie. È tanto difficile che noi facciamo bene tutte le cose, con retta intenzione!... No, non è il far molto che importa, ma il far tutto bene. Penso che, quando sarete in Missione dovrete aver pena di non aver fatto bene tutte le cose.

Secondo il Ven. Da Ponte (991) questo Mistero ci dà ancora due importanti insegnamenti. Il primo è che Maria SS. è il canale di tutte le grazie. Iddio avrebbe potuto santificare direttamente Giovanni Battista; no, volle farlo per mezzo di Maria. Fu infatti al suono della voce di Lei, che salutava S. Elisabetta, che Giovanni restò santificato. Vedete la potenza di Maria SS.!

Quando dunque avete qualche tentazione, ricorrete alla Madonna e ditele: "O Maria, voi avete fatto un lungo viaggio per recarvi a purificare Giovanni Battista dal peccato originale, veni te pure da me, in mio aiuto!". Ricorriamo a Lei con fiducia, tanto più che queste sono proprio le grazie ch'Ella desidera maggiormente di fare.

Il secondo ammaestramento è sul come noi, ad imitazione di Maria SS., dobbiamo combattere le tentazioni di vanagloria. Proclamata da Elisabetta " la benedetta fra le donne ", Ella non negò i doni ricevuti, le grandi cose che Iddio aveva operato in Lei, ma di tutto diede onore e gloria a Dio.

Ciò Ella fece col canto del Magnificat, sul quale voglio pure fermare brevemente la vostra attenzione. Tutti i giorni lo si recita, sovente lo si canta, ma forse non lo si considera abbastanza. 
Il P. Didon scrive: " Il Magnificat sorpassa ogni umana capacità...; è il più splendido grido di letizia che sia uscito da cuore umano. Maria SS. non pensa che alla propria bassezza e non si esalta che in Dio. Predice la sua gloria, ma in ciò non vede che il trionfo di Dio " (992). 
Adolfo Cellini (Scuola Cattolica, 1 nov. 1916) scrive: " Il concetto principale dell'Inno consiste nella sovranità assoluta di Dio e nella nullità ed essenziale dipendenza di ogni essere creato da Lui ". Ciò è il fondamento di tutta la morale del Vangelo: Dio è tutto, l'uomo niente; ma questo niente può divenire qualcosa inabissandosi nella sua nullità, bramoso unicamente e sommamente di glorificare Dio in tutto e sempre.

Il Magnificat consta di dieci versetti. Cornelio A Lapide (993) divide l'Inno in tre parti. 
La prima va dal v. 46 al 49: in essi Maria esalta i benefici conferiti da Dio a Lei sola, specialmente la Divina Maternità: L'anima mia magnifica il Signore... Perché?... Perché ha rivolto il suo sguardo sulla sua ancella... Il Signore guardò alla bassezza, alla nullità della sua serva, la esaltò, fece cose meravigliose in lei, sì che tutte le generazioni, piene di ammirazione, la grideranno beata!

La seconda parte va dal v. 50 al 53. In essi Maria esalta i benefici elargiti da Dio agli uomini lungo tutti i secoli: Et misericordia eius a progenie in progenies...; prima al popolo eletto, poi ai gentili e a tutti quelli che temono il Signore. Il Signore fece opere potenti col suo braccio. E quali opere? Quella di umiliare i superbi e di esaltare gli umili; quella di saziare tutti coloro che sono affamati di giustizia e di verità. Esurientes implevit bonis. Qui c'è il passato per il presente e per il futuro; è una forma ebraica. Vuol dire: il Signore è sempre pronto a ricolmare di beni quelli che lo desiderano.

La terza parte consta degli ultimi due versetti (54lss). In essi Maria torna al beneficio sovrano della Redenzione incominciata in se stessa con il concepimento di Gesù, ed estesa a tutte le generazioni future, conforme a ciò che il Signore aveva promesso ad Abramo: che in lui tutte le generazioni sarebbero state benedette, perché dalla sua progenie sarebbe nato il Redentore.


Procuriamo di meditare sovente questa magnifica preghiera, che serve ad eccitare in noi la divozione alla Madonna; recitare o cantare il Magnificat con lo spirito e con l'entusiasmo con cui Ella lo disse, rivestendoci dei suoi stessi sentimenti. Sono parole della S. Scrittura; queste poi sono del Signore, ispirate direttamente alla Madonna. Ogni parola si può dire un sacramentale: luce, verità e vita!

Beato Giuseppe Allamano: La Vita Spirituale


AVE MARIA PURISSIMA!

giovedì 15 maggio 2014

Magnificat



Il Magnificat di Maria e di tutta la Chiesa

Ecco il discorso pronunziato dal Santo Padre Benedetto XVI nell’Udienza generale di Mercoledì 15 Febbraio 2006, riportandone una significativa sintesi, suddivisa in paragrafi:






Cantico della Beata Vergine


1. Siamo giunti ormai all'approdo finale del lungo itinerario cominciato proprio cinque anni fa, nella primavera del 2001, dal mio amato Predecessore, l'indimenticabile Papa Giovanni Paolo II. Il grande Papa aveva voluto percorrere nelle sue catechesi l'intera sequenza dei Salmi e dei Cantici che costituiscono il tessuto orante fondamentale della Liturgia delle Lodi dei Vespri. Pervenuti ormai alla fine di questo pellegrinaggio testuale, simile a un viaggio nel giardino fiorito della lode, dell'invocazione, della preghiera e della contemplazione, lasciamo ora spazio a quel Cantico che idealmente suggella ogni celebrazione dei Vespri, il Magnificat (Lc 1, 46-55).
È un canto che rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano "poveri" non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell'umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell'orgoglio, aperto all'irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat, che abbiamo sentito adesso dalla Cappella Sistina, è, infatti, marcato da questa "umiltà", in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.

2. Il primo movimento del cantico mariano (cfr Lc 1, 46-50) è una sorta di voce solista che si leva verso il cielo per raggiungere il Signore. Sentiamo proprio la voce della Madonna che parla così del suo Salvatore, che ha fatto grandi cose nella sua anima e nel suo corpo. Si noti, infatti, il risuonare costante della prima persona: "L'anima mia... il mio spirito... mio salvatore... mi chiameranno beata... grandi cose ha fatto in me...". L'anima della preghiera è, quindi, la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell'esistenza di Maria, rendendola la Madre del Signore.
L'intima struttura del suo canto orante è, allora, la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. Ma questa testimonianza personale non è solitaria e intimistica, puramente individualistica, perché la Vergine Madre è consapevole di avere una missione da compiere per l'umanità e la sua vicenda si inserisce all'interno della storia della salvezza. E così può dire: "Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (v. 50). La Madonna con questa lode del Signore dà voce a tutte le creature redente che nel suo "Fiat", e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.

