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domenica 3 luglio 2016

Grandi e piccoli colpevoli



"Vorreste che Io venissi e mi mostrassi per terrorizzare e incenerire i colpevoli. O miseri! Non sapete quello che chiedete! Purtroppo verrò. 

Dico: "Purtroppo", perché la mia sarà  venuta di Giudizio e giudizio tremendo. Avessi a venire per salvarvi non direi così e non cercherei di allontanare i tempi della mia venuta, ma anzi mi precipiterei con ansia per salvarvi ancora.

Ma il mio secondo avvento sarà avvento di Giudizio severo, inesorabile, generale, e per la maggior parte di voi sarà giudizio di condanna. Non sapete quello che chiedete. 

Ma se anche Io mi mostrassi, dove è nei cuori, e specie in quelli maggiormente colpevoli delle sciagure di ora, quel tanto residuo di fede e di rispetto che li farebbe curvare col volto a terra per chiedermi pietà e perdono?

No, figli che chiedete al Padre vendetta mentre Egli è Padre di perdono! Se anche il mio Volto balenasse nei vostri cieli e la mia Voce, che ha fatto i mondi, tuonasse da oriente ad occidente, le cose non muterebbero. 
Ma soltanto un nuovo coro blasfemo di insulti, ma soltanto una nuova ridda di ingiurie sarebbero lanciati contro la mia Persona. 
Ripeto: potrei fare un miracolo e lo farei se sapessi che poi voi vi pentite e divenite migliori. 
Voi, grandi colpevoli che portate i piccoli a disperare e a chiedere vendetta, e voi, piccoli colpevoli che chiedete  vendetta. Ma né voi, grandi colpevoli, né voi, piccoli colpevoli, vi pentireste e non diverreste migliori dopo il miracolo. Calpestereste anzi, in una furia di gioia colpevole, i corpi dei puniti, demeritando subito al mio cospetto, e vi montereste sopra per opprimere, a vostra volta, da quel trono fondato su una punizione. Questo vorreste. Che Io colpissi per potere colpire a vostra volta. 
Io sono Dio e vedo nel cuore degli uomini e perciò non vi ascolto in questo. Non voglio che vi danniate tutti. I grandi colpevoli sono già giudicati, Ma voi tento di salvarvi. 

E quest’ora, per voi, è vaglio di salvezza.Cadranno in potere del Principe dei demoni coloro che già hanno in loro la zizzania del demoni, mentre coloro che hanno in cuore il grano di frumento germinante l’eterno Pane, germoglieranno in Me in vita eterna". 

domenica 26 aprile 2015

Una pagina del Diario dell'Apostola della Misericordia


.................
Mi venne il pensiero: « A che scopo cercare di acquistare le virtù?
Perché mortificarsi, se tutto ciò non è gradito a Dio? ». 

Quando ne parlai
con la Madre Maestra, ricevetti questa risposta: « Sappia, sorella, che
Iddio la destina ad una grande santità. È un segno che Dio la vuole in
paradiso, molto vicino a Sé. Sorella, abbia molta fiducia nel Signore Gesù». 
Il tremendo pensiero di essere respinti da Dio è il tormento che in
realtà soffrono i dannati. Mi rifugiai nelle Piaghe di Gesù. 
Ripetevo
parole di speranza, ma quelle parole divennero per me un tormento
ancora maggiore. Andai davanti al SS.mo Sacramento e cominciai a dire
a Gesù: « Gesù, Tu hai detto che è più facile che una madre dimentichi il
bambino che allatta, piuttosto che Iddio dimentichi una Sua creatura e se
pure essa lo dimenticasse, Io Dio non dimenticherò la Mia creatura.
Senti, Gesù, come geme la mia anima? Ascolta i vagiti strazianti della Tua
bambina. Ho fiducia in Te, o Dio, poiché il cielo e la terra passeranno, ma
la Tua Parola dura in eterno». 
Però non trovai sollievo nemmeno per un istante. 

Un giorno, subito dopo la sveglia, mentre mi metto alla presenza
di Dio, incomincia ad assalirmi la disperazione. Buio estremo nella mia
anima. Ho lottato come ho potuto fino a mezzogiorno. Nelle ore
pomeridiane cominciò ad impossessarsi di me un vero terrore di morte;
mi cominciarono a venir meno le forze fisiche. 

Rientrai in fretta nella
cella e mi gettai in ginocchio davanti al Crocifisso e cominciai ad
implorare misericordia. Gesù però non ascolta le mie grida. Sento che mi
vengono a mancare del tutto le forze fisiche; cado a terra; la disperazione
si è impadronita della mia anima. Sto vivendo pene infernali che
realmente non differiscono in nulla da quelle dell'inferno. Sono rimasta
in quello stato per tre quarti d'ora. Avrei voluto andare dalla Maestra -
non ne ebbi la forza. Volevo gridare - la voce mi venne a mancare. 

Per fortuna però entrò nella cella una suora. Quando mi vide in quello stato
così fuori dal normale, avverti subito la Maestra. La Madre venne subito.
Appena entrò nella cella, disse queste parole: « In virtù della santa
obbedienza, le chiedo di alzarsi da terra ». 

Immediatamente una forza misteriosa mi sollevò da terra e mi trovai 
in piedi accanto alla cara Maestra. 
Con parole affettuose mi spiegò che quella era una prova
mandata da Dio: « Sorella, abbia tanta fiducia; Iddio è sempre Padre,
anche quando mette alla prova ». 

Tornai ai miei doveri, come se fossi uscita dalla tomba. 
I miei sensi erano come impregnati di ciò che aveva
sperimentato la mia anima. Durante la funzione serale la mia anima
cominciò ad agonizzare in un buio spaventoso. Sento che sono in balia
del Dio Giusto e che sono oggetto del Suo sdegno. 
In quei terribili momenti ho detto a Dio: 
« O Gesù, che nel Vangelo Ti paragonasti alla
più tenera delle madri, ho fiducia nella Tua Parola, poiché Tu sei la verità
e la vita. Gesù, confido in Te contro ogni speranza, contro ogni
sentimento, che ho nel mio intimo ed è contrario alla speranza. Fa' di me
quello che vuoi; non mi allontanerò da Te, poiché Tu sei la sorgente della
mia vita ». 

Quanto sia tremendo questo tormento dell'anima, lo può
capire soltanto chi ha provato su di sé simili momenti. Nella notte mi fece
visita la Madonna con in braccio il Bambino Gesù. La mia anima fu piena
di gioia e dissi: « O Maria, Madre mia, lo sai quanto terribilmente soffro?
». E la Madonna mi rispose: « Lo so quanto soffri, ma non temere, io
partecipo e parteciperò sempre alla tua sofferenza ». Sorrise
amabilmente e scomparve. 
Immediatamente nella mia anima ritornò la forza e tanto coraggio. 
Questo però durò soltanto un giorno.
..........
29.4.1926.




mercoledì 15 aprile 2015

Pensieri di santa Faustina K.




... 16. Quest'opera della misericordia. — Si fece improvvisamente luce dentro di me, ed ebbi una profonda comprensione dell'opera richiesta da Gesù. Nemmeno l'ombra di un dubbio mi rimase. Il Signore mi fece conoscere apertamente la sua volontà e il suo disegno in quest'opera della misericordia, di cui parla di continuo. La vidi collocata a tre livelli per quanto, nel suo insieme, rappresenti sempre un'unità.