3. È a questo punto che si svolge il secondo movimento poetico e spirituale del Magnificat (cfr vv. 51-55). Esso ha una tonalità più corale, quasi che alla voce di Maria si associ quella dell'intera comunità dei fedeli che celebrano le scelte sorprendenti di Dio. Nell'originale greco del Vangelo di Luca abbiamo sette verbi all'aoristo, che indicano altrettante azioni che il Signore compie in modo permanente nella storia: "Ha spiegato la potenza... ha disperso i superbi... ha rovesciato i potenti... ha innalzato gli umili... ha ricolmato di beni gli affamati... ha rimandato i ricchi... ha soccorso Israele".
In questo settenario di opere divine è evidente lo "stile" a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare "i superbi, i potenti e i ricchi". Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: "Coloro che lo temono", fedeli alla sua parola; "gli umili, gli affamati, Israele suo servo", ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono "poveri", puri e semplici di cuore. È quel "piccolo gregge" che è invitato a non temere perché al Padre è piaciuto dare ad esso il suo regno (cfr Lc 12, 32). E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell'amore di Dio.

4. Raccogliamo, allora, l'invito che nel suo commento al testo del Magnificat ci rivolge sant'Ambrogio, dice il grande Dottore della Chiesa: "Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio... L'anima di Maria magnifica il Signore, e il suo spirito esulta in Dio, perché, consacrata con l'anima e con lo spirito al Padre e al Figlio, essa adora con devoto affetto un solo Dio, dal quale tutto proviene, e un solo Signore, in virtù del quale esistono tutte le cose" (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2, 26-27: SAEMO, XI, Milano-Roma 1978, p. 169).



In questo meraviglioso commento del Magnificat di sant'Ambrogio mi tocca sempre particolarmente la parola sorprendente: "Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio". Così il santo Dottore, interpretando le parole della Madonna stessa, ci invita a far sì che nella nostra anima e nella nostra vita il Signore trovi una dimora. Non dobbiamo solo portarlo nel cuore, ma dobbiamo portarlo al mondo, cosicché anche noi possiamo generare Cristo per i nostri tempi. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a magnificarlo con lo spirito e l'anima di Maria e a portare di nuovo Cristo al nostro mondo.

AMDG et BVM

venerdì 31 gennaio 2014

14 - Il Cuore di Maria è l'arpa di Davide.


14 - Il Cuore di Maria è l'arpa di Davide

È l'arpa del vero Davide, Gesù Cristo. - Egli stesso l'ha fatta con le sue 

mani e mai non fu toccata se non dalle sue dita divine, poiché non ha mai avuto 
sentimenti, affetti, movimenti, se non quelli che lo Spirito Santo le donava.


Le sue corde sono le virtù del Cuore di Maria, particolarmente la fede, la 

speranza, l'amore verso Dio, la carità verso il prossimo, la religione, l'umiltà, 
la purezza, l'obbedienza, la pazienza, l'odio contro il peccato, l'amore per la croce, 
la misericordia.


Dodici corde con le quali lo Spirito Santo ha fatto risuonare armonie così 

meravigliose, che l'Eterno Padre ne è rimasto rapito, dimenticando la collera che 
suscitavano in Lui i peccatori, e dando il proprio Figlio per salvarli.


Uffici dell'arpa. - Davide con la sua arpa ha cacciato molte volte lo spirito 

maligno da Saul, e noi già abbiamo visto che tutto il genere umano, già in 
possesso di Satana, ne è stato liberato, grazie al suono meraviglioso di 
quest'arpa divina.


Davide s'è servito della sua arpa per cantare le lodi di Jeova. Il nostro vero 

Davide ha cantato sulla bellissima arpa i suoi cantici, in lode della SS. Trinità: 
1) il cantico del più perfetto amore; 
2) quello di azione di grazia per i benefici della divina bontà donati a tutte
le creature; 
3) Il cantico del dolore, specialmente al tempo della Passione; 
4) I cantici di trionfo per le vittorie riportate; 
5) Il cantico profetico per annunziare le grandi cose che voleva fare per 
l'avvenire: «beatam me dicent omnes generationes».



Davide ha fatto uso della sua arpa per attirare altri a lodare e glorificare Dio.
Similmente il re Gesù, col suono della sua gradevolissima arpa, il Cuore di sua 
Madreattira molte anime all'amore ed alla lode del Padre.

Le virtù straordinarie di questo cuore echeggiano sì fortemente e sì 
melodiosamente in tutta la Chiesa cristiana, che un'infinità di persone d'ogni 
condizione, animate da devozione particolare verso questo cuore divino, si 
trovano spinte ad imitarlo nelle sue perfezioni e così cominciano a fare 
sulla terra ciò che gli Angeli e i Santi fanno in cielo.

Gesù ha altre arpe donategli dal Padre per soddisfare al desiderio 
insaziabile di lodarlo infinitamente.




La prima è il suo stesso cuore. Su quest'arpa canta in eterno mille e
mille cantici d'amore, di lode al Padre, sia a suo nome, sia a nome di tutte le 
creature.
Il tono del suo canto è infinitamente più elevato, più santo, più dolce, più 
incantevole di quello che canta sulla sua seconda arpa il cuore di Maria SS.

Tuttavia questi due cuori, queste due arpe, sono così strettamente unite 
da formare un'arpa sola, avente le medesime note, i medesimi canti. 
Quando la prima arpa ripete un canto d'amore, la seconda fa altrettanto. 
Se la prima arpa diffonde azioni di grazie alla SS. Trinità, il cuor di Maria 
vi s'accompagna. Il cuor di Maria ama quel che il cuor di Gesù
ama; aborrisce quel che il cuor di Gesù aborrisce; si rallegra col suo Figlio 
divino; soffre con Lui.


GESU' MARIA AMORE VENITE INSIEME NEL MIO CUORE

Gesù ha un grandissimo numero di altre arpe, i cuori di tutti gli Angeli e di tutti i
Santi, con cui Egli loda il Padre, perché ogni lode sale al Padre per mezzo suo: 
«Per ipsum, et cum ipso, et in ipso est tibi Dei Patri omnipotenti omnis honor et gloria».

Davide spronava la sua anima a benedire il Signore dicendo: «Benedic, anima mea,
Domino» (Sal 102, 1): «O anima mia, benedici il Signore!». L'arpa, invece, della 
Regina dei Santi non ha mai sofferto manchevolezze né interruzioni nel suo canto, 
avendo incessantemente, con egual tono e con armonia perfetta, lodato e 
glorificato la SS. Trinità.