17. I tre livelli. — Il primo è costituito da un gruppo d'anime contemplative le quali, appartate dal mondo, arderanno davanti a Dio come olocausto. Il loro compito è implorare la divina misericordia per il mondo e, in particolare, chiedere il favore di Dio sull'attività dei sacerdoti. Con la loro vita d'orazione, queste anime prepareranno l'universo all'ultima venuta di Gesù.

Il secondo livello è formato da un altro gruppo d'anime, le quali uniscono alla preghiera le varie opere di misericordia. Si uniranno in congregazione religiosa e avranno il compito di difendere le anime dal male, in primo luogo quelle dei fanciulli. L'orazione e le opere di misericordia rappresentano la missione che tocca a queste anime. È lo scopo della loro consacrazione a Dio. Nella congregazione di cui parlo vi sarà posto anche per persone poverissime e tutte assieme si uniranno a risvegliare, in questo mondo d'egoisti, l'amore per la misericordia di Gesù.

Il terzo livello consiste in un gruppo, vasto più dei precedenti, che si propone di pregare e praticare la misericordia, senza il vincolo dei voti religiosi. Le persone che si associeranno in questo modo parteciperanno al merito anche degli altri gruppi, perché fanno parte della stessa opera. A questo vasto movimento d'anime apparterranno le persone laiche senza una distinzione gerarchica tra loro. Si impegneranno, in particolare, a compiere almeno un'opera di misericordia al giorno. Tuttavia, di opere della misericordia se ne possono compiere, volendo, un grande numero e nelle forme più svariate. Anche il più povero e incapace è sempre in grado di attuarne qualcuna in qualche modo.

18. Come si esercita la misericordia. — La misericordia si esercita in tre modi:
1) Con le opere esterne di misericordia, che sono le opere di misericordia propriamente dette;
2) con le parole di misericordia, portando agli altri il proprio perdono ed il conforto;
3) con il ricorso alla misericordia di Dio pregando per gli altri, specialmente dove l'azione e la parola non possono arrivare.
Quando ci coglierà l'ultimo giorno e Dio pronuncerà su tutti noi il suo giudizio, per tali opere saremo giudicati e, in base ad esse, riceveremo la sentenza eterna (Mt. c. 25).

19. Fra la terra e il cielo. — La santa Messa era iniziata proprio in quel momento. Vidi Gesù splendente di bellezza. Mi disse che esigeva si fondasse quel movimento d'anime e quell'unione tra di esse, di cui m'aveva parlato. «Penetra nei miei segreti — proclamò — e scopri l'abisso della mia misericordia. Fa' conoscere al mondo ciò che voglio. Con la loro preghiera, questi movimenti d'anime faranno da mediatori di misericordia fra la terra e il cielo».

20. Eccoti me stessa! — Mio Creatore e Signore, eccoti me stessa! Disponi di me secondo il tuo volere. Attua i tuoi disegni eterni di misericordia. Conosca ogni anima quanto è buono il Signore. Nessuna tema il rapporto con lui; non vi si sottragga con la scusa della propria indegnità. Non rimandi a più tardi l'adesione agli inviti del Signore, perché questo lo contrista. Non vi è anima più miserabile di me, e ben conosco ciò che realmente sono, ma non mi stupisco ormai più che la divina maestà si abbassi fino a me e di me voglia servirsi. O eternità, tu stessa mi sembri troppo breve perché io riesca a proclamare la misericordia infinita del Signore.

Tracce di splendore
21. Lo strumento. — Oggi, 5.10.1936, ricevetti una lettera, del prof. Sopocko, dalla quale appresi che farà stampare una immaginetta con la figura del Cristo misericordioso. Il mio cuore scoppia di gioia, perché Dio mi permette finalmente di vedere l'inizio di quest'opera della sua misericordia. È un'opera grande e io, misera, ne sono solo lo strumento. Bramo vedere anche la festa della divina misericordia. Se, però, fosse volontà di Dio che essa venga celebrata nella Chiesa soltanto dopo la mia morte, me ne rallegro già fin d'ora e comincio a celebrarla interiormente con il permesso del mio confessore.

22. Collaborazione. — Madre Irene, che fu mia superiora a Wilno ed ora lo è a Cracovia, riceve da Dio una luce singolare per tutto ciò che riguarda quest'opera della misericordia del Signore. Essa fu la prima ad autorizzare l'esecuzione dei desideri di Gesù. Per prima, infatti, mi accompagnò quando si trattava di dipingere il quadro del Salvatore misericordioso ad opera del pittore Kazimierowski e adesso, che si comincia a dare alle stampe quel lavoro, essa nuovamente mi accompagna con l'intento sincero di promuovere la causa voluta da Gesù. Dio ha mirabilmente disposto tali cose e lo ringrazio per avermi dato una superiora come questa. È per essa che prego maggiormente, perché fu lei ad assumersi il più delle fatiche a favore di quest'opera.

23. La prima riproduzione dell'immagine. — Oggi la superiora, Madre Irene, scese con me in città da una persona che si assunse di stampare le piccole immagini unitamente alla pubblicazione delle invocazioni alla divina misericordia e della coroncina. Già venne ottenuta l'approvazione del vescovo. Dovevamo anche vedere le correzioni da apportare all'immagine più grande, la quale, del resto, è molto somigliante al quadro originale e ciò mi fa piacere. Contemplando quest'immagine mi trafisse un amore tanto vivo per Iddio, che ci fu un momento in cui non sapevo dove mi trovassi.

24. La generosità divina. — Ci recammo poi nella chiesa di Santa Maria e vi ascoltammo la santa Messa. Durante la celebrazione, il Signore mi fece conoscere il grande numero di anime che, mediante quest'opera della misericordia, giungerà a salvare. Entrai allora interiormente in colloquio col Signore, ringraziandolo d'aver potuto vedere coi miei occhi gli inizi del culto alla sua infinita misericordia. M'immersi in una profonda preghiera di ringraziamento. Quant'è grande la generosità di Dio! Sia benedetto il Signore, che è fedele alle sue promesse.

25. Proclama al mondo. — Disse Gesù: «Proclama al mondo che le fiamme della misericordia mi divorano: desidero riversarle sugli uomini, e grande dolore mi procurano quando rifiutano di accoglierle. Figlia mia, fa' ciò che puoi per diffondere il culto della divina misericordia. Completerò io quello che ti manca. Dirai all'umanità che soffre di stringersi al mio cuore misericordioso e io la colmerò di pace. Proclama che sono l'amore e la misericordia. Quando un'anima s'accosta a me con fiducia, la colmo di tanta quantità di grazie, che non può contenerle e le riversa su altre anime».

26. Non sono capace! — Scorsi ancora una volta, davanti a me, Gesù in quell'aspetto con il quale vuole essere dipinto sull'immagine. Mi disse: «Ardentemente bramo che si attui l'unione di anime, di cui spesso ti ho parlato!». Io esclamai: «Non sono capace di portare a termine un'impresa tanto grande!». Mi parve strano, ma fu come se Gesù non prestasse attenzione alle mie parole. In cambio, mi diede la chiara cognizione di quanto l'opera fosse a lui gradita. Evidentemente, non teneva conto della mia debolezza, pur lasciandomi intravedere le difficoltà che avrei incontrato.