La Madonna quindi non dice, quasi ad animare se stessa: 
«Magnifica anima mea Dominum»: «Esalti il Signore l'anima mia»; ma dice: 
«Magnificat»; cioè la mia anima sempre magnifica il Signore.



Attendite, popule Dei, praecepta Dei: 
et Reginae coeli nolite oblivisci

martedì 5 novembre 2013

Magnificat anima mea Dominum



46 Et ait Maria:

Magnificat anima mea Dominum,

47 et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo,

48 quia respexit humilitatem ancillae suae.
Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes,
49 quia fecit mihi magna, qui potens est,
et sanctum nomen eius,
50 et misericordia eius a progenie in progenies
timentibus eum.
51 Fecit potentiam in brachio suo,
dispersit superbos mente cordis sui;
52 deposuit potentes de sede
et exaltavit humiles;
53 esurientes implevit bonis
et divites dimisit inanes.
54 Suscepit Israel puerum suum,
recordatus misericordiae suae,
55 sicut locutus est ad patres nostros,
Abraham et semini eius in saecula ” (Lc. 1)



COR MARIAE IMMACULATUM
INTERCEDE PRO NOBIS!

domenica 20 ottobre 2013

Pioggia di rose sul mondo.


IL ROSARIO DI MARIA SS.


8 maggio 1947.

Dice Maria Ss. di Fatima apparendomi come Ella mi appare...:

«Ti ho dato il 5 la vista intellettiva di ciò che è un Rosario ben det­to: pioggia di rose sul mondo. 

Ad ogni Ave che un'anima amante dice con amore e con fede io lascio cadere una grazia. Dove? Da per tutto: sui giusti a farli più giusti, sui peccatori per ravvederli. Quan­te! Quante grazie piovono per le Ave del Rosario!

  

Rose bianche, rosse, oro. 
Rose bianche dei misteri gaudiosi, rosse dei dolorosi, d'oro dei gloriosi. 
Tutte rose potenti di grazie per i meriti del mio Gesù. Perché sono i suoi meriti infiniti che danno valore a ogni orazione. Tutto è e avviene, di ciò che è buono e santo, per Lui. Io spargo, ma Egli avvalora. Oh! Benedetto mio Bambino e Si­gnore!


Vi do le rose candide dei meriti grandissimi della perfetta, perché divina, e perfetta perché volontariamente voluta conservare tale dall'Uomo, Innocenza di mio Figlio. 

Vi do le rose porpuree degli infiniti meriti della Sofferenza di mio Figlio, così volonterosamente consumata per voi.


Vi do le rose d'oro della sua perfettissima Cari­

Tutto di Mio Figlio vi do, e tutto di Mio Figlio vi santifica e salva. Oh! io sono nulla, io scompaio nel Suo fulgore, io compio solo il ge­sto di dare, ma Egli, Egli solo è l'inesauribile fonte di tutte le gra­zie!

E voi, mie dilette anime, ascoltate questa Mia parola: Fate con spirito ilare la Volontà del Signore. 


Fare la Sua Ss. Volontà con tri­stezza è dimezzare il grande merito del farla. La rassegnazione è già cosa che Dio premia. Ma la gioia del fare la Volontà di Dio centuplica il merito, e perciò il premio, del fare questa divina Volontà, sem­pre, sempre, sempre giusta, anche se forse all'uomo non pare tale. Fate dunque con spirito ilare ciò che Dio vuole. E sarete a Lui gradite e a me, Madre vostra, dilettissime. State in pace sotto lo sguardo mio che non vi abbandona.»
 (Fonte: Maria Valtorta, I Quaderni del 45-50,  8 maggio 1947, ed. CEV)


venerdì 4 ottobre 2013

Una lectio divina esemplare



Ottobre a Maria

di Fabio Mancini

Alzi la mano chi tra di voi non ha mai vissuto l'esperienza del traffico stradale. Tutti coinvolti? Beh, non avevo alcun dubbio! Allora, mettetevi pure comodi, perché voglio raccontarvi una storia. 
Mese di ottobre 2010, primo albeggiare di un umido e fresco mattino d'autunno. Mi trovavo letteralmente imbottigliato tra automobili, motocicli, camion, tir, autobus e chi più ne ha più ne metta: benedette ali! 

Dovendo necessariamente attendere lo sviluppo degli eventi, cominciai a guardarmi attorno e avvertii il profondo disagio, l'insofferenza, l'ansia, il grigiore di un male profondo e oscuro, nei volti e nel cuore di chi avevo accanto. La sindrome subdola del "tempo d'attesa": quel male che scuote le viscere e dal quale ci si vorrebbe liberare il più presto possibile, come da un nugolo di feroci zanzare. Venni anch'io colpito dal contagio. Cosa fare, come difendermi?.


Per fortuna avevo l'antidoto giusto. Estrassi dalla tasca della mia giacca una coroncina del santo rosario e cominciai a pregare: «Ave Maria... Ave Maria... Ave Maria...». Pian piano, ogni tensione si affievolì e tornai in me, come il figliol prodigo. Tutto ciò, grazie al sostegno premuroso della Madre celeste. 


Da quel giorno ho ancor meglio compreso la necessità, il bisogno assoluto della cura dello spirito: una priorità essenziale che per ognuno di noi va considerata prima ancora di tutto il resto. In una società che sempre più tende all'estetica della persona, chi mai ha pensato di diffondere a tamburo battente, nell'ambito mediatico, la "moda" di una palestra per allenare e formare il nostro essere interiore? Ottobre: mese mariano. Il mio testo di riferimento è stato, è e sempre sarà il Magnificat: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato all'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi diranno beata»..

Non ho altro da imparare, semmai devo mettere tutto in pratica, sublimando tale lezione di vita terrena ed eterna, essendo umile, umile e ancora umile. 

Nel Magnificat, la Madre di Dio "esulta nello spirito" e sottolinea un "perché", in seguito rivelato da Gesù, anch'egli nell'esultanza (cf Lc 10,21). 
Maria ci dona una lectio divina esemplare, introducendoci nel cuore delle "beatitudini". Meditiamo il canto di lode della Regina della pace, comparandolo con il "discorso della montagna" in una disposizione spirituale di stupore e ringraziamento per tutto ciò che l'Onnipotente ha compiuto e compie, secondo il suo disegno di salvezza: «Ha spiegato la potenza del suo braccio... Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia... per sempre!». 

Maria è quel miracolo di purissima semplicità e candore, che mi inonda gli occhi di lacrime di gioia. Inoltre Maria è quella gemma di inestimabile valore che mi consente di andare oltre, riguardo a tutto ciò che è caduco, effimero, fuorviante e cioè: l'arrivismo, il potere, il possesso di quanto è destinato a passare. Subdole e pericolose illusioni che Gesù, nel deserto, rispedì prontamente al sinistro mittente. 