27. Come una madre. — «Tutto ciò che esiste è racchiuso nelle viscere della mia misericordia più di quanto lo sia l'infante nel grembo della madre. Proteggerò per tutta la loro vita, come una madre fa col suo bambino, le anime che diffondono il culto della misericordia e, nell'ora della loro morte, non sarò per esse giudice ma salvatore. Un'anima giunta all'ultima sua ora non ha nient'altro in sua difesa se non la mia misericordia. Felice quella che, durante la sua vita, si sarà immersa nella fonte della mia misericordia, perché la giustizia non la raggiungerà».

28. Queste parole sono per te. — Oggi il prete predicò un ritiro spirituale. Spiegò quanto il mondo abbia bisogno della misericordia di Dio, perché i nostri tempi hanno dell'eccezionale. Ad un tratto, udii dentro di me una voce che diceva: «Queste parole sono per te. Fa' tutto ciò che ti è possibile per diffondere quest'opera della mia misericordia. Porgo all'umanità una tavola di salvezza, affinché cerchi in essa il proprio scampo. Il mio cuore si rallegra del culto che date alla mia misericordia».

29. Uno sguardo all'avvenire. — Ora so. Verrà il momento in cui quest'opera, tanto cara a Dio, sembrerà distrutta quasi completamente ma, all'improvviso, per intervento di Dio, essa riapparirà con gran vigore a testimonio della verità. L'opera della misericordia, allora, aggiungerà alla Chiesa nuovo splendore, sebbene il contenuto di quest'opera da molto tempo esista già, come addormentato, dentro di essa.

30. Tracce di splendore. — Vidi Gesù. Si chinò su di me e mi disse dolcemente: «Hai qualche desiderio, figlia mia?». Risposi: «Desidero la gloria e il culto della tua misericordia». Disse: «Il culto mi viene tributato con l'istituzione e la celebrazione della festa. Che cosa desideri oltre a questo?». Guardai in spirito le folle che adorano Dio nella sua misericordia e dissi: «Gesù, benedici tutti quelli che si uniscono per adorarti e per glorificare la tua misericordia». Gesù tracciò allora con la mano il segno della croce e la sua benedizione lasciò su ciascun'anima una traccia di splendore.

AVE MARIA PURISSIMA!

domenica 12 aprile 2015

Beato Alfredo Ildefonso Card. Schuster


Così il Beato Alfredo Ildefonso Card. Schuster commenta il santo Vangelo della Domenica in albis:

...
La seguente lezione evangelica (Giov. XX, 19-31) narra di due distinte apparizioni di Gesù agli Apostoli
la prima, nella sera stessa di Pasqua, quando istituì il sacramento della confessione, l’altra otto giorni dopo, quando volle che Tommaso palpasse le sue piaghe. 

È significativo che sia stata accordata agli Apostoli la podestà di rimettere i peccati proprio il giorno della resurrezione del Cristo. Quello era un giorno di letizia e di trionfo, e perciò ben si conveniva che in esso la divina misericordia istituisse il Sacramento che viene a rimuovere da questa terra il lutto ed il pianto, e richiama i peccatori a nuova vita. 
A memoria del qual fatto, anche adesso il senso cristiano vuole che i fedeli innanzi di partecipare al Sacramento Pasquale, impetrino dal sacerdote l’assoluzione sacramentale dello proprie colpe. Nel linguaggio del nostro popolo, che però è così espressivo e riflette una profonda educazione cattolica, l’accostarsi in occasione della santa Pasqua a questi due sacramenti, si dice far Pasqua. Tanto adunque intimo è il nesso tra la resurrezione del Signore e la riconciliazione sacramentale dei penitenti. In antico la riconciliazione dei pubblici penitenti avveniva appunto il giovedì e il venerdì santo.

La seconda apparizione di Gesù nel cenacolo avvenne per confutare lo scetticismo di Tommaso [su Gesù così misericordioso da apparire a coloro che L'avevano totalmente abbandonato durante la Passione, e perdonarli]. Per credere, egli voleva toccare materialmente, ed Iddio permise questo difetto, perché poi la medicina onde fu guarito lui servisse a curare l’incredulità di tutte le future generazioni. La resurrezione del Signore non lascia alcun dubbio; essa prima che fosse creduta, fu veduta, fu anzi palpata da persone tutt’altro che propense ad ammetterla.


Sia lodato Gesù Maria!

venerdì 3 aprile 2015

Divina Misericordia

MISERICORDIA
CORPORALE E SPIRITUALE




Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum

Réspice, quaesumus, Domine, super hanc familiam tuam, pro qua Dominus noster Jesus Christus non dubitavit mànibus tradi nocéntium, et crucis subire tormentum. Qui tecum vivit, et regnat in unitate Spiritus sancti Deus per omnia secula seculorum. Amen. Miserére nostri, Dòmine, miserére nostri.

Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI : «La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1, 24).» 
(Joseph Ratzinger, omelia Missa pro eligendo Romano Pontifice 18 aprile 2005).
Ecclesiae tuae, quaesumus, Domine, preces placatus admitte: ut, destructis adversitatibus et erroribus universis, secura tibi serviat libertate. Per Dominum nostrum Jesum Christum Filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum. Amen. 

domenica 29 marzo 2015

DIO

Dio
vuole
che
le nostre miserie siano
il trono
della sua misericordia
e
le nostre impotenze
il seggio della sua onnipotenza.

(San Pio da Pietrelcina)

venerdì 25 luglio 2014

SI AVVICINA LA FESTA DEL SANTO CURATO: Lettera spirituale: Carissimo/a Amico/a,


Carissimo/a  Amico/a,

La sera del 19 febbraio 1818, dopo aver percorso a piedi i trenta chilometri che separano Ecully dal villaggio di Ars (vicino a Lione), Giovanni Maria Vianney, giovane sacerdote, chiede la strada della sua nuova parrocchia ad un pastorello. Questi mette sulla buona strada lo sconosciuto, e, a titolo di ringraziamento, si sente dire: «Amichetto mio, mi hai indicato la via per Ars; ti mostrerò la via del Cielo».«Rendiamo grazie a Dio per i santi che hanno costellato la storia della Francia» (Giovanni Paolo II, 25 settembre 1996). Forse che i santi non hanno la missione di indicarci la via che porta al Cielo? San Benedetto, nel Prologo della sua Regola, ci dice: «Cingiamoci i fianchi della fede e della pratica delle opere pie; sotto la guida del Vangelo, avanziamo sulle vie del Signore, al fine di meritare di vedere Colui che ci ha chiamati nel suo regno. Ma se vogliamo abitare nella dimora di tale regno, bisogna che vi corriamo attraverso le opere pie, senza le quali non vi si giunge».
San Giovanni Maria Vianney, una delle fiaccole che rischiarano la nostra strada, ci aiuta, con il suo esempio, ad agire secondo la vocazione cristiana.


Un pastorello sotto il terrore

1793. Il Terrore. A Lione, sulla piazza des Terreaux, la ghigliottina non smette di funzionare. Le chiese sono chiuse. Lungo le strade, solo i basamenti delle croci sussistono: uomini venuti da Lione hanno abbattuto le croci. Solo il santuario dei cuori rimane inviolato nei veri fedeli. Giovanni Maria Vianney, nato nel 1786, passa l'infanzia in quest'atmosfera di rivoluzione.