Ottobre: mese mariano. Lasciamoci guidare dalla Madre celeste, chiediamole di prenderci per mano: abbiamo bisogno di lei per imparare ad ascoltare Dio e il prossimo, evitando di cadere nel precipizio della superficialità. Non permettiamo a noi stessi di restare imprigionati nel traffico delle tortuosità. Proviamo a ritagliare ogni giorno uno spazio a nostra misura per poterci ritrovare, abbandonando ogni pensiero in Maria in un atteggiamento di silenzio fecondo che ci renda degni di essere simili a lei, come veri figli suoi.

Fabio Mancini
Salus nostra 
in manu tua est, o Maria!

venerdì 23 novembre 2012

Ex hoc beatam me dicent omnes generationes: ἀπὸ τοῦ νῦν μακαριοῦσίν με πᾶσαι αἱ γενεαί

Bartolome Esteban Murillo 1670-75.jpg


Il cantico (Lc1,46-55) è scritto nell'originale in greco, così come tutto il Vangelo di Luca.
Μεγαλύνει ἡ ψυχή μου τὸν Κύριον
καὶ ἠγαλλίασεν τὸ πνεῦμά μου ἐπὶ τῷ Θεῷ τῷ σωτῆρί μου,
ὅτι ἐπέβλεψεν ἐπὶ τὴν ταπείνωσιν της δούλης αυτοῦ.
ἰδού γὰρ ἀπὸ τοῦ νῦν μακαριοῦσίν με πᾶσαι αἱ γενεαί,
ὅτι ἐποίησέν μοι μεγάλα ὁ δυνατός,
καὶ ἅγιον τὸ ὄνομα αὐτοῦ,
καὶ τὸ ἔλεος αὐτοῦ εἰς γενεὰς καὶ γενεὰς
τοῖς φοβουμένοῖς αυτόν.
Ἐποίησεν κράτος ἐν βραχίονι αὐτοῦ,
διεσκόρπισεν ὑπερηφάνους διανοίᾳ καρδίας αὐτῶν·
καθεῖλεν δυνάστας ἀπὸ θρόνων
καὶ ὕψωσεν ταπεινούς,
πεινῶντας ἐνέπλησεν ἀγαθῶν
καὶ πλουτοῦντας ἐξαπέστειλεν κενούς.
ἀντελάβετο Ἰσραὴλ παιδὸς αὐτοῦ,
μνησθῆναι ἐλέους,
καθὼς ἐλάλησεν πρὸς τοὺς πατέρας ἡμῶν
τῷ Αβραὰμ καὶ τῷ σπέρματι αὐτοῦ εἰς τὸν αἰῶνα.

Traduzioni 


L'incontro tra le cugine, Ain Karem, chiesa della Visitazione

Latino 

Fin dai primi anni dell'era cristiana, con la diffusione del Cristianesimo, i testi sacri sono stati tradotti in latino.
Viene proposto di seguito il testo del cantico nella traduzione della Vulgata nella sua versione liturgica.
Il Magnificat prende il nome dalla prima parola di questa versione. Ha avuto nei secoli una larghissima diffusione, entrando fin dalle origini nell'ordinario dell'ufficio vespertino.


Magnificat * anima mea Dominum,

et exultavit spiritus meus * in Deo salutari meo
quia respexit humilitatem ancillae suae, * ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes
quia fecit mihi magna, qui potens est: * et Sanctum nomen eius
et misericordia eius a progenie in progenies * timentibus eum.
Fecit potentiam in brachio suo, * dispersit superbos mente cordis sui,
deposuit potentes de sede, * et exaltavit humiles;
esurientes implevit bonis, * et divites dimisit inanes.
Suscepit Israel, puerum suum, * recordatus misericordiae suae,
sicut locutus est ad patres nostros, * Abraham et semini eius in saecula.
Gloria Patri et Filio * et Spiritui Sancto
sicut erat in principio et nunc et semper * et in saecula saeculorum. Amen.

Italiano


Facciata della chiesa della Visitazione, Ain Karem

Open book nae 02.svgPer approfondire, leggi il testo di Magnificat.
Anche in italiano, la Bibbia è stata oggetto di numerose traduzioni.
Viene proposta di seguito la traduzione ufficiale della CEI nella sua versione liturgica: è quella utilizzata normalmente dai fedeli nella celebrazione dei vespri.


L'anima mia magnifica il Signore * e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva. * D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente * e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia * si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, * ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, * ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, * ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, * ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri, * ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Gloria al Padre e al Figlio * e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. 



LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

sabato 8 ottobre 2011

8.X: LA VERGINE E' SANTISSIMA


MAGNIFICAT, ANIMA MEA, DOMINUM!





MA POSSIBILE CHE UN VESCOVO POSSA ESSERE SANTO E AL CONTEMPO NON ORTODOSSO?”
Scrive il padre A. M. Apollonio, in un articolo intitolato: Tonino Bello, la mariologia feriale, e l’ermeneutica della discontinuità:
Nel recentissimo numero di Civiltà Cattolica, 3 ott. 2009, pp. 91-92 si recensiscono ben 4 volumi che presentano la figura di mons. Tonino Bello (1935-1993), Vescovo di Molfetta: due di questi libri parlano di lui, e negli altri due è lui che parla, essendone l’autore. Nella benevola seppur rapida recensione, s’accenna alla sua Mariologia e al fatto che nel 2007 è stato avviato il suo processo di beatificazione. Ora, senza voler entrare in merito alla sua personale santità, vorrei mettere in luce il carattere fuorviante, certamente non esemplare, della sua Mariologia.
La cosa appare contraddittoria: è mai possibile che un Vescovo possa essere ad un tempo santo e non perfettamente ortodosso? Rispondo: ciò sarebbe eccezionalmente possibile solo laddove l’eterodossia s’annidi in una coscienza oscurata da ignoranza soggettivamente invincibile. E questo non è contraddittorio, benché sembri impossibile.
A ben guardare, però, non è nemmeno assolutamente impossibile: nulla è impossibile a Dio, nel bene e, nel male morale, nulla è impossibile all’insipienza umana. E di questa insipienza, nel periodo post conciliare ce n’è stata talmente tanta, da rimanere facilmente coinvolti in una sorta di tragico errore comune, definito da Benedetto XVI “ermeneutica della discontinuità”.
Di questa ermeneutica sbagliata sarebbe rimasto vittima inconsapevole, lo supponiamo, mons. Bello, la cui Mariologia potrebbe tutta riassumersi in questo principio di rottura:prima del concilio la Madonna era vista vicina a Cristo, nella luce della santità divina, ora invece la guardiamo alla luce di questo mondo segnato dal peccato.
Diamo un’occhiata solo ad alcune sue idee mariologiche. Da “Maria donna dei nostri giorni” (supplemento di Jesus, ed. San Paolo, maggio 1993), leggiamo le seguenti affermazioni, che mons. Bello era solito ripetere ai giovani, con il suo pathos travolgente:
«Anche Maria ha sperimentato quella stagione splendida dell’esistenza, fatta di stupori e di lacrime, di trasalimenti e di dubbi, di tenerezza e di trepidazione, in cui, come in una coppa di cristallo, sembrano distillarsi tutti i profumi dell’universo. Ha sperimentato pure lei la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo» (p. 21).
«Una sera, un ragazzo di nome Giuseppe prese il coraggio a due mani e le dichiarò: “Maria, ti amo”. E lei rispose veloce come un brivido: “Anch’io”… Le compagne… non riuscivano a spiegarsi come facesse a comporre i suoi rapimenti in Dio e la sua passione per una creatura… Poi la sera rimanevano stupite quando, raccontandosi a vicenda le loro pene d’amore sotto il plenilunio, la sentivano parlare del suo fidanzato con le cadenze del Cantico dei Cantici…» (p. 22).
«Santa Maria, donna innamorata.., facci capire che l’amore è sempre santo, perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio» (p. 23).