Conserva con infinite precauzioni una statuetta della Santa Vergine, che porta con sè perfino in campagna, in una tasca del camiciotto. La mette nel tronco di un vecchio albero, la circonda di muschio, di rami e di fiori, e poi, inginocchiato nell'erba, sgrana il rosario. Le sponde del ruscello hanno sostituito la chiesa sconsacrata, dove nessuno più prega. Altri pastori sorvegliano le greggi nei dintorni. Non è una compagnia sempre assennata; ma Giovanni Maria non può impedirle di avvicinarsi. Ed ecco che, senza pensarci, diventa apostolo. Catechista dei compagni, ripete quel che ha sentito lui stesso nel silenzio delle notti, ed insegna le preghiere che ha imparato dalla madre. Una vocazione sacerdotale è sbocciata: in fondo alla sua anima, si fa sentire quel seguimi (Matt. 8, 22) che, sulla riva del lago di Galilea, attira Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni al seguito di Gesù.

A 19 anni, comincia gli studi di seminarista. Ahimè! la grammatica latina gli sembra ostica. Il giovane ha la risposta pronta ed acuta; vien ascoltato con piacere, ma gli studi sono difficili; non appena ha in mano una penna, diventa lento, imbarazzato. Al seminario maggiore di Lione, i suoi sforzi sembrano sterili. La prova è dura quando, in capo a cinque o sei mesi, i direttori, ritenendo che non possa riuscire, lo pregano di ritirarsi. Molti suoi condiscepoli sono veramente afflitti nel vederlo lasciare il seminario. E lui, profondamente avvilito, si affida alla Provvidenza. Dopo un'attesa lunga e studiosa, il suo direttore spirituale lo presenta ad uno dei vicari generali, Monsignor Courbon, che regge l'arcidiocesi di Lione:
«È pio don Vianney? chiede questi. È devoto alla Santa Vergine? Sa recitare il rosario? – Sì, è un modello di devozione. – Un modello di devozione! Allora lo chiamo. La grazia di Dio farà il resto... La Chiesa non ha bisogno soltanto di sacerdoti dotti, ma anche e soprattutto di sacerdoti pii».

Monsignor Courbon ha una buona ispirazione. Con la grazia di Dio ed un lavoro assiduo, don Vianney compie effettivi progressi negli studi. Quando sostiene l'esame canonico in vista del sacerdozio, l'esaminatore lo interroga per più di un'ora sui punti più difficili della teologia morale. Le sue risposte nette e precise sono totalmente soddisfacenti. Durante tutta la vita, il Santo Curato darà una grande importanza alla conoscenza della santa dottrina. Preparerà accuratamente le prediche. Per alimentare le cognizioni acquisite, si rimetterà a studiare nelle serate invernali.


L'ossessione della salvezza delle anime

L'accesso al sacerdozio è ormai libero per don Vianney, che riceve l'Ordine sacro il 13 agosto 1815. Dio ha mandato suo Figlio nel mondo affinché, per mezzo di Lui, il mondo sia salvato (Giov. 3, 17). La missione dei sacerdoti è precisamente quella di rendere tale opera di salvezza presente ed efficiente ovunque nel mondo. Per questo, il Curato d'Ars potrà dire: «Senza il sacerdote, la morte e la Passione di Nostro Signore non servirebbero a nulla. È il sacerdote che continua l'opera della Redenzione sulla terra».
Come il Buon Pastore, passerà la vita a cercare le pecorelle smarrite per ricondurle all'ovile. «Se un pastore rimane muto vedendo Dio oltraggiato e le anime che si perdono, dirà un giorno, guai a lui!» Ha un'inclinazione particolare per la conversione dei peccatori. I suoi lamenti sulla perdita delle anime spezzano il cuore: «E ancora, se il Buon Dio non fosse così buono, ma è così buono!... Salva la tua povera anima!... Che peccato perdere un'anima che è costata tanto a Nostro Signore! Che male ti ha mai fatto perchè lo tratti in questo modo?» Un giorno, fa un'esposizione memorabile sul giudizio finale, ripetendo a parecchie riprese, a proposito dei dannati: «Maledetti da Dio!... Maledetti da Dio!... Che disgrazia, che disgrazia!» Non sono più parole, ma singhiozzi, che strappano le lacrime a tutti i presenti.

Si rende disponibile, tanto quanto può, per offrire alle anime pentite il perdono di Dio. Infatti, ha un immenso orrore del male: «Attraverso il peccato, cacciamo il Buon Dio dalle nostre anime, disprezziamo il Buon Dio, Lo crocifiggiamo, sfidiamo la Sua giustizia, rattristiamo il Suo cuore paterno, Gli togliamo adorazioni, omaggi che sono dovuti a Lui solo... Il peccato getta nel nostro spirito tenebre orribili che otturano gli occhi dell'anima, ottenebra la fede come una densa nebbia ottenebra il sole alla nostra vista... Ci impedisce di andare in cielo. Oh! che gran male è il peccato!» Per questo, impiega un tempo considerevole ad amministrare il sacramento della Penitenza, mezzo ordinario per ritrovare lo stato di grazia e l'amicizia del Signore.


Un confessionale assediato

«Il grande miracolo del Curato d'Ars, è stato detto, è il suo confessionale assediato giorno e notte». Il Santo vive in quell'angusto bugigattolo i tre quarti della sua esistenza: da novembre a marzo, vi passa almeno 11-12 ore al giorno, e durante la bella stagione, 16-18 ore. D'inverno, quando le dita screpolate dai geloni sono troppo intorpidite, accende bene o male un pezzo di giornale per riscaldarle. Quanto ai piedi, confessava lui stesso, «da Ognissanti a Pasqua, non li sento!» È talmente vero, che gli capita, la sera, togliendosi i calzini, di strappare in pari tempo anche la pelle dei calcagni. Ma le sofferenze non hanno importanza per lui, per salvare anime, è pronto a tutto.


«Per cancellare bene i peccati, bisogna confessarsi bene!» ha l'abitudine di dire. «Confessarsi bene»: ciò significa, prima di tutto, che bisogna prepararsi con un serio esame di coscienza. Papa Giovanni Paolo II ha ricordato che «la confessione deve essere completa, nel senso che deve enunciare tutti i peccati mortali... Oggi, numerosi fedeli che si accostano al sacramento della Penitenza, non si accusano integralmente dei peccati mortali, e, talvolta, si oppongono al sacerdote confessore, che, conformemente al proprio dovere, li interroga per giungere ad una formulazione esauriente e necessaria dei peccati, come se si permettesse un'intrusione ingiustificata nel santuario della coscienza. Spero e prego perchè quei fedeli poco illuminati si convincano che la regola secondo la quale si esige l'enumerazione specifica ed esauriente dei peccati, nella misura in cui la memoria interrogata onestamente permette di ricordarsene, non è un peso che vien loro arbitrariamente imposto, ma un mezzo di liberazione e di serenità» (Lettera al Cardinale W. Baum, 22 marzo 1996).
«Il peccato lega l'uomo con legami vergognosi», insegna il Santo Curato. Secondo le parole di Nostro Signore: Colui che commette il peccato è schiavo del peccato (Giov. 8, 34). Infatti, il peccato trascina al peccato, genera il vizio ed ottenebra la coscienza (ved. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1865). L'assoluzione sacramentale, ricevuta con le dovute disposizioni, rende all' anima la vera libertà interiore e le dà forze per vincere le cattive abitudini. «È bello pensare che abbiamo un sacramento che guarisce le piaghe dell'anima!» esclama San Giovanni Maria Vianney. «Nel sacramento della Penitenza, dice anche, Dio ci mostra e ci concede la sua misericordia fino all'infinito... Avete visto la mia candela questa notte: stamane ha finito di ardere. Dov'è? Non esiste più, è distrutta: allo stesso modo, i peccati per i quali si è ricevuta l'assoluzione non esistono più: sono distrutti».