COMMENTO
L’errore di fondo è quello della svolta antropologica in Mariologia, che per mons. Bello significa pensare all’adolescenza di Maria secondo il cliché dell’innamoramento giovanile, così come avviene di fatto nella maggior parte dei ragazzi, senza la minima considerazione del deleterio apporto derivante dalla concupiscenza, che tutto intorbidisce in noi, ma che era del tutto assente in Lei.
Quali dubbi di fede poteva mai avere «Colei che non dubitò, ma credette» (SANT’AMBROGIO, Comm. a Lc, 1; cf. SAN Pio X, Ad diem illum)?
Quali trasalimenti, quale ebbrezza della danza, quali lusinghe, quali passioni poteva avere la Tuttasanta (Padri), “l’umile serva del Signore” (cf. Lc 1), che «non conosceva uomo» (cf. Lc 1), perché non voleva conoscerlo, per il suo voto di perpetua verginità ispiratole da Dio sin dalla giovinezza (Duns Scoto, San Tommaso, Giovanni Paolo II)? Quale esperienza poteva avere l’Immacolata di tutte queste cose macchiate dalla concupiscenza, in noi, e che non potevano trovarsi in Lei, immune da ogni disordine derivante dal peccato originale? Sembra che mons. Bello non distingua abbastanza – contro tutta la tradizione patristica e contro il costante magistero della Chiesa – l’amore verginale e santo dell’Immacolata verso san Giuseppe, dall’amore concupiscente delle creature macchiate dalle conseguenze del peccato originale. Dire, poi, soprattutto in questo contesto d’innamoramenti giovanili, che «l’amore è sempre santo», suona proprio un’eresia, perché anche l’impurità è un amore, «l’amor di sé fino al disprezzo di Dio» (sant’Agostino).
Proporre ai giovani una spiritualità del genere, significa divinizzare i loro turbamenti giovanili e spianare la strada per lo sfrenamento della loro lussuria, che è anche un genere di amore. L’Autore usa costantemente un linguaggio ambiguo. Parla di esperienze affettive e sentimentali, che normalmente nei giovani sono – a dir poco – il preludio della passione, impura, attribuendole alla Madonna che è la purissima sempre vergine. E la mistica della sensualità giovanile, di cui la Madonna viene ad essere, più che il modello, la “modella”. Roba da telenovela, una profanazione!
Continua ancora su questa falsa riga il Vescovo di Molfetta:
«Maria, comunque, doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima… Parlo, anche, del suo corpo di donna» (p. 108). «Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei meriggi d’estate risale dalla spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di bellezza» (p. 116).
Proporre la Madonna in questi termini, sopratutto ai giovani, significa ignorare che sono già sazi e nauseati di estetica, di corpi, di “bermuda”, di spiagge, di abbronzature… Hanno sete di Dio, non di queste cose, che gli escono ormai dagli occhi e dagli orecchi. Il mondo li bombarda continuamente con questa “spazzatura” (san Paolo). Non occorre che ci si metta pure un Vescovo. Proporre la Madonna in questi termini sembra l’istigazione ad un’ immaginazione pervertita, che tutto comprende sub specie libidinis, anche ciò che di più puro e più santo vi è in assoluto. Chi mai si consacrerebbe a Dio, nella totale verginità di corpo e spirito, se anche Maria, il paradigma della santità, si trascinasse verso le vanità di questo mondo?
Bisognerebbe dire ancora molte cose, ma non è questo il luogo né il momento adatto. Bastino queste “chicche” per comprendere la gravità della situazione. Se la dottrina di un Vescovo dovrebbe esser per sé ineccepibile, essendo “maestro della fede”, la dottrina di un Vescovo canonizzato dovrebbe esserlo doppiamente, visto che la Chiesa lo addita universalmente come modello esemplare da seguire. Proprio quest’ortodossia esemplare manca, a nostro avviso, al Nostro. Da qui la domanda: ammesso che don Tonino (così si faceva chiamare anche da Vescovo) sia davvero già nella gloria dei Santi in Paradiso, a che giova inserirlo anche nella gloria del Bernini sulla terra?
Testo tratto da: Immaculata Mediatrix, IX (3 – 2009), pp. 296-298.
Così in questo tagliente articolo, tanto tagliente quanto saturo di realismo cristiano, conclude il padre Apollonio. Si resta basiti: non da quel che dice il padre, ma da quello che ha osato dire quel vescovo pugliese.


A TONINO NON PIACE LA MADONNA “RETORICA E MAGNILOQUENTE”
A questa ampia e chiarissima introduzione, vorrei aggiungere altri passi che dal libro indicato, Maria donna dei nostri giorni, non possono che allertare il nostro “sensum fidei” nei confronti dell’identità di Maria Santissima e non certo per farne una dea o una divinità… ma santo cielo!… il dogma dell’Immacolata e il fatto che Maria fosse Immacolata fin dal concepimento, significherà pur qualcosa o no?

Dice san Paolo agli Efesini (1,4), che Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità; ma mentre noi tali dobbiamo diventarlo, Maria, ne è stata preservata; non è certo una icona immobile, ma piuttosto è proprio l’identità viva, il progetto riuscito di Dio, di questo essere “immacolati e santi”.
Mons. Bello, in quel libro (pag.14) spiega la “sua” Maria, che sarebbe una donna “senza retorica”, e sottolinea che Ella, la Madonna, “senza retorica, prega per noi inguaribilmente malati di magniloquenza“. Hai capito! Lascia sconcertati, non soltanto perchè il primo afflitto da “magniloquenza” è, paradossalmente, proprio lui, con quel suo fraseggiare ridondante, ma soprattutto perchè usa il termine “magniloquenza” come a dire che usata per descrivere la grandezza della Vergine è una forma di “malattia e di retorica”. Che sarebbe pure come dire cestiniamo il Trattato della vera Devozione a Maria di san Luigi M. Grignon de Montfort, o il suo Segreto di Maria, o magari cestinianoGlorie di Maria di sant’Alfonso M. de Liguori.
E spiega ancora mons. Bello: “Lo so bene: non è una invocazione da mettere nelle Litanie Lauretane. Ma se dovessimo riformulare le nostre preghiere a Maria, in termini laici, il primo appellativo da darle dovrebbe essere questo: donna senza retorica“. Stando a mons. Bello, dunque, le Litanie sarebbe meglio riformularle più laicamente.
Andrebbe fatto notare che, generalmente, lo sviluppo di una dottrina o della stessa fede della Chiesa va avanti e non indietro. Si arricchisce semmai di nuovi elementi, ma non va a sostituire quelli dottrinalmente già ufficialmente acquisiti con altri di nuovo conio. Nella Tradizione orante e viva della Chiesa si aggiunge, non si toglie: così come, per esempio, il beato Giovanni Paolo II alle Litanie Lauretane aggiunse il Regina della Famiglia, senza mai mettere in dubbio i Titoli onorifici già assunti dalla Vergine stessa in secoli di pietà cristiana.


MARIA CHE LITIGA CON SAN GIUSEPPE, “CHE ERA TACITURNO”. “COPPIA” IN CRISI?
Cosa intenderebbe, per altro, mons. Bello col quel riferimento che fa, nel libro, a “termini laici”?
La risposta, che troviamo nelle analisi agli stessi titoli da lui creati nel libro, è in quel suo associare l’immagine della Vergine Maria ad una donna del nostro tempo, immischiata nelle vicende del mondo in termini laici, e con un fare naturalmente laico… in Maria (come spiega a pag.11), “donna feriale”, e dove aggiunge: “Come tutte le mogli avrà avuto anche lei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzi…
Diciamo subito che san Giuseppe ne esce maluccio! Ma quanto all’incomprensione, la risposta la troviamo in Luca, quando entrambi si accorsero che Gesù non era con loro, si spaventarono. Ritrovatolo, nel vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi “non compresero” le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stando loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Perché allora inventare una immagine falsata di Maria e Giuseppe quando una risposta ce l’abbiamo nel Vangelo? Dove, dunque, i Vangeli lasciano intravvedere “momenti di crisi con Giuseppe”? Leggeremo poi al termine di queste riflessioni cosa ne pensa san Bernardo di Chiaravalle.
Ora, pur volendo lasciare a mons. Bello la poetica visione di una Famiglia di Nazareth comune, assimilata a tutte le famiglie di questo mondo, come di fatto lo era, perchéinsinuare il dubbio sul rapporto fra Maria e Giuseppe e affiancarlo alle gravi crisi fra i coniugi di oggi, dal momento che, Maria e Giuseppe, nulla hanno a che vedere con le motivazioni per le quali entrano in crisi i coniugi post-moderni? Le principali ragioni di crisi del matrimonio, della famiglia, dei coniugi, infatti provengono dai tradimenti, dalle infedeltà, dall’incapacità di mantenere fede ad una promessa data, dal non conoscere che cosa è amare e cosa è l’amore, dall’inseguire le mode del tempo, dall’allontanarsi da Dio, dal non pregare più in famiglia.


QUELLA SUA MARIA “CASALINGA” CONTRAPPOSTA A QUELLA “TEOLOGICA”
Un pò difficile pensare la Famiglia di Nazareth in “momenti di crisi” simili; mentre diverso è portare la Santa Famiglia nel nostro doloroso tempo quale modello, e i due Santi Genitori ci richiamano invece alla realtà ed alla verità coniugale, condividendone senza dubbio le battaglie e le lotte, ma mai assecondando la confusione di questi tempi e mai giustificandone gli errori e i peccati.
Su questa Maria “donna feriale”, il Bello conclude con questa preghiera a pag.13:
“…aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non è quello che ti pone all’interno della Bibbia e della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi….Ma è quello che ti colloca all’interno della Casa di Nazareth dove, tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli della Scrittura, hai sperimentato, in tutto lo spessore della tua antieroica femminilità, gioie senza malizia, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni“.
A parte la bellezza poetica che nessuno discute (e che, ammettiamolo, in modo inquietante ricalca l’arte retorica di Nichi Vendola), ci viene spontanea una domanda: ma perché contrapporre quel capitolo teologico che La preleva dall’interno della Bibbia, dalla patristica, La segue nella spiritualità e nella liturgia, La insegna nei dogmi, con fare negativo, quasi fosse estraneo a quel Suo essere invece all’interno della Casa di Nazareth con tutte le preoccupazioni del suo tempo?
I due capitoli non sono forse un unico capitolo della vita e dell’identità stessa di Maria Santissima? E non si corre il rischio di togliere qualcosa alla sua identità invocando una Madonna esclusivamente nel capitolo proposto da mons. Bello?


IL MAGNIFICAT “È IL CANTO DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE”

“Tu che nella casa di Elisabetta pronunciasti il più bel canto della teologia della liberazione, ispiraci l’audacia dei profeti.”
Ma la ciliegina sulla torta la troviamo in “Maria, donna missionaria” alle pagg. 35-38, dove nella conclusione leggiamo:
Il Magnificat è dunque un canto della “teologia della liberazione”. Si, senza dubbio è una teologia della liberazione, ma in quali termini? E perché usare un termine del quale ben sappiamo la condanna che l’allora cardinale Ratzinger, Prefetto dell’Ortodossia, per volontà del pontefice sottoscrisse con un documento ufficiale?
La preghiera invocazione di mons. Bello, in queste tre pagine, è un continuo rimprovero alla Chiesa che, secondo Bello, non sarebbe affatto sulla stessa scia missionaria della Vergine Maria, ecco alcune espressioni:
- la Chiesa si attarda all’interno delle sue tende dove non giunge il grido dei poveri;
- la Chiesa si adagia sulle posizioni raggiunte, scuotila (…) nomade come te, mettile nel cuore una grande passione per l’uomo…
Preghiere del genere sono sempre auspicabili, intendiamoci, ma perché presentare sempre la Chiesa come una sorta di peccatrice, meretrice, adultera e mai come quella che professiamo nel Credo: santa? La prima passione che dovremmo avere non dovrebbe essere “ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente; ama il prossimo tuo come te stesso”?
Si ha come la sensazione che mons. Bello abbia dimenticato TUTTA la storia della Chiesa bimillenaria e si sia concentrato esclusivamente su una faccia della medaglia, quella degli uomini che rendono senza dubbio opaca la santità di questa Sposa. Ancora una volta si associa la Chiesa in quanto tale (ossia santa e fedele nella sua dottrina, nei dogmi, nella liturgia, nei sacramenti, nella stessa mariologia, insomma complessivamente nella sua Tradizione) a chi, abitando nella Chiesa, piuttosto tradisce, invece che rispettarli, tali elementi di santità. Ancora una volta, si confendono le due nature della Chiesa: quella umana e quella soprannaturale; la sua Persona col suo personale.