Il sacramento della riconciliazione con Dio porta una vera «risurrezione spirituale», una restituzione dell'amicizia divina. Uno dei suoi frutti secondari è la gioia dell'anima, la pace della coscienza. Sono numerosi i penitenti di Ars ad averlo sperimentato. Uno di essi, un vecchio scettico che non si era confessato da più di trent'anni, riconobbe, dopo aver confessato le sue colpe, di aver provato «un benessere indefinibile».

La bontà del Santo per i peccatori non si cambia in debolezza. Prima di dare l'assoluzione, esige indizi sufficienti di conversione. Due cose sono assolutamente necessarie: prima di tutto, la contrizione, vale a dire «il dolore di aver peccato, fondato su motivi soprannaturali, poiché il peccato viola la carità verso Dio, Bene supremo, ha causato le sofferenze del Redentore e ci ha occasionato la perdita dei Beni eterni» (Giovanni Paolo II, ibid.). Il Santo Curato riprende un giorno un penitente maldisposto in questi termini: «Il tuo pentimento non viene da Dio, nè dal dolore per i tuoi peccati, ma soltanto dal timore dell'inferno». Il fermo proposito di non peccare più è altrettanto necessario. «È, inoltre, evidente che la formulazione dei peccati deve comprendere la seria intenzione di non commetterne più in avvenire. Se venisse meno tale disposizione dell'anima, in realtà non vi sarebbe più pentimento» (Giovanni Paolo II, idib.). L'intenzione di non peccare più implica la volontà di mettere in opera i mezzi appropriati e, se necessario, la rinuncia a certi comportamenti. A questo proposito, il Curato d'Ars manifesta una fermezza che gli attira critiche, quando, per esempio, esige dai penitenti la rinuncia alla danza ed all'abbigliamento indecente.


Fiducia nella grazia

«L 'intenzione di non peccare deve basarsi sulla grazia divina che il Signore non rifiuta mai a chi fa tutto il possibile per agire onestamente. Attendiamo dalla Bontà divina, in ragione delle promesse e dei meriti di Gesù Cristo, la vita eterna e le grazie necessarie per ottenerla» (Giovanni Paolo II, ibid.). Il Santo Curato incoraggia i penitenti ad attingere alle sorgenti della grazia: «Vi sono due cose per unirsi a Nostro Signore e per salvarsi: la preghiera ed i sacramenti». Con la grazia, tutto diventa possibile ed addirittura facile.


È alla comunione eucaristica che San Giovanni Maria Vianney vuol condurre soprattutto i fedeli. Comunicarsi, vuol dire ricevere Cristo stesso ed accrescere la nostra unione con Lui. Questo suppone lo stato di grazia: «Chi vuol ricevere Cristo nella comunione eucaristica deve essere in stato di grazia. Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve accostarsi all'Eucaristia senza prima aver ricevuto l'assoluzione nel sacramento della Penitenza» (CCC, 1415). Alle anime bendisposte e desiderose di progredire, il Curato d'Ars, contrariamente alla consuetudine dell'epoca, consiglia di comunicarsi di frequente: «Il corpo ed il sangue di un Dio sono il nutrimento dell'anima! oh che bel nutrimento! l'anima può nutrirsi solo di Dio! solo Dio può appagarla! solo Dio può saziare la sua fame! le ci vuole assolutamente Dio! accostatevi dunque alla comunione, avvicinatevi a Gesù con amore e fiducia!»
Lui stesso ha fatto dell'Eucaristia il centro della propria vita. Si sa quale posto occupi la Messa in ciascuna delle sue giornate, con che cura vi si prepari e la celebri. Incoraggia pure molto le visite al Santissimo Sacramento, e gli piace raccontare il seguente aneddoto: «C'era qui, nella parrocchia, un uomo che è morto alcuni anni fa. Entrato la mattina in chiesa per recitare una preghiera prima di andare in campagna, lasciò la zappa davanti alla porta e perse la nozione del tempo lì, davanti a Dio. Un vicino, che lavorava non lontano da lui e che aveva l'abitudine di scorgerlo, si stupì della sua assenza. Tornando indietro, pensò di entrare in chiesa, ritenendo che ve lo avrebbe forse trovato. Ed infatti ve lo trovò. «Che ci fai così a lungo?» gli chiese.
E l'altro rispose: «Informo il Buon Dio, ed il Buon Dio informa me»».

Il mio più vecchio affetto

Mentre conduce le anime all'Eucaristia, il Santo Curato le conduce anche alla Santa Vergine, Madre della misericordia e Rifugio dei peccatori. Rimane per ore ed ore in preghiera ai piedi del suo altare. Nei catechismi, nelle prediche, nei colloqui, ne parla con il cuore in mano: «La Santissima Vergine sta fra suo Figlio e noi. Più siamo peccatori e più prova tenerezza e compassione per noi. Il figlio che è costato più lacrime alla madre è quello che è più caro al suo cuore. Una madre non corre sempre verso il figlio più debole e più esposto al pericolo? Un medico, in un ospedale, non ha più sollecitudine per i malati più gravi?» Un giorno, confida a Caterina Lassagne, di cui è il direttore spirituale: «L'ho amata, la Vergine, addirittura prima di conoscerla; è il mio più vecchio affetto!» La Santissima Vergine è la luce dei suoi giorni tetri. L'8 dicembre 1854, Papa Pio IX definisce il dogma dell'Immacolata Concezione. Malgrado la stanchezza, il Curato d'Ars tiene a cantare lui medesimo la messa solenne. Nel pomeriggio, dopo il Vespro, tutta la parrocchia si reca in processione al collegio dei Frati, dove egli benedice una statua dell'Immacolata, sistemata nel giardino, e di cui è il donatario. La sera, nel villaggio, vengono illuminati il campanile, i muri della chiesa, le facciate delle case. Questa festa costituisce veramente uno dei più bei giorni della sua vita. Quasi settuagenario, sembra ringiovanito di vent'anni. Mai figlio fu più felice di assistere al trionfo della propria madre: «Che gioia, che gioia! Ho sempre pensato che mancasse questo raggio allo splendore delle verità cattoliche. È una lacuna che non poteva trovar posto nella religione».

«Mi riposerò in paradiso»


Nel suo amore per le anime, San Giovanni Maria Vianney non dimentica i poveri. Fonda un pensionato per le ragazze abbandonate, e lo chiama «la Provvidenza». Tale istituto accoglie cinquanta-sessanta ragazze, dai dodici ai diciotto anni. Venute da tutte le regioni ed accolte senza che debbano pagare una retta, vi rimangono per un periodo indeterminato, quindi vanno a servizio nelle fattorie locali. Durante il loro soggiorno, imparano a conoscere, ad amare, a servire Dio. Formano una famiglia, in cui le maggiori servono di esempio, di consiglio e di guida alle più giovani. Non si tratta di un istituto ordinario, ma piuttosto di una emanazione della santità del fondatore. Risorse, vita, spirito e direzione provengono da lui.


Ma le anime non vengono salvate senza molte sofferenze. Da tutte le parti, contraddizioni, croci, lotte, insidie si riversano sul Santo Curato, tanto da parte degli uomini, che da parte dell'«Accalappiatore» (nomignolo con cui egli designa abitualmente il demonio). La sua vita è una lotta contro le forze del male. Le sole risorse che lo sostengano sono la pazienza, le preghiere ed il digiuno che supera talvolta i limiti della prudenza umana. Sviluppa la virtù della dolcezza al punto di far credere che è senza passioni ed incapace di adirarsi. Tuttavia, le persone che vivono accanto a lui e lo frequentano assiduamente si accorgono assai rapidamente che ha un'immaginazione fervida, un carattere focoso. Fra le prove stupefacenti della sua pazienza, si narra di un tale di Ars che si recò in canonica per coprirlo di insulti: lo riceve, lo ascolta senza aprir bocca, poi, per cortesia, lo riaccompagna e, prima di lasciarlo, lo abbraccia. Il sacrificio gli costa talmente, che risale immediatamente in camera sua e deve stendersi sul letto. Ha il corpo coperto di foruncoli, causati dallo sforzo che ha dovuto fare per dominarsi...

Tale eroica pazienza, il Santo la deve al suo amore per Gesù Cristo. Nostro Signore è la sua vita, il suo cielo, il suo presente, il suo avvenire, e la venerabile Eucaristia è la sola che possa estinguere la sete che lo consuma. «O Gesù! esclama spesso, con gli occhi pieni di lacrime, conoscerti, vuol dire amarti... Se sapessimo quanto ci ama Nostro Signore, moriremmo di piacere! Non ritengo che vi siano cuori abbastanza duri per non amare, vedendosi amati tanto... La carità è qualcosa di talmente bello! È un flusso del Cuore di Gesù, che è tutto amore... La sola felicità che abbiamo quaggiù, è quella di amare Dio e di sapere che Dio ci ama...»


Giunto al termine della vita, di cui abbiamo riferito soltanto alcuni episodi, il Santo Curato aspira ardentemente al Cielo. «Lo vedremo! lo vedremo!... oh, fratelli! ci avete mai pensato? vedremo Dio! lo vedremo davvero! lo vedremo quale Egli è... faccia a faccia!... lo vedremo! lo vedremo!» aveva detto un giorno. Come l'operaio che ha assolto coscienziosamente il proprio dovere, egli va a vedere Dio ed a riposarsi in paradiso, il 4 agosto 1859.


«La Chiesa non considera la sua eredità come il tesoro di un passato trascorso, ma come una potente ispirazione per progredire nel pellegrinaggio della fede, su vie sempre nuove» (Giovanni Paolo II, Reims, 22 settembre 1996). La vita del Curato d'Ars è un tesoro per la Chiesa. «San Giovanni Maria Vianney, tu che, durante tutta la vita, sei stato pieno di zelo per la salvezza delle anime ed hai avuto un amore senza limiti per i poveri peccatori, accresci in noi lo spirito di sacrificio e preparaci un posto in Cielo, affinché possiamo contemplare con te Dio in eterno».
È quel che chiediamo, nelle nostre preghiere, per Lei, per coloro che Le sono cari e per tutti i Suoi defunti.
Dom Antoine Marie osb

giovedì 3 luglio 2014

Uno sguardo alla vita ed al messaggio di Suor Faustina, ci permetterà di capire meglio l'infinita ricchezza della divina misericordia.


Carissimo Amico/a,

«La mentalità attuale sembra opporsi al Dio di misericordia, e tende ad eliminare dalla vita ed a togliere dal cuore umano la nozione stessa di misericordia, constata Papa Giovanni Paolo II. La parola e l'idea di misericordia sembrano mettere a disagio l'uomo che, grazie ad uno sviluppo scientifico e tecnico finora sconosciuto, è diventato padrone della terra che ha sottomesso e dominato... Tuttavia, la situazione del mondo attuale non palesa soltanto trasformazioni capaci di far sperare per l'uomo un avvenire terreno migliore, ma rivela altresì molteplici minacce, di gran lunga peggiori di quelle che si erano conosciute finora» (Enciclica Dives in misericordiaDM, 2, 30 novembre 1980).

In occasione della cerimonia di beatificazione di Suor Faustina Kowalska, il 18 aprile 1993, il Papa dice anche: «Il bilancio di questo secolo che volge al termine presenta, oltre alle conquiste, che hanno spesso superato quelle delle epoche precedenti, un'inquietudine ed una paura profonda quanto all'avvenire. Di conseguenza, dove, se non nella misericordia divina, il mondo può trovare la via d'uscita e la luce della speranza?»
Uno sguardo alla vita ed al messaggio di Suor Faustina, ci permetterà di capire meglio l'infinita ricchezza della divina misericordia.


Un'educazione austera

Il 25 agosto 1905, a Glogow (Polonia), nella casa dei coniugi Kowalski, nasce una bambina, terza di una famiglia che conterà dieci figli. Il giorno seguente, con il santo battesimo, riceverà il nome di Elena. Suo padre si guadagna con difficoltà il pane quotidiano, benchè passi le giornate a coltivare una terra poco generosa, ed una parte delle notti ad esercitare il mestiere di falegname. In questa famiglia patriarcale, i genitori predicano più con l'esempio che con le parole. I figli vengono allevati con affetto, ma anche con energia e addirittura con durezza.

Elena è di indole allegra ed espansiva. Benchè si faccia notare come ottima alunna, rimarrà a scuola solo due anni: si ha bisogno di lei in casa per le pulizie e per il lavoro nei campi. A 9 anni, fa la prima comunione, e diventa più meditativa, cerca momenti di silenzio e di solitudine. A 14 anni, la si manda a lavorare in una fattoria dei dintorni. Ciò porterà in casa un po' di denaro, ed essa potrà farsi un vestito della festa per andare a Messa. Dopo un anno di servizio pieno di abnegazione, di gentilezza e di diligenza, Elena dichiara a sua madre: «Mamma, devo farmi suora; devo entrare in convento!»
La risposta è un «no» categorico. I Kowalski, a corto di denaro e pieni di debiti, non possono assumersi le spese per la costituzione del corredo, vale a dire pagare gli abiti religiosi, condizione per l'ammissione in convento delle postulanti. Elena deve dunque pazientare: torna al lavoro, più lontano, nella città di Lodz.


In mezzo a ballerini sfrenati...


Passano due anni. Elena ha 18 anni. Supplica di nuovo i genitori di permetterle di realizzare finalmente la sua vocazione. Identico rifiuto netto. Delusa, la ragazza si lascia andare ad una certa tiepidezza e si sforza di soffocare nei divertimenti la chiamata di Dio. Eccola al ballo, una domenica sera, con sua sorella. Balla, ma il suo cuore risente uno strano malessere. Ad un tratto, vede Gesù accanto a sè: è lì, tutto insanguinato, coperto di piaghe, con il volto tormentato dal dolore, lo sguardo implorante, straziante. Le dice: «Per quanto tempo ti sopporterò ancora? Fino a quando mi deluderai?» Elena, stupefatta, sconvolta, smette immediatamente di ballare. Non sente più nessun suono; non vede più nulla della sala da ballo e dei ballerini che continuano a turbinare, sfrenati. Se ne va senza farsi notare, e corre fino alla cattedrale di San Stanislao Kostka.