UNA MARIOLOGIA LAICA
Nel riflettere su questa situazione veramente spiacevole e che non può non metterci a disagio perché resta assai palese e forte l’affetto filiale che Bello nutriva per la Vergine Maria, mi viene in mente che fra i primi beatificati del suo pontificato, Benedetto XVI ne ha proclamato uno, padre Charles de Foucauld. Il quale insegnava questa regola di vita: “Per formare dei discepoli non basta il fascino, non è sufficiente un carisma, ci vuole una dottrina”.Ci appare questo monito, molto eloquente per spiegare l’ambiguità delle riflessioni, seppur poetiche, di mons. Bello sulla Vergine Maria! In tali riflessioni manca sovente un insegnamento dottrinale univoco, anzi, delle volte notiamo un superamento dottrinale, un indirizzo assai pericoloso ed ambiguo nello spingere il fedele a vivere una mariologia “laica”, come se la mariologia ecclesiale della Tradizione fosse d’impedimento all’autentica comprensione di Maria e del ruolo della Famiglia di Nazareth.
E’ senza dubbio vero che senza estrapolare i vari passi da tutto il contesto del pensiero mariano di mons. Bello non vi troveremo affatto una eresia conclamata, ma qui sta forse l’inganno più grande: apparentemente non vi è eresia, però ciò che si avanza è, alla fine, una nuova dottrina in rottura con la mariologia della Tradizione. Ed è difficile restare a guardare e tacere di fronte alle mille domande che certe frasi impongono sia alla fede genuina della Chiesa sia alla ragione dell’intelletto di chi legge e vorrebbe meditare ponendosi non queste, ma altre domande su se stessi, sulla personale inclinazione, già facile di questi tempi, ad abbandonare la sana dottrina per rincorrere nuove immagini, nuove dottrine, “nuovi pruriti” come li definisce san Paolo.


E L’EUCARESTIA DIVENTÒ SOLO… “PANE”
Così come nelle bellissime, stilisticamente, pagine dedicate a Maria, donna del pane, pagg. 47-50 nelle quali, impeccabilmente, mons. Bello descrive il corretto e bellissimo accostamento fra “il pane quotidiano” che imploriamo nel Padre Nostro e il pane eucaristico. Tuttavia, in queste pagine la parola Eucaristia non viene mai usata e l’accostamento resta invischiato esclusivamente nel “pane della tavola”, un frammisto che rischia di confondere i fedeli, ancora una volta, su questa tendenza post-conciliare che ha ridotto l’altare dell’eucaristia esclusivamente ad una mensa comune. Se è vero, infatti, come spiega Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis e nel suo Lo Spirito della liturgia, che l’altare si trasforma in mensa eucaristica DOPO il Sacrificio, la tendenza errata, spiega il papa, è quella di trasformare l’altare in una mensa prima ancora del Sacrificio e di ridurre l’eucaristia esclusivamente all’accostamento del pane quotidiano. In questo mondo si è persa la dimensione del Sacrificio, del senso del sacro, e si è elevato il pane quotidiano al di sopra di ogni sacramento, una priorità che non conduce ad alcuna conversione e fa guardare all’eucaristia come ad un simbolo il cui senso si riduce esclusivamente all’attivismo per ottenere pane quotidiano dimenticando la dimensione sacramentale del Pane Eucaristico.
In questi tempi di crisi economica, dove ci sono persone ridotte, non solo retoricamente, alla fame, si tende spesso a nascondere che la Chiesa è ovunque nel mondo a compiere e a vivere la missionarietà del “pane quotidiano”. Perché, allora, continuare a dipingere una Chiesa quasi assente dalle opere di Carità? Ciò che in concreto è preoccupante per il cattolicesimo è che si sta verificando una gravissima crisi liturgica che sminuisce il Pane Eucaristico, laddove, per essere più “buoni” agli occhi del mondo, si finisce per ridurre l’eucaristia esclusivamente all’attivismo sociale, penalizzandola nella sua dimensione sacra e di adorazione.
Questa devastante disassociazione tra la fede e le opere, c’è da dire, proviene direttamente da una mariologia progressista.