La chiesa è quasi deserta. Si prosterna, con la faccia contro terra, davanti al Santissimo esposto nel brillante ostensorio; e, con tutto il cuore, vibrante di attesa e di umile sottomissione, chiede a Gesù Cristo: «Cosa devo fare?... – Va' immediatamente a Varsavia, lì entrerai in un convento». Elena si rialza, con il cuore traboccante di gioia, spiega tutto alla sorella, le chiede di salutare i genitori da parte sua, e, senza bagagli, prende il primo treno per Varsavia. Trova provvisoriamente un posto di domestica tuttofare presso una famiglia cattolica. Ma nessuna porta di convento si apre davanti a lei: non si sa che farsene di quella contadina incolta e senza dote. Persevera nelle sue ricerche, e finalmente viene introdotta presso la Madre Superiora delle Suore di Nostra Signora della Misericordia.


Va' a trovare il padrone di casa


Imbarazzata, la Madre Superiora le dice: «Va' a chiedere al Padrone di questa casa se vuol riceverti». Piena di gioia, Elena va nella cappella e, inginocchiata davanti al Tabernacolo, chiede: «Padrone di questa casa, mi vuoi ricevere?» Immediatamente, sente queste parole: «Ti accolgo, sei nel mio Cuore». Torna dalla Superiora che la interroga: «Allora, ti ha accettata nostro Signore? – Sì. – Se Lui ti ha accettata, ti accetto anch'io». Elena (che, in religione, si chiamerà ormai Suor Faustina) comincia così una vita totalmente consacrata al servizio di Cristo misericordioso e della di Lui Santa Madre.
Felice all'inizio, la postulante è ben presto delusa: accolta come conversa, è completamente assorbita da lavori di pulizia, di manutenzione, ecc. ed ha ben poco tempo per la preghiera, la meditazione, il cuore a cuore con Gesù Salvatore. Quasi decisa a lasciare la Congregazione, per cercarne un'altra più contemplativa, supplica il divino Maestro di illuminarla: improvvisamente, il Volto insanguinato di Nostro Signore le appare, nella sua stanza: «Qui ti ho chiamata, qui ti preparo grandi grazie».
Totalmente abbandonata alla volontà divina, Suor Faustina diventerà una vera contemplativa, in varie case della Congregazione e fra lavori continui, che esegue con ingegno e dedizione: cucina, giardino, portineria, ecc.

Il 22 febbraio 1931, le appare nuovamente Nostro Signore. È avvolto in un'ampia veste bianca, una mano è alzata in un gesto di assoluzione, l'altra è posata sul suo divino Cuore. Da quel Cuore scaturiscono in direzione della terra due fiotti di luce, uno rosso, l'altro bianco, i cui fasci si allargano progressivamente fino a ricoprire il mondo intero. E Gesù dice a Suor Faustina: «Dipingi un'immagine simile a ciò che vedi e scrivici sotto: 'Gesù, in te confido'. Desidero che tale immagine sia venerata in tutto il mondo. Prometto a coloro che la venereranno la vittoria sulle forze del peccato, soprattutto nell'ora della morte. Li difenderò io stesso, come mia gloria».
«Cosa significano i due fasci di raggi, uno rosso, l'altro bianco? interroga Suor Faustina. – Questi raggi significano l'acqua ed il sangue. L'acqua che purifica le anime; il sangue che è la vita dell'anima. Sgorgano dal mio Cuore trafitto sulla Croce». San Giovanni testimonia infatti: Uno dei soldati aprì il costato di Gesù con un colpo di lancia e subito ne uscirono abbondantemente sangue ed acqua! (Giov. 19, 34). L'acqua rappresenta il Battesimo ed il sacramento della Penitenza; il sangue, l'Eucaristia.
Suor Faustina è incapace di disegnare o di dipingere. Seguendo le sue indicazioni, un artista realizzerà la santa icona di Gesù misericordioso
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Ma quante lotte, contraddizioni, derisioni e smacchi le sono riservati fino al 1935, data alla quale, timidamente, il quadro verrà esposto nel celebre santuario di Nostra Signora d'Ostra Brama, a Wilno, grazie agli sforzi del suo confessore, don Sopocko. Subito, l'icona attira l'attenzione, e le grazie straordinarie di conversione si moltiplicano. Dopo la morte di Suor Faustina, verrà riprodotta in tutto il mondo.


Per chi la misericordia?


Che cos'è la misericordia? Essere misericordiosi significa avere un cuore velato di tristezza davanti all'altrui miseria, come se si trattasse della propria. L'effetto della misericordia è quello di sforzarsi di allontanare, per quanto possibile, tale miseria dal prossimo. La misericordia divina è l'amore di Dio per gli uomini in preda alla sofferenza, l'ingiustizia, la povertà ed il peccato. Mostra Dio particolarmente prossimo all'uomo. Gesù Cristo ha rivelato, con il suo stile di vita e le sue azioni, come l'amore di Dio sia presente nel mondo in cui viviamo. Tale amore attivo è capace di chinarsi su ogni figliol prodigo, su ogni miseria morale (ogni peccato). «La misericordia è come il secondo nome dell'amore, ed è, in pari tempo, il modo in cui si rivela e si realizza per opporsi al male che è nel mondo, che tenta ed assedia l'uomo, gli si insinua fin nel cuore e può farlo perire nella geenna» (DM, 7).

«Sulle orme di San Paolo, la Chiesa ha sempre insegnato che l'immensa miseria che opprime gli uomini e la loro inclinazione al male ed alla morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo e prescindendo dal fatto che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti nasciamo contaminati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 403). Abbiamo tutti bisogno della misericordia, poichè siamo tutti colpiti dalle conseguenze del peccato di Adamo. Le nostre colpe personali non hanno fatto che aggravare la nostra situazione: «Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero» (CCC, 1488). La perversità del peccato grave si comprende meglio quando si considerano le conseguenze eterne: «È soltanto in questa visione escatologica (del cielo e dell'inferno) che si può avere l'esatta misura del peccato e sentirsi spinti in modo decisivo alla penitenza ed alla riconciliazione (con Dio e con il prossimo)» (Giovanni Paolo II, Riconciliazione e penitenza, 26, 2/12/1984).


Il frutto del peccato


Nella sua misericordia, Dio ha voluto mostrare a Suor Faustina la conseguenza eterna del peccato grave. Scrive nel suo «Giornalino»: «Oggi, sono stata introdotta da un angelo negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi supplizi. La sua estensione è terribilmente vasta. Vi ho visto diversi tipi di sofferenze: – La prima è la perdita di Dio. – La seconda: i perpetui rimorsi della coscienza. – La terza: la sorte dei dannati non cambierà mai. – La quarta: è il fuoco, acceso dall'ira di Dio, che penetrerà nell'anima senza distruggerla. – La quinta: le tenebre incessanti, un odore terribile, soffocante. E, malgrado le tenebre, i demoni e le anime dannate si vedono l'un l'altro e vedono tutto il male altrui ed il loro. – La sesta: è la continua compagnia di Satana. – La settima: una terribile disperazione, l'odio di Dio, le maledizioni, le bestemmie.
«Che ogni peccatore sappia che sarà torturato per tutta l'eternità attraverso i sensi di cui si è servito per peccare. Scrivo questo per ordine di Dio, acciocchè nessuna anima possa scusarsi affermando che l'inferno non esiste, o che nessuno vi è andato e non si sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio, sono penetrata negli abissi infernali per parlarne alle anime e testimoniare che l'inferno esiste... Ho notato una cosa, ed è che lì vi erano molte anime che avevano messo in dubbio l'esistenza dell'inferno... Così, prego ancor più ardentemente per la salvezza dei peccatori. Invoco su di loro senza posa la divina Misericordia. O Gesù mio, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo noi massimi supplizi, piuttosto che offenderti con il minimo peccato».
Questa testimonianza personale della beata è tanto più degna di attenzione che non contraddice in nulla la dottrina della Chiesa: «La Chiesa afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità... Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta» (CCC, 1035, 1033).