E IL CARD.RATZINGER CON DISCREZIONE CORRESSE LA MARIA “CASALINGA” DI BELLO
E’ significativo che al libro di mons. Bello del 1993 segua, nel 1997, quello dell’allora cardinale Ratzinger Maria Chiesa nascente che, leggendo con molta attenzione, appare come una vera e propria correzione all’audace mariologia progressista di mons. Bello. Non a caso Ratzinger inizia e finisce il libro con citazioni bibliche, diversamente da come lo comincia e lo finisce Bello, senza alcuna citazione diretta, ma usando la Bibbia solo come spunto innovativo, quasi di rilettura e re-interpretazione della stessa.
Tanto per fare qualche esempio, a pag. 18, come a rispondere a mons. Bello, scrive Ratzinger:
“Il pensare tipologico dei Padri verrebbe fondamentalmente frainteso, se dovesse ridurre Maria ad una semplice e quindi sostituibile esemplificazione di fatti teologici. Il senso del typos (carattere) resta invece garantito se la Chiesa, tramite la figura singolare e non permutabile di Maria, diviene riconoscibile nella sua fisionomia personale. In teologia non si deve ricondurre la persona alla cosa, ma questa a quella. Una ecclesiologia puramente strutturale fa necessariamente degenerare la Chiesa a programma di azione. (..) A questo punto riconosco la verità nell’affermazione ‘Maria vincitrice di ogni eresia’: dove esiste questo radicamento affettivo ivi vige l’unione ex toto corde, dal profondo del cuore… e diventa impossibile la fusione della cristologia in un programma-Gesù … rivolto all’essere ateistico e del tutto rivolto alle cose materiali…”
A pag. 63, Ratzinger chiarisce la sintesi dell’autentica interpretazione del Magnificat, anche qui come se volesse rispondere all’audacia di mons. Bello, dice:
Maria ha vissuto così profondamente nella parola dell’Antica Alleanza, che questa è divenuta in modo del tutto spontaneo la sua propria parola. La Bibbia era così pregata e vissuta da Lei, era così ruminata nel Suo cuore, che Ella vedeva nella Parola Divina la sua stessa vita (…) e la Sua parola si era unita a quella di Dio”. E, citando sant’Ambrogio, prosegue Ratzinger: “Magnificare il Signore significa voler far grandi non se stessi, il proprio nome, il proprio io, allargarsi ed esigere spazio, ma dare spazio a Lui, fare grande Lui e il Suo Nome perchè Egli sia sempre e più maggiormente conosciuto nel mondo (…) il Magnificat è un canto che ci dice che è necessario rendersi liberi per Lui, questo è il vero e proprio esodo che i Padri della Chiesa e Massimo il Confessore ci spiegano lungamente”.
E così anche a riguardo dell’incomprensione descritta da mons. Bello e che abbiamo sopra riportato, anche qui Ratzinger sembra rispondere per correggerlo, a pag. 60:
Ma essi non compresero le sue parole. Anche per il credente le parole di Dio non sono comprensibili sin dal primo momento. Chi esige dal messaggio cristiano l’immediata comprensione banale e mediocre, sbarra la via a Dio! Dove non c’è l’umiltà del mistero accolto, la pazienza che accetta in sè ciò che non si comprende, spiega Ratzinger, là il seme della parola è caduto sulla pietra, non ha trovato la buona terra! Ma se invece lo conserva nel modo migliore, con tutta umiltà e lascia che lentamente, con i tempi di Dio, si apra alla comprensione attraverso la sofferenza di una attesa, senza pretendere delle spiegazioni banali e mediocri, là il seme cade nella terra buona e Maria, infatti, custodisce tutte queste parole nel suo cuore. La parola custodire qui significa attraverso, cioè attraverso Dio stesso, Maria stessa, e di conseguenza questa Parola viene così mantenuta fedelmente e renderà frutto a suo tempo”.
Una piccola curiosità: in tutto il libro di Ratzinger, scritto cinque anni dopo quello di mons. Bello, fra le tante citazioni fatte, nessuna, neppure una proviene dalle nozioni astratte di don Tonino Bello e della “sua” Maria. Non ne traiamo alcuna conclusione, ma documentiamo solo un fatto eloquente.


LA MARIA DELLE “VAMPE” MATRIMONIALI DI DON TONINO, DIMENTICA CHE GIUSEPPE ERA IL “CASTISSIMO SPOSO”
Riguardo al rapporto fra Maria e Giuseppe, che mons. Tonino Bello fa scendere nella quotidianità del nostro tempo attribuendo alla Vergine “momenti di crisi e di sconforto” di coppia, come avviene per molte famiglie di oggi, san Bernardo di Chiaravalle la pensa diversamente. Nella sua Seconda Omelia, spiegando la titubanza di Giuseppe nel prendere Maria con sé, prima del sogno rivelatore, ne descrive la grandezza e l’innamoramento casto che manterrà per tutta la vita che vivrà come membro della Sacra Famiglia.
San Bernardino spiega che Giuseppe, comprendendo bene quanto egli fosse peccatore e quanto fosse santa la giovane Maria, si riteneva indegno di essere chiamato alla guida di questa famiglia e con una Donna di tale grandezza, diventandone lo sposo. La vedeva, spiega san Bernardino, portare in sé la Presenza Divina, e lui aveva timore di non essere all’altezza di proteggerli abbastanza; ma san Giuseppe venerava già la Sposa Immacolata e, fidandosi di Dio che lo aveva chiamato per proteggerla e per proteggere la vita del Divino Fanciullo, si affida egli stesso alla Vergine Sposa ponendosi così da subito a servirla e ad onororala senza mai procurarle dispiaceri.
Giuseppe – conclude san Bernardino-, era l’uomo giusto, perciò procurati di valutare che grande uomo sia stato tanto da ricevere da Dio il compito di essere Sposo di una Vergine di cui Dio ne fece il proprio Tempio, e lo volle padre putativo del Suo Divin Figlio, e considera anche il significato del suo nome arricchimento che il Signore stesso volle mettere al fianco della Piena di Grazia, e se nella Vergine Maria si compì la promessa, in Giuseppe troviamo il primo discepolo della Beata Madre e il terzo discepolo del Signore: la prima Discepola fu, infatti, la stessa Madre, la seconda santa Elisabetta che lo riconobbe Signore e a Lei Madre del suo Signore, il terzo è san Giuseppe, custode e discepolo di entrambi”.


DISTINGUIAMO LA MARIOLOGIA DELLA TRADIZIONE DALLA MARIOLOGIA PROGRESSISTA
Per concludere queste riflessioni possiamo chiederci: che differenza c’è fra la Mariologia della Tradizione e la mariologia progressista?
A quando abbiamo detto fin qui, quale prova della differenza, possiamo dire che nella Mariologia della Tradizione, l’incontro fra Dio e l’uomo, attraverso l’esempio di Maria, è una reciproca esperienza, una reciproca “penetrazione”, una trasformazione ontologica (ossia trasformazione, discorso dell’essere); avviene una conversione, un moto continuo che sfocia in Dio, un moto che Dio, pur “muovendo ed azionando” per primo, attende da Maria il “sì” della compiutezza, affinché tale moto si attivi, e da questo “sì” dipenderà il sì o il no di tutti gli uomini con tutto ciò che questo comporta.
Nella mariologia progressista, al contrario, pur partendo dal “sì” di Maria, l’incontro fra l’uomo e Dio diventa sentimento e sentimentale, superficiale e mediocre, non chiede all’uomo il massimo dello sforzo, ma il minimo; non chiede necessariamente una conversione, ma una sorta di stabilimento di un “sì-ma” racchiuso nelle capacità esclusivamente umane senza la necessità di dottrine. Insomma, dialogare, discutere, METTERSI SEMPRE AL CENTRO per difendere le proprie opinioni.
La Mariologia della Tradizione non viene citata dai teologi progressisti quale valida dottrina per affrontare le tematiche odierne e gli scritti dei Santi, dei Padri e dei Dottori della Chiesa, vengono re-interpretati a seconda della situazione del momento, del tempo e delle mode non di rado laicissime. In essa vi è una ostinazione all’archeologismo cristiano denunciato da Pio XII, un modo difettoso di ritornare alle radici cancellando però lo sviluppo dottrinale e teologico di certi periodi della Chiesa, specialmente del Medioevo e dei tempi di san Tommaso d’Aquino e dei suoi scritti, preferendo una re-interpretazione della Bibbia libera da vincoli dottrinali e dogmatici. Una mania con tutti i crismi del protestantesimo, insomma.

http://www.papalepapale.com/develop/la-madonna-di-tonino-bello-non-modello-ma-modella-per-pervertiti/



AMDG et BVM