La realtà dell'inferno ci invita a riflettere sulla gravità della sua causa, il peccato mortale. Si «chiama peccato mortale l'atto attraverso il quale un uomo, liberamente e consapevolmente, rifiuta Dio, la di Lui legge, l'alleanza d'amore che Dio gli propone, preferendo proiettarsi verso se stesso, verso qualche realtà creata e finita, verso qualcosa di contrario alla volontà di Dio» (Enciclica Veritatis splendor, 6 agosto 1993). Ciò si verifica nella disubbidienza ai comandamenti di Dio in materia grave (per esempio: idolatria, apostasia, bestemmia, aborto, eutanasia, contraccezione, adulterio, ecc.).



«Gesù mio, misericordia!»


Dio, dal canto suo, non è in nessun modo l'autore del peccato. Ma c'è di più, Egli non abbandona colui che ha la sventura di offenderLo, ma gli offre instancabilmente la grazia del pentimento. Il Sangue di Cristo, morto per amore, ha ottenuto per noi un accesso sicuro presso il Dio di misericordia: Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza da tutte le opere di morte (Ebr., 9, 14). La misericordia è la caratteristica di Dio. Una preghiera liturgica della Messa per i defunti comincia così: «O Dio, il cui proprio è di avere sempre pietà e di perdonare...», e l'orazione Colletta della 26^ domenica ordinaria afferma che Dio manifesta la propria onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia. La misericordia è la massima virtù, poichè spetta a Lui dare agli altri, e, per di più, alleviare la loro indigenza. Questo è il proprio di Dio, che possiede tutto e che può tutto (ved. San Tommaso d'Aquino, II-II, 30, 4). Giovanni Paolo II sottolinea: «La misericordia, in quanto perfezione del Dio infinito, è essa medesima infinita. Infinita dunque ed inesauribile è la prontezza del Padre ad accogliere i figlioli prodighi che tornano a casa. Infinite sono altresì la prontezza e l'intensità del perdono che scaturisce incessantemente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato dell'uomo può prevalere su tale forza, nè limitarla» (DM, 13).

Il Salvatore dice un giorno a Suor Faustina: «Voglio che i sacerdoti proclamino la mia grandissima misericordia. Voglio che i peccatori si avvicinino a me senza timore alcuno! Fosse l'anima come un cadavere in avanzato stato di putrefazione, non esistesse più, umanamente, alcun rimedio, non è la stessa cosa davanti a Dio! Le fiamme della misericordia mi consumano. Ho fretta di riversarle sulle anime... Nessun peccato, fosse anche un abisso di abiezione, esaurirà la mia misericordia, perchè più vi si attinge e più essa aumenta... È per i peccatori che ho versato tutto il mio sangue. Che si approssimino dunque a me senza alcun timore!» Così si spiega la fiducia di San Bernardo: «Il mio corpo di argilla mi opprime di tutto il suo peso, Satana dispone le sue trappole, ma non sono travolto, non cado, perchè sono solidamente fissato sulla roccia incrollabile. So che ho peccato gravemente, la coscienza me lo rimprovera; ma non mi scoraggio, mi ricordo delle piaghe del mio Salvatore, che è stato ferito per le nostre iniquità (Is. 53, 5). Che cosa c'è di tanto mortale che la morte redentrice di Cristo non guarisca? Quando penso ad un rimedio tanto potente ed efficace, non posso aver paura di nessuna malattia, per quanto sia maligna» (Sermone 61 sul Cantico dei Cantici, 5).

San Benedetto, nel Prologo della sua Regola, ci presenta la misericordia divina come un potente motivo di speranza, ed un appello alla conversione: «È per la riparazione dei peccati che i giorni di questa vita ci sono prolungati come una tregua, come dice l'Apostolo: Ignori che la pazienza di Dio ti induce alla penitenza? Poichè il nostro misericordioso Signore dice pure: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva. «Il pentimento e la conversione sono le disposizioni necessarie per partecipare alla grazia della Redenzione. Il Santo Padre ci avverte di ciò quando dice: «Da parte dell'uomo, possono limitare (la misericordia) solo la mancanza di buona volontà, la mancanza di prontezza nella conversione e nella penitenza, vale a dire l'ostinazione incessante che si oppone alla grazia ed alla verità, specialmente di fronte alla testimonianza della Croce e della Risurrezione di Cristo» (DM, 13).
Al peccatore pentito, la divina misericordia viene concessa in modo privilegiato nella confessione. «È il sacramento della penitenza o della riconciliazione che appiana la strada di ciascuno, anche quando è subissato da gravi colpe. In questo sacramento, ogni uomo (battezzato) può sperimentare in modo unico la misericordia, vale a dire l'amore che è più forte del peccato» (DM, 13). La misericordia è promessa anche a coloro che sanno perdonare e compatire le altrui sofferenze: Beati i misericordiosi, perchè otterranno misericordia (Matt. 5, 7).


Vittima dell'amore misericordioso

Dopo l'apparizione del 1931, la vita di Suor Faustina è segnata dalla sofferenza fisica, le prove interiori e le umiliazioni. Ma essa accetta tutto con gioia, per ottenere la salvezza dei peccatori, a tal punto che il Sacro Cuore le promette: «Ti darò tutto ciò che vorrai... Per castigare, ho tutta l'eternità. Ora prolungo il tempo della misericordia. Prima di venire in qualità di Giudice, spalanco le porte della mia misericordia... I più grandi peccatori potrebbero diventare grandissimi santi, se confidassero nella mia misericordia». Come Santa Teresa di Gesù Bambino, la religiosa polacca arde di zelo missionario: «Mi sento responsabile di tutte le anime, sento che non vivo per me sola, ma per tutta la Chiesa... O, Gesù mio, abbraccio il mondo intero per offrirlo alla tua misericordia!»

Gli ultimi mesi di Suor Faustina, vissuti in un sanatorio per via della tubercolosi che la consuma fin dal 1933, trascorrono nella preghiera e l'immolazione per gli agonizzanti che la circondano. Ne ottiene spesso la conversione, anche in circostanze umanamente disperate. Si addormenta dolcemente nel Signore, all'età di 33 anni, il 5 ottobre 1938.
Suor Faustina era molto devota alla Santa Vergine, Madre di Misericordia. «Maria, dice il Papa, è colei che conosce più a fondo il mistero della divina misericordia. Ne sa il prezzo, e quanto esso sia grande. Quest'amore misericordioso non cessa, in lei e grazie a lei, di rivelarsi nella storia della Chiesa e dell'umanità» (DM, 9).
Beata Suor Faustina, ottienici, sotto la materna protezione di Maria e di San Giuseppe, il beneficio di accostarci con fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia ed un aiuto divino al momento opportuno (Ebr. 4, 16), per noi e per tutti coloro che ci sono cari, vivi e defunti.
Dom Antoine Marie osb

<<GESU' MIO, 

MISERICORDIA!>